van Pelt, Robert J.
During the David Irving libel suit, van Pelt was asked by D. Lipstadt’s defense team to take on revisionist arguments about Auschwitz, for which he received a lot of publicity. Van Pelt published his expert report in a revised and expanded edition in 2002. An analysis of his writings shows that, to a large degree, he plagiarized Pressac’s work, yet without really comprehending the issues involved.
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di Carlo Mattogno
Giugno 2007
Prima edizione
Tra l’11 gennaio e l’11 aprile del 2000, alla Royal Court of Justice di Londra, si svolse un processo per diffamazione intentato da David Irving a Deborah Lipstadt e alla casa editrice Penguin Books Ltd, che si concluse con la sconfitta dello storico britannico. Robert Jan van Pelt fu assunto dal collegio difensivo della Lipstadt per redigere una “perizia” che egli terminò nel 1999. Si tratta del famoso The Pelt Report1. Successivamente van Pelt lo rielaborò e nel 2002 lo pubblicò in forma di libro, The Case for Auschwitz2, che divenne la nuova opera di riferimento della storiografia olocaustica su questo campo.
Van Pelt succedeva a Jean-Claude Pressac, diventato ormai un ribelle incontrollabile che, ad ogni nuovo scritto, infliggeva ulteriori colpi alla storiografia ufficiale. Pressac veniva così relegato in una sorta di purgatorio storiografico a metà strada tra l’inferno revisionistico e il paradiso olocaustico.
E questo anatema storiografico gravò su di lui fino alla morte, avvenuta il 23 luglio 2003 nel totale silenzio della stampa che prima lo aveva osannato. Per ironia della sorte, egli ricevette la commemorazione funebre dagli avversari3.
Il posto di esperto mondiale di Auschwitz doveva dunque essere assegnato ad un uomo fidato che inglobasse le tesi epurate di Pressac, senza il suo fastidioso spirito critico, in una nuova visione metafisica – immutabile e definitiva – di Auschwitz. Van Pelt, appunto.
The Pelt Report, e il libro che ne deriva, costituisce essenzialmente un indecoroso saccheggio dell’opera di Pressac, che non viene mai citato come fonte degli argomenti di cui van Pelt si è appropriato. L’intera opera si basa su due pilastri fondamentali: il corpus degli “indizi criminali” (“criminal traces“) di Pressac e le testimonianze, le quali, a loro volta, sono incentrate su quella di Henryk Tauber, al quale van Pelt attribuisce «il più alto valore dimostrativo», facendo propria l’analisi di questa testimonianza effettuata da Pressac. Van Pelt però esaspera l’importanza di questa testimonianza, che diventa il pilastro essenziale della sua struttura argomentativa, la misura di tutte le fonti, sicché anche i documenti vengono da lui addotti per dimostrare la “plausibilità” delle affermazioni di Tauber. Ciò vale anche per le altre testimonianze, che ruotano attorno a quella di Tauber al solo scopo di fornirle una “conferma”.
Questo singolare metodo è facilmente comprensibile. Le affermazioni di Tauber, dal 1945 al 1993, da Jan Sehn a Pressac, costituiscono la base indiscutibile della storiografia olocaustica su gasazioni omicide e cremazioni ad Auschwitz. Gli stessi “indizi criminali” di Pressac presuppongono tacitamente o esplicitamente le affermazioni di Tauber, e ne costituiscono per così dire una (fittizia) trasposizione documentaria.
La scelta operata da van Pelt ha un’altra motivazione ancora più importante: egli si doveva occupare di problematiche tecniche relative a cremazioni e forni crematori di cui non aveva alcuna cognizione, perciò al riguardo si è affidato ciecamente alla testimonianza di Tauber. Ma, accettando le assurdità tecniche asserite da questo testimone, e ponendole alla base delle sue argomentazioni, van Pelt ha innescato una reazione a catena che porta all’autodemolizione del suo libro.
1 Il rapporto è disponibile in: http://fpp.co.uk/Legal/Penguin/experts/Pelt/Pelt_report
2 R.J. van Pelt, The Case for Auschwitz. Evidence from the Irving Trial. Indiana University Press, Bloomington and Indianapolis, 2002.
3 J. Graf, In Memoriam Jean-Claude Pressac, in: “Vierteljahreshefte für freie Geschichtsforschung”, 7. Jg., Heft 3 & 4, dicembre 2003, pp.406-411; C. Mattogno, Meine Erinnerungen an Jean-Claude Pressac, idem, pp. 412-415; R.H. Countess, Jean-Claude Pressac: In Memoriam, idem, p. 413.
La confutazione radicale delle argomentazioni addotte da van Pelt richiede dunque tre studi specifici: uno sugli “indizi criminali”, il secondo su cremazione e forni crematori, il terzo sulla testimonianza di Tauber. Questi studi costituiscono pertanto la Parte Prima, Seconda e Terza di quest’opera.
Rispetto a Pressac, van Pelt ha introdotto un metodo nuovo, o, per meglio dire, ha introdotto una nuova denominazione metodologica, la “convergenza di prove” (“convergence of evidence”), metodo che Pressac aveva già attuato senza dargli un nome specifico. Esso consiste in un raffronto tra documenti e testimonianze pretesamente indipendenti mirante a dimostrare che tutto “converge” nella tesi dello sterminio. La Parte Quarta analizza l’applicazione concreta di questo metodo da parte di van Pelt ed espone i gravi errori tecnici e storici che ne derivano.
La Parte Quinta, infine, esamina in modo approfondito l’origine della presunta convergenza di testimonianze. Nella “Preface and Acknowledgment” del suo libro, van Pelt ringrazia i suoi consulenti:
«Scrivendo la mia confutazione dell’affidavit di Rudolf, ebbi la fortuna di avere come collaboratori Green, Mazal, Keren, e McCarthy in conversazioni quotidiane che presto inclusero John Zimmerman, Kern Stern, Peter Maguire e Stephen Prothero»4.
In questo studio mostrerò vari esempi della competenza e dell’onestà di alcuni di questi personaggi.
Egli spiega inoltre con supponenza il suo compito al processo Irving-Lipstadt:
«Il mio compito dunque era di aiutare gli avvocati difensori Richard Rampton, Heather Rogers, e Anthony Julius a convincere il giudice che nessuno storico serio che abbia considerato le prove avrebbe serio motivo di dubitare che ad Auschwitz ci furono camere a gas»5.
Questa arrogante pretesa fu smentita proprio dal giudice Gray nella sua sentenza dell’11 aprile 2000. Al punto 13.71 egli scrisse:
«Devo confessare che, come – immagino – la maggior parte della gente, avevo supposto che le prove dello sterminio in massa di Ebrei nelle camere a gas di Auschwitz fossero convincenti.
Tuttavia, quando ho valutato le prove addotte dalle parti in questa causa, ho messo da parte questo pregiudizio»6.
Al punto 13.73 il giudice aggiunse:
«Riconosco la forza di molte osservazioni di Irving su alcuni di questi temi. Egli fa notare a ragione che i documenti contemporanei, come disegni, piante, corrispondenza con fornitori e simili offrono poche prove dell’esistenza di camere a gas progettate per uccidere esseri umani.
Tali documenti isolati sull’impiego di gas come si possono trovare tra questi documenti si possono spiegare con la necessità di disinfestare il vestiario in modo da ridurre l’incidenza di malattie come il tifo. I quantitativi di Zyklon B consegnati al campo si possono forse spiegare con la necessità di disinfestare vestiario e altri oggetti. È anche corretto che uno dei documenti più compromettenti, cioè la lettera di Müller [recte: di Bischoff] del 28 giugno 1943 che espone il numero dei cadaveri che potevano essere bruciati nei forni crematori presenta una quantità di caratteristiche curiose le quali ingenerano la possibilità che esso non sia autentico. Inoltre, le prove fotografiche dell’esistenza di camini sporgenti dal soffitto della camera mortuaria 1 del crematorio II – lo ammetto – sono difficili da interpretare»7.
Al punto 13.74 Gray riconobbe inoltre il valore di alcuni argomenti di Irving:
«Allo stesso modo Irving ha fatto valide osservazioni su varie relazioni fornite da superstiti e funzionari del campo. Alcune di queste relazioni furono prodotte come prove ai processi del dopoguerra. C’è la possibilità che alcuni di questi testimoni abbiano inventato qualcosa o perfino tutto delle esperienze che descrivono. Irving sostenne la possibilità di impollinazione incrociata, espressione con la quale intendeva la possibilità che dei testimoni possano avere ripetuto e anche abbellito le relazioni (inventate) di altri testimoni, col risultato che si costruì un corpus di false testimonianze. Irving rilevò che parti di qualcuna delle relazioni di
4 Idem, pp. XIII-XIV.
5 Idem, p. IX.
6 http://www.nizkor.org/hweb/people/i/irving-david/judgment-13-01.html
7 Idem.
qualcuno dei testimoni sono evidentemente errate o (come alcuni disegni di Olère) chiaramente esagerate. Egli suggerì vari motivi per spiegare perché dei testimoni potessero aver fornito relazioni false, come avidità e rancore (nel caso di superstiti), paura e desiderio di ingraziarsi coloro che li avevano catturati (nel caso di funzionari del campo). Van Pelt ammise che queste possibilità esistono. Io sono d’accordo»8.
Il convincimento del giudice circa la realtà di camere a gas omicide ad Auschwitz derivava unicamente dalla presunta “convergenza di prove”, come egli dichiarò esplicitamente al punto 13.78:
«La mia conclusione è che varie categorie di prove “convergono” nel modo asserito dagli Imputati»9.
Lo scopo di questo libro è di confutare radicalmente l’impianto argomentativo intrinsecamente falso di van Pelt, dimostrando che non esiste alcuna “convergenza di prove” e fornendo a ogni storico serio che esaminerà il complesso delle prove che adduco, un fondato motivo per considerare quantomeno dubbia l’esistenza di camere a gas ad Auschwitz.
8 Idem.
9 Idem.
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