Dodicesima lettera del dottor Gianantonio Valli al signor Stefano Gatti
Dodicesima lettera del dottor Gianantonio Valli al signor Stefano Gatti
Gentile signor Gatti, l'impegno preso con Lei in luglio sta volgendo alla fine senza avere ottenuto lo scopo da cui era nato: ottenere soddisfazione per l'uso nei miei confronti, a mio parere scorretto, dell'aggettivo «famigerato». Scorretto, beninteso, dal punto di vista non tanto morale – ogni gruppo umano ha la sua, di morale, e il Suo più di ogni altro – ma da quello razionale, perché decisamente aporetico. Cioè, senza piedi sui quali reggersi, senza capo né coda, senza fondamento, data la mia nessuna fama, buona o cattiva che sia, in Italia o mondiale. Nel frattempo, se non a livello mondiale certamente in Italia, grazie alla Sua petulanza il mio nome è volato a decine, migliaia, milioni di orecchie. Magari orecchie, o polmoni, in attesa di un suono più cristallino o di una boccata d'aria pulita, di qualche informazione che controbatta la lingua di legno del Sistema. Avvicinandosi al termine questa cortese monotriba, mi riallaccio alla precedente lettera e Le lascio, in questa Dodicesima, qualche altro motivo di riflessione sulla più oscena e moderna delle religioni. Quella che nei più fragili cervelli goyish e nella quasi totalità di quelli dei Suoi sta soppiantando ogni altra credenza. Ogni altro culto. È certamente una religione civile nel senso di «civica», ma viene pretesa civile anche nel senso di «degna, benevola e progredita». In ogni caso lontana – magari – dalla definizione del giudaismo offerta dall'islamico «antisemita» Louis Farrakhan: «gutter religion», che potremmo benignamente tradurre con «religione da fogna». È comunque una religione che va intesa alla maniera usata dagli antichi romani verso il cristianesimo, cioè «superstizione»... superstitio. Meglio ancora: nova et malefica. O anche: exitiabilis superstitio. Taluni aspetti della quale Credenza – che potremmo definire neutramente Immaginario Olocaustico od Olofantasmatica – sono non solo per niente credibili, ma decisamente ridicoli. Come per niente credibili, e ancor più ridicoli quando non allucinati alla Ka-tzetnik 135633, sono coloro che li hanno «testimoniati», e li disinvolteggiano. Non potendo qui – Lei mi capisce, e spero di incuriosire gradevolmente i goyim alla loro lettura – sciorinarLe gran parte dei miei «enormi volumi» che trattano infinite consimili affabulazioni, si accontenti di qualcuno tra i più piccanti particolari della Saga. ● Vista la vicenda di tale Immaginario particolarmente truce e al contempo ridicolo – del resto, lo sono altri oloaspetti [già detti nella Terza lettera] come gli Olodenti, gli Olocapelli, gli Olospazzolinidadenti fatti di Olocapelli, gli Olobottoni fatti con le Oloossa, le Oloceneri, le Oloprotesidentarie, i cumuli di Oloscarpe, le Oloossa, gli Oloparalumi, gli Ologuanti e gli Olopantaloni in Olopelle, gli Oloocchi infilzati a mo' di farfalle, gli Olotesticoli fatti addentare dai cani o per i quali vengono appesi gli Olosterminandi, i cumuli di Oloocchiali e di Oloanelloni, gli Olosgabelli fatti di Oloossa, gli Olomaterassi fatti di Olocapelli, gli Olofertilizzanti fatti di Oloceneri, le Olofiamme vampeggianti dagli Olocamini, etc. – ne trattiamo qui poiché, anche se l'Olosapone costituisce propriamente uno degli aspetti «tecnici» dell'Olocausto, ne è al contempo uno degli aspetti «religiosi», un moderno «culto delle reliquie» come lo fu la venerazione degli stinchi dei Santi, delle dita di San Giovanni Battista (oltre sessanta nel mondo) e dei prepuzi di Nostro Signore (soltanto tre: Anversa, Hildesheim e Santiago di Compostela, peraltro fiancheggiati dai tre cordoni ombelicali dell'Illustre Neonato a Santa Maria del Popolo, San Martino e Châlons). Invero la questione del sapone fabbricato con l'Olograsso, il grasso cioè dei cadaveri più o meno scheletriti che l'Olo-Immaginario figura colare dalla loro arsione (ma «testi» giurati parlano anche di grasso ribollente nelle «fosse di cremazione» e Filip Müller giura, e la consorella Pisanty e infiniti altri orecchianti concordano, che gli addetti lo raccoglievano, a mo' di sadici olocuochi, coi mestoli da non meglio dette «canaline» rispargendolo sui cadaveri come combustibile aggiuntivo), è oggi ufficialmente ammessa come mera propaganda bellica. Diffusa a fine 1942 da Rabbi Stephen Samuel Wise presidente del WJC, dopo essere stata lanciata anche dall'inviato di FDR presso la Santa Sede Myron Taylor («colui che riportò in America il primo pezzo di sapone fatto coi corpi degli ebrei vittime degli assassini nazisti», lo dice Max Bressler nell'eulogia rooseveltiana in Kleiman M., Franklin Delano Roosevelt - The Tribute of the Synagogue), l'oscenità viene avvalorata a Norimberga il 30 settembre 1946 (passo della sentenza ai volumi I p.283 e XXII p.564 degli atti del TMI, che asseverano anche l'uso degli Olocapelli per i materassi, degli Olodenti per la Reichsbank e delle Oloceneri quale concime) sulle accuse del procuratore sovietico L.N. Smirnov il 19 febbraio («ricetta originale per la fabbricazione del sapone umano», Documento URSS-196; pezzo di sapone, mai periziato, prova d'accusa URSS-393, oggi messo al sicuro nel Palazzo della Pace all'Aja), che riporta la testimonianza giurata di tale Sigmund Mazur, presunto assistente di laboratorio all'Istituto Anatomico di Danzica: «Si mischiano 5 chili di grasso umano con 10 litri di acqua e 500 o 1000 grammi di soda caustica. Il tutto viene fatto bollire due o tre ore e poi colato; il sapone sale alla superficie». Lo stesso anno la produzione di human soap viene «certificata» anche dall'oloscampato (fino a tredici «campi di sterminio»!) Szymon Wizenthal, collaboratore dell'OSS e del CIC Counter-Intelligence Corps nonché vicepresidente del Comitato Centrale Ebraico della Zona di Occupazione USA in Austria. La «certificazione» avviene sul n.17/18 di Der Neue Weg, periodico della rinata Comunità austriaca, nell'articolo RIF, il marchio Reichsstelle für Industrielle Fettversorgung "Centrale Statale per l'Approvigionamento Industriale di Materie Grasse", impresso sulle barre di sapone – su tutte le barre prodotte nel Reich! – viene letto, sorvolando sulla «I» disinvolteggiata in «J», Rein Jüdisches Fett "Puro Grasso Ebraico". Il rieducato Till Bastian cerca invece di farci credere che «la storiella» girasse, sub specie di barzelletta, in un non meglio precisato «tempo del Terzo Reich», mentre la semiologa Pisanty (I) accusa che «era costume dei nazisti stessi, prima ancora che dei loro avversari, di riferire storie truculente sui campi di sterminio per esaltare la portata della loro missione e l'efficienza del sistema da loro creato». Anche il truce ebreo sovietico Ilja Erenburg, il verosimile ideatore della Trovata Saponaria, testimonia: «Presi tra le mani il sapone, fatto coi cadaveri degli ebrei fucilati. "Puro sapone ebraico", c'era impresso» (nota ribadita nel "Libro Nero", steso col confratello, di sangue e di idee, Vasilij Grossman). In seguito la Realtà Saponaria, primamente inventata per il campo di Belzec, viene ripresa da ogni gazzettiere (ma anche da personalità quali Ludwig Lewisohn, per il quale i «nazisti» pianificarono «sottoprodotti di sapone umano o pelle umana», e dal duo Dennis Prager / Rabbi Joseph Telushkin, per i quali milioni di ebrei vennero non solo gasati, inceneriti, usati per esperimenti e assiderati, ma «transformed into soap bars and lampshades, trasformati in pezzi di sapone e paralumi»), da centinaia di libri e attestata dall'Encyclopaedia Judaica (che al volume XIII p.761/2 presenta due fotografie di «una fabbrica tedesca di sapone nei pressi di Danzica» con vasca ripiena di scheletriti cadaveri da trattare), dall'illustre Raul Hilberg (per il quale, tra l'altro, cadaveri di giovani arrestate dal Brigadeführer Dirlewanger, denudate e stricninizzate, vengono «tagliati a piccoli pezzi, mescolati a carne di cavallo, e bolliti per farne sapone») e, opera olodidattica tra le più recenti, da un dispiaciuto Salvadori II: «[All'epoca, alla credibilità dello sterminio] nocque, ad esempio, la voce secondo la quale i cadaveri degli uccisi venivano usati per farne sapone (una notizia era già stata diffusa dalla propaganda antitedesca nel corso della prima guerra mondiale e rivelatasi falsa). Tuttavia, durante il processo di Norimberga, furono depositati documenti dai quali risultava che una ditta di Danzica aveva costruito una vasca riscaldata elettricamente per fabbricare del sapone col grasso umano [...] Anche un testimone polacco riferì che a Belzec i cadaveri venivano dissotterrati per fabbricare sapone e fertilizzanti». Malgrado la procura di Flensburg ne abbia ammesso l'inconsistenza fin dal 25 gennaio 1968, la favola viene avallata dalla Fondation Auschwitz di Bruxelles ancora il 24 febbraio 1986. Addirittura, pezzi di olosapone sono esposti: 1. all'Istituto Storico di Varsavia, 2. alla Casa Katznelson del kibbutz Lohamei haGetaot "Combattenti dei ghetti", 3. allo YIVO Institute di New York, 4. al Museo dell'Olocausto di Chicago, 5. al forte Breendonck in Belgio e 6. alla Camera dei Martiri o Grotta dell'Orrore, costruita nel 1949 sul Monte Sion, nonché sepolti con l'osservanza dei riti funerari in diversi cimiteri, come ad 7. Haifa, 8. Nizza, 9. Polticeni (venti casse!), 10. Sighet o Sighetul Marmatiel, patria degli oloscampati talmudisti David Weiss Halivni e di «quell'autentico tarantolato» di Elie Wiesel (la gustosa definizione è di Cesare Saletta, mentre André Chelain aggiunge: «mater dolorosa du judaïsme à la mode», Alain Guionnet lo dice «menteur invétéré», l'ebreo anticonformista e perciò «antisemita» Norman Finkelstein: «pagliaccio fisso del circo dell'Olocausto», David O'Connell: «mercante della Shoah [...] spregevole posatore e parolaio [...] truffatore che imbroglia sistematicamente la gente e ha fatto fortuna con storie che non stanno né in cielo né in terra» e Rabbi David Goldberg completa, commentandone l'ultima «fatica» And the Sea is Never Full su The Independent 31 agosto 2000: «vuoto, arrogante, credulone e naif», mentre pietoso è Rabbi Yonassan Gershom: «the prophet of the Holocaust»), 11. L'Avana/Cuba (ove, nota Letty Cottin Pogrebin, un imponente monumento grida: «Buried in this place are several cakes of soap made from Hebrew human fat, a fraction of the 6 million victims of Nazi savagery in the 20th century, Qui sono sepolti pezzi di sapone fatti con grasso umano ebraico, piccola parte delle sei milioni di vittime dell'efferatezza nazista nel XX secolo»), e 12. Atlanta/Georgia, ove al Greenwood Cemetery una lapide in ebraico e inglese recita «Here rest four bars of soap, the last earthly remains of Jewish victims of the Nazi Holocaust, Qui riposano quattro pezzi di sapone, gli ultimi resti terreni di ebrei vittime dell'Olocausto nazista». L'epitaffio più patetico lo stende Wizenthal; dopo averci ricordato che la fabbrica più operosa si trovava a Belzec («dall'aprile 1942 al maggio 1943 furono fatti diventare materia prima 900.000 ebrei»), il Papa nazihunteristico continua: «Per il mondo culturale è forse inconcepibile il piacere con cui i nazisti e le loro donne del Governatorato Generale consideravano questo sapone. In ogni pezzo di sapone vedevano un ebreo, che avevano mutato magicamente in cosa [hineingezaubert], impedendogli di crescere e divenire un secondo Freud, Einstein, o Ehrlich» (in Wolf Dieter Rothe). Ben dopo i rilievi dei revisionisti, la questione viene ammessa quale «diceria» da Hilberg nel 1967 e nel 1985 (ma il 10 aprile 1994 il Decano ritocca a Michael Shermer: «"Se il sapone umano fu davvero prodotto, non lo sappiamo proprio [is completely doubtful] [...] Ci furono voci. E le voci si fondano su fatti, per quanto minimi, e poi si trasformano. Ma nel complesso non vi sono indicazioni che venne prodotto sapone" [...] Cosa possiamo concludere? Il sapone non fu mai prodotto in scala industriale dai corpi delle vittime, ma è possibile sia stato prodotto a titolo sperimentale. Come nel caso di unità SS rinnegate che violarono cadaveri [abusing corpses], ci possono essere stati isolati casi di produzione di sapone dal grasso umano, ma non certo un piano organizzato su ampia scala. Noi concordiamo con lo storico dell'Olocausto Israel Gutman, che conclude che "ciò non fu mai fatto in grande scala"»), da Adalbert Rückerl, capo della Zentrale Stelle der Landesjustizverwaltungen zur Aufklärung NS-Verbrechen, creata per dare la caccia ai nazi-war-criminals (1974), Deborah Lipstadt, laureata in Storia delle Religioni ma docente di Storia Ebraica Moderna all'UCLA (16 maggio 1981, anche se in seguito, riporta L'Autre Histoire n.16, 2000, giocherà su due tavoli: «Il sapone è diventato una metafora – li hanno uccisi e ne hanno fatto sapone – per illustrare la crudeltà dei tedeschi. Non direi che i tedeschi non l'hanno mai fatto. Lascerei una porta socchiusa»), dall'Institut für Zeitgeschichte "Istituto di Storia Contemporanea" di Monaco diretto dal demi-juif Martin Broszat (11 marzo 1983), da Georges Wellers, direttore del Centre de Documentation Juive Contemporaine di Parigi (31 agosto 1983 e 23 aprile 1986), dallo storico israeliano Tom Segev e da Peter Novick (la storia del sapone fatto coi cadaveri degli ebrei è stata «oggi abbandonata come infondata dagli storici dell'Olocausto»). Ed infine dal supremo olomemoriale Yad Vashem, il quale il 24 aprile 1990, per bocca di Shmuel Krakovski, taccia implicitamente di falso l'Encyclopaedia Judaica. Il tutto non impedisce allo scrittore Yoram Kaniuk di macabreggiare, nel romanzo Adam Hundesohn, che «sullo scaffale del negozio, impacchettata in carta gialla con stampato un ramo d'olivo, sta la famiglia Rabinovitz», o a Joseph Rovan, docente di germanistica all'Università di Parigi III, di affermare che per Hitler gli Eletti sono stati «materia prima per saponette» (1984), o a Le Monde di citare il poeta ebreo Pierre Valet che denuncia l'Orrore Saponario (13 febbraio 1987), o al produttore cinematografico «tedesco» Artur «Atze» Brauner di riaffermare, con la moglie Maria-Theresa e i figli Alice e Sammy, la Realtà Saponaria sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung il 6 maggio 1995 (e pensare che un mese prima, il 6 aprile, anche l'israeliano Maariv, sostenendo la tesi della «scorretta» interpretazione del marchio RIF, l'aveva relegata nel regno delle fiabe!). Il tutto non impedisce a Henry Kissinger di lamentare, in un'intervista al quotidiano telaviviano in lingua tedesca Israel Nachrichten del 27 dicembre 1974, che «i miei parenti non vivono più, sono stati trasformati in sapone» (a chiudere, il 22 marzo 1982 le agenzie annunciano che: «Louis Kissinger, padre dell'ex Segretario di Stato americano, è morto a New York alla biblica età di 95 anni», mentre ai dolenti s'aggiungono Henry, la moglie Nancy e l'altro figlio Walter, con lui migrati da Fürth presso Norimberga nel 1938). Ancora nel marzo 1995, il tutto non impedisce al telaviviano trentenne Moshe Yahalon, sé-dicente figlio di oloscampati, proprietario di night club colluso col crimine e voglioso di rifarsi della crisi dovuta alla chiusura dei locali, di porre in vendita a 300 dollari, tra varie nazicianfrusaglie, saponette di «grasso di ebrei» made in Germany. Apriti cielo! Contro l'oloaffaire, gestito dal confrère Menashe Marduk della Zodiac – che certifica la «genuinità» dei prodotti – si scaglia, «occhi in fiamme», il presidente knessetiano oloscampato Dov Shilansky: «Un'asta a Tel Aviv, nel cuore di Israele, dove si vendono saponette di ebrei? Non lo avrei immaginato neppure nei miei incubi peggiori. Organizzerò una protesta permanente. La Zodiac sarà costretta ad annullare l'asta. Mobiliterò migliaia di persone. Sfileremo muti, indignati, offesi. Il nostro silenzio diventerà un grido potentissimo». Identiche proteste dal caporabbino Israel Lau e dai capi di Yad Vashem, che, immemori di quanto ammesso cinque anni prima, chiedono «l'immediato sequestro di tutti gli oggetti controversi per esporli invece nelle sue sale». Serafico, Marduk mostra il catalogo alle telecamere: «Abbiamo alcune saponette fatte a Buchenwald. Sono in tanti a volerle acquistare per qualsiasi prezzo. E non c'è motivo per cui noi non si debba venderle». Indignato, il sindaco di Tel Aviv Ronni Milo tuona contro il commercio olosaponario: «Questa offesa non avrà luogo nella mia città». Dotato di buonsenso economico, chiude il teatrino un non meglio specificato «professore di storia all'Università di Gerusalemme»: «È ben noto che i nazisti non giunsero mai alla produzione di sapone coi cadaveri degli ebrei sterminati. Certo dal punto di vista morale non ebbero alcuna remora. Furono pronti a utilizzare i capelli delle vittime per l'imbottitura dei materassi in dotazione alla marina militare. Ma forse giunsero alla conclusione che la fabbricazione del grasso per saponette fosse poco conveniente». Cinque mesi dopo, altra offerta («solo venti zloty, sedicimila lire, per una saponetta "fatta per lo più da ebrei dei lager", diceva il cartello appeso a una delle bancarelle del mercato estivo di Danzica; lo vede un anziano turista tedesco e non esita a comprare [...] ennesima testimonianza del permanere dell'odio antisemita in Polonia?»), cassata da Cremonesi (V, e anche II e IV): «Gli esperti di storia dello sterminio ebraico hanno ripetutamente segnalato che i nazisti in verità non produssero mai sapone dai cadaveri degli ebrei uccisi». Più disinvolto è Karl Pfeifer, boss della Comunità varsaviana: «La storia del sapone ebraico è vecchia e falsa: si tratta o di una provocazione antisemita o di una trovata di commercianti senza scrupoli». Quanto al recupero del grasso a scopo comburente durante la cremazione nelle fosse, orrida fiaba avallata anche da Till Bastian, la parola al revisionista italiano Carlo Mattogno (V): «Questi altri sprovveduti ignorano che i grassi animali hanno un punto di infiammabilità di 184 °C e una temperatura di accensione di 343 °C; poiché la temperatura di accensione del legno è di 325-350 °C, il grasso animale, durante la combustione della legna, brucia immediatamente e non può essere raccolto in alcun modo» (e taciamo del sangue, composto per il 90% di quell'inarrivabile supercombustibile che è l'acqua!). Ma tutte queste precisazioni tecniche non contano!, a che servono?, cosa importa come sono stati eliminati i Six Million?, o dove sono andati a finire?, per qualche «errore» o «inesattezza» dei «testimoni» dovremmo rimettere in causa il valore delle «testimonianze»?, protesta nell'ottobre 2000 a Moment, simpatico mensile dell'ebraismo americano, il pio lettore Carlos Verdi: «È davvero importante sapere come gli ebrei vennero imprigionati, nutriti, torturati e/o assassinati (The Soap 'Myth', giugno 2000)? È davvero importante per voi sapere il numero esatto delle vittime? Il saperlo cambierebbe il fatto che gente innocente ha sofferto gli effetti di una paranoia genocida? Cambierebbe la realtà, sapere cosa accadde ai corpi delle vittime? Concludere che non venne fabbricato sapone renderebbe l'Olocausto meno obbrobrioso e criminale?» (invero, l'oloscampata auschwitz-bergenbelsen-buchenwald-theresienstadtiana Elisa Springer riporta un secondo sfruttamento/uso, e certo più sapiente, dei cadaveri: «Per cena ci veniva distribuito un quadratino di margarina e un pezzetto di carne. Dopo la Liberazione qualcuno ipotizzò, forse a torto, che quella margarina e quella carne erano state ricavate dai corpi dei compagni sterminati nel campo»). Ma poiché le cervici del «traditional enemy of truth» sono sempre dure – come, peraltro, favolosa è l'idiozia dei goyim – il 25 marzo 2005 l'olodilettante Frediano Sessi (cognome dato ebreo da Heinrich ed Eva Guggenheimer) riscopre (articolo: Storici ebrei: sapone con i deportati, leggenda nera - L'orrore dei lager alimentò anche dei miti. A Gerusalemme si apre la polemica) l'acqua calda, lanciando tuttavia, nel finale, una stoccata agli studiosi revisionisti: «Cade una leggenda nera, quella degli ebrei ridotti a sapone. È una rivelazione recente [!] che pone fine a una serie di credenze sulle atrocità dei lager nazisti, servite in parte anche a negare gli orrori commessi. Disinformazione di guerra, dunque [...] Con il grasso degli ebrei, assassinati nelle camere a gas, i nazisti avrebbero "fatto sapone" o addirittura carne in scatola, da servire agli stessi ebrei impiegati nelle industrie di guerra [sic: ciclo continuo, nulla va perso!]. Una leggenda di cui non si conosce bene l'origine, ma che circolò tra le file della resistenza polacca e che sarebbe stata alimentata dagli ufficiali e dai commissari politici dell'Armata Rossa, per dipingere con toni ancor più macabri e drammatici gli orrori del nazismo. Una leggenda fatta propria anche da taluni dei sopravvissuti (ne abbiamo sentito eco anche in Italia) che, per attirare l'attenzione dei molti indifferenti alla loro tragica storia, dichiaravano di avere assistito alla saponificazione di molti ebrei [...] Così, una leggenda nera che si trasforma in racconto (anche il regista [Roberto] Benigni, che per il suo film La vita è bella dichiara di essersi avvalso della consulenza di storici e sopravvissuti italiani, mette in bocca a Giosuè la frase "con noi ci fanno i bottoni e il sapone"), negli anni verrà usata da molti negazionisti per affermare che lo sterminio e le camere a gas non sono mai esistiti [...] Chi dice il falso una volta, chi esagera sulle cifre delle vittime (nel dopoguerra una commissione sovietica affermò che ad Auschwitz erano morti quattro milioni di persone e che con la cenere dei corpi si era fabbricato del fertilizzante), allora non è credibile nemmeno quando riporta la verità fattuale». Mentre le favole dell'olosapone, degli oloparalumi e delle oloteste vengono oggi riesumate solo dagli sterminazionisti più beceri (vedi Holocaustica Religio e Note sui campi di sterminio), gli olocapelli sembrano resistere al ridicolo. In tal modo Wizenthal «conferma» il «Rapporto Globocnik» e l'invio a Berlino di «25 carri ferroviari di capelli femminili» dai campi di Treblinka, Sobibór e Belzec nei dieci mesi 1.X.1942 - 2.VIII.1943 (oltre a notevoli altre ricchezze quali 254 carri ferroviari di tappeti e coperte, 4000 carati di diamanti ed alcume migliaia di collane di perle, il Supremo Nazihunter assevera l'invio di 400.000 orologi d'oro, quantità invero di poco credibile reperimento non solo in Polonia ma in tutta l'Eurasia – gli olocaustizzati dei tre campi, ammontanti al massimo a 1.700.000 individui, dei quali poco più di 500.000 maschi adulti, risulterebbero quindi pressoché tutti dotati di orologio d'oro! – e di 145.000 chili di vere, equivalenti, a cinque grammi per anello, a 29.000.000 di dita derubate). Il 30 novembre 1990 tale Joe Bobker torna, sul B'nai B'rith Messenger, sul sapone, i paralumi e i «materassi imbottiti di capelli ebraici» usati «dal tedesco medio e da sua moglie». Invero, se già il 27 febbraio 1946 l'oloscampato treblinkiano Samuel Rajzman aveva narrato di capelli «usati per la preparazione di materassi destinati a donne tedesche», dopo la senteza del TMI (ai volumi I p.283 e XXII p.564 degli atti processuali) era stato il Quarto Processo Pohl a «certificarne» l'impiego, al punto da autorizzare il Galante Garrone a lasciarsi andare ad un tocco di colore, parlando di «montagne di lucenti capelli ridotte a pagliericci. C'è forse ancora qualche tedesco che dorme i suoi placidi sonni su uno di questi giacigli nefandi?». Ancor più disinvolto è Lawrence Rees, che attesta l'utilizzo non solo dei capelli, ma anche dei «peli» (certamente ascellari e pubici, visto che è ancor più difficile pensare ai normali peli cutanei!), strappati a donne che «naturalmente ignoravano che i tedeschi con i loro peli e capelli intendevano riempire materassi». L'immondo Vrba aveva invece sostenuto che i capelli «dovevano assicurare l'impermeabilità delle teste dei siluri» (aveva anche assicurato che «i corpi degli ebrei ricchi, identificati già prima dall'aspetto, sarebbero stati dissezionati. Nessun furbo sarebbe forse riuscito a nascondere nel proprio corpo dei preziosi, dei diamanti!»); più articolato è Vasilij Grossman: «Ma perché si tagliavano i capelli alle donne? Era per ingannarle? No, lo facevano per soddisfare il bisogno di materia prima della Germania... Ho chiesto a parecchie persone che cosa ne facessero i tedeschi di tutti i capelli delle donne che andavano a morire. Mi hanno risposto che gli enormi mucchi di ricci e di trecce nere, dorate e bionde venivano disinfettati, pigiati in sacchi e spediti in Germania. Alcuni testimoni hanno confermato che quei sacchi avevano in effetti recapiti tedeschi. Ma laggiù, che cosa ne facevano di quei capelli? Nessuno mi ha potuto rispondere. Un tale Kon, in una dichiarazione scritta, sostiene che venivano mandati al dicastero della Marina da Guerra; servivano per imbottire i materassi, confezionare congegni tecnici, intrecciare cordame per i sommergibili, eccetera. Questa dichiarazione deve essere confermata, e lo sarà, dal Grande Ammiraglio Raeder, che nel 1942 era a capo della flotta tedesca». Per Claude Lanzmann e Zygmunt Bauman, gli olocapelli servono invece solo «per le fodere interne» dei giubbotti dei sommergibilisti, mentre Otto Friedrich attesta che «erano utilizzati per imbottire cuscini» e Frediano Sessi (VI) per «feltro industriale» e «la fabbricazione di pantofole». Il Documento URSS-511 aggiunge la fabbricazione di calze/calzature non solo per i sommergibilisti, ma anche per i ferrovieri della Reichsbahn. Il 19 febbraio 1946 l'accusa sovietica riferisce che, oltre al ritrovamento di «documenti» sull'invio di 112 tonnellate e 600 chili di farina di ossa ad una «ditta Strem» per la produzione di «superfosfati», ben sette erano state le tonnellate di capelli tagliati a 140.000 donne nella sola Auschwitz, capelli non spediti ma «ritrovati» il 7 marzo 1945 raccolti in 293 balle «nella conceria del lager» (si ricordi che i campi di Auschwitz erano stati occupati fin dal 27 gennaio!). Con gli olocapelli Pohl viene ancora accusato di avere fatto fabbricare zerbini. Primo Levi (I) riporta cripticamente che «questa merce insolita veniva acquistata da alcune industrie tessili tedesche che la usavano per la confezione di tralicci [?, sic] e di altri tessuti industriali». Il 26 gennaio 1995, nel cinquantennale dell'occupazione sovietica di Auschwitz, Raidue parla genericamente di chiome «destinate a diventare tessuto», come del resto fa Marta Ascoli: «i capelli delle donne tagliati ai cadaveri [ai cadaveri! versione attestata anche da Filip Müller, «l'unico uomo che vide il popolo ebraico morire e visse per raccontare ciò che vide», ancora nel 1999 «testimone principe» dell'ologuru Raul Hilberg! eppure la fotodocumentazione ci attesta che il taglio veniva fatto, per ragioni igieniche, subito dopo l'arrivo! superfluo poi rammentare l'assoluta assenza di pregio industriale delle chiome delle inabili «selezionate», cioè di donne anziane e bambine!], prima della cremazione, servivano per fabbricare tessuti e venivano inviati in Baviera». Più informato sembra, nel risibile Dizionario del nazismo, il radiologo Gustavo Ottolenghi (autovantato partigiano picista dodicenne e volontario zahalico nel 1967 nonché, stando all'autobiografia, «richiesto conferenziere presso numerosi istituti scolastici e universitari italiani»): i capelli «venivano inviati direttamente alla ditta che se ne serviva per la confezione di coperte, calze e indumenti vari»; e l'Ineffabile osa darcene il nome: Zink Alex Filzfabrik AG, «fabbrica di stoffe e feltri di Norimberga che ottenne l'esclusiva» (specializzatosi in oloimbecillità – tra le minori, il termine Gaszimmer invece di Gaskammer, Begasungs- o Vergasungsskammer: ma certo... Zimmer zu vermieten, «Camere da affittare»! – e in olo-orrori, l'Ottolenghi si spinge, in La mappa dell'inferno, a dirci che vi erano ditte più truci, dedite «financo al commercio della carne dei cadaveri a scopo alimentare»!). Più informato Ulrich Völklein (II): «All'inizio dell'agosto 1942 il Wirtschafts- und Verwaltungshauptamt der SS "Ufficio Centrale SS per l'Economia e l'Amministrazione" chiese ai comandanti del campo di concentramento e sterminio di utilizzare i capelli umani prodotti [das anfallende Menschenhaar] dopo l'arrivo e l'uccisione degli internati. Tale materia prima [Dieser Rohstoff] poteva essere lavorata dall'industria del feltro o filata, ricavandone calde "Haargarnfüßlinge, pantofole di capelli filati" per sommergibilisti o "Haarfilzstrümpfe, calze di feltro di capelli" per ferrovieri». Altri dettagli sull'ingegnosità tedesca ci vengono dalla fantasia malata del Sonderkommando Shlomo Venezia che, ci sconvolge Roberto Piperno, impiegò «oltre sessanta anni per riuscire a scivere la sua terribile esperienza»: «Queste operazioni potevano essere effettuate anche nei locali contenenti i forni. I capelli venivano essiccati [sic] e venduti a ditte tedesche per la produzione di tela di crine; l'oro dei denti era invece raccolto in appositi contenitori, fuso in un piccolo locale del Krematorium III [ah, splendidi forni tuttofare!] e spedito a Berlino». La più gustosa destinazione degli olocapelli ci viene però da David Sorani in Lager - Tecnologia di uno sterminio, monografia de Il calendario del popolo - Rivista mensile di cultura diretta da Franco Della Peruta n.580, ottobre 1994, Teti editore, Milano, che a p.42 ci offre una foto con didascalia: «A sinistra: spazzolini da denti fatti con i capelli delle persone bruciate». Capelli che, per la salute degli utenti, speriamo fossero stati almeno disinfestati da pidocchi e rickettsie, quando pure non depurati dei residui di Zyklon B. Lo scoop più recente è però quello riportato dal ventitreenne Ronen Bergman in un supplemento settimanale di Haaretz maggio 1996, che rivela, sulla base di racconti di non meglio identificati «testimoni» oculari, come nell'impianto chimico italiano della Montecatini presso Alessandria dal 1943 al 1945 giungessero due volte la settimana convogli di una decina di vagoni carichi di ossa di olosterminati al fine di produrre fertilizzanti agricoli: «Una puzza terribile. Spesso con ancora brandelli di carne putrefatta. Ossa umane senza dubbio, perché si può forse confondere una tibia con quella di animali, ma certo non un teschio o una cassa toracica. E se ne vedevano migliaia, accatastate una sull'altra nei vagoni senza tetto» e ancora: «L'intero processo era completamente sotto controllo tedesco. I treni erano sorvegliati dai loro soldati, come anche il perimetro della ditta e le officine». È vero che «per il momento non ci sono prove evidenti. Non sappiamo neppure da dove provenissero i treni. C'è chi dice da Genova, dove le ossa sarebbero arrivate via nave dai porti tedeschi [«via mare»! in guerra! e nel 1943-45! e pensare che il duo Conte/Essner ci attesta che da anni già funzionava l'alta nazitecnologia a Majdanek, terra «concimata con le ossa dei deportati, polverizzate da una macina elettrica e "valorizzate" dalla gestione economica della SS del campo come fertilizzante azotato ... dopo la liberazione del campo, furono trovati circa "1300 mc di concime organico contenente ossa"»], oppure via terra attraverso l'Austria o la Jugoslavia [e perché non attraverso la Mongolia o l'Amazzonia?!]». Affascinato è anche l'«autorevole» Israel Guttman, boss di Yad Vashem e curatore dell'altrettanto «autorevole» Encyclopedia of the Holocaust: «Le ossa potrebbero essere arrivate dai campi di battaglia o da quelli di sterminio. In entrambi i casi si tratta comunque di una scoperta senza precedenti. Sino ad ora non avevamo mai saputo che i tedeschi usassero i resti delle vittime come fertilizzanti» (ma le ceneri sì, abbiamo detto, come affermato dalla sentenza del TMI… e magari anche delle ossa, come radiobercia il 14 gennaio 1945 Thomas Mann II: «Hanno tenuto il registro, quegli imbecilli, anche della farina di ossa, del concime artificiale ricavato da questa industria. Perché i resti dei cremati venivano macinati e polverizzati, imballati e mandati in Germania per la fecondazione del suolo tedesco: del sacro suolo, che eserciti tedeschi dopo di ciò credono ancora di dover difendere, di poter difendere contro la sconsacrazione da parte del nemico!»). «La ricerca è appena iniziata» – quieta le nostre perplessità Lorenzo Cremonesi (VII) – «Si ripartirà da Spinetta Marengo per cercare di capire uno degli interrogativi di quel dramma: che fine hanno fatto le ossa dei sei milioni di ebrei morti nell'Olocausto?». «Oggi gli storici revisionisti negano l'eccidio proprio avanzando questa domanda. Ora potremo avere la risposta», rincalza Bergman mentre l'uomo che ha innescato la «bomba», il «teste» Giuliano Giunchi, lo affianca, sollecito e fors'anche «sollecitato»: «Non voglio passare per fanatico e nemmeno cerco pubblicità. Mi sono imbattuto casualmente nella storia e mi è parso che meritasse approfondimenti. Vede, sull'Olocausto tira aria di revisionismo. Autorevoli personaggi sostengono che nei campi di sterminio non si era attrezzati per eliminare sei milioni di persone. E se, mi chiedo, lo "smaltimento" fosse avvenuto attraverso altre strade?». Egualmente, vista l'«autorevolezza» di Haaretz, Cesare Segre e Arrigo Levi, pur non comprendendo «le ragioni di un viaggio tanto lungo» («i cadaveri usciti dalle camere a gas venivano cremati, le persone fucilate nei campi di concentramento furono seppellite: si sarebbero dovuti aspettare anni perché la carne liberasse le ossa», sospira il primo), «non si stupisc[ono] sul piano morale» di quanto sarebbe stato compiuto dagli Infami. Altrettanto impudico lo storico Mario Isnenghi: «L'ideologia dell'italiano buono è stata messa in dubbio tante volte [...] Mi restano invece dei dubbi sulla notizia; che i tedeschi utilizzassero fino all'ultimo i prodotti del loro scempio è notorio, di saponificazione dei cadaveri in Germania s'è parlato e molti della mia generazione sono cresciuti con il racconto sull'oro dei denti fuso o sulle protesi provenienti da cadaveri riutilizzate [speriamo almeno ripulite, come per gli spazzolini!]. Ma il riferimento a fabbriche italiane no, quello è del tutto nuovo e le voci finora raccolte non bastano a soddisfare uno storico». Assolutamente pertinente alla questione Olocausto è poi la questione demografica, per la quale, rimandandoLa alle specifiche affabulazioni dei Suoi congeneri e alla demolizione di esse compiuta, ad esempio, da Walter Sanning, Le porto una ventata di buonumore dovuta al Gran Libro: ● È ben nota, oltre all'odio biblico/talmudico per ogni forma di censimento che permetta un computo esatto della presenza ebraica in una società – per tutti: «Ora Satana insorse contro Israele e incitò Davide a censire Israele [...] Tale fatto spiacque infatti agli occhi di Dio che colpì Israele. Allora Davide disse a Dio: "Io ho gravemente peccato" [...] Così il Signore inviò una peste in Israele e caddero settantamila uomini d'Israele», 1° Cronache XXI 1, 7 e 14 – l'assenza di formalismo, negli ebrei di tutti i tempi e i paesi, nella scelta di nuovi cognomi o nell'adattamento dei vecchi. Dell'antica sempre nuova volontà mimetica sociale, cioè dell'antica sempre nuova ripugnanza per ogni forma di censimento, imposta come dovere, leggiamo in 2° Samuele XXIV 1-17 che il censimento di Israele e Giuda viene istigato dall'Altissimo, in quanto è in collera col Suo Popolo. Inviato alla bisogna il generale Ioab, Davide numera 800.000 uomini validi per Israele e 500.000 per Giuda. Ciò fatto, turbato per avere contato la sua gente, Davide si rivolge al Gran Boss: «Ho gravemente peccato in quello che ho fatto, ora ti prego, rimetti il peccato del tuo servo, sono stato molto sciocco». Con ammirevole coerenza, il Signore gli invia il profeta Gad, per la cui bocca gli propone di scegliere il castigo: «Vuoi tre anni di carestia nel tuo paese o che per tre mesi tu debba fuggire davanti al tuo nemico, mentre egli ti insegue, o che per tre giorni venga la peste sopra il paese?». Imbarazzato, il «re» – che pure preferirebbe cadere nelle mani vendicative di Dio ma non in quelle degli uomini, e per il quale tre anni di carestia sarebbero forse fonte di mugugni popolari se si venisse a saperne la dabbenaggine – consigliato da Gad sceglie la pestilenza: «Così, il Signore mandò sopra Israele la peste, ed essa infierì dall'alba fino al tempo fissato; così morirono da Dan a Bersabea 77.000 persone». «Che si trattasse di qualcosa d'illecito», interviene il curatore de La Bibbia Concordata, infiorettandoci di assurdità, «era indubbio, come appare dalle rimostranze di Ioab e dei capi e dalle perplessità di Davide, condivise pienamente dall'autore del nostro passo. La coscienza del proprio potere militare poteva facilmente indurre Israele all'orgoglio [!]. Ma esempi anche della letteratura classica ci mostrano il carattere pericoloso dei censimenti in quanto tali [?]». Se confrontiamo tale versione con la parallela 1° Cronache XXI 1-30, troviamo che in questa l'istigatore non è più l'Altissimo, ma Satana (psicoanaliticamente significativa la sovrapposizione dei ruoli!). Israele conta ora 1.100.000 «uomini atti a maneggiare la spada», mentre Giuda 470.000 (tra questi Ioab non conta quelli di Levi e Beniamino perché, anche se tardi, «l'ordine del re gli era sembrato detestabile»). Il solito Gad fa al re la solita proposta, il solito Davide sceglie la solita punizione, fermando però l'Angelo del Signore alle porte di Gerusalemme, sicché stavolta cadono solo 70.000 uomini e non 77.000. Se l'intero Libro è Parola Divina e le assurdità, incoerenze e contraddizioni sono sempre giustificabili, ebbene, nulla c'è da meravigliarsi delle assurdità, incoerenze e contraddizioni di cui sono oggi, dopo tremila anni, infarcite le autostime (elaborate cioè dai Fedeli del Signore) sulla consistenza delle loro comunità. Esilaranti le «spiegazioni» di Elena Loewenthal introducendo Juifs di Voltaire: «Eppure gli ebrei sono sempre stati un'inezia numerica, un popolo talmente piccolo da indurlo a evitare di tirare le somme: antesignano di quel concetto di privacy oggi tanto alla ribalta, il Talmud proibisce ai figli d'Israele di sottoporsi a censimenti. A tirare le somme provvidero, invero, i gerarchi nazisti studiando a tavolino la Soluzione Finale». Mentre stavo impostando queste riflessioni olocaustiche, un amico è tornato alla carica con l'annoso problema della cazaricità dei Suoi congeneri. Vexata quaestio, caro Gatti, sulla quale forse Lei converrà con quanto Le riporto da L'ambigua evidenza. Infatti, se da un lato molti «antisemiti» sostengono la tesi della «non-semiticità» sostanziale dei Suoi, essi lo fanno per affermare l'illegittimità del «ritorno» degli «ebrei» in Palestina, una terra che mai era stata la loro. Ad essi possiamo, io e Lei, o almeno io, rispondere che non è affatto necessario, per gli «antisemiti», invocare una diversa origine territoriale degli ebrei, perché già nell'anno 50 il popolo ebraico aveva abbandonato la «sua» terra nella misura di almeno i tre quarti, sparso nel mondo per motivi essenzialmente commerciali. Quanto ai Suoi che ne sostengono la tesi – capifila un Arthur Koestler e uno Shlomo Sand – lo fanno per promuovere, più o meno consciamente, quella callida «strategia evoluzionistica di gruppo» così bene descritta da Kevin MacDonald. Come dire ai goyim: vedete che noi ebrei proveniamo da ceppi anche i più diversi, ebbene, accettate anche voi di meticciarvi con le genti più diverse. Mentre, in realtà, sostanziale è sempre stata, ed è, la loro chiusura in una ferrea endogamia razziale. ● Tralasciando il primo gruppo di «conversioni», quelle precedenti l'anno zero, le genti del secondo gruppo, «giudaiche» per religione ma non per sangue, si manterranno generalmente separate dal grosso dell'ebraismo fino ad oggi, quando pure non saranno riassorbite dai gruppi locali, in particolare dal mare magnum dell'Islam. Solo dei cazari, popolo ugro-finnico o bulgaro-unno o turco sovrano nelle steppe tra il Caspio e il Mar Nero tra l'VIII e il X secolo, con la capitale Itil/Atil sul delta del Volga, e la cui classe dirigente (quattromila nobili, secondo Benjamin Freedman) e non la massa della popolazione (per quanto David Max Eichhorn parli di «substantial portion of the people» e Nora Levin lo assecondi con «Most of the Khazars [...] converted to Judaism», aggiungendo, a parer nostro erroneamente data l'assenza di significative persecuzioni antiebraiche nei secoli VIII-X, che «durante il regno dei kagan ebraici [...] molti ebrei in fuga dalle persecuzioni in Europa occidentale trovarono rifugio nel regno cazaro») viene convertita nell'VIII secolo da rabbini giunti da Babilonia, solo di loro è lecito ipotizzare una qualche commistione, su suolo russo-ucraino, sia coi sefarditi locali giunti da Grecia, Armenia e Mesopotamia, sia, nel XV-XVI secolo, col ben più vasto ebraismo askenazita giunto dall'Europa Orientale: Cechia, Ucraina, Bielorussia, Lituania e Polonia (dopo l'accettazione del battesimo da parte dei russi, numerosi ebrei cazari si convertono al cristianesimo, exempli gratia Luc Jidiata, poi divenuto uno dei primi vescovi di Novgorod, autore di commenti teologici). Di essi non esiste però traccia dopo la conquista cumana del territorio e la sconfitta ad opera del principe Sviatoslav di Kiev, ben prima, quindi, dei primi spostamenti massicci degli ebrei occidentali, specie da Cechia (chiamata «Canaan occidentale»), Renania («Ashkenaz e Loter») e Francia («Zarfat»); Eichhorn rileva che oggi i trentamila ebrei caucasici del Daghestan sostengono di discendere dai cazari ebrei. Al contrario, quanto ai caraiti (assommanti nell'anno 2000 a meno dell'1 per mille dell'ebraismo mondiale), i qaraim o bene ha-miqra "figli della Scrittura" che si rifanno ai sadducei del Secondo Tempio attenendosi alla Torah in quanto Legge Scritta e rigettando quella Orale del Talmud, essi sono presenti in Crimea fin dal 137, quando migliaia di prigionieri ebrei vi furono trasferiti da Adriano dopo la sconfitta di Bar Kokheba (erroneamente, Maurice Fishberg ne assevera un'ascendenza cazara totale). Restano decisi avversari del giudaismo rabbinico e dei confratelli talmudici (da loro chiamati «rabbaniti») al punto che spesso, come riporta Benjamin da Tudela, per evitare scontri e aggressioni si rendono necessari strumenti di separazione fisica tra i due gruppi, come il muro che li divide a Pera di Costantinopoli. Nel secondo conflitto mondiale i caraiti restarono indisturbati sia in Crimea che in Lituania: a preservarli da ogni misura restrittiva tedesca fu proprio la loro estraneità alle trame dell'ebraismo internazionale. ● Mentre il primo a riferire al grande pubblico degli ebrei come sostanzialmente discendenti dai cazari era stato il rabbino Samuel Kohn in un volume pubblicato nel 1884, di «mysterious Jewish kingdom of Khazaria, misterioso regno ebraico di Khazaria» parla con sufficienza Hillel Halkin su Commentary, mensile dell'American Jewish Congress, mentre Gerald Abrahams dice quel giudaismo «a ghost in an alien dwelling, un fantasma in una dimora aliena» e il grande storico «lituano» Shimen Markovic Dubnov rileva la relativa inconsistenza dell'apporto cazaro al corpus magnum dell'ebraismo: «La lotta tra missionari cristiani e gli ebrei in questo periodo ebbe per oggetto la nazione cazara, parte della quale aveva abbracciato il giudaismo [...] Gli arabi e i bizantini riuscirono a convertire diversi gruppi della popolazione cazara all'islam e al cristianesimo, ma la parte del leone toccò al giudaismo, cui riuscì di conquistare la dinastia reale e il ceto nobiliare», concludendo la trattazione col rilievo della loro sconfitta per mano russo-bizantina nel 1016, della fuga in Spagna («to their coreligionist in Spain») dei parenti dell'ultimo khan di Tauride e con la dispersione dei gruppi di Crimea tra gli ebrei della regione, «consisting partly of Rabbanites and partly of Karaites» (anche lo storico Salo Baron nota che le classi media e bassa restarono, quando non islamizzate o cristianizzate, «idolatre»). ● Altrettanto decisi nel respingere l'origine sostanzialmente cazara degli askenaziti sono: David Goldblatt: «Il fatto che [il re] proclamò nel paese la libertà per tutte le religioni mostra che non forzò il popolo a fare quanto egli fece. La sua influenza in favore della sua nuova religione non dovrebbe essere andata aldilà della sua casata, dei suoi ministri, dei nobili o della classe dominante, certo non più in là [...] l'asserzione che gli ebrei europei sono i discendenti dei cazari è storicamente infondata», ● J.M. Judt: «E sebbene i cazari di Crimea e i caraiti derivino l'albero genealogico da popoli di stirpe mongolica quali ugri, avari, useni, sangari, bulgari e saviri, i loro elementi razziali del tutto alieni non ebbero pressoché alcun influsso sulle originarie masse di ebrei per sangue [so waren dennoch ihre ganz aparten Rassenelemente auf die uns angehenden Massen geborener Juden von gar keinem Einfluss]. E poiché anche le comunità ebraiche originarie isolate in Crimea (prima dell'immigrazione cazara) erano sparite attraverso l'assimilazione con la popolazione non ebraica o si erano mischiate ai cazari, anch'esse non hanno cagionato mutamenti razziali nel popolo ebraico. Insomma, gli ebrei rabbinici stanziatisi nella Russia meridionale non hanno preso né dai cazari né dai caraiti nuovi caratteri somatici» (in particolare, il filokoestleriano Kevin Alan Brook ipotizza che razzialmente ebrei furono in particolare i maschi, e che il sangue cazaro giunse all'ebraismo askenazita soprattutto per via delle femmine cazare convertite e da essi impalmate), ● Sigmund Feist: «Abbiamo un documento autentico in cui è descritta la conversione all'ebraismo dei cazari, o meglio del loro strato dominante. È una lettera del re cazaro Giuseppe indirizzata intorno all'anno 960 al medico ebreo Chasdai ibn Shaprut, attivo presso la corte dell'emiro ommajade Abdurrahman III a Cordova in Spagna [...] Del resto i ceti guerrieri dei cazari insieme a gran parte dei borghesi e dei contadini avevano aderito all'islam, e anche la dottrina cristiana aveva, tra i cazari, i propri fedeli. In tal modo il geografo arabo Yakut ibn Abdallah (inizio del XIII secolo), rifacendosi ad Ahmed ibn Fadlan (inizio del X secolo), riferisce che il re dei cazari sarebbe stato di fede giudaica, ma che la massima parte del popolo sarebbe consistita di fedeli islamici o cristiani, pochi sarebbero stati i giudei», ● i confratelli P.E. Grosser ed E.G. Halperin, secondo i quali «i cazari erano un popolo turco, i cui re e la cui aristocrazia si convertirono al giudaismo, pur permettendo una piena libertà religiosa», ● Piatigorsky/Sapir: «La scelta religiosa dei cazari è un vero enigma! Invero, essi presentano l'unico esempio di un grande Stato medioevale che adottò il giudaismo come religione ufficiale. Il fatto che la maggioranza della popolazione non accettò il giudaismo fu all'origine della tolleranza religiosa dei cazari, fenomeno pressoché unico nel Medioevo [...] Quanti furono i cazari ebrei? Qualche decina di migliaia, qualche centinaio di migliaia, un milione? Non ne abbiamo la minima idea. Inoltre nella regione c'erano vere comunità ebraiche, ancor prima che apparissero i cazari [...] Non si può non pensare che [da Arthur Koestler] i cazari furono strumentalizzati: asserire che la massima parte degli ebrei sono di origine turco-mongola, e ciò senza portare prove formali ma fondandosi su ipotesi, per di più verificate solo parzialmente, voleva dire scatenare una guerra [contro la gran massa degli ebrei]», ● Andreas Roth: «Il giudaismo fu solo una, seppure la dominante, delle tante religioni nell'impero cazaro [...] Chi furono i seguaci della fede giudaica nell'impero cazaro? Soprattutto il re, il suo seguito e i cazari del suo ceppo, dominante [...] Il giudaismo cazaro fu in primis una religione dell'élite e delle città», ● Andreas Vonderach: «I reperti genici che hanno dimostrato uno scarso contributo al pool degli askenaziti lasciano poco spazio a un influsso cazaro degno di nota, tanto più che gli influssi non-ebraici, come la presenza dell'aplogruppo 3 del cromosoma Y, rimandano a una impronta slava più che a una turca. Geni che indirizzano verso l'Asia centrale sono certo presenti negli ebrei orientali, ma in numero molto limitato [jedoch nur in sehr geringer Zahl]», e ● Jon Entine, che dedicando alla questione cazara un intero capitolo del volume sui più recenti studi biologici concernenti gli ebrei, conclude che solo una parte della popolazione dell'impero cazaro si convertì al giudaismo («persino al loro culmine, gli ebrei cazari non superarono probabilmente i 30.000 su una popolazione complessiva di 100.000, compreso qualche migliaio di nobili e membri della famiglia reale»): «All'inizio del XX secolo alcuni storici ipotizzarono che gli ebrei del Caucaso orientale e diversi gruppi di turchi musulmani del Caucaso settentrionale sarebbero discesi dai cazari. Negli anni Cinquanta la leggenda della Cazaria ebraica emerse come teoria matura. In questo periodo in cui gli studi biologici non avevano ancora affrontato il genoma [In that pregenomic era], diversi studiosi osservarono che molti ebrei dell'Europa orientale avevano capelli rossi e occhi azzurri, tratti non comuni tra i semiti. Inoltre sostennero che lo yiddish, la lingua comune degli askenaziti, poteva sì avere molte parole tedesche, ma dal punto di vista sintattico era una lingua slava. Da questo rappezzarono una nuova teoria della storia ebraica: gli ebrei moderni non sono i figli di Israele, ma i discendenti di pagani convertiti dell'Eurasia turca. In quegli anni il mondo stava giusto riprendendosi dalle devastazioni inferte dal militarismo razziale del Terzo Reich e dall'impero nipponico. La nozione dominante che gli ebrei erano un popolo coeso con legami di sangue risalenti al biblico Medio Oriente era scomodamente simile alle discreditate teorie razziali. Sarebbe stato meglio, per gli ebrei e per la storia, se gli ebrei non fossero stati di "razza pura". La teoria della conversione cazara, per quanto carente di significative prove archeologiche o storiche, era quindi attraente [...] La teoria della conversione di massa, dei cazari o di altri non-ebrei dell'Europa orientale, rimase non testabile finché negli anni Novanta non giunsero i progressi delle ricerche tecniche sul DNA. Nel 1993, in uno dei primi test concernenti i marcatori del cromosoma Y, alcuni scienziati italiani compararono il DNA di askenaziti e sefarditi con quello di non-ebrei che vivevano in Cecoslovacchia, scelti a rappresentare i possibili discendenti di non-ebrei dell'Europa orientale. Se gli ebrei fossero stati slavi convertiti, le mutazioni sarebbero state simili. Essi trovarono un gran numero di somiglianze, ma non tra cechi ed ebrei. I dati erano sorprendenti per altre ragioni. Per la prima volta, il DNA offriva poderosa prova che gli ebrei di tutto il mondo condividevano una comune ascendenza mediorientale pressoché non toccata da conversioni. La linea maschile degli ebrei, compresi quelli con recenti radici ceche, aveva molto più in comune coi libanesi che coi non-ebrei cechi. I genetisti stimarono che il contributo dei maschi non-ebrei al complesso genico askenazita era stato molto basso, l'1% o meno per generazione. Questa era la prima prova genetica concreta che gli attuali ebrei askenaziti discendevano in massima parte dagli antichi ebrei, e non da gentili convertiti [...] Non c'è la minima prova seria che sostiene la credenza popolare che i cazari si convertirono in massa al giudaismo [...] Gli studi sul cromosoma Y e sul DNA mitocondriale [di provenienza femminile] non sostengono la credenza un tempo diffusa che gli ebrei discendono per una qualche percentuale significativa dai cazari o da gruppi slavi, per quanto sia evidente che qualche ebreo ha sangue cazaro» (in realtà, a tutt'oggi, anno Domini 2008, le stime della cazaricità degli attuali askenaziti mondiali variano tra il 2% e il 25%). ● Dopo Chaim Potok («La teoria secondo cui gran parte dell'ebraismo polacco fosse inizialmente composta di cazari convertiti non può essere sostenuta in modo soddisfacente, per quanto non si possa scartarla del tutto»), deciso è anche Harry Rabinowicz: «Dal sud e dall'est, dalla terra dei cazari (Crimea) e soprattutto dall'ovest, [fin dall'alto Medioevo] gli immigranti ebrei fluirono incessantemente verso la Polonia e la Lituania». ● «La stragrande maggioranza degli ebrei tedeschi sopravvissuti [alle crociate, alla Peste Nera e ai massacri del 1348-49 per mano cristiana – dei quali massacri, per inciso, l'entità è stata spesso esagerata, come ammette The Jewish Encyclopedia per Strasburgo 14 febbraio 1349: «The number of the victims of this horrible holocaust has been greatly exaggerated by tradition, Il numero delle vittime di questo orrendo olocausto sono state grandemente esagerate dalla tradizione»; similmente, per i cinque secoli dal 1000 al 1500 Maurice Fishberg riporta la cifra di 380.000 uccisi nelle più varie rivolte], nei secoli XIV e XV era fuggita o era migrata ad oriente. In Polonia i re diedero loro il benvenuto», concorda il fotogiornalista Nahum Tim Gidal. Si consideri inoltre che il tipico linguaggio askenazita-«polacco», l'yiddish (jüdisch-deutsch o judenteutsch), non è altro, nel suo fondamento, che la corruzione di un dialetto medio-alto-tedesco dell'Alta Sassonia, e non una lingua slava né turcomanna, come dovrebbe essere se l'ebraismo orientale fosse stato di ceppo sostanzialmente cazaro (vedi anche le considerazioni di Beider IV). In ogni caso, contrariamente alle tesi di Koestler (che Hyam Maccoby dice, quanto ai cazari, «scrittore benintenzionato ma fatuo», mentre Edward Grossman ne rileva la «fissazione» antisionista e Wilmot Robertson parla di «one of the hoariest of racial old wive's tales, uno dei più stantii racconti razziali di donnicciole»), di Stephen Brook, Sand, Abraham Poliak, dell'ottocentesco Hugo von Kutschera, di Erwin Soratroi e di qualche altro «antisemita», il grosso delle gente cazara resta animista. ● Le pretese conversioni collettive al giudaismo, sia cazare sia di altre genti, sono criticate sia dai «cristiani sionisti» alla David Allen Lewis (per motivi essenzialmente teologici: per tali fondamentalisti, a parte ogni considerazione storica, la «supreme consideration» della non-cazaricità degli odierni ebrei sta nel fatto che andrebbe persa la continuità della plurimillenaria «vera identità di Israele»), sia dal grecista Edouard Will (ebreo) e dal biblista Claude Orrieux. Quanto ai cazari, Will e Orrieux danno una spiegazione politica, legata ai contrasti teologici e guerreschi tra Bisanzio e l'Islam: «Il giudaismo, socialmente importante, poteva apparire, agli occhi di potentati poco ansiosi di sottomettersi a espansionismi militari e religiosi che affermavano la loro volontà di sradicare il paganesimo, come una forma di monoteismo politicamente neutro e, inoltre, ecumenicamente diffuso. Avendo, in sé, perduto ogni valenza politica, il giudaismo poteva ritrovarne uno nelle mani dei principi convertiti quale strumento di resistenza politica al cristianesimo e, nel caso dei cazari, all'islam, religioni conquistatrici e missionarie». ● Più articolate, le considerazioni di Sombart: «Si può considerare un dato certo che il fenomeno del proselitismo giudaico risulti scomparso completamente al momento dell'ingresso degli ebrei nella storia europea. Anche la fantastica conversione dei cazari, intervenuta nell'VIII secolo, non altera affatto la circostanza che lungo il percorso del proselitismo giudaico durante il Medioevo non si verificano afflussi apprezzabili di sangue straniero. Dedurre dall'evento della conversione dei cazari al giudaismo una forte commistione tra ebrei orientali ed elementi slavi, segnala l'assenza completa del senso delle proporzioni storiche. L'"impero dei cazari" non conosce mai un'espansione considerevole. Già nel X secolo esso viene ridotto a un territorio minuscolo – in pratica, la Crimea – e nell'XI secolo il micro-Stato ebraico dei cazari scompare. Un minuscolo residuo di ebrei cazari (i caraiti) continua a vivere a Kiev. Anche ammesso, dunque, che l'intero "popolo" dei cazari si sia convertito al giudaismo (e che la conversione sia stata durevole), siffatta commistione costituisce senz'altro una quantité négligeable che non introduce alcuna alterazione nella "fisionomia" etnica del ceppo ebraico. Rimane dubbio, per giunta, se la conversione non si limiti esclusivamente ai capi e al ceto dominante» (sequela di khan cazari: il primo, Bulan od Obadiah o Sabriel, convertito con 4000 feudatari, lascia il trono al figlio Hezekiah, seguono Manasseh figlio di Hezekiah, Hanukkah fratello di Obadiah, Isaac figlio di Hanukkah, Zebulun figlio di Isaac, indi Moses, Nessy, Aaron I, Menahem, Benjamin, Aaron II e Joseph, che impalma la figlia del re degli alani; che l'ultimo khan fu il cristiano Georgius Tzul, sconfitto nel 1016). Ma sant'Iddio... tutto preso dall'Olocausto e dai cazari dimenticavo la Siria, il tragico spunto della nostra disputa! Mi limito a comunicarLe che ieri ho tenuto, nel Centro Culturale di un paese vicino, una conferenza sulla questione che ci ha messo fortunosamente in contatto. Titolo «Siria, baluardo di libertà - Uno sguardo globale». Quando fosse desideroso, per il testo La rimanderei alla Quarta appendice di quell'Aureo Libretto di cui Le dissi, di prossima stampa. Alla mia esposizione, attentamente seguita e applaudita da un centinaio di persone – certamente migliaia in futuro – sono seguiti l'intervento dell'amico «stalinista» Ouday Ramadan e la proiezione di una ventina di filmati sulle imprese di quei cani assassini armati e guidati dall'Occidente. E da Israele. Questo, malgrado un gruppuscolo di fiancheggiatori dei terroristi abbia cercato di disturbare la mia esposizione. Giudichi un po' Lei, caro Gatti, se un italiano debba sentirsi tacitare, in casa sua, da bande di violenti che hanno invaso il suo paese! Giudichi un po' Lei, caro Gatti, se la Democrazia possa tollerare che venga messa a tacere una persona che vuole offrire al pubblico, pacatamente, una documentazione alternativa al 99,99% delle disinformazioni vomitate dalla Grande Stampa... compresa, ovviamente, quella specifica ebraica! Caro Gatti, finalmente si esprima, mi affianchi in questa sacrosanta lotta di libertà. Prossimamente Le chiederò un appoggio anche per la sacrosanta lotta contro il liberticidio che i nostri bancoministri, solleticati dai Suoi, pensano di compiere varando una legge anti-olorevisionista anche in Italia! In entrambi i casi si tratta di libertà. Libertà di pensiero come di vita. Quasi tutti i presenti – in gran parte a me ignoti – e quasi tutti i pazienti e gli amici ai quali, nell'arco di tre ore, ho illustrato le mie opinioni, hanno concordato sulle cause e sui responsabili del massacro voluto dall'Occidente. E da Israele.
Cuveglio, 15 ottobre 2012
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11) Undicesima lettera del dottor Gianantonio Valli al signor Stefano Gatti, http://olo-truffa.myblog.it/archive/2012/10/03/undicesima-lettera-del-dottor-gianantonio-valli-al-signor-st.html 10) Decima lettera del dottor Gianantonio Valli al signor Stefano Gatti, http://olo-truffa.myblog.it/archive/2012/09/28/decima-lettera-del-dottor-gianantonio-valli-al-signor-stefan.html 9) Nona lettera del dottor Gianantonio Valli al signor Stefano Gatti, http://olo-truffa.myblog.it/archive/2012/09/25/nona-lettera-del-dottor-gianantonio-valli-al-signor-stefano1.html 8) Ottava lettera del dottor Gianantonio Valli al signor Stefano Gatti, http://olo-truffa.myblog.it/archive/2012/09/25/ottava-lettera-del-dottor-gianantonio-valli-al-signor-stefan.html 7) Settima lettera del dottor Gianantonio Valli al signor Stefano Gatti, http://olo-truffa.myblog.it/archive/2012/09/17/settima-lettera-del-dottor-gianantonio-valli-al-signor-stefa.html 6) Sesta lettera del dottor Gianantonio Valli al signor Stefano Gatti, http://olo-truffa.myblog.it/archive/2012/09/16/sesta-lettera-del-dottor-gianantonio-valli-al-signor-stefano.html 5) Quinta lettera del dottor Gianantonio Valli al signor Stefano Gatti, http://olo-truffa.myblog.it/archive/2012/09/13/quinta-lettera-del-dottor-gianantonio-valli-al-signor-stefan.html 4) Quarta lettera del dottor Gianantonio Valli al signor Stefano Gatti, http://olo-truffa.myblog.it/archive/2012/09/10/quarta-lettera-del-dottor-gianantonio-valli-al-signor-stefan.html 3) Terza lettera del dottor Gianantonio Valli al signor Stefano Gatti, http://olo-truffa.myblog.it/archive/2012/08/25/terza-lettera-del-dottor-gianantonio-valli-al-signor-stefano.html 2) Seconda lettera del dottor Gianantonio Valli al signor Stefano Gatti, http://olo-truffa.myblog.it/archive/2012/08/14/seconda-lettera-del-dottor-gianantonio-valli-al-signor-stefa.html 1) Prima lettera del dottor Gianantonio Valli al signor Stefano Gatti, http://olo-truffa.myblog.it/archive/2012/07/30/572-risposta-del-dr-gianantonio-valli-a-gatti-stefano.html
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Author(s): | Olodogma |
Title: | Dodicesima lettera del dottor Gianantonio Valli al signor Stefano Gatti |
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Published: | 2012-10-01 |
First posted on CODOH: | Feb. 24, 2017, 4 p.m. |
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