Gianantonio Valli e l'Einsatzgruppe C, Babi Yar, Encyclopaedia Judaica , Elie Wiesel, Gitta Sereny, Albert Hartl, Paul Blobel...
La pubblicazione del testo avviene col consenso dell'Autore, che ringraziamo anche a nome di alcuni lettori che ci hanno "incaricato" di porgere i loro complimenti per il suo lavoro. Olodogma
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Gianantonio Valli
HOLOCAUSTICA RELIGIO
Psicosi ebraica, progetto mondialista
nuova versione, ampliata e reimpostata, di Holocaustica religio - Fondamenti di un paradigma
© 2010 effepi, via Balbi Piovera, 7 - 16149 Genova , novembre 2009
Pagg. 417 → 425
A parte i geyser di sangue inventati da Elie Wiesel, è anche Gitta Sereny (I), suggestionata da Eichmann (riportato da Cesarani : «C'era una fossa, era già piena, e il sangue sgorgava fuori... come posso dire...? come una fontana») e decisa copiona delle «confessioni» della «SS di Dio» Kurt Gerstein, ad avallare la favola della «terra tremante» riportandoci le pennellate di Albert Hartl, ex dirigente «pentito» del RSHA Reichssicherheitshauptamt "Ufficio Centrale per la Sicurezza del Reich", presente a Kiev nella «torrida estate» del 1942, a dieci mesi dal «fatto»: «A un certo punto – stava cominciando a far buio – passammo accanto a un lungo burrone. Notai strani movimenti della terra. Zolle di terra schizzavano in aria come per propulsione interna, e c'era del fumo. Era come un vulcano che ribolliva sommessamente: come se ci fosse lava rovente appena sotto terra. [Paul] Blobel [«il più efficiente assassino di ebrei», ex architetto di Düsseldorf «alcolizzato» e «pervertito»] scoppiò a ridere, fece un gesto col brac-cio indicando all'indietro lungo la strada e più avanti, per tutto il burrone – il burrone di Babi Yar – e disse: "Qui riposano i miei trentamila ebrei"». Singolarmente, sempre trentamila erano stati gli ebrei assassinati, sempre in due giorni, a Dnepropetrovsk dall'SS-Gruppenführer Friedrich Jeckeln e dai «suoi esperti macellai» del Kommando 5 della Einsatzgruppe C. Secondo la vulgata, entrati i tedeschi a Kiev il 19 settembre 1941 dopo aspri combattimenti (la città, incendiata in gran parte e minata con bombe a radiodetonazione dai sovietici, è luogo di battaglia antipartigiana per altre due settimane), il primo «massacro» di ebrei a Babi Yar si apre la vigilia dello Yom Kippur con mitragliatrici, fucilazioni e pistolettate (ma anche, attesta Sergej Ivanovic Lutzenko, guardiano del cimitero di Lukyanovka, scagliando i bambini vivi dentro le gole, e quindi risparmiando pallottole; modalità confermate dall'«unica sopravvissuta» del massacro, Dina Mironovna Pronicheva, nel processo apertosi a Darmstadt il 2 ot-tobre 1967), da 150 uomini del Sonderkommando 4a della Einsatzgruppe C, «supported by Ukrainian militia men, aiutati da miliziani ucraini» (così la Encyclopaedia Judaica), il 29 e 30 settembre. E precisamente, sottolinea Jonathan Schenker, in 36 ore: «il più grande sterminio compiuto in una sola giornata. È stato tutto terribilmente veloce, i tedeschi non hanno dato tregua», dirà l'oloesperto israeliano Yitzhak Arad (un giorno e mezzo in cui, nota Herbert Tiedemann in Dissecting the Holocaust e conferma Karl-Heinz Schmick, piovve ininterrottamente e persino nevicò, rendendo pressoché impraticabili le strade!). Altre «stragi» seguono nei 778 giorni «of Nazi rule in Kiev». Famoso per essere stato messo in versi nel 1961 dall'ucraino Evgenij Evtushenko ispirato dal superamericano Joseph Schechtman (poesia musicata da Shostakovic con la Tredicesima Sinfonia... ma il primo poema babiyarico l'aveva composto l'«ucraino» Savva Golovanivskij, nel 1949 accusato dalla Literaturnaja Gazeta di «avere diffamato la nazione sovietica» avendo descritto la passività della popolazione davanti allo «sterminio» degli ebrei), il «massacro», fictionizzato nel 1947 da Ilja Erenburg in Burya, vede gli olosterminati seppelliti in una gola nei pressi di Kiev dopo essere stati denudati onde recuperarne il vestiario (oltre cento camion). In decrescendo, ecco le cifre da diciassette fonti: - Vitaly Kortych, editore della rivista sovietica Ogonyok, nell'aprile 1990 dà un totale di 300.000 massacrati; - gli ebrei Vladimir Posner ed H. Keyssar, nel 1990, si accontentano di 200.000 (Remembering War - A US-Soviet Dialogue, Oxford UP, New York); - nell'ottobre 1991, in una commemorazione a Babi Yar, si parla di 150.000; - il 4 dicembre 1943 il New York Times riporta che i massacrati sono «più di 100.000», - dato ripreso dall'Encyclopedia Britannica, - dalla Judaica e dall'Encyclopedia of the Holocaust, - nonché inscritta in bronzo in russo, ucraino ed ebraico sul memoriale: «Qui gli occupanti fascisti tedeschi fucilarono oltre 100.000 abitanti di Kiev e prigionieri tra il 1941 e il 1943»; - il 29 novembre 1943 una Commissione Sovietica d'Inchiesta abbassa i morti a 80.000; - nel 1959 l'Enciclopedia Sovietica dell'Ucraina e il - 14 febbraio 1968 il New York Times ci ricordano che sono 70.000; e - 70.000, nel solo giorno 29 settembre 1941, sono i massacrati per Fausto Coen e Luciano Tas; - «fino a 70.000» li numera nel 1972 (3a edizione) la Grande Enciclopedia Sovietica, che nel 1952 (2a edizione) aveva però ignorato la voce «Babi Yar»; - nel 1942 l'americano Council on Soviet Relations pubblica il rapporto The Molotov Paper on Nazi Atrocities con la cifra di 52.000 (che troviamo il 16 novembre 1941 nel Daily Bulletin of the Jewish Telegraphic Agency), - salita a 60.000 tondi in George Creel nel 1944; - di 50.000 parla il 5 settembre 1991 il Washington Times; - nel novembre 1941 alcuni partigiani polacchi di Leopoli riferiscono l'assassinio presso Kiev di 38.000 ebrei ad opera di «tedeschi e ucraini»; - più scrupoloso è il rieducato Grosses Lexikon des Dritten Reichs che, «according to an official German report», riporta solo i 33.371 mitragliati del 29-30 settembre 1941 (del suo, Wiesel ne aggiunge qualche altra decina di migliaia: «... eppure a Babi Yar in dieci giorni sono stati sterminati 60.000 forse 80.000 ebrei, tra Rosh ha-Shanah e Kippur»); - per il Grand Dictionnaire Encyclopédique Larousse del 1982 le vittime crollano a 10.000; - l'Encyclopedia of Ukraine edita a Toronto nel 1988 dà infine un «misero» totale di 3000 uccisi. Dato che i «massacrati» sono stati interrati nella gola facendone saltare i cigli affinché «la massa di terra seppellisse i cadaveri, eliminando in tal modo le tracce dell'accaduto» (a causa, verosimilmente, dei processi putrefattivi la terra, riferisce in tutta serietà Wiesel in Parole d'étranger, avrebbe tremato per mesi con geyser di sangue alzantisi dal terreno!), perché non dissotterrarne i corpi – taluni potrebbe pensare – e mettere fine all'impudenza «neonazista», alle squallide tesi degli olodubitanti? Ebbene, ciò non è possibile. Il Kölner Stadt Anzeiger di Colonia ce ne chiarisce il motivo il 7 ottobre 1991. Riportando un comunicato della Abteilung Pressedokumentation, «Sezione Documentazione per la Stampa» del Bundestag, il quotidiano scrive che «nel 1943 internati ebrei furono costretti a disseppellire i corpi [fino a 300.000! ricordiamo che per esumare le 4800 reali e concrete salme di Katyn i tedeschi impiegarono dal 29 marzo al 3 giugno, due mesi e mezzo]; questi furono cremati in forni, le ossa triturate [zermahlen]. Dopo la ritirata dei tedeschi nulla doveva ricordare l'assassinio di massa ivi compiuto». Più colorita è una seconda versione. Secondo la testimonianza di un capitano ebreo dell'Armata Rossa, rilasciata il 10 febbraio 1944 all'Eynikeyt (Unità), il giornale del Comitato Ebraico Antifascista di Mosca, «i tedeschi portarono in catene 300 prigionieri sovietici a Babi Yar nel maggio 1943. Questi prigionieri furono obbligati a costruire enormi forni nella terra [huge ovens in the earth] e in ogni forno furono cremati circa 4000 corpi. Circa 100.000 corpi furono così cremati e poi i prigionieri che avevano eseguito la cremazione furono essi stessi cremati. Diciotto dei prigionieri sopravvissero all'azione». Leggermente più dettagliata che non la Judaica è l'Encyclopedia of the Holocaust, la più recente e, presumiamo, autorevole fonte «documentaria». Per essa il curatore Israel Gutman, nato a Varsavia nel 1923, ex «insorgente» del ghetto, olomiracolato da Majdanek, Auschwitz, Mauthausen e Gunskirchen e, giura Arno Lustiger, «Nestore della storiografia della Shoah e della Resistenza», non solo ha scritto una sessantina di voci, ma ha mobilitato 140 «eminenti esperti colleghi da ogni parte del mondo». Innanzi tutto ci viene detto che, vergognoso forse dell'accaduto e per cancellare ogni prova, lo Standartenführer Paul Blobel, già capo del "Sonderkommando 4a" e ora del "Sonderkommando 1005" (denominazioni inventate di sana pianta, date al mondo dal giudice sovietico Smirnov a Norimberga il 19 febbraio 1946), torna a Kiev nel luglio 1943 e seleziona dal campo di Syretsk 327 prigionieri, dei quali 100 ebrei (verosimilmente a corto di informazioni serie, invece di 327 Creel ne asserisce in tutto 100). Alloggiati in un rifugio ricavato in una parete della gola e protetto da una «porta di ferro» e da «una guardia con una mitragliatrice», i 327, incatenati i piedi («they had chains bolted to their legs»), esumano e cremano i 100.000 cadaveri. Stavolta non più nelle enormi fosse della Judaica (secondo la quale, evidentemente, le leggi di natura sono state abolite dal 1942 al 1944), ma su pire di ceppi imbevuti di benzina («doused in gasoline») posti su una base di traversine. Le ossa che non si riesce ad incenerire («that did not respond to incineration») vengono frantumate usando le lapidi del vicino cimitero ebraico: «for which purpose the Nazis brought in tombstones from the Jewish cemetery». Per inciso, anche ad Auschwitz i tedeschi impongono un tale minuzioso lavoro: le «ceneri delle fosse» e i residui non combusti di «ossa» vengono trasportati «ad una spianata di cemento dietro al crematorio, dove le ossa dovevano essere sminuzzate dai prigionieri con degli attrezzi simili a quelli usati per battere i sampietrini»... così il «teste» Sonderkommando Shlomo Venezia, che nel 1995 riferisce la «spianata» nei pressi del crematorio III, mentre il non meno autorevole Sonderkommando Filip Müller aveva attestato, sedici anni prima, che l'unica «spianata» esistente era «nel cortile interno del crematorio V». Quanto a Belzec, impagabile è il marchingegno attestato da Roberto Sforni: «Quando tutti i corpi erano stati rimossi da una fossa, un altro gruppo setacciava il terreno, per estrarre tutti i residui, come ossa e ciocche di capelli, gettandoli tra le fiamme. Dal campo di Janowska fu fatto arrivare uno strumento in grado di triturare le ossa umane con una persona già esperta del suo funzionamento, un Ebreo ungherese di nome Szpilke. Questa macchina, alimentata da un motore diesel, posizionata a pochi metri dalla "Stiftung Hackenholt", aveva l'aspetto di un enorme frullatore in cemento con una sfera che conteneva due bocce di metallo. Quando la sfera veniva fatta girare ad alta velocità, le due bocce andavano a colpire le ossa contenute nella sfera, polverizzandole. Alla base del macchinario vi era un setaccio che agiva da filtro, trattenendo i pezzi di ossa che non erano stati distrutti e vomitando invece le polveri fini». Sempre su Babi Yar, più dettagliato – e quindi, suggerisce implicitamente Erhard Roy Wiehn, affidabile – è l'oloscampato Jakov Kaper: «Una squadra speciale sminuzzava queste ossa con particolari mazzuoli di legno [mit speziellen Holzstößeln]. C'era poi una rete, una specie di crivello, dove le ossa sminuzzate venivano setacciate. I pezzi più grossi venivano frantumati più volte [wiederholt zerstoßen] ed ancora setacciati, la cenere veniva mischiata con sabbia, messa in carriole e dispersa sulla strada [...] La squadra di cremazione era composta da un 330 uomini. Tre volte al giorno ci ispezionavano le catene e giuravano spiritosamente che anche in cielo una squadra aveva tante "figure" come la nostra. Ce lo dicevano e ridevano. Non ci consideravano più uomini, ma "figure", giocattoli [...] Penso che non ci sia e non ci possa essere un lavoro più orrendo di questo schifo, la cremazione dei cadaveri a Babi Yar». Il cimitero serve anche, secondo Creel, a fornire le grate, costruite con la recinzione, per i «quattro crematori» «alti come una casa di due piani [...] I corpi venivano posti su grate di ferro, uno strato alternato a uno di legname imbevuto di kerosene. Ognuno conteneva quasi 4000 cadaveri [...] Durante l'operazione, spesso ufficiali delle SS arrivavano su camion con prigionieri che erano stati asfissiati. Essi portavano anche taluni prigionieri svenuti, ma vivi, e anch'essi venivano gettati sui roghi». Dopo avere obbligato i detenuti a frantumare le ossa schiacciandole tra le lapidi, i «nazi», recuperatori di aurei denti dagli ologassati, compiono ciò che i loro meno avidi colleghi due anni prima hanno trascurato: come per i lituani di Masha Greenbaum, vengono setacciate le ceneri per recuperare i possibili («they might have contained») oggetti d'oro e d'argento. Pensa forse il lettore che queste minuziose operazioni, delle quali nessuna traccia è rimasta («no trace was left of the mass graves») abbiano necessitato di diversi mesi, o magari di anni? Nossignore. Puntuale, l'EH: «Cremation of the corpses began on August 18 and went on for six weeks, ending on September 19, 1943» (la località sarebbe stata occupata dai sovietici il 6 novembre). Oltre ai festeggiamenti per l'impresa e a mo' degli antichi egizi, lo stesso 19 settembre, a grazie di tanta solerzia, vede l'esecuzione e la cremazione dei 327, tranne quindici cui, come accadde per i mashagreenbaumiani, «le tenebre e la nebbia hanno permesso la fuga poco dopo la mezzanotte [shortly after midnight]». In conclusione, i 100.000 cadaveri (cifra accettata dall'«italico» Gad Lerner, che pennella, invidioso del Wiesel dei geyser di sangue: «Di notte la terra si muoveva come viva, tanti erano i corpi che si agitavano ancora sepolti tra i cadaveri dei loro cari. Alla fine i morti si conteranno in più di centomila, e negli anni Cinquanta si renderanno necessari degli interventi [!] perché la terra troppo grassa [!] non era in grado di assorbire la pioggia che allagava i dintorni») – e i milioni di pallottole usate – svaniscono in 31 giorni, a una media di 3200 pro die (un progresso: per Sybille Steinbacher, per eliminare i 100.000 cadaveri prodotti dai «Bunker 1 e 2» di Birkenau, Blobel aveva impiegato tre mesi!). E non in forni ad alta temperatura, ma all'aria aperta, in tutta tranquillità. E a prescindere dal maltempo, dalla pioggia e dal fango. E trasportando per ferrovia e su strada e incenerendo almeno diecimila tonnellate di legno ben secco (almeno un quintale per cadavere, se posto su pira!), posate anche sulle cancellate divelte del cimitero a fini di aerazione (!). Diecimila tonnellate, una catasta alta un metro, larga un metro e lunga trenta chilometri (e catasta tagliata da chi? e dove?). E mandando in fumo, implacabili, migliaia di ettolitri di vitale benzina. E il tutto poco dopo la gigantesca battaglia di Kursk, mentre l'Armata Rossa, bava alla bocca, incalza i «criminali hitleriani» e osserva, serafica quando non ammirata, tanta impresa da poche decine di chilometri. Nel Lexikon des Judentums, edito a New York da John Oppenheimer, si legge che nel 1936 vivono a Kiev 140.000 ebrei (il 27% della popolazione cittadina). La Judaica dà al 1923: 128.000 ebrei (32%), al 1926: 140.256 (27%), al 1939: 175.000 (20%). L'EH dà 160.000 ebrei al 1941. Negli scorsi decenni, ma soprattutto a partire dal 1985 con la perestrojka, decine di migliaia di membri della comunità ebraica di Kiev (quella «pressoché completamente annientata a Babi Yar e in altri massacri nei due anni di occupazione tedesca», come recitano i libri scolastici della Terra Rieducata) emigrano in Israele, negli USA o in Terra Rieducata (nei soli ultimi mesi del 1991 ben diecimila richiedono un visto al consolato tedesco di Kiev). Ebbene, il 6 ottobre 1991 l'Agence France Presse comunica che la popolazione ebraica di Kiev ammonta a 120.000 individui. In parallelo la Judaica indica che nei quindici anni seguenti il conflitto ammontava a 200.000 individui. I quali, secondo il censimento sovietico, nel 1959 sono 154.000. Ora, che la comunità ebraica di Kiev sia stata rimpolpata dopo la guerra con ebrei di altre regioni è credibile ed ovvio. Considerata però la questione in tutte le sfaccettature ed avendo presenti i rilievi che gli studiosi revisionisti hanno portato per demolire l'Immaginario (ne bastino, per Babi Yar, anche i soli aerofotogrammi in Ball), lasciamo al lettore le conclusioni. In ogni caso, il Sistema vieta il pensiero non solo sulle più generali oloconclusioni eretiche, ma anche su singoli oloaspetti, quale appunto Babi Yar: nella primavera 1999 Hans-Eberhard Hefendehl, direttore di un periodico non-conforme, per avere dubitato della versione canonica viene dannato dalla pretura di Coburgo a sei mesi di carcere condizionali più un'ammenda di 2000 marchi (l'accusa aveva richiesto otto mesi senza condizionale), mentre il coimputato Paul J. Muenzer si accontenta di 2000 marchi d'ammenda (nessun dibattito è stato, ovviamente, tenuto né ammesso sulla giustezza o meno delle loro tesi). Cosa, d'altronde, pretendere dal GROD, se anche la presidentessa bundestaghiana Rita Süßmuth, il 5 ottobre 1991 nel cinquantenario del «massacro», ne aveva gettato l'eterna «colpa» sull'intero popolo tedesco?: «Babi Jar ist eine Stätte schrecklicher Erinnerung, ein Ort des Grauens und, für uns Deutsche, der Scham und nicht tilgbarer Schuld, Babi Yar è un luogo di tremendi ricordi, un luogo di orrore e, per noi tedeschi, di vergogna e colpa incancellabile». Disinvolto, chiude Peter Novick: «Dopo il ritorno dei sovietici a Babi Yar, il corrispondente del New York Times al seguito dell'Armata Rossa sottolineò che mentre i funzionari sovietici sostenevano che decine di migliaia di ebrei erano stati uccisi a Babi Yar, "nessun testimone delle esecuzioni ha parlato coi giornalisti"; "è impossibile per questo giornalista giudicare della verità o della falsità della storia raccontataci"; "nei burroni ci sono poche tracce per confermare o confutare la storia"». Troppo ghiotta per essere ignorata, riportiamo poi la poetica testimonianza, offerta in tutta serietà ai minus habentes da Antonella Salomoni, concernente il fantamassacro di Berdichev il 15 settembre 1941: «Un intero giorno di sangue. Le fosse ne erano stracolme, giacché il terre-no argilloso non riusciva ad assorbirlo. Il sangue debordava formando grandi pozze, scorreva a fiotti e colava nei profondi avvallamenti del terreno. I feriti che cadevano nelle fosse non morivano a causa dei proiettili, ma soffocati, annegati nel sangue. Gli stivali dei boia erano fradici di sangue, e per raggiungere la loro tomba le vittime camminavano in un lago di sangue [...] Per coprire i corpi fu necessario ammassare montagne di terra, e la terra si muoveva, quasi respirasse in preda a convulsioni. Di notte, molti di coloro che erano ancora vivi riuscirono a trascinarsi fuori da quei cumuli. L'aria fresca era penetrata nella terra smossa e aveva restituito forze e coscienza a quanti, tra coloro che giacevano in cima ai mucchi delle vittime, si trovavano ancora in vita, feriti e/o svenuti. Costoro, strisciando, cercarono istintivamente di allontanarsi il più possibile dalle fosse. La maggior parte morì sfinita o dissanguata lì sul terreno, a poche decine di passi dal luogo dell'esecuzione». Semichiudiamo con l'altrettanto suggestivo Anthony Read: «In alcuni [campi e luoghi di olosterminio] i corpi in decomposizione si erano gonfiati e avevano premuto contro la coper-tura delle fosse in cui erano sepolti, aprendole a forza ed emergendo dal terreno come zombi accusatori. Ossessionato dalla necessità di segretezza, Himmler diede disposizione di riesumare i cadaveri dalle fosse comuni e bruciarli su grandi pire, macinando le ossa rimaste fino a ridurle in polvere, in modo che non vi fosse alcuna possibilità di contarli. Le ceneri e la polvere così ricavati furono vendute come fertilizzante agricolo». Ancora più zombesco è il cinquantenne prete cattolico Patrick Desbois, già rettore del seminario del Prado a Lione, presidente dell'associazione Yahad-In unum ("l'uno e l'altro insieme"), «creata nel 2004 da eminenti personalità del mondo cattolico ed ebraico», ultimo rinverditore dell'olonovella per quanto (o magari in quanto) direttore dell'«Ufficio nazionale dei vescovi di Francia per le relazioni con l'ebraismo» e «consigliere del Vaticano per la religione ebraica». Dopo escursioni in Ucraina durate due anni alla ricerca di prove, restato senza alcunché degno di tal nome il Nostro accatasta raccontini horror in linea con la più stupida vulgata: «Come convincersi del fatto, su cui i testimoni concordano, che le fosse [comuni contenenti decine o centinaia o migliaia di cadaveri di ebrei mitragliati] hanno continuato a "respirare" per tre giorni? Questi contadini ne parlavano come di qualcosa di vivo. Che senso dare a queste parole? Inizialmente, pensavo alla putrefazione dei corpi. Poi, un giorno, in un altro villaggio, qualcuno – un bambino, all'epoca, precettato [dai tedeschi] per riempire una fossa – ci aveva raccontato che era stato afferrato da una mano che affiorava dalla terra. In quel momento, ho compreso quello che tutti i testimoni, che ci avevano raccontato di fosse che si muovevano accompagnando le loro parole con un'ondulazione delle mani, volevano dirci che in effetti ci vogliono tre giorni perché una fossa "muoia" con tutti quelli che sono stati sepolti ancora vivi! Da allora, riesco ad ascoltare frasi come queste: "La fossa ha impiegato tre giorni a morire... il pozzo si è lamentato per tre giorni". Quanti devono essere finiti nelle fosse feriti leggermente o addirittura gettati vivi! Quelli che non cascavano subito venivano spinti e morivano soffocati sotto due o tre metri di terra spalata sulle loro teste». O l'olonovella dei denti, strappati – l'olovulgata s'innalza sublime! – dalle bocche non più dei morti ma dei vivi... e senza anestetico!: «Di recente, sono venuto a conoscenza del fatto che si passava tra gli ebrei con dei sacchetti e delle pinze per strappare loro i denti d'oro. Una donna di novantun anni, Anna Chuprina, nel mezzo di una testimonianza molto lunga, stesa sul suo letto, si era messa a piangere rievocando la morte dei bambini ebrei [...] Davanti alla sua finestra avevano ammazzato più di 8000 persone [ci si immagini lo spazio occupato da una mezza divisione ammazzati davanti ad una finestra... cadaveri poi per nulla trovati, né da chicchessia né da Desbois... ovviamente perché riesumati e svaniti nel nulla ad opera di quei diabolici delle Einsatzgruppen!]. Un giorno, uno dei suoi figli, adolescente, era rientrato a casa con la schiena insanguinata. I tedeschi l'avevano picchiato. "Volevano farmi strappare i denti, ma mi sono rifiutato e loro mi hanno picchiato"». Similmente «una certa Petrivna», le cui parole «escono di bocca con un sussurro» mentre «le mani sbattono l'una contro l'altra»: «"Sapete, non è facile camminare sui corpi" dice alludendo alla cedevolezza di quello che era divenuto il fondo della fossa [...] Con calma, le chiedo se avesse dovuto camminare sui corpi. Mi risponde: "Sì, per pigiarli", mimando con le braccia. Ho capito. "E ha dovuto farlo la sera, al termine delle fucilazioni" aggiungo, "oppure di volta in volta?" Accorgendosi che ho compreso, la donna riprende a raccontare: "Di volta in volta. Eravamo trenta giovani ucraine, con i piedi nudi dovevamo pigiare i corpi degli ebrei e spalarci sopra uno strato di terra, così gli altri ebrei si potevano stendere". "A piedi nudi?" "Sapete, eravamo molto poveri, non avevamo scarpe. I tedeschi mi avevano vista la mattina nei campi. Sorvegliavo una mucca. Mi hanno detto di andare da mia madre, di prendere un badile e di tornare. Quando sono arrivata a casa, mia madre mi ha detto di obbedire, se no mi avrebbero ammazzata. Anche le altre ragazze che sono state prese sorvegliavano le mucche. Eravamo tutte povere". Mai avrei potuto immaginare [commenta il buon Padre] che i tedeschi avessero utilizzato delle ragazze ucraine per pigiare i corpi degli ebrei con i piedi, come si fa con i grappoli del Beaujolais nei giorni della vendemmia [...] Le chiedo se loro venivano fatte uscire dalla fossa tra una fucilazione e l'altra. "Sì" mi risponde, "il comandante tedesco dava un ordine per scendere nella fossa e uno per uscire [...] Molti ebrei erano solo feriti... era dura camminarci sopra"» (l'ideatore del sistema degli accatastamenti, noto come Sardinenpackung, sussurra in nota il traduttore del libello, era stato l'alto ufficiale SS Friedrich Jeckeln). Olomito di rinomanza pari almeno a quello dell'olosapone, più diffuso degli oloparalumi e decisamente più degli olospazzolini, gli olodenti hanno una venerabile storia. Se, strappati ai cadaveri, in Schindler's List vengono gettati sul tavolo da una lattina a mo' di dadi, anche l'ispiratore di Spielberg, Keneally, mica ci va leggiero: «C'erano grandi quantità di anelli da bambini [!?] e bisognava mantenere un freddo controllo delle proprie emozioni sapendo la loro provenienza. Solo una volta i gioiellieri vacillarono: quando gli uomini delle SS aprirono una valigia da cui rotolarono dei denti d'oro ancora macchiati di sangue. In un mucchio ai piedi di Wulkan erano rappresentate le bocche di un migliaio di morti, ciascuna delle quali gli gridava di alzarsi in piedi e proclamare l'infame provenienza di tutti quei preziosi». Altrettanto imaginifici sullo Zahngold erano stati Jean Pélissier («Una delle prime preoccupazioni [delle SS] era di controllare la dentatura dei nuovi arrivati, a cagione dei denti d'oro che apprezzavano molto [...] A torso nudo, quattro SS allineavano i cadaveri, le teste girate tutte da una parte. Uno delle SS, munito di una lunga pinza, recuperava i denti d'oro»), Otto Friedrich («Otto prigionieri che erano stati dentisti [...] spalancavano la bocca di ogni cadavere ed estraevano tutti i denti e i ponti d'oro che trovavano; questi venivano gettati in un secchio contenente un acido che eliminava eventuali residui di carne e di osso [...] con questa operazione si ricavavano da nove a dieci chilogrammi d'oro al giorno»), Szymon Wizenthal («C'era ad Auschwitz una sorvegliante, una simpatica, semplice ragazza della Selva Nera, che così parafrasava la sua attività: "Lo devo fare ancora per sei mesi. Poi potremo costruirci la nostra casetta". Ogni mese mandava a casa alla sua famiglia alcuni grani d'oro che si ricavavano dai denti degli ebrei assassinati»; con Alan Levy, ritrucida: «[Il quattordicenne ebreo ex orafo Stanislaw] Szmajzner fondeva l'oro, da otturazioni spesso lorde di sangue e con pezzi di denti e gengiva ancora attaccati, e produceva anelli, gioielli e monogrammi per le SS e i loro familiari»... sottraendolo quindi alle Finanze del Reich), nonché, decisamente più truculento, tal rabbino Warsciawsky che, stando a Roger Peyrefitte, relaziona sulla reazione di un «ragazzo di quindici anni che era ritornato nella nostra baracca e stava vicino a me e bestemmiava tutte le volte che mi sentiva recitare le preghiere»: «Rimproverai con dolcezza il ragazzo di rinnegare quello che gli avevano insegnato. Mi rispose sghignazzando: "Mi hanno fatto strappare i denti d'oro dei cadaveri. Un bel lavoro, no? Sono riuscito a racimolare per loro più di cento chili d'oro. Dovevo fracassare le mascelle con una zappa e un giorno, prima che me ne rendessi conto, fracassai quella di mio padre che era morto in un'altra baracca. Rimasi completamente inebetito con la zappa in mano. Poi, pazzo di rabbia, mi misi a colpire quella testa finché fu ridotta a una poltiglia informe, maledicendo quell'uomo che mi aveva fatto nascere in questo orribile mondo. Poi sono svenuto: hanno avuto pietà di me e mi hanno esentato dal lavoro. E voi credete che possa ancora credere in Dio?"». A far conto, quindi, ogni ex possidente di denti, compresi due milioni di bimbi più o meno edentuli, e i ricchi come i più poveri, avrebbe dovuto avere in bocca un discreto carico d'oro a maggior gloria del Reich. L'unica cosa certa è che l'11 maggio 1998 l'agenzia Reuters annuncia che il «ricercatore tedesco indipendente» Hersch Fischler ha avanzato l'ipotesi che 600 kg di aurei lingotti tuttora in carico alla Deutsche Bank «provengono probabilmente dall'oro fuso ricavato dalle otturazioni dentali di vittime dell'Olocausto» (così eventi n.16/1998). Fantasiosi anche i franchisti nella guerra civile spagnola: «I legionari [...] si limitavano a esaminare le bocche dei morti e a estrarne, dopo qualche colpo con il calcio dei fucili, le capsule d'oro dei denti» (Arthur Beevor). Ben documentata invece è l'asportazione dei denti d'oro ai cadaveri degli assassinati dalla CEKA ed il loro riutilizzo, come fa Mikhail Frinovskij, il vice di Nikolaj Ezov, che coi denti di un «giustiziato» si rifà la dentiera (Donald Rayfeld). Becero invece, trattando di Katyn e dintorni, Victor Zaslavsky (IV): «Mentre le SS naziste avevano come regola di rimuovere ogni pezzo d'oro dai corpi delle loro vittime, le truppe speciali del NKVD non avevano simile direttiva». Il giovane storico universitario Alessandro Barbero, peraltro suscettibile sterminazionista, cita infine una testimonianza sugli antichi «specialisti dentari» del dopo-Waterloo: «Alcuni ebrei russi partecipavano alla spoliazione dei morti strappandogli i denti d'oro, un'operazione che compivano con la più brutale indifferenza. Le martellate di questi sciagurati mi risuonavano orrendamente nelle orecchie, mescolate alle pistolettate dei belgi che stavano uccidendo i cavalli feriti». Chiudiamo però con una carrellata di perle desboisiane. Ivan Lichnitski di Novozlatopil: «Ogni mattina uscivano nudi per essere fucilati in tre grandi fosse. Alcuni contadini erano stati precettati per percuotere delle pentole in maniera da coprire il rumore dell'esecuzione». Edeme Smailovytch di Simferopol: «Agli ebrei, prima [e dai!] dell'esecuzione, venivano strappati i denti d'oro. Li prendeva in consegna un ufficiale». Nina Lisitsina di Bielogorsk: «Stava sul bordo della fossa quando una donna, al suo fianco, è caduta dentro trascinandola con sé. I tedeschi l'hanno creduta morta. Durante la notte, è uscita dalla fossa aggrappandosi alle radici. Aveva cinque anni». Anna Pavlivna Senikova di Romanivka: «Sua zia era stata precettata per cucinare. I tedeschi volevano banchettare durante l'esecuzione. Si alzavano dalla tavola due per volta, per andare a sparare». Jaroslav Galane di Borové: «Mentre le fosse venivano scavate, i tedeschi si erano procurati un grammofono per ascoltare della musica. Uno di loro suonava l'armonica. Durante la fucilazione, succhiavano delle caramelle alla menta». Conclusivo, da wpop12.libero.it/cgi-bin/webmail.cgi, l'articolo «L'opinione di Friedrich Paul Berg su Desbois»: «Ho il libro The Holocaust by Bullets [L'Olocausto mediante pallottole] di padre Patrick Desbois. È sbalorditivo per la sua totale mancanza di qualsiasi prova forense sul fatto che anche una sola persona sia stata uccisa dai nazisti [nel corso delle rappresaglie antipartigiane sul fronte dell'Est]. Nemmeno il più piccolo frammento di osso è stato trovato in una qualunque delle presunte fosse comuni. La "prova" che viene presentata in tre delle sedici pagine di foto a colori consiste in nulla più che bossoli di pallottole consumate, presumibilmente tedesche, trovati vicino a qualcuna delle presunte fosse comuni – ma non è stato trovato nemmeno il più piccolo osso o brandello dei vestiti di una vittima, o di chiunque altro. Nelle sedici pagine di foto a colori, a parte i bossoli delle pallottole, tutto quello che si può vedere sono tetri scenari di fattorie russe in rovina e cosiddetti "testimoni oculari" che appaiono come i più patetici "scemi del villaggio" che si possano trovare. Il libro non è semplicemente l'opera di un solitario mitomane in abiti talari, ma è il prodotto di una importante collaborazione con lo Yad Vashem e l'USHMM [United States Holocaust Memorial Museum]. Il libro è anche un National Jewish Book Award Winner [vincitore del premio nazionale del libro ebraico]. Sul retro della copertina, Deborah Lipstadt ci dice che "il suo [di padre Desbois] contributo alla storia e alla memoria umana, per come è stato registrato in questo importante libro, è incommensurabile". Il libro è stato anche "pubblicato con il sostegno del-l'USHMM". Bene, il libro smantella tutto quello che ci è stato detto sulle Einsatzgruppen. Questo è il suo contributo alla storiografia, ed è davvero un grande contributo. Dove Desbois si aspettava di trovare prove forensi sostanziali, non ha trovato assolutamente nulla se non semplice spazzatura. Per nascondere il suo fallimento, Desbois fa ricorso alla vecchia storia che i nazisti riesumarono tutti i corpi molto tempo dopo che le vittime erano state fucilate, e che li bruciarono all'aperto, da qualche parte. Bene, vi sarebbero dovute essere ancora grandi quantità di frammenti di ossa, se questo è il modo in cui andarono le cose. Uno deve leggere il libro da sé, per capire che la mistificazione è davvero putrida per quanto è grossolana. È anche un'ulteriore ragione per chiedere che i "revisionisti" che ancora credono alla insensatezza dell'"Olocausto mediante pallottole", Mark Weber e David Irving in modo particolare, presentino qualche prova seria o la smettano con la loro vigliaccheria. Il cosiddetto Olocausto è davvero una sporca mistificazione. Non ci fu nessun programma di sterminio, né mediante gas né mediante pallottole. Desbois, senza capirlo, ci fornisce la più grande prova indiretta che si possa immaginare». Ma le fosse, per Dio!, ma le fosse! ne sono state «identificate» almeno cinquecento... che vengano scavate e periziate! e i «negazionisti» inchiodati, per sempre, all'infamia delle loro tesi! E bravo, risponde il prete: «Il rabbino si siede lentamente, serio e silenzioso, e prende a esaminare diversi scritti, redatti a mano in yiddish su dei fogli gialli e bianchi, che sono stati disposti per tempo sul tavolo. Si tratta di pareri della giurisprudenza rabbinica internazionale riguardanti le disposizioni relative ai corpi degli ebrei uccisi durante la Shoah. Tenendo in mano un foglio giallo, solleva gli occhi e mi spiega in inglese che è stato stabilito che gli ebrei assassinati dal Terzo Reich siano considerati tsadiqim, dei "santi", e che è accordata loro la pienezza della vita eterna. Per questo, la loro tomba, sia dove sia, se sotto un'autostrada o sotto un giardino, deve essere lasciata intatta, affinché la loro pace non sia disturbata». Fonte: Pagg. 417 → 425 di "Holocaustica religio" del Dr. Gianantonio Valli
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Author(s): | Olodogma |
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Published: | 2013-03-13 |
First posted on CODOH: | May 12, 2017, 4:12 p.m. |
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