IL RECUPERO DEL GRASSO UMANO NELLE FOSSE DI CREMAZIONE
IL RECUPERO DEL GRASSO UMANO NELLE FOSSE DI CREMAZIONE
DI AUSCHWITZ–BIRKENAU
È noto che vari testimoni di Auschwitz descrivono fosse di cremazione dotate di un sistema di recupero del grasso umano che colava dai cadaveri e che confluiva in appositi pozzi o fosse di raccolta, da cui veniva attinto con secchi per essere di nuovo gettato sul rogo. I revisionisti considerano una tale procedura impossibile. L’olo-blogger Sergey Romanov, nello scritto “Recovery of liquid fat from pyres is impossible...”[1], vuole dimostrare il contrario. 1) Gli argomenti di Romanov Egli passa in rassegna le testimonianze dei seguenti ex detenuti del Sonderkommando dei crematori di Birkenau: Joshua Rosenblum, Filip Müller, Henryk Tauber, Charles Bendel, Henryk Mandelbaum, Shlomo Venezia, Shlomo Dragon. Indi espone la sua argomentazione. «Anche se una pozza di grasso liquido brucia, questo grasso che brucia si può ancora raccogliere e versare di nuovo sulla pira. Così c’è molto rumore per nulla. L’unica questione controversa qui è la descrizione del grasso puramente “bollente” e “sfrigolante”, apparentemente senza combustione su vasta scala, come sembrano indicare solo due testimoni, Tauber e Müller. Anche se si dovesse dimostrare che queste descrizioni sono imprecise o abbellite, ciò non invaliderebbe il resto delle testimonianze, che menzionano soltanto l’impiego del grasso ma non si soffermano sul fatto che bruciasse o no. Ma le descrizioni di Tauber e di Müller sono attendibili?». Dopo aver citato la descrizione dei miei esperimenti con grasso animale[2], Romanov commenta: «Ma che cosa dimostra esattamente Mattogno? Nel migliore dei casi che il grasso gocciolante da un cadavere che brucia probabilmente prenderebbe fuoco se fosse circondato da calore sufficiente. Però bisogna considerare che in certe situazioni il grasso potrebbe anche fluire senza prendere fuoco; per esempio, se un cadavere brucia e i cadaveri accanto ad esso non sono ancora in fiamme e presentano ferite in aree “grasse”, il grasso può fluire da queste ferite senza prendere fuoco proprio in considerazione del calore vicino, perché sarebbe raggiunta la temperatura di fusione, ma non necessariamente la temperatura di accensione e la pelle del cadavere non dovrebbe essere bruciata per rilasciare il grasso liquido; nella fase iniziale della cremazione questo grasso probabilmente non incontrerebbe sotto un “letto di brace”. Ma ammesso e non concesso che l’argomento di Mattogno sia corretto, nel senso che il grasso liquido che cola da un cadavere che brucia prenda fuoco immediatamente, il problema principale degli esperimenti di Mattogno è che egli non considera la situazione reale descritta dai testimoni. Cerchiamo di ricostruirla. Abbiamo una fossa di cremazione con un canale in pendenza nel senso della lunghezza collegato ad una piccola fossa di raccolta separata. In tempi diversi e in fosse diverse la configurazione potrebbe aver subìto lievi variazioni (due fosse di raccolta, due canali, ecc.). Il rogo è costruito nella fossa di cremazione vera e propria, al di sopra del canale. Il rogo viene acceso e dopo un po’ di tempo il grasso comincia a colare dai cadaveri. Assumiamo, ripeto, che prenda fuoco immediatamente. Sappiamo che il semplice fatto che il grasso prenda fuoco non significa che sia distrutto immediatamente. Il grasso ardente continua a colare. Perciò l’opinione di Mattogno che esso non avrebbe raggiunto le fosse di raccolta a causa del letto di brace è a dir poco strana. Esso fluirebbe tra la brace. Forse nelle fasi inoltrate della cremazione ci sarebbe tanta brace sul fondo da assorbire tutto il grasso, ma non stiamo parlando delle fasi inoltrate. Per non dire che ci vuole tempo affinché si formi anzitutto un letto di brace. Il grasso ardente colerebbe nel canale dai lati del fondo della fossa di cremazione presumibilmente inclinati. Poi fluirebbe nel canale centrale in direzione della fossa di raccolta. Quanto grasso liquido ardente fluirebbe in direzione della fossa di raccolta? Non possiamo esserne certi, ma consideriamo un rogo di 2.000 cadaveri con un peso medio di 45 kg. Questa massa corporea non dipende da emaciazione (chiaramente, si può ottenere molto grasso da una persona emaciata) ma dai corpi di bambini. Bisogna notare che la maggior parte degli Ebrei che arrivarono ad Auschwitz-Birkenau nei periodi in questione non erano nelle migliori condizioni fisiche, ma non erano neppure emaciati, a differenza probabilmente della maggioranza degli Ebrei portati nei campi dell’azione Reinhard(t). Romanov cita poi una fonte secondo la quale il grasso contenuto nel corpo di un adulto normale oscilla dal 10 a 20% e prosegue: «Per essere ultra prudenti, assumiamo una media del 7%. In tal caso abbiamo già a che fare con almeno 6.300 kg di grasso. Si tratta di una bella quantità, probabilmente sottostimata (se assumessimo il 10%, sarebbero 9.000 kg, 13.500 se assumessimo il 15% e così via). Molto di questo grasso, forse anche la maggior parte di esso, brucerebbe indubbiamente prima di raggiungere la fossa di raccolta. Ma non c’è nulla che indichi che centinaia, se non migliaia di chilogrammi di grasso non la raggiungerebbero. Il grasso ardente ha raggiunto la fossa. Che cosa accade ora? Uno dei principali specialisti di investigazione forense sugli incendi, il dott. John DeHaan, il quale, insieme ai suoi colleghi, ha bruciato un gran numero di cadaveri, animali e umani, in ambiente controllato, ha da dire quanto segue sulla combustione di grasso umano nella relazione “Combustion Properties of Human and Large Animal Remains”, redatta da lui e da Elayne Pope: “Il grasso bruciò soltanto dove era stato effuso e assorbito in un tappeto, un asciugamano, una coperta, vestiti o legno carbonizzato”. E sotto la figura 6 (corsivo mio): “La carbonizzazione del tappeto o del legno fornisce l’effetto stoppino necessario per sostenere la combustione del grasso corporeo effuso”. Nella sezione conclusiva del loro articolo “Combustion of animal fat and its implications for the consumption of human bodies in fires” ([PDF] DeHaan, Campbell e Nurbakhsh, Science&Justice, 1999, vol. 39, n. 1), DeHaan e i coautori dichiarano (p. 38): “È chiaro che il grasso animale (e per estensione il grasso corporeo umano, che, si dice, è molto simile al grasso di maiale sottocutaneo usato qui) può dare il proprio contributo al combustibile di un incendio localizzato. La sua combustione dipende da un sostanziale preriscaldo da parte di una fonte di calore esterna e dalla disponibilità di uno stoppino poroso (come materiale di cellulosa carbonizzato). In una corrispondenza per e-mail il dott. DeHaan elaborò successivamente questo punto (messaggio datato 11.11.2009): “Sì, a meno che non vi sia un flusso di calore radiante esterno molto intenso che mantenga la pozza di grasso a una temperatura molto alta, esso non sosterrà la combustione su una superficie piatta, non porosa”». DeHaan menziona poi il caso di un cadavere molto corpulento che aveva rilasciato tanto grasso da formare «una pozza o un fiotto che sostiene la fiamma nell’ambito dell’incendio[;] che esistesse una pozza di fuoco dipende dal fatto che il fuoco esterno poté riscaldare il grasso liquefatto ben oltre il suo punto di infiammabilità». Romanov commenta: «Perciò il grasso, sebbene sia un buon combustibile, è incapace di sostenere la sua propria combustione, a meno che non vi sia una fonte di calore esterna sufficiente o non sia presente uno stoppino poroso adatto. I testimoni non indicano distanze precise delle fosse di raccolta dai roghi (Müller sembra aver indicato “vari metri”, sebbene sia vago), sicché abbiamo il diritto di assumere che le fosse di raccolta fossero abbastanza lontane dai roghi perché il grasso in esse contenuto non si incendiasse a causa della radiazione termica. Questo è un punto cruciale, perché in nessuno dei suoi esperimenti Mattogno ha considerato la situazione nella quale la fonte esterna di calore radiante è assente. Per di più, il suo punto di vista circa l’impossibilità di raccogliere il grasso a causa dell’alta temperatura del rogo è anch’esso discutibile. Perciò senza uno stoppino poroso adatto e senza una fonte esterna di calore il grasso cesserebbe di bruciare subito. Se non c’era nulla che potesse servire da stoppino nelle fosse di raccolta e se esse erano abbastanza lontane dal rogo, il grasso in esse contenuto non sarebbe stato incendiato da un flusso ardente che vi fosse arrivato. Consideriamo ora il caso in cui sia presente uno stoppino. In questo caso una candela può essere una buona analogia. Infatti nei tempi passati molte candele erano fatte di grasso. Potete fabbricarvi la vostra candela di lardo e verificare che quando il grasso intorno allo stoppino fonde e forma una pozza, questo liquido non brucia, nonostante la fiamma vicina. Invece brucia solo lo stoppino, mentre assorbe il grasso liquido». Romanov si dilunga poi ad esaminare il caso dell’eventuale presenza nelle fosse di raccolta di materiale che fungesse da stoppino, cosa sulla quale, ovviamente, si possono fare solo delle ipotesi. Indi si dà a giustificare due particolari delle dichiarazioni di Tauber e di Müller che per me sono assolutamente irrilevanti, come è irrilevante la questione del grasso bollente, che a suo dire sarebbe «l’unica questione controversa»![3]. 2) Inquadramento del problema Secondo la storiografia olocaustica, a cominciare dalla metà di maggio del 1944, quando numerosi convogli di Ebrei ungheresi affluirono quasi ogni giorno ad Auschwitz, i crematori di Birkenau non riuscirono più a fronteggiare la cremazione dell’enorme numero di “gasati”, sicché nel cortile nord del crematorio IV e nel cortile del “Bunker 2” furono scavate delle fosse di cremazione. Secondo Franciszek Piper, in queste fosse furono cremati 10.000 cadaveri al giorno, 5.000 in ciascuno di questi due siti[4]. Qui, storicamente, sorge il primo problema. Come ho dimostrato in uno studio specifico al quale rimando[5], le fotografie aeree di Birkenau dal maggio al settembre 1944 non mostrano affatto fosse di cremazione nell’area del cosiddetto “Bunker 2” e soltanto una piccola superficie fumante di circa 50 metri quadrati nel cortile del crematorio V. Assumendo i dati addotti da Müller, per cremare i 10.000 cadaveri al giorno di Piper sarebbe stata necessaria una superficie totale di fosse di cremazione di 3.000 metri quadrati[6]. In realtà, a causa dell’alta falda freatica di Birkenau, la superficie necessaria sarebbe stata di 6.000 metri quadrati, 120 volte più grande di quella attestata dalle fotografie aeree![7]. Il secondo problema è che la storiografia olocaustica non sa e non può dire quante fosse di cremazione esistessero e quali dimensioni avessero in ciascuno dei due siti summenzionati e in tutto. Ciò dipende dal fatto che le dichiarazioni dei testimoni al riguardo sono contraddittorie. Ecco ad esempio il quadro testimoniale relativo alle presunte fosse presso il crematorio V[8]:
testimone |
numero delle fosse |
lunghezza m |
larghezza m |
profondità m |
Tauber/1 |
4* |
? |
? |
? |
Tauber/2 |
5 |
? |
? |
? |
Mandelbaum |
? |
30-35 |
15 |
? |
Jankowski |
2 |
20 |
2 |
2 |
Dragon |
5 |
25 |
6 |
3 |
Bendel |
3 |
12 |
6 |
1,5 |
Müller |
5 |
40-50 |
8 |
2 |
Rosenblum, citato da Romanov, parlò di un numero imprecisato di fosse di cremazione, scavate in supporto dei crematori, che misuravano metri 10 x 5 x 2 di profondità[9]. Egli non specificò dove si trovassero, ma, per la loro funzione, potevano essere soltanto le presunte fosse presso il crematorio V. Non mi soffermo sulle contraddizioni dei testimoni relative alla capacità delle fosse e alla durata del processo di cremazione[10]. Ricordo che nel cortile nord del crematorio V c’era un sito di cremazione, più o meno quadrato, con lati di circa 7 x 7 metri. Quale attendibilità hanno questi testimoni? 3) Ricostruzione della situazione “reale” (cioè narrativa) delle fosse di cremazione Romanov afferma che io non ho considerato «la situazione reale descritta dai testimoni»; invece è proprio lui che, nella sua ricostruzione, non ne tiene affatto conto, elucubrando sulla base di presupposti puramente teorici o ipotetici. Ciò è tanto vero che trascura i dati essenziali in mancanza dei quali qualunque ragionamento diventa del tutto aleatorio: dimensioni della fossa di cremazione, larghezza del condotto di recupero e dimensioni della fossa di raccolta, inoltre numero e disposizione dei cadaveri e della legna. Questi dati sono forniti da Müller e Tauber. Il primo ha dichiarato che una fossa di cremazione misurava metri 40-50 x 8 per 2 di profondità; dal centro, due canali larghi 25-30 centimetri correvano in pendenza trasversalmente verso i due bordi della fossa e terminavano ciascuno in un «contenitore di raccolta» scavato sul fondo della fossa[11]. La disposizione del rogo era questa: uno strato di vecchie traversine ferroviarie, travi segate, pezzi di legno e segatura (Sägespäne), ricoperti di rami secchi di abete, indi, sopra ad esso, uno strato di 400 cadaveri, collocati uno accanto all’altro in quattro file; poi altri due strati simili, sicché il rogo conteneva 1.200 cadaveri[12]. L’ultimo strato si elevava di circa mezzo metro al di sopra della superficie della fossa[13]. La cremazione durava 5-6 ore[14]. Tauber indica invece le dimensioni della fossa di raccolta del grasso: m 2 x 2 x 4 di profondità[15]. Romanov, che cita il relativo passo, osserva che essa «non poteva essere profonda 4 metri a causa del livello della falda freatica», che a suo dire, all’epoca, permetteva di scavare fosse di 2-3 metri di profondità, affermazione più che discutibile[16]. Qui mi limito a rilevare che la pianta della Zentralbauleitung n.2534/2 del 15 giugno 1943 relativa all’impianto provvisorio di decantazione (“Provisorische Erdbecken”) del Bauabschnitt III (settore di costruzioni III) di Birkenau mostra che la falda freatica si trovava a quota 232,51 metri, la superficie del suolo a 233,71 metri e il fondo delle fosse di decantazione a 231,01 metri[17]. Dunque la falda freatica era a m 1,20 dalla superficie del suolo e le fosse di decantazione erano profonde metri 2,70[18]. È evidente che non avrebbe avuto senso scavare fosse di decantazione a 2,70 metri se la falda freatica era più profonda. D’altra parte si sa che il 2 giugno 1944 (in piena presunta azione delle pretese fosse di cremazione) il Bauabschnitt III era ancora paludoso (sumpfig), a tal punto che 14 baracche che vi erano state costruite non potevano essere abitate per paura della contaminazione della falda freatica[19], il che conferma la profondità esposta sopra: 1,2 metri. Ne consegue che tutte le testimonianze che proclamano una profondità di 2-3 metri sono inattendibili. Ma assumiamo per ipotesi il limite massimo di 3 metri. La ricostruzione della «situazione reale descritta dai testimoni» non può prescindere da disegni, senza i quali si rischia di irretirsi in vuote chiacchiere, come fa appunto Romanov. Va anzitutto precisato che egli si attiene alla più che scarna descrizione delle fosse di cremazione fornita da Müller al processo Auschwitz: «La profondità di queste fosse era probabilmente di due metri e mezzo. [...]. Ed era fatto in modo tale che sul fondo di queste fosse c’era un canale in pendenza. [...]. E ai bordi, ancora più lontano – alcuni metri – c’erano queste buche scavate. [...]. In queste buche cadeva il grasso umano»[20]. Egli dichiarò anche che le fosse erano lunghe «35, 30 forse 40 metri» e larghe «6-7 metri»[21], il che è in evidente contrasto con quanto scritto dal testimone nel libro: 50 x 8 x 2 (dimensioni massime) contro 40 x 7 x 2,5, ma sorvoliamo. Tuttavia nel suo libro, dove ha fornito la descrizione più dettagliata della struttura delle fosse di cremazione, Müller non menziona affatto questa distanza tra il rogo e le fosse di raccolta e nessun altro testimone ne parla. Assumendo le misure medie da lui addotte, si ha una fossa di cremazione lunga 45 metri, larga 8 e profonda 2. Dal centro, due canali larghi 27,5 centimetri scavati nel senso della lunghezza, si immettevano in due fosse di raccolta. Questi canali erano presumibilmente rivestiti di mattoni, perché, a dire di Müller, per costruirli furono usati tra l’altro «mattoni» e «cemento»[22]. Per la pendenza si può prendere quella dei bordi delle vecchie strade a sagoma parabolica per far defluire lateralmente l’acqua piovana, con due parti laterali con pendenza del 6-3%[23]. Tuttavia il grasso liquido ha una viscosità maggiore di quella dell’acqua. Per quanto riguarda il grasso umano è arduo trovare dati attendibili, ma si sa che il grasso di bue, a 100°C, ha un coefficiente di viscosità 1,7 maggiore di quello dell’acqua a 20°C[24], perciò qui bisogna prendere quantomeno il valore massimo del 6%. Se dunque la fossa di cremazione era lunga 45 metri e i due pozzi di raccolta del grasso misuravano 2 metri ciascuno (Tauber), metà fossa di cremazione era lunga 22,5 metri, di cui 2 occupati dalla fossa di raccolta; il canale del grasso scendeva alla profondità di (20,5 x 0,06 =) circa 1,2 metri dal fondo della fossa di cremazione, ossia a 3,2 metri dalla superficie della fossa. Poiché un secchio con capienza di 12 litri ha un’altezza di 28,5 centimetri (e una circonferenza superiore di 31)[25], la profondità minima della fossa di raccolta richiesta per poter attingere comodamente il presunto grasso liquefatto era di 30-40 centimetri, perciò la sua profondità dal livello del suolo doveva essere di 3,5-3,6 metri. In piena falda freatica. Nella figura 1 illustro lo schema non in scala di questo sistema costruttivo.
Figura 1: Schema della sezione verticale di mezza fossa di cremazione secondo la descrizione del testimone Müller La dichiarazione di Müller al processo Auschwitz, se va intesa nel senso che le fosse di raccolta fossero separate da quella di cremazione e si trovassero alcuni metri più lontano dei bordi di questa, in pratica non ha senso. Come risulta dal relativo disegno (figura 2), in questo caso il canale del grasso sarebbe ancora più lungo. Assumendo una distanza massima di 3 metri, esso scenderebbe fino a (23,5 x 0,06 =) circa 1,4 metri, fino a 3,4 metri dalla superficie del terreno. Accanto alla fossa di cremazione bisognerebbe scavare dal livello del suolo un pozzo di raccolta di metri 2 x 2 x 3,7 (in questo caso profondo 0,3 metri dallo sbocco del canale del grasso), ma a mano sarebbe impossibile scavare il tratto di canale di collegamento tra le due fosse, perché esso partirebbe da una profondità di (22,5 x 0,06 =) circa 1,3 metri dalla parte della fossa di cremazione (punto B della figura 2) fino a circa 1,4 metri dalla parte del pozzo di raccolta (punto D), perciò, dal livello del suolo, bisognerebbe scavare – a mano – un canale largo 25-30 centimetri e profondo da 3,3 a 3,4 metri. Un’impresa degna degli Ebrei in miniatura di Muehlenkamp!
Figura 2: Schema della sezione verticale di mezza fossa di cremazione con fossa di raccolta esterna La seconda possibilità è che la distanza di alcuni metri riguardasse quella intercorrente tra il rogo e il bordo della fossa di raccolta del grasso (figura 3). In questo caso il rogo sarebbe più corto. Secondo i dati menzionati sopra, metà rogo sarebbe lungo (22,5 – 2 – 3 =) 17,5 metri, in tutto 35 metri. Poiché i cadaveri venivano disposti sul rogo in 4 file di 100 cadaveri ciascuna, per ogni cadavere c’era mediamente uno spazio di appena 35 centimetri, il che conferma che la distanza tra il rogo e la fossa di raccolta non poteva comunque essere superiore a 3 metri. E poiché il rogo, alto 2,5 metri, sarebbe crollato lateralmente per effetto del fuoco, avvicinandosi alla fossa di raccolta, si può essere certi che l’irraggiamento del calore sarebbe stato più che sufficiente per incendiare l’eventuale grasso depositatosi nella attigua fossa. Sulla questione ritornerò sotto.
Figura 3: Schema della sezione verticale di mezza fossa di cremazione con fossa di raccolta interna separata I dati forniti da Müller permettono anche di fare una stima con buona approssimazione del quantitativo di legna impiegato. I tre strati di legna-cadaveri avevano uno spessore di (2,5 : 3 =) circa 0,83 metri ciascuno[26]. Assumendo 0,25 metri per i cadaveri, restano 1,75 metri per la legna, corrispondenti a un volume di (35 x 8 x 1,75 =) 490 metri cubi. 1 metro cubo di legna ordinaria in catasta pesa da 340-450 kg[27], assumendo il valore più basso, 490 metri cubi corrispondono a (0,340 x 490 =) circa 167 tonnellate, con potere calorifico di 3.000 Kcal/kg. Per ogni cadavere risultano perciò (167.000 : 1.200 =) circa 139 kg, e per 1 kg di cadavere, secondo il peso medio addotto da Romanov, (139 : 45 =) circa 3,1 kg di legna. Va inoltre rilevato che la descrizione di Venezia, addotta da Romanov, è ancora più insensata. Egli dichiara: «Le fosse erano in pendenza; il grasso umano prodotto dai corpi che bruciavano colava lungo il fondo fino a un angolo, dove era stata scavata una specie di conca per raccoglierlo. Quando il fuoco minacciava di spegnersi, gli uomini prendevano un po' di grasso dalla conca e lo versavano sui corpi per ravvivare la fiamma. Una cosa del genere l'ho vista solo qui, nelle fosse del Bunker 2»[28]. Per il testimone, dunque, non esisteva un canale di raccolta del grasso scavato in pendenza, ma il fondo stesso della fossa costituiva questo canale in pendenza, come ho illustrato nella figura 4.
Figura 4: Schema di una fossa di cremazione secondo il testimone Venezia Il fatto che Romanov ammetta come reale il caso di «una fossa di cremazione con un canale in pendenza nel senso della lunghezza collegato ad una piccola fossa di raccolta separata» e consideri una «lieve variazione» l’eventuale presenza di due canali del grasso, dimostra tutta la sua confusione. Il primo caso, infatti, sarebbe analogo a quello esposto da Venezia: un solo canale partirebbe da un bordo della fossa di cremazione e si immetterebbe nella fossa di raccolta a una profondità di (45 – 2) x 0,06 = circa 2,6 metri dal fondo della fossa e (2 + 2,6 =) 4,6 dalla superficie del suolo; la fossa di raccolta sarebbe profonda almeno 0,3 metri, perciò la sua profondità dalla superficie del suolo arriverebbe a 4,9 metri! 4) Il quantitativo di grasso teoricamente recuperabile Esaminiamo ora le congetture di Romanov riguardo al quantitativo di grasso contenuto nei cadaveri e a quello teoricamente recuperabile. Egli assume 2.000 cadaveri del peso medio di 45 kg con un contenuto medio di grasso del 7% della massa corporea, percentuale che considera “sottostimata”, sicché arriva a proporre addirittura il 15%. Giacché «è tutt’altro che insolito riscontrare tra i fondisti percentuali di grasso inferiori al 10 per cento tra gli uomini e al 12 per cento tra le donne»[29], ben difficilmente per gli Ebrei ungheresi si può assumere una percentuale di grasso superiore al 10%. Il peso medio dei corpi è invece troppo basso, perciò assumo il peso che ho calcolato altrove di 60 kg, assunto anche da Robert Jan van Pelt[30]. Quanto al numero, perché Romanov parla di 2.000 cadaveri quando il testimone fondamentale ne menziona 1.200? Da questi dati risulta che il grasso contenuto nei cadaveri era di (1.200 x 60 x 0,1 =) 7.200 kg. Il peso specifico del grasso umano è di 0,903[31], perciò 7.200 kg corrispondono a circa 8.000 litri. Esaminiamo anzitutto il caso puramente teorico della distribuzione di questo grasso nella fossa: 8.000 : (41[32] x 8) = circa 24 litri per metro quadrato, corrispondenti a uno strato uniforme di 2,4 centimetri. In virtù della viscosità del grasso liquido, se un tale quantitativo fosse versato uniformemente in una cisterna di cemento identica alla fossa di cremazione summenzionata, solo una piccola parte fluirebbe nel canale e solo se il fondo fosse inclinato da entrambi i lati verso di esso, come ho illustrato nella figura 5. Romanov si rende conto della difficoltà e azzarda che i lati del fondo della fossa di cremazione erano «presumibilmente inclinati», ma né Müller né nessun altro asserisce una cosa simile.
Figura 5: Sezione di una fossa di cremazione teoricamente funzionale, con i lati del fondo inclinati verso il canale di raccolta del grasso D’altra parte il fondo della fossa di cremazione era di terreno sabbioso, che avrebbe assorbito facilmente i poco più di 2 centimetri di grasso liquido. Ne consegue che nel canale sarebbe colato con certezza solo il grasso che vi fosse caduto dentro direttamente da sopra, cioè (41 x 0,275 x 24 =) 270 litri. Ma se il pozzo di raccolta misurava metri 2 x 2 (Tauber), allora lo spessore del grasso al suo interno sarebbe stato di (0,270 : 2 x 2 =) circa 7 centimetri. Nel secondo caso da prendere in esame, introduco un dato reale: il grasso liquido attraversa i tre strati di legna, circa 490 metri cubi pari a circa 167 tonnellate. Una parte del grasso aderisce al legname per la forza di coesione tra le molecole del grasso e quelle della legna, il resto viene assorbito dalla segatura e dal terreno sabbioso del fondo della fossa. Nel canale cola solo una parte del grasso indicato nel caso precedente, nel pozzo di raccolta si forma uno strato inferiore a 7 centimetri. Il terzo caso da esaminare è quello “reale” (secondo il racconto di Müller). Qui vanno distinte due fasi: quella dell’accensione del rogo e quella della sua piena attività. Ammesso e non concesso che si potesse verificare l’eventualità menzionata da Romanov, ossia che una parte del grasso dei cadaveri potesse colare sul fondo della fossa senza incendiarsi, ciò avrebbe riguardato soprattutto il grasso sottocutaneo. In uno scritto specialistico citato da Romanov si legge: «Il grasso corporeo sottocutaneo costituisce la maggiore fonte di calore, ma dev'essere esposto (attraverso una lacerazione della pelle) e reso liquido in modo che possa essere assorbito in un materiale poroso che funge da stoppino»[33]. Sicuramente Romanov, quando parla di «ferite in aree “grasse”» nei cadaveri, si riferisce proprio a questo passo. Il grasso sottocutaneo è quello che, riscaldato adeguatamente, si scioglie in misura più rapida e abbondante, però è solo una parte del grasso corporeo, che si trova anche nelle ossa, negli organi interni e nel cervello[34]. Il grasso sottocutaneo colato dal corpo, in parte avrebbe aderito alla legna, per il resto sarebbe stato assorbito dalla segatura e dal terreno sabbioso, sicché nel pozzo di raccolta sarebbe teoricamente defluito un quantitativo di gran lunga inferiore ai 270 litri calcolati sopra, corrispondente a uno spessore molto inferiore a quello del secondo caso, ossia qualche centimetro. Per raccoglierlo, sarebbero stati necessari secchi in miniatura di Ebrei in miniatura. Una tale eventualità è stata comunque smentita da uno dei miei esperimenti di combustione di carne e grasso animale[35]. La fotografia 1 mostra un forno campale di mia costruzione. Nella griglia superiore ho collocato 10,8 kg di carne bovina, nella griglia del focolare un carico iniziale di 4,5 kg di legna (poi carichi successivi secondo necessità). Nel corso dell’esperimento ho osservato quanto segue: «Il grasso, colato nella vaschetta del cenerario, si è incendiato subito e ha bruciato con fiamma viva (vedi fotografia 10, scattata dopo 10’)»[36]. Le Fotografie 2 e 3, scattate dopo 10 e 15 minuti dall’accensione della fornace, mostrano che, sebbene la carne non fosse neppure carbonizzata, il grasso colato da essa era già in fiamme. La struttura del forno campale corrisponde, in scala, a una fossa di cremazione aperta sul davanti, perciò i suoi risultati valgono anche per questo caso[37]. E valgono a maggior ragione in quanto la percentuale di grasso da me impiegato era più del doppio di quello possibile per la fossa di cremazione (10% del peso corporeo). Per l’esperimento ho infatti utilizzato: ossa e cartilagine kg 4,1 grasso visibile kg 2,1 carne di scarto kg 1,9 organi interni kg 2,7 ––––––– totale kg 10,8 Fotografia 1: Esperimento di combustione di carne bovina,© Carlo Mattogno
Foto1
Già il grasso visibile era circa il 19,4% del peso totale, ma ad esso va aggiunto il grasso contenuto nel resto della massa, sicché si può stimare una percentuale effettiva di grasso del 25-30%. La fotografia 1 non lascia dubbi al riguardo. Fotografia 2 ,Esperimento di combustione ,situazione dopo 10 minuti,© Carlo Mattogno Foto 2
Fotografia 3,Esperimento di combustione,situazione dopo 15 minuti,© Carlo Mattogno
Foto 3
È importante rilevare che l’efflusso del grasso dopo mezz’ora era ormai cessato, come risulta dalla fotografia 4.
Fotografia 4:Esperimento di combustione di carne bovina,situazione dopo 30 minuti, © Carlo Mattogno
Foto 4 In pratica, dunque, il grasso che si scioglie nella fase iniziale del processo di cremazione brucia completamente prima ancora che il corpo prenda fuoco. La pretesa di Romanov che «non c’è nulla che indichi che centinaia, se non migliaia di chilogrammi di grasso» non avrebbero potuto raggiungere il pozzo di raccolta è evidentemente assurda. In nessun caso dunque il grasso liquido avrebbe potuto defluire nel pozzo di raccolta. 5) Il “principio dello stoppino” Ma, ammesso e non concesso che, per uno dei tanti miracoli che costellano i racconti degli ex detenuti, un certo quantitativo di grasso liquido si fosse raccolto negli appositi pozzi, che cosa sarebbe accaduto realmente? Romanov, come si è visto, si appella ad esperimenti di DeHaan e dei suoi collaboratori per affermare che il grasso liquido «è incapace di sostenere la sua propria combustione, a meno che non vi sia una fonte di calore esterna sufficiente o non sia presente uno stoppino poroso adatto». Gli esperimenti in questione miravano ad accertare quale fosse l’apporto del grasso umano in un incendio di limitate dimensioni in cui bruciasse un corpo umano con scarso combustibile e se potesse propagarsi grazie appunto al calore prodotto dalla combustione del grasso corporeo. Secondo Romanov, la situazione dei pozzi di raccolta del grasso sarebbe stata simile a ciò che appare nelle fotografie 5 e 6 (a patto che vi fosse materiale che fungesse da stoppino): Fotografia 5: Grasso che brucia in un punto limitato di una pozza di grasso liquido (principio dello stoppino). Da: J. DeHaan e E. Pope, Combustion properties of human and large animal remains[38]
Foto 5
Foto 6
Fotografia 6: Grasso assorbito da materiale poroso che brucia in un punto limitato (principio dello stoppino). Da: J. DeHaan e E. Pope, Combustion properties of human and large animal remains[39] In realtà il “principio dello stoppino”, come arsione localizzata in una pozza di grasso (dalla quale quest’ultimo potrebbe essere attinto senza che prenda fuoco), vale soltanto quando il combustibile esterno è assai esiguo e il flusso di calore che da esso si sprigiona è altrettanto esiguo, sicché la combustione è alimentata praticamente soltanto dal grasso[40]. Quando il corpo è invece avvolto da una temperatura più alta, il risultato è quello che appare nella fotografia 7. Fotografia 7: Grasso che brucia completamente e intensamente quando la temperatura dell'incendio supera quella di accesione del grasso. Da: J. DeHaan e E. Pope, Combustion properties of human and large animal remains[41]
Il “principio dello stoppino”, dunque, è valido soltanto a condizione che «non vi sia un flusso di calore radiante esterno molto intenso che mantenga la pozza di grasso a una temperatura molto alta», come ha affermato DeHaan. Ma è evidente che un conto è bruciare un corpo su un tappeto, un altro conto è una fossa di cremazione, dove bruciano 167 tonnellate di legna che producono un flusso di calore totale di circa 2.097.000 MJ. Negli esperimenti sulla combustione di grasso animale di DeHaan menzionati da Romanov[42], i campioni furono sottoposti a un flusso di calore radiante di 35 kW/m2, corrispondenti a 126 MJ/m2. La temperatura massima registrata da DeHaan fu di 911°C[43]. Nel corso di un esperimento successivo, DeHaan registrò una temperatura massima di combustione di 880°C per il grasso di maiale e di 913°C per il grasso umano[44]. La situazione reale di una fossa di cremazione non ha nulla a che vedere con lo “stoppino” delle fotografie 5 e 6, ma è piuttosto simile alla combustione in massa di carcasse animali che appare nelle fotografie 8-11. Fotografia 8
Foto 8
Da: http://newsimg.bbc.co.uk/media/images/38602000/jpg/_38602299_slaughter300.jpg Fotografia 9
Foto 9
Da: http://www.avma.org/onlnews/javma/nov02/images/021101c.gif Fotografia 10
Foto 10
Da: http://image.guardian.co.uk/sys-images/Guardian/Pix/gallery/2001/02/27/300pyre-toe.jpg Fotografia 11
Foto 11
Da: http://farm4.static.flickr.com/3289/2948041828_302a533cfe.jpg?v=0 In un articolo relativo ad altri esperimenti, DeHaan scrive insieme a due collaboratori che «non è sorprendente che una temperatura della microfornace di 300°C non riuscì a produrre sostanze volatili significative, perché la temperatura di autoaccensione del grasso animale (grasso di maiale) è ritenuta di 355°C. Temperature superiori a questa soglia produrrebbero prodotti di pirolisi e prodotti di vera combustione dopo l'autoaccensione». Egli aggiunge poi che «i cromatogrammi di grasso umano incendiato nella microfornace a 500°C erano paragonabili molto strettamente a quelli prodotti da un campione di grande massa di grasso e di un cadavere umano bruciato in un incendio di una casa»[45]. Secondo il manuale dell'ing. John H. Perry, la temperatura di accensione del grasso di maiale[46] è di 343°C, ma la sua temperatura di infiammabilità è di 184°C[47]. In pratica al di sopra dei 355°C il grasso umano comincia a bruciare spontaneamente in modo continuo e senza apporto di calore dall'esterno e al di sopra dei 185-190°C il grasso liquefatto emette vapori in quantità tale che si incendiano in caso di innesco. Il “principio dello stoppino”, come appare nelle fotografie 5 e 6, si realizza quando solo una parte del grasso liquefatto imbevuto in un materiale di supporto raggiunge la temperatura di infiammabilità. Quando invece il grasso è tutto sottoposto ad un flusso di calore con temperatura superiore a 185-190°C, la situazione che si presenta è quella che appare nelle fotografie 2 e 3. Quando il flusso di calore supera la temperatura di accensione del grasso, questo sviluppa su tutta la sua superficie vapori infiammabili che si incendiano con formazione di fiamme intense. Le fotografie 8-11 mostrano intuitivamente che la temperatura del pozzo di raccolta di una fossa di cremazione, con una temperatura di esercizio di almeno 600°C[48] e una temperatura massima di oltre 800°C, supererebbe abbondantemente la temperatura di autoaccensione del grasso umano (355°C). Il risultato sarebbe pertanto quello che si vede nelle fotografie 12-13, relative a due esperimenti di cui presento la descrizione, e 14-17, che riguardano altri esperimenti da me eseguiti. Sul piano del cenerario di una fornace aperta davanti e sopra ho collocato una vaschetta di alluminio con 250 grammi di strutto. La griglia del focolare si trovava 25 centimetri al di sopra del piano del cenerario. Essendo costituita da una rete metallica con maglie di cm 2 x 1, la griglia del focolare ha lasciato cadere nella vaschetta solo braci minute. Il grasso contenuto nella vaschetta si è liquefatto ed è entrato in ebollizione grazie soprattutto al calore irraggiato dal focolare; i vapori che si sono formati dal grasso si sono infiammati rapidamente bruciando con fiamma viva (vedi fotografia 12). Fotografia 12
Foto 12, cliccare sulla foto per ingrandirla
Sulla griglia di combustione di una fornace aperta davanti e sopra ho collocato una vaschetta di alluminio contenente 500 grammi di strutto (vedi fotografia 13). La griglia di combustione si trovava 25 centimetri al di sopra della griglia del focolare. Dopo l’accensione della legna nel focolare, lo strutto si è liquefatto rapidamente e ha cominciato a bollire; i vapori si sono infiammati producendo fiamme molto intense alte circa 80
centimetri. La combustione è durata circa 2 minuti.
- Foto 13. Cliccare sulla foto per ingrandirla
Fotografia 13. © Carlo Mattogno Altri esperimenti hanno dimostrato ancora più chiaramente che, quando il grasso è sottoposto a un flusso di calore superiore alla sua temperatura di accensione, esso va in ebollizione e forma vapori infiammabili che bruciano al di sopra della sua superficie, come risulta dalle fotografie che seguono, in particolare dalla n. 15, 16 e 17. Fotografia 14, Ebollizione e combustione,di grasso animale,© Carlo Mattogno Foto 14. Cliccare sulla foto per ingrandirla
- Foto 15
Fotografia 15, Ebollizione e combustione,di grasso animale,©Carlo Mattogno Fotografia 16,Ebollizione e combustione di grasso animale,© Carlo Mattogno
Fotografia 17,Ebollizione e combustione di grasso animale,© Carlo Mattogno
In questi casi le fiamme si sviluppano su tutta la superficie del grasso bollente e il pozzo di raccolta, ammesso e non concesso che una certa quantità di grasso liquefatto potesse defluirvi, brucerebbe come mostra la fotografia 18. Fotografia 18 © Carlo Mattogno
Cliccare sulla foto per ingrandirla.
Tornando a Romanov, egli articola il suo ragionamento in due punti. Il primo è la pretesa che il grasso liquefatto «fluirebbe tra la brace». Un'assurdità palese, se si considera concretamente la questione. La fotografia 19 mostra il letto di brace risultante dal mio esperimento di combustione in una piccola fossa (m 0,85 x 0,50 x 0,60 (profondità) di 15 kg di carne bovina con 52,5 kg di legna dopo un'ora.
Foto 19. Cliccare sulla foto per ingrandirla.
Fotografia 19. © Carlo Mattogno Dopo 16 ore, la temperatura della brace era ancora di circa 320°C. Perciò, secondo Romanov, del grasso liquefatto (per di più, come ho dimostrato sopra, un quantitativo irrisorio) colando sopra queste braci, le avrebbe attraversate senza incendiarsi! Ciò è anche in contrasto col “principio dello stoppino”, sussistendo tutte le condizioni per una combustione totale del grasso: un adeguato quantitativo di legno carbonizzato e di cenere (“stoppino”) e la temperatura di infiammabilità del grasso. In una fossa di cremazione il risultato sarebbe quello che appare nella fotografia 20. Fotografia 20 Fossa di cremazione con sistema Air Courtain, da:
Foto 20
Http://www.broward.org/air/images/earthenpit.jpg In queste due fotografie viene rappresentato senza dubbio lo stadio finale del processo di combustione, ma, come ho documentato sopra (fotografie 2-4), il grasso non potrebbe fluire neppure tra le esigue braci dello stadio iniziale, perché brucerebbe completamente. In tale situazione, nel peggiore dei casi, si verificherebbe una situazione analoga a quella del mio esperimento illustrato dalla fotografia 21. Fotografia 21. © Carlo Mattogno
Foto 21.
Cliccare sulla foto per ingrandirla.
L’esperimento è stato eseguito in una fornace di blocchetti di tufo aperta davanti e sopra. Ho collocato una vaschetta di alluminio contenente 250 grammi di strutto sul piano del cenerario e ho installato a 28 centimetri al di sopra del piano del cenerario una griglia a rete metallica con maglie larghe (cm 10 x 10). Indi ho acceso la legna sulla griglia del focolare. «Quando la combustione è divenuta intensa, le braci hanno cominciato a cadere nella vaschetta sottostante; il grasso ivi contenuto prima si è liquefatto, poi si è assorbito nelle ceneri e ha bruciato con fiamma meno viva, ma più a lungo (per circa 15 minuti), come brucia lo stoppino di una lanterna a petrolio» (vedi fotografia 10)[49], ma su tutta la superficie della vaschetta. Passiamo al secondo punto. Per Romanov, in virtù del “principio dello stoppino”, il grasso liquefatto miracolosamente defluito nella fossa di raccolta non brucerebbe. Un'altra affermazione palesemente assurda, come ho mostrato sopra. Perciò l'appunto che mi muove, secondo il quale nei miei esperimenti non avrei preso in considerazione la «situazione nella quale la fonte esterna di calore radiante è assente», è evidentemente insensato. È vero proprio il contrario: è lui che non ha preso in considerazione la situazione nella quale il flusso di calore radiante è immensamente superiore a quello impiegato da DeHaan. La sua pretesa che il grasso ipoteticamente contenuto nelle fosse «non sarebbe stato incendiato da un flusso ardente che vi fosse arrivato» è dunque chiaramente assurda. Ricapitolando, in una fossa di cremazione il grasso colato dai cadaveri brucia immediatamente anche nella fase iniziale, quando i cadaveri sono ancora più o meno intatti (fotografie 2 e 3). Il “principio dello stoppino” non si può realizzare in una fossa di cremazione, perché in questa (assimilabile alle immagini delle fotografie 8-11) il flusso di calore è tale da superare la temperatura di infiammabilità e anche quella di accensione del grasso, sicché esso necessariamente brucia intensamente e con fiamma viva (fotografie 12-18). Il grasso liquefatto non può fluire fra le braci ardenti (fotografie 19 e 20) senza incendiarsi; nel peggiore dei casi esso brucia con fiamma moderata e più lentamente su tutta la sua superficie (fotografia 21) e non in un singolo punto. 6) Problemi collaterali Il recupero del grasso umano, come viene descritto da ex detenuti di Auschwitz, presenta anche problemi pratici insormontabili. Come era possibile raccogliere l'ipotetico grasso liquefatto per mezzo di un secchio fissato ad una lunga asta stando sul ciglio di una fossa di cremazione con un calore radiante totale di 2.148.200 MJ e con una temperatura minima di 600°C? C'è anche un problema generale non meno grave: qual era lo scopo del recupero del grasso umano? Secondo i testimoni, esso era di accelerare la combustione dei cadaveri (Rosenblum, Tauber, Bendel, Mandelbaum) o di ravvivare le fiamme del rogo (Venezia, Dragon). Ciò presuppone che il grasso colato dai cadaveri nella fossa andasse sprecato, che fosse irrilevante nel bilancio totale della cremazione, altrimenti la sua raccolta non avrebbe avuto senso. In realtà, come ho dimostrato sopra, il grasso umano liquefatto sarebbe bruciato completamente all'interno della fossa, sviluppando il suo massimo effetto termotecnico e alimentando il rogo con un calore di circa 244.800 MJ. Come è stato rilevato sperimentalmente nel corso della combustione in massa di carcasse animali, «un fattore molto importante osservato durante il processo di incinerimento fu che il grasso della carcassa contribuiva in modo significativo alla velocità di incinerimento. Fu osservato che piccole carcasse pesanti meno di 100 pounds [45 kg] non erano incinerate così rapidamente come le carcasse con maggior grasso corporeo. Risultò che il grasso corporeo accelerò la velocità di cremazione e produsse temperature di combustione più alte»[50]. Anzi, gli esigui consumi di legna ottenuti dai veterinari Lothes e Profé nel corso dei loro esperimenti di combustione di carcasse animali[51] dipesero proprio dal fatto che il grasso bruciò completamente all’interno della fossa di cremazione sviluppandovi il suo massimo effetto termico: «Dopo che il cadavere si era incendiato completamente, si rinunciò all’impiego di ulteriore combustibile, evidentemente per risparmiare sui costi. Tuttavia il processo di combustione fu mantenuto dall’abbondante grasso presente»[52]. Il procedimento descritto dai testimoni contiene inoltre una contraddizione di fondo: da un lato, si afferma, il grasso che colava dai cadaveri non bruciava, ma si raccoglieva sul fondo della fossa, attraversando vari strati di cadaveri e legna in fiamme, il letto di brace e di cenere e poi defluiva nei pozzi di raccolta; dall’altro il grasso che da questi pozzi di raccolta veniva gettato nel rogo bruciava, tanto da accelerare la combustione dei cadaveri o ravvivare le fiamme del rogo. Per quale ragione non defluiva di nuovo anche questo nella fossa di raccolta? E se questo bruciava, perché non bruciava anche quello che colava dai cadaveri nella fossa di cremazione? È chiaro che un eventuale secchio di grasso gettato sul rogo non sarebbe bruciato istantaneamente, ma sarebbe colato a sua volta tra gli strati ardenti di legna e di cadaveri, mescolandosi a quello che colava da questi ultimi: allora perché quello che colava dai cadaveri non bruciava, mentre quello gettato col secchio bruciava? Alla fine resta da chiedersi: A chi poteva venire in mente la follia del recupero del grasso umano? Non certo ai veterinari Lothes e Profé, che eseguirono vari esperimenti di combustione di carcasse animali all’inizio del 900; né all'ing. Kurt Prufer, l'unico vero specialista di cremazione ad Auschwitz; né a coloro che bruciarono decine di migliaia di carcasse di capi di bestiame abbattuti o morti in conseguenza di epidemie, come avvenne soprattutto in Inghilterra a partire dal 2001. Una tale assurdità poteva venire in mente soltanto a membri del movimento di resistenza del campo, al solo scopo di creare una propaganda antitedesca a base di atrocità e di orrori. Carlo Mattogno
Additional information about this document
Property | Value |
---|---|
Author(s): | Olodogma |
Title: | |
Sources: |
n/a
|
Contributions: |
n/a
|
Published: | 2013-01-07 |
First posted on CODOH: | April 10, 2017, 4:22 p.m. |
Last revision: |
n/a
|
Comments: |
n/a
|
Appears In: | |
Mirrors: | |
Download: |
n/a
|