Immaginari e fabulazioni dello stato "ebraico"...picconate ai miti di Masada e muro del pianto o Wailing Wall, kotel ha-maaravi
Cappello di Olodogma
Dizionario Della Salute : definizione di " FABULAZIONE "
Attività fantastica del pensiero a tendenza automatica e associativa che si manifesta in produzioni immaginative vicine al delirio onirico, generalmente su base di confusione e disorientamento temporospaziale.Il racconto confabulatorio non corrisponde alla realtà, ma non di rado è verosimile e viene fatto senza la consapevolezza di ingannare esso è composto di elementi diversi, in genere avvenimenti passati, ma anche letture, conversazioni, fantasie, falsi riconoscimenti ecc. Normale nel bambino, lo si ritrova come condizione patologica in alcuni disturbi mentali dell’adulto (debolezza mentale, isterismo, ipomania, stati demenziali). In particolare, nella presbiofrenia, forma di demenza senile, e nella sindrome di Korsakov (sindrome ad eziologia multipla: alcolismo cronico, tumori cerebrali, traumi cranici ecc.) sostituisce i ricordi perduti, compensa cioè un’amnesia da fissazione. Infatti, provocando il paziente sul passato recente la f. nasce e si sviluppa sull’incapacità del paziente a ricordare gli avvenimenti reali. In questo senso ha lo stesso significato di confabulazione.... La f. può dar luogo a false denunzie di delitti ed a false testimonianze. (http://www.corriere.it/salute/dizionario/fabulazione/index.shtml)
Citazioni dal Dott. Gianantoni Valli
I brani sotto riportati sono tratti da Gianantonio Valli, Holocaustica religio - Psicosi ebraica, Fondamenti di un paradigma progetto mondialista, seconda edizione, ampliata e corretta,© 2010 effepi, Genova. La pubblicazione avviene col consenso dell'Autore, che pubblicamente ringraziamo della naturale gentilezza e disponibilità nell'assistenza.
Sulla fabulazione sionista di Masada!…
…”Speculare alla favoleggiata «stolidità» e «arrendevolezza» e «viltà» che hanno caratterizzato gli ebrei coinvolti, indifese vittime, nell’Olocausto sta quindi, inscindibile per la riscossa contro gli eterni Difensori delle Tenebre, l’Immaginario di Masada con l’altrettanto favoleggiata «caparbietà», «resistenza» ed «eroismo» degli antichi zeloti (in realtà, bande di sicarii, assassini saccheggiatori dei villaggi circostanti, lungamente ignorati dai romani e finalmente «tirati giù dalle spese» tre anni dopo la caduta di Gerusalemme): l’eterna arroganza che riscatta l’eterno vittimismo. È infatti in tale luogo, l’antica fortezza a picco sul Mar Morto conquistata dai romani dopo un lungo assedio, che dopo l’addestramento di base e prima dell’incorporazione nei reparti i coscritti israeliani passano una notte, giurando all’alba eterna fedeltà allo Stato ed al popolo ebraico: «Israel’s most symbolic place is Masada», scrive M. Hirsh Goldberg: «Masada lo tipol shenit, Masada non cadrà più, Masada shall not fall again».
- Copertina di Holocaustica religio
Delle impressioni riportate in proposito dall’insigne storico «tedesco/americano» del nazionalsocialismo George (Gerhard) Lachmann Mosse durante le sue numerose visite in Israele riferisce Emilio Gentile: «Quando [nel 1951] vidi il nuovo esercito israeliano, o assistei al giuramento dei paracadutisti a Masada, il mio cuore prese a battere più forte. Sebbene non ignorassi il pericolo di venire ammaliato dalle immagini e dalla liturgia, e avessi scritto più volte sulla loro utilizzazione nel manipolare gli uomini, io stesso non ero affatto immune dalle forze irrazionali che come storico deploravo – specialmente quando si trattava del gruppo cui ritenevo di appartenere.
Aggiunge Nachman Ben-Yehuda, docente di Sociologia a Gerusalemme: «[Già al momento della fondazione di Israele] i membri dei movimenti giovanili ebraici erano spiritualmente maturi per il mito di Masada, cosa che li aiutava a prepararsi al supremo sacrificio, al martirio e alla lotta all’ultimo sangue. Inoltre, il mito di Masada si basa su una potente costruzione sociale di legame ideologico e identificazione coi ribelli ebrei, valicando un abisso di due mllenni, un legame di natura etnica, religiosa e nazionale-storica. Il mito di Masada, che rafforza tali legami, fu pensato per fornire un saldo fondamento di eroismo a un nuovo tipo di identità nazionale ebraica […] L’ascesa a Masada e la cerimonia furono dunque pensate per familiarizzare una nuova generazione di giovani e ignoranti immigrati ebrei con Israele, con una delle maggiori componenti della nascente identità ebraica israeliana e del suo legame col passato […] Il racconto mitico di Masada fu un blocco costruttivo importante nella fondazione simbolica del moderno Stato di Israele. Generazioni di giovani ebrei furono socializzate nello Stato alla luce di Masada. Il racconto mitico di Masada contribuì a foggiare il nocciolo identitario di centinaia di migliaia di giovani israeliani. Invero, l’irritazione espressa da tanti israeliani quando furono costretti a rilevare la differenza tra il racconto di Giuseppe Flavio e il nuovo mito è una potente testimonianza del bisogno di continuare a credere sia in tale mito sia nel senso che il mito aveva creato»…” (Pag.90-91)
..." E che dire di Masada e del Muro del Pianto? La definitiva picconata al primo Immaginario – altro che «the sacrosanct ruins of Masada» di Rabbi Michael Goldberg… già nel 1979, del resto, ci dice Nachman Ben-Yehuda, Baila Shargel aveva pubblicato su Judaism il demistificatorio The Evolution of the Masada Myth! – viene inferta nel luglio 1997 dal crollo del trentennale imbroglio ideato dallo «scopritore» Yigael Yadin, ufficiale e archeologo, poi vice primo ministro, figlio del docente dell’Università Ebraica E.L. Sukenik. Dopo Luciano Tas (qualcuno dice «Masada non è mai esistita», «Shalom» n.3/1992) e Cremonesi ( Il mito di Masada, «CdS», 2 giugno 1994) , disinvoltamente deluso è il Corriere della Sera: «Un duro colpo a uno dei miti dello Stato ebraico, uno dei simboli storici più venerati in Israele:
le ossa umane [i resti di 24 individui], ritrovate sulla rocca dove sorse Masada, la città distrutta dai soldati romani nel 73 d.C. e diventata simbolo dell’indipendenza di Israele, non sono quelle dei difensori della città, ma quasi certamente appartengono ai militari della nemica Roma. Responsabile di questa operazione “revisionista” ai danni delle eroiche spoglie portate alla luce e risepolte con tutti gli onori nel 1969 è l’antropologo israeliano Joe Zias, esperto del Dipartimento per le antichità. La prova sbandierata, il dettaglio che imbratta il mito, non è altro che un mucchio di ossa di immondi suini».
- unterman Iiser yehuda , rabbino
Identificate come tali fin dalla scoperta, nel 1991 Yadin ne aveva diffuso una versione di comodo, concordata col caporabbi : i 960 zeloti che avevano preferito il suicidio di massa alla resa «avrebbero utilizzato i maiali per smaltire la spazzatura, come fecero in tempi più recenti gli ebrei del ghetto di Varsavia». Ora, a parte che, essendo il maiale l’Impuro par excellence e quindi dagli ebrei non commestibile, dopo aver compiuto la bisogna gli animali avrebbero dovuto essere riconsegnati ai romani, loro fornitori diretti o indiretti, che ne avrebbero fatto certo buon uso, la giustificazione untermanica ci sembra tirata per i capelli. E così sembra anche a Zias per Masada: «Perché gli zeloti dovevano ricorrere ai suini, quando avrebbero potuto gettare i rifiuti in testa agli assedianti? [...] Il colpo di scena è arrivato di recente con la lettura di un volume sulle usanze funebri degli antichi romani. Lì, tra le pagine più minimaliste della storia, Zias scopre che nella Roma imperiale una tomba poteva considerarsi in regola solo dopo che fosse stato sacrificato un maiale. Ed ecco la scoperta che infanga il mito: i suini erano lì a vegliare sulle spoglie romane» (tra l’altro, le ossa umane recuperate sono in tutto 208, mentre un corpo umano ne conta 248).
- L'ambigua evidenza, copertina
..." Equilibrato Ben-Yehuda: «[Capita che un sistema di credenze si basi] su una serie di pretese ingannevoli e decisamente non obiettive [very biased], quando pure non falsificate […]
Il cosiddetto racconto mitico di Masada è un sistema di credenze di tal genere: una pretesa moralistica costruita ad hoc». ).
Altrettanto sconvolgenti per il pio credente sono le conclusioni dello storico Ernest L.Martin e dell’archeologo ebreo Benjamin Mazar quanto al Wailing Wall. Secondo i due, il «Muro del Pianto» o, all’ebraica, «kotel ha-maaravi, Muro Occidentale», tale definito nel Cinquecento dal «divino» rabbino cabbalistico Yitzchak «Ari Zal, il Santo Leone» Luria ha-Ashkenazi e tuttora considerato parte delle mura del Secondo Tempio (Bayit shení), quello rovinato nel 70 al termine dell’assedio, non è in realtà che una parte delle mura della Fortezza Antonia, mantenendo esso le caratteristiche e le dimensioni dell’unica struttura della Gerusalemme erodiana in grado di ospitare i 5000 soldati della Decima Legio. Meta di pellegrinaggio e considerato «sacro» solo a partire dal XVI secolo, prima di allora i fedeli pregavano in direzione ovest da un sito posto più ad oriente, il Secondo Tempio sovrastando la fonte Gihon.
Intuibile l’estremo disagio della rivoluzionaria scoperta: per mezzo millennio gli Arruolati si sono dondolati in preghiera davanti ad uno dei più ributtanti manufatti goyish, pari solo, per oscenità, all’impuro maiale, e non, come scrive Dan Cohn-Sherbok, al «monumento più sacro per l’ebraismo [...] considerato una vera e propria sinagoga a cielo aperto, dove recarsi a pregare e celebrare occasioni particolari».” (Pagg. 346-347)
(Fonti: Gianantonio Valli, HOLOCAUSTICA RELIGIO,Psicosi ebraica, progetto mondialista, © 2010 effepi Edizioni , Gianantonio Valli, L’AMBIGUA EVIDENZA, L’identità ebraica tra razza e nazione, © 2010 effepi Edizioni)
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Author(s): | Olodogma |
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Published: | 2013-10-04 |
First posted on CODOH: | Nov. 17, 2017, 4:55 p.m. |
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