Introduzione agli "Ecrits revisionnistes" del Professor Robert Faurisson

Published: 2014-06-02

,

Robert Faurisson 

INTRODUZIONE A ÉCR1TS RÉVISIONNISTES" 

Edizioni all'insegna del Veltro,Viale Osacca 13,43100 Parma,
Telefono/ Fax:0521-290880, < insegnadelveltroKatin.it > 

Il 2 febbraio 2004, ho dedicato un'analisi al "Cupo bilancio del 
revisionismo storico". Da quella data, la situazione è peggiorata. La 
conferenza che doveva riunire, il 24 e il 25 aprile, a Sacramento, capitale della 
California, più di duecento simpatizzanti della causa revisionista è stata 
annullata e, a Toronto, c'è da temere il peggio per Ernst Zùndel, che da [6] 
quindici mesi langue in isolamento in un carcere di massima sicurezza, senza 
alcuna accusa. La sua crudele detenzione è stata recentemente approvata da 
un tribunale di secondo grado con il rifiuto di emettere un mandato di habeas 
corpus. 

I ricercatori o i diffusori attivi del revisionismo oggi non sono più che una 
manciata. Citiamo principalmente Walter Mùller, Ingrid Rimland, Germar Rudolf 
(coadiuvato in Russia dal suo amico J lirgen Graf), Michael Santomauro e 
Bradley Smith negli Stati Uniti, Heinz Koppe in Canada, Fredrick Toben in 
Australia, Carlo Mattogno in Italia, J ean Plantin in Francia, Vincent Reynouard 
in Belgio, Ahmed Rami e Serge Thion su Internet. 

Sul piano scientifico, il revisionismo ha riportato una vittoria totale. Non 
ha più alcun avversario. Gli Hilberg, i Vidal-Naquet, i Klarsfeld, i Berenbaum, le 
Deborah Lipstadt e uno J an van Pelt, che si accontenta di riprendere a suo 
conto le povere argomentazioni di un J ean-Claude Pressac, sono stati ridotti 
al nulla. I revisionisti non si vedono più opporre che dei film alla Spielberg, 
delle cerimonie alla Yad Vashem, dei musei ispirati a Disneyland, dei 
pellegrinaggi ad Auschwitz, del tamtam mediatico, del lavaggio del cervello a 
scuola e all'università e, infine, una propaganda di Stato che poggia sulla 
repressione legale. I nostri avversari si sono arresi a noi ma quasi nessuno lo 
sa, tanto i vinti, grazie alla loro potenza nei mass-media e alloro virtuosismo 
nel bluff, suonano la tromba o lo shofar come se avessero vinto la battaglia. 

I loro storici pretendevano che Hitler avesse condotto contro gli ebrei 
una politica di sterminio, in particolare con l'impiego di armi di distruzione di 
massa chiamate camere a gas d'esecuzione o furgoni a gas d'esecuzione. Essi 
ci assicuravano inoltre che, sul fronte dell'Est, gli Einsatzgruppen si erano 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

abbandonati a dei giganteschi massacri di ebrei. Insomma, se dovessimo 
creder loro, quasi tutta la comunità degli ebrei d'Europa era stata sterminata 
in questo modo. 

Un crimine così vasto avrebbe presupposto un ordine, un progetto, un 
piano, delle direttive generali, delle istruzioni circostanziate, un finanziamento, 
un controllo delle operazioni e delle spese, molteplici bilanci particolari o 
generali, la ricerca e la messa a punto di armi tali che l'umanità non aveva 
ancora conosciuto, non che il coinvolgimento di un gran numero di militari, di 
scienziati, d'ingegneri, di operai e d'impiegati. Una simile impresa, soprattutto 
se fosse stata condotta in gran [7] segreto, avrebbe richiesto un insieme di 
misure drastiche. Tutto ciò avrebbe lasciato numerose prove inconfutabili, sia 
materiali che documentali. All'inizio, gli storici ufficiali hanno avuto la 
sfacciataggine di affermare che tali prove esistevano davvero e «in 
abbondanza». Ma alla sfida di citare «una prova, una sola prova» a loro scelta, 
hanno battuto in ritirata e, sull'esempio di J .-C. Pressac, non hanno più 
invocato che l'esistenza d' «indizi» o «indizi di prove». Andando ancora più 
lontano nel loro movimento di ripiegamento, essi hanno inventato che il 
grande massacro si era prodotto senza un ordine, senza una direttiva, 
spontaneamente (come la "generazione spontanea", in qualche modo). Il più 
prestigioso di loro, Raul Hilberg, ritornando sulla sua affermazione originaria 
secondo la quale erano esistiti due ordini del Fùhrer di uccidere gli ebrei, 
giungeva a sostenere che in effetti tutto era avvenuto senza un ordine, senza 
un piano, grazie ad un «incredibile incontro di spiriti» {«an incredibile meeting 
of minds») in seno alla vasta burocrazia tedesca e attraverso una 
«trasmissione di pensiero consensuale» «a consensus mind reading») tra 
burocrati nazisti! 

Non è stato trovato un solo locale che potesse essere stato un'autentica 
camera a gas d'esecuzione. Neanche un furgone a gas d'esecuzione. Per il più 
grande crimine del mondo l'accusa non può fornire nessuna perizia dell'arma 
del crimine. Tra i referti d'autopsia, non ce n'è uno che attesti una morte per 
gas venefico. I pretesi testimoni di «gassazioni» che si è potuto sottoporre, 
davanti ad un tribunale, ad un preciso e pubblico contro-interrogatorio sono 
stati smascherati. Le camere a gas d'esecuzione presentate ai turisti si sono 
rivelate essere solo delle attrezzature sceniche alla Potemkin. I massacri 
imputati agli Einsatzgruppen non hanno lasciato alcun carnaio che si avvicini ai 
carnai del massacro di Katyn (4.255 cadaveri contati), un crimine appurato, 
quello, e i cui responsabili sono stati i nostri alleati sovietici. 

Al contrario, non mancano fatti che provino che il III Reich non ha mai 
avuto una politica di sterminio fisico degli ebrei. Persino sul fronte dell'Est, 
l'omicidio di un civile ebreo innocente era passibile di pesanti sanzioni, 
compresa la pena di morte. Le corti marziali tedesche non mancavano di 
punire i colpevoli di qualsiasi forma di eccesso nei confronti degli ebrei. Sono 
innumerevoli gli esempi delle misure prese persino nei campi per la protezione 

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degli ebrei contro gli eccessi inerenti a tutte le forme di detenzione nonché 
contro le stragi causate [8] dalle epidemie. I Tedeschi avevano l'ossessione 
del disordine, del contagio, della perdita di manodopera; persino ad 
Auschwitz, esistevano per i giovani ebrei dei centri di formazione a vari 
mestieri manuali. Milioni di ebrei, nonostante l'ecatombe che l'Europa ha 
conosciuto in guerra e nonostante l'apocalisse di una Germania polverizzata 
dai bombardamenti alleati, sono sopravvissuti alla guerra. Essi si dicono 
«sopravvissuti», «miracolati» e popolano ancora oggi associazioni assetate di 
riparazioni finanziarie. Ancora a cinquantanove anni dalla guerra, il loro 
numero è stato appena stimato a 687.900 (stima del demografo 
nuovayorkese J acob Ukeles, secondo un articolo di Amiram Barkat, U.S. Court 
to discuss question of who is a Holocaust survivor, "Haaretz", 18 aprile 
2004). Durante la guerra, dei responsabili ebrei tenevano discorsi allarmanti 
circa uno sterminio degli ebrei, ma il loro comportamento mostrava che essi 
non ci credevano veramente. I governanti alleati vedevano che avevano a che 
fare con «degli ebrei che cercavano di infiammarci gli animi». E poi, non sono 
mancati gli "ebrei bruni" dell" 'Internazionale ebraica della collaborazione". 
Sionisti e nazionalsocialisti condividevano fino ad un certo punto una 
concezione identica del mondo; da cui, nel 1941, l'offerta da parte del 
"Gruppo Stern" di una collaborazione militare con la Germania contro i 
Britannici. Ancora il 21 aprile 1945, un membro del Congresso mondiale 
ebraico, Norbert Masur, veniva ricevuto da Himmler per trattare della 
questione degli ebrei da consegnare agli Alleati. 

I Tedeschi hanno cercato di espellere gli ebrei dall'Europa, se possibile 
con l'accordo del resto del mondo. Essi hanno previsto una «soluzione finale 
territoriale della questione ebraica» «eine territoriale Endlòsung der 
J udenfrage») , secondo il memorandum interno del 21 agosto 1942 firmato 
da un certo Martin Luther, alto funzionario presso il ministero degli Affari 
esteri del Reich). 

II 6 marzo 2004 in Francia, nel corso della trasmissione televisiva di 
Thierry Ardisson "Tout le monde en parie" ("Tutti ne parlano" _ N.d.T.), si è 
sentito l'ammiraglio Philippe de Gaulle dichiarare a proposito degli ebrei: «/ 
Tedeschi hanno voluto, se non sterminarli, almeno cacciarli {dall'Europa}». Si è 
fatto silenzio su questa riflessione, che non mancava di giustezza. Si 
nasconde anche al grande pubblico che né Churchill, né Eden, né Roosevelt, 
né Truman, né Eisenhower, né de Gaulle, né Stalin hanno voluto menzionare le 
"camere a gas" o i "fur[9goni a gas". Hanno anche persistito nel tacere 
sull'argomento quelli di loro che, anni dopo la fine del conflitto, hanno redatto 
le loro memorie di guerra. Pio XII ha agito allo stesso modo, lui che pertanto 
era ancora più ostile a Hitler che a Stalin (v. Robert Faurisson, Le 
Rivisionnisme de Pie XII, 2003, 120 pp.). Le "armi di distruzione di massa" di 
Adolf Hitler, le sue pretese camere a gas e i suoi pretesi furgoni a gas 
d'esecuzione, non sono esistiti più delle "armi di distruzione di massa" di 

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Saddam Hussein. La menzogna e i bugiardi sono stati identici, vale a dire, nel 
1944, sotto l'egida di Franklin Roosevelt, il "War Refugee Board", lanciato da 
Henry Morgenthau J r., e, nel 2002, sotto l'egida di George Bush J r., l'"Office 
of Special Plans", lanciato da Paul Wolfowitz. 

Purtroppo, oggi, intossicati da propaganda olocaustica, gli spiriti non 
sono disposti a rimettere in discussione le loro credenze. La Shoah è 
diventata una superstizione religiosa che ispira riverenza o paura. Cosciente 
della propria fragilità come della precarietà dello Stato d'Israele, di cui essa è 
la spada e lo scudo, questa religione ha eretto dei temibili muri di difesa e 
reprime duramente coloro che cercano di tenerle testa. In passato, per essere 
un revisionista realmente attivo ci volevano coraggio e sacrifici; in futuro, per 
restare tale, ci vorrà l'eroismo di Antigone e una singolare abnegazione. 

ROBERT FAURISSON 
Maggio 2004 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

SCRITI REVISIONASTI 

Con questo titolo, Robert Faurisson* pubblica qui, in quattro volumi, 
un'opera di più di duemila pagine che raccoglie articoli, saggi, studi, recensioni 
e lettere che egli ha redatto in venticinque anni di battaglia per la storia. 
Alcuni di questi scritti sono già stati pubblicati, qua e là, nel corso degli anni; 
la maggior parte è circolata solo come samizdat oppure è totalmente inedita. 

L'opera esce in edizione privata, fuori commercio e senza indicazione di 
prezzo. Infatti, le leggi francesi sulla libertà di stampa (sic) e, in particolare, la 
legge Fabius-Gayssot, vietano la diffusione pubblica di scritti contrari a certe 
verità concernenti la storia della seconda guerra mondiale. 

Nonostante la repressione che si è abbattuta, in Francia e all'estero, sui 
revisionisti, Robert Faurisson ha persistito nel voler far sentire la sua voce 
nella più viva controversia storica del nostro tempo. 

* Robert Faurisson, nato nel 1929, agrégé des lettres, dottore in lettere e scienze umane, professore 
all'università di Lione-li, fu privato della sua cattedra nel 1990 per decisione ministeriale non motivata. 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

[11] 

IN MEMORIAM 

La consuetudine vorrebbe che in capo a questi Écrits révisionnistes io 
ringraziassi, senza distinzione, tutti coloro che mi sono venuti in aiuto nelle 
mie ricerche o nella realizzazione dell'opera. 

Contrariamente a questa consuetudine, mi asterrò dal nominare qui i vivi 
e non nominerò che i morti. 

In un periodo in cui designare un revisionista con il suo nome equivale in 
qualche modo a denunciarlo alla polizia del pensiero o alla muta dei media ed 
esporlo così al rischio di perquisizioni, sequestri, disoccupazione, ammende o 
prigione, si comprenderà che non posso, in coscienza, dedicare la presente 
opera a nessuno ne a nessuna di coloro che meriterebbero che io esprimessi 
loro pubblicamente, mentre sono vivi, la mia gratitudine o la mia ammirazione. 

Della coorte di morti che suggella il revisionismo io non ricorderò qui che 
qualche nome sotto la cui ispirazione io ho, per un quarto di secolo, vissuto 
l'avventura del revisionismo storico e a cui vorrei esprimere la mia 
riconoscenza postuma: Jean Norton Cru (per la prima guerra mondiale), Paul 
Rassinier, Maurice Bardèche, Louis-Ferdinand Celine, Albert Paraz, J ean Genet* 
e Franc;ois Duprat. A questi nomi aggiungerò, per la Francia, quelli di Jean 
Beaufret e di Michel de Boùard; per l'Austria, quello di Franz Scheidl; per la 
Germania, quel[14]lo di Hellmut Diwald e, per gli Stati Uniti, quello di James 
Morgan Read, il primo storico al mondo che si sia interrogato sulla realtà delle 
pretese camere a gas naziste, e questo già nel mese di maggio del 1945, e al 
contempo d'altronde - puro incontro di grandi spiriti - l'Inglese George Orwell. 

lo dedico anche queste pagine al Tedesco Reinhold Elstner che, a Monaco 
il 25 aprile 1995, si è immolato dandosi fuoco in segno di protesta contro il 
«Niagara di menzogne» riversato sul suo popolo; la polizia tedesca ha, in base 
a degli ordini, confiscato i mazzi di fiori deposti sul luogo del sacrificio e 
proceduto a fermare coloro che, con questo gesto di compassione, 
testimoniavano la propria sofferenza. 

A rischio di essere mal compreso da alcuni, dedico anche quest'opera a 
coloro, tra i vincitori macchiati di sangue della seconda guerra mondiale, che, 
come Churchill, Eisenhower o de Gaulle, hanno rifiutato, sia durante che dopo 
la battaglia, di avallare, non fosse che con una parola, l'atroce, grottesca, 

* Non se ne dispiacciano i mani di J ean-Paul Sartre, J ean Genet non credeva al genocidio degli ebrei; egli vi 
vedeva additittura un'impostura. Per lui, «il popolo ebraico (...) ha fatto credere al genocidio» e lo Stato 
d'Israele ha il comportamento di un «demente tra le nazioni» (Quatre heures à Chatila; i brani censurati da 
"La Revue d'études palestiniennes" si ritrovano in L'Ennemi déclaré, Gallimard, Parigi 1991, p. 408, n. 30). 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

insolente impostura del preteso genocidio degli ebrei e delle pretese camere a 
gas naziste. 

Auspico infine che la presente opera possa iscriversi nel segno di una 
memoria, non selettiva e tribale, bensì universale, senza esclusiva alcuna: in 
memoriam omnium. Possa essa leggersi anche come un omaggio alle vere 
sofferenze di tutte le vittime della guerra 1939-1945, siano queste vittime 
appartenute al campo dei vincitori, che sono incensati, o a quello dei vinti, 
che non si smette, da quasi mezzo secolo, di umiliare ed offendere. 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

[15] 

INTRODUZIONE A 
ÉCRITS RÉVISIONNISTES (1974-1998) 

Non è un revisionista che lo afferma bensì un antirevisionista: 

«Negatore dell'Olocausto», «revisionista», «negazionista», tutti sanno 
che cosa significano tali rimproveri. L'esclusione dall'umanità civile. 
Se qualcuno è in preda a tali sospetti è annientato. La sua vita di 
cittadino è distrutta, la sua reputazione scientifica rovinata. 

E aggiunge: 

Bisognerà dibattere dello stato dell'opinione pubblica in un paese in 
cui basta brandire la temibile accusa di negazionismo di Auschwitz 
{parola per parola: di colpirla con la mazza della menzogna di 
Auschwitz} per distruggere moralmente, nello spazio di un secondo, 
uno studioso famoso 1 . 

CONTRO LA LEGGE 

La presente opera non può essere diffusa. La sua edizione è privata e 
fuori commercio. Il suo contenuto infrange la legge. In Francia, è vietato 
contestare la Shoah. 

[16] 

Con l'applicazione di una legge del 13 luglio 1990 "sulla libertà di 
stampa", la Shoah, nelle sue tre ipostasi - il preteso genocidio degli ebrei, le 
pretese camere a gas naziste e i pretesi sei milioni di vittime ebree della 
seconda guerra mondiale - è diventata incontestabile pena la prigione da un 
mese ad un anno, un'ammenda da 2.000 F a 300.000 F*, il versamento del 
risarcimento danni e relativi interessi il cui ammontare può essere 
considerevole e pena altre sanzioni ancora. Più precisamente, questa legge 
vieta di contestare l'esistenza di uno o più «crimini contro l'umanità» come 
definiti nel 1945 e puniti nel 1946 dai giudici del Tribunale militare 
internazionale di Norimberga, tribunale istituito esclusivamente da vincitori 
per giudicare esclusivamente un vinto. 

Certo, rimangono autorizzati dibattiti e controversie sulla Shoah che è 
chiamata anche "Olocausto" - ma nel quadro tracciato dal dogma ufficiale. 

1 Queste parole sono di Karl Schlògel, nell'assumere la difesa di Gabor Tamas Rittersporn accusato da 
Maxime Leo (H olocau st-Leu gn er im Berliner Centre Marc Bloch, "Berliner Zeitung", 12 febbraio 1998) di 
aver dato il suo sostegno alla libertà d'espressione di Robert Faurisson nel 1980 (Eine J agdpartie. Wie man 
einen Wissenschaftler ruiniert, "Frankfurter Allgemeine Zeitung", 18 febbraio 1998, p. 42). 
" Da 300 a 20.000 euri {N.d.T.} 

10 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

Controversie o dibattiti che porterebbero a rimettere in discussione tutta o 
parte della Shoah o semplicemente a revocarla in dubbio sono vietati. 
Ripetiamo: al riguardo, persino il dubbio è proscritto, e punito. 
L'idea di una tale legge, d'ispirazione israeliana 2 , era stata formulata, in 
Francia, per la prima volta nel 1986 da un certo numero di storici d'origine 
ebraica tra i quali Pierre Vidal-Naquet, Georges Wellers e Francois Bedarida, 
riuniti attorno al rabbino capo René-Samuel Sirat 3 . Nello stesso periodo, una 
violazione di tombe nel cimitero ebraico di Carpentras diede luogo ad uno 
sfruttamento mediatico che paralizzò, nei deputati e nei senatori 
dell'opposizione, ogni velleità di resistenza effettiva al voto di questa legge. 
Nella città di Parigi, bandiere israeliane al vento, circa 200.000 manifestanti 
protestarono contro «il risorgere della bestia immonda». Il campanone di 
Notre-Dame fece sentire la sua voce come per un evento particolarmente 
tragico o significativo della storia di Francia. Una volta pubblicata la legge sul 
"Journal officiel de la République frangaise" (con nomina, lo stesso giorno, di 
P. Vidal-Naquet all'ordine della Legione d'onore), lo scandalo di Carpentras 
non fu più evocato se non di tanto in tanto, come promemoria. Non restò 
allora che la legge "Fabius-Gayssot". 

A seguito delle pressioni di organizzazioni ebraiche nazionali ed 
internazionali, altri paesi adottarono a loro volta, su modello israeliano [17] e 
francese, delle leggi che vietavano ogni contestazione della Shoah. Fu il caso 
della Germania, dell'Austria, del Belgio, della Svizzera, della Spagna e della 
Lituania. Altri paesi, ancora, del mondo occidentale hanno promesso alle 
organizzazioni ebraiche di fare altrettanto, in particolare la Gran Bretagna e il 
Canada. Ma, in realtà, una tale legge, di carattere specifico, non è 
indispensabile per la caccia al revisionismo storico. In Francia, come in altri 
paesi, c'è stato, e a volte resta, l'uso di perseguire i contestatori della Shoah 
con l'applicazione di altre leggi, per esempio quelle che reprimono, secondo il 
caso, il razzismo o l'antisemitismo, la diffamazione di persone vive, l'oltraggio 
alla memoria dei morti, l'apologia di crimine, la propagazione di notizie false e 
fonte d'indennità pecuniarie per i querelanti - il danno ad altrui. 

In Francia, poliziotti e giudici assicurano con rigore la protezione così 
accordata ad una versione ufficiale della storia della seconda guerra mondiale. 
Secondo questa versione rabbinica, l'evento maggiore del conflitto sarebbe 

2 «Nel luglio 19{6}, la Knesset votò una legge che vietava la negazione del Genocidio: "La diffusione, scritta 
o orale, di opere che negano gli atti commessi durante il periodo del regime nazista - crimini contro il 
popolo ebraico, crimini contro l'umanità nonché i discorsi che minimizzano l'importanza di questi atti allo 
scopo di difendere coloro che li hanno perpetrati, e il sostegno o l'identificazione con i colpevoli sono 
passibili di pena detentiva di cinque anni". Fu respinta una proposta di elevare la pena a dieci anni di 
detenzione. Così lo sterminio degli Ebrei non costituiva più un argomento di ricerca storica; quest'evento 
era stato, in qualche modo, stralciato dalla Storia stessa, ed era diventato un dogma nazionale, protetto 
dalla legge, che godeva di uno stato giuridico simile a quello del credo religioso, persino più elevato: la 
massima pena quanto a "grossolanità" nei confronti della sensibilità o della tradizione religiosa - compresa 
probabilmente la negazione dell'esistenza di Dio - è di un anno di carcere» (Tom Segev, Le Septième Million. 
Les Israéliens et le Génocide, Liana Levi, 1993 {uscito nel 1991 in Israele}, p. 535). 

3 "Bui letin quotidien d'inf ormati ons de l'Agence télégraphique juive", 2 giugno 1986, pp. 1, 3. 

il 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

stato la Shoah, altrimenti detto uno sterminio fisico o un tentativo di 
sterminio fisico degli ebrei che i Tedeschi avrebbero perpetrato dal 1941- 
1942 al 1944-1945 (non disponendo di nessun documento - e non senza 
ragione, poiché si tratta di fantasia - gli storici ufficiali non propongono altro 
che delle date tanto divergenti quanto approssimative). 

CARATTERISTICA PARTICOLARE DELLA PRESENTE OPERA: UNA 

CRONACA REVISIONISTA 

Dal 1974 ad oggi, ho dovuto condurre così tante battaglie giudiziarie da 
non aver trovato il tempo di redigere la relazione dimostrativa che ci si 
poteva attendere da un universitario che, per lunghi anni, abbia dedicato le 
proprie ricerche ad un solo ed unico punto della storia della seconda guerra 
mondiale: I" 'Olocausto" o la Shoah. 

Anno dopo anno, una valanga di processi, dalle più gravi conseguenze, è 
venuta a contrastare tutti i miei progetti di pubblicazione di una tale opera. 
Oltre ai miei processi personali, ho dovuto dedicare una [18] buona parte del 
mio tempo alla difesa, dinanzi ai rispettivi tribunali, di revisionisti francesi e 
stranieri. Ancora oggi, nel momento in cui redigo quest'introduzione, mi 
attendono personalmente due processi (uno in Olanda e l'altro in Francia) 
mentre devo intervenire in maniera diretta o indiretta nei processi di 
revisionisti che vivono rispettivamente in Svizzera, Canada ed Australia. Per 
mancanza di tempo ho dovuto rifiutare il mio aiuto ad altri revisionisti, in 
particolare a due revisionisti giapponesi. 

In tutto il mondo, la tattica dei nostri avversari è la stessa: appellarsi ai 
tribunali per paralizzare i lavori di ricerca dei revisionisti, qualora non si riesca 
ad ottenere la condanna di questi ultimi sia al carcere, sia al versamento 
d'ammende o di risarcimenti danni e relativi interessi. Per il condannato, il 
carcere comporterà l'interruzione d'ogni attività revisionista, mentre il 
versamento di ammende o di risarcimenti danni e relativi interessi significherà 
per lui la ricerca febbrile del denaro, una ricerca stimolata dalle minacce 
dell'ufficiale giudiziario, le "ordinanze di sequestro", gli "avvisi a terzi 
detentori" e il blocco del conto bancario. Solo da questo punto di vista, la mia 
vita, in quest'ultimo quarto di secolo, sarà stata difficile; tale rimane e, con 
ogni probabilità, tale resterà. 

A ciò aggiungiamo, per aggravare la situazione, che la mia concezione 
della ricerca non è mai stata quella dell'universitario o dello storico "delle 
carte". Ritengo indispensabile recarmi sul posto: sia il sito dell'indagine 
materiale, sia il terreno su cui si schiera l'avversario, lo non posso parlare di 
Dachau, di Majdanek, di Auschwitz o di Treblinka senza recarmi sul posto per 
interrogarvi i luoghi e le persone, lo non posso sentir parlare di un'azione 
antirevisionista (manifestazione, conferenza, simposio, processo) senza 
recarmici di persona o senza delegarvi un osservatore da me preparato alla 

12 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

missione; il che non è senza rischio ma permette di ottenere delle 
informazioni da fonte appropriata, lo suscito innumerevoli lettere o interventi. 
Mi porto in tutte le feritoie. Per fare solo un esempio, io credo di poter dire 
che, se l'impressionante conferenza internazionale dell" 'Olocausto" 
organizzata a Oxford nel 1988 dal miliardario Robert Maxwell (detto "Bob il 
bugiardo") è, per ammissione del suo stesso istigatore 4 , pietosamente andata 
a monte, è grazie ad un'operazione che io ho personalmente condotto sul 
posto con l'ausilio di una revisionista francese che non man[19]cava di 
coraggio, né d'audacia, né d'ingegnosità: la sua azione, da sola, sarà 
certamente valsa più di parecchi libri. Ma i facitori di libri a tutto spiano 
comprenderanno forse che cosa sto dicendo qui? 

Ai giorni ed alle ore così passati nella preparazione dei processi o in 
quelle molteplici azioni tempestive, si aggiungeranno le ore e i giorni perduti 
negli ospedali a rimettersi sia dagli effetti di un'estenuante battaglia, sia dalle 
conseguenze d'aggressioni fisiche condotte da milizie ebraiche (in Francia, le 
milizie armate sono rigorosamente vietate salvo che per la comunità ebraica). 

Infine, ho dovuto ispirare, dirigere o coordinare, in Francia o all'estero, 
molteplici azioni o lavori di carattere revisionista, sostenere le energie 
vacillanti, assicurare un cambio, rispondere alle chiamate, mettere in guardia 
contro le provocazioni, gli errori, le derive, e soprattutto lottare contro le 
compiacenze perché, in certi revisionisti, grande è la tentazione, in una simile 
battaglia, di cercare un compromesso con l'avversario e, a volte persino, di 
ritrattare. Purtroppo non mancano esempi in cui dei revisionisti, per farla 
finita, sono sprofondati nel pubblico pentimento, lo non scaglio loro la pietra. 
So per esperienza che lo scoraggiamento è in agguato per ognuno di noi 
perché la lotta è impari: i nostri mezzi sono irrisori e quelli dei nostri avversari, 
immensi. 

Poiché necessità fa legge, la presente opera si riduce dunque ad una 
scelta di note, di articoli, di saggi, di prefazioni, d'interviste, di recensioni che 
ho redatto dal 1974 al 1998 e che sono qui presentati in ordine cronologico 
di composizione o di pubblicazione. Il lettore ne trarrà forse l'impressione di 
un insieme disparato, punteggiato di molte ripetizioni, lo sollecito la sua 
indulgenza. Per lo meno proprio questa diversità gli permetterà di seguire 
giorno dopo giorno l'avventura revisionista nelle sue vicissitudini. Quanto alle 
ripetizioni, accade che me ne consoli pensando che, tutto sommato, non mi 
sono ancora ripetuto abbastanza, poiché persistono oggi tanti fraintendimenti 
sull'esatta natura del revisionismo storico. 

[20] 

s V. Robert Maxwell, J 'accuse {in francese nel testo}, "Sunday Mirror", 17 luglio 1988, p. 2. 

13 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

IL REVISIONISMO STORICO 

Il revisionismo storico è una questione di metodo e non un'ideologia. 

Esso preconizza, per ogni ricerca, il ritorno al punto di partenza, l'esame 
seguito dal riesame, la rilettura e la riscrittura, la valutazione seguita da una 
nuova valutazione, il nuovo orientamento, la revisione, il rifacimento; esso è, 
nello spirito, il contrario dell'ideologia. Esso non nega ma mira ad affermare 
con maggiore esattezza. I revisionisti non sono dei "negatori" o dei 
"negazionisti"; essi si sforzano di cercare e di trovare là dove, pare, non c'era 
più niente da cercare ne da trovare. 

Il revisionismo può esercitarsi in cento attività della vita d'ogni giorno e 
in cento campi della ricerca storica, scientifica o letteraria. Esso non rimette 
per forza in discussione delle idee acquisite, ma spesso induce a sfumarle. 
Esso cerca di districare il vero dal falso. La storia è, per essenza, revisionista; 
l'ideologia le è nemica. Siccome l'ideologia non è mai così forte come in 
tempo di guerra o di conflitto, e siccome essa produce allora falsità a iosa per 
le necessità della propria propaganda, lo storico sarà, in tale circostanza, 
indotto a raddoppiare la vigilanza: passando al vaglio dell'esame ciò che è 
stato possibile rifilargli come "verità", egli si accorgerà probabilmente che, là 
dove una guerra ha provocato decine di milioni di vittime, la prima di queste 
sarà stata la verità verificabile: una verità che si tratterà di cercare e di 
ristabilire. La storia ufficiale della seconda guerra mondiale contiene un po' di 
vero combinato con molte falsità. 

LA STORIA UFFICIALE: 

UN PO' DI VERO COMBINATO CON MOLTE FALSITÀ. 

I SUOI ARRETRAMENTI SUCCESSIVI 

DI FRONTE ALLE AVANZATE DEL REVISIONISMO STORICO 

È esatto dire che la Germania nazionalsocialista ha creato dei campi di 
concentramento; essa lo ha fatto dopo - e contemporaneamente a - molti 
altri paesi, tutti convinti che questi campi sarebbero stati più [21] umani della 
prigione; Hitler vedeva in questi campi ciò che Napoleone III aveva creduto di 
vedere nella creazione delle colonie penitenziarie: un progresso per l'uomo. Ma 
è falso che la Germania abbia mai creato dei «campi di sterminio» (espressione 
coniata dagli Alleati). 

È esatto dire che i Tedeschi hanno fabbricato dei furgoni funzionanti a 
gas ( Gaswagerì) . Ma è falso che essi abbiano mai fabbricato dei furgoni a gas 
omicidi (se uno solo di questi furgoni fosse esistito, esso si troverebbe al 
Museo dell'automobile o nei musei dell" 'Olocausto", se non altro sotto forma 
di bozzetto di valore scientifico). 

È esatto dire che i Tedeschi usavano lo Zyklon (prodotto a base d'acido 
cianidrico utilizzato sin dal 1922) per proteggere con la disinfestazione dagli 
insetti la salute dei civili, delle truppe, dei prigionieri o degli internati. Ma essi 

14 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

non hanno mai impiegato lo Zyklon per uccidere chicchessia e soprattutto non 
schiere d'esseri umani; date le drastiche precauzioni d'uso del gas cianidrico, 
le pretese gassazioni omicide di Auschwitz o di altri campi sarebbero state, 
d'altronde, radicalmente impossibili; io mi dilungo molto su questo punto nel 
corpo della presente opera. 

È esatto dire che i Tedeschi concepivano una «soluzione finale della 
questione ebraica» {Endlòsung der J udenfrage) . Ma questa soluzione era 
territoriale {territoriale Endlòsung der J udenfrage) e non omicida; si trattava 
di spingere o, se necessario, di forzare gli ebrei a lasciare la Germania e la sua 
sfera d'influenza in Europa per stabilire, in accordo con i sionisti, un focolare 
nazionale ebraico, nel Madagascar o altrove. Molti sionisti hanno collaborato 
con la Germania nazionalsocialista per questa soluzione. 

È esatto dire che dei Tedeschi si sono riuniti, il 20 gennaio 1942, in una 
villa in una zona periferica di Berlino ( Berlin- Wannsee) per trattare della 
questione ebraica. Ma essi vi hanno progettato l'emigrazione forzata o la 
deportazione degli ebrei nonché la futura creazione di una specifica entità 
ebraica e non un programma di sterminio fisico. 

È esatto dire che dei campi di concentramento possedevano dei forni 
crematori per la cremazione dei cadaveri. Ma era per meglio combattere le 
epidemie e non per bruciarvi, come si è osato talvolta affermare, degli esseri 
viventi oltre ai cadaveri 5 . 

È esatto dire che gli ebrei hanno conosciuto le sofferenze della guerra, 
dell'internamento, della deportazione, dei campi di detenzione, dei [22] campi 
di concentramento, dei campi di lavori forzati, dei ghetti, delle epidemie, delle 
esecuzioni sommarie per ogni sorta di ragione; essi hanno anche subito 
rappresaglie o addirittura massacri, perché non c'è guerra senza massacri. Ma 
è altrettanto vero che tutte queste sofferenze sono toccate anche a molte 
altre nazioni o comunità durante la guerra e, in particolare, ai Tedeschi e ai 
loro alleati (lasciando da parte le sofferenze dei ghetti, perché il ghetto è in 
primo luogo e prima di tutto una creazione specifica degli ebrei stessi 6 ); è 
soprattutto verosimile, per chi non è affetto da memoria emiplegica e per chi 
si sforza di conoscere le due facce della storia della seconda guerra mondiale 
(la faccia sempre mostrata e la faccia quasi sempre nascosta), che le 
sofferenze dei vinti durante la guerra e dopo la guerra sono state, per numero 
e qualità, peggiori di quelle degli ebrei e dei vincitori, soprattutto per quanto 
riguarda le deportazioni. 

È falso che, come si è osato per molto tempo pretendere, sia esistito un 
ordine qualunque di Hitler o di uno dei suoi stretti collaboratori di sterminare 
gli ebrei. Durante la guerra, dei soldati e degli ufficiali tedeschi sono stati 

5 I «bambini ebrei {erano} gettati vivi nei crematori» (Pierre Weil, direttore della SOFRES, {omologo francese 
del CENSIS - N.d.T.}, « L'anni versai re impossible », Le Nouvei Observateur, 9 febbraio 1995, p. 53). 

6 «5 d'altronde interessante {...} sottolineare che il ghetto è storicamente un'invenzione ebraica» (Nahum 
Goldmann, Le Paradoxe juif, Stock, Parigi 1976, pp. 83-84); v. anche Pierre-Andre Taguieff, L'identité juive 
et ses fantasmes, "L'Express", 20-26 gennaio 1989, p. 65. 

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Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

condannati dalle proprie corti marziali, e a volte fucilati, per aver ucciso degli 
ebrei. 

È un bene che gli sterminazionisti (cioè coloro che credono allo sterminio 
degli ebrei) abbiano finito, stufi di lottare, col riconoscere che non si trova 
traccia di alcun piano, di alcuna istruzione, di alcun documento relativo ad una 
politica di sterminio fisico degli ebrei e che, allo stesso modo, essi abbiano 
infine ammesso che non si trova traccia di alcun bilancio stanziato per una 
simile impresa né di un qualche organismo incaricato di portare a buon fine 
una tale politica. 

È un bene che gli sterminazionisti abbiano infine concesso ai revisionisti 
che i giudici del processo di Norimberga (1945-1946) hanno accettato come 
veri dei fatti di pura invenzione, come la storia del sapone fabbricato con il 
grasso degli ebrei, la storia dei paralumi fatti di pelle umana, quella delle 
«teste rimpicciolite», la storia delle gassazioni omicide di Dachau; e 
soprattutto è un bene che gli sterminazionisti abbiano infine riconosciuto che 
l'elemento più spettacolare, più terrificante, più significativo di questo 
processo, cioè l'udienza del 15 aprile 1946, nel corso della quale si è visto e 
sentito un ex-comandante del campo di Auschwitz (Rudolf Hoss) confessare 
pubblicamente che, nel suo campo, erano stati gassati milioni di ebrei, non era 
che il risultato [23] di torture inflitte a quest'ultimo. Questa confessione, 
presentata per tanti anni e in tante opere storiche come la "prova" n. I del 
genocidio degli ebrei, è ora relegata nell'oblio, per lo meno dagli storici. 

È una fortuna che degli storici sterminazionisti abbiano infine 
riconosciuto che la famosa testimonianza delI'SS Kurt Gerstein, elemento 
essenziale della loro tesi, è priva di valore; è odioso che l'Università francese 
abbia ritirato al revisionista Henri Roques il suo titolo di dottore per averlo 
dimostrato nel 1985. 

È penoso che Raul Hilberg, il papa dello sterminazionismo, abbia osato 
scrivere, nel 1961, nella prima edizione di The Destruction of the European 
Jews, che erano esistiti due ordini di Hitler di sterminare gli ebrei, per poi 
dichiarare, a partire dal 1983, che questo sterminio si era compiuto da solo, 
senza alcun ordine né piano ma attraverso un «incredibile incontro degli 
spiriti, una trasmissione di pensiero consensuale» in seno alla vasta burocrazia 
tedesca. R Hilberg ha così sostituito l'asserzione gratuita con la spiegazione 
magica (la telepatia). 

È un bene che gli sterminazionisti abbiano infine, in pratica, quasi 
abbandonato l'accusa, corredata da "testimonianze", secondo la quale 
esistevano delle camere a gas omicide a Ravensbrùck, ad Oranienburg- 
Sachsenhausen, a Mauthausen, a Hartheim, nel campo di Struthof-Natzweiler, 
in quello di Stutthof-Danzica, a Bergen-Belsen... 

È un bene che la camera a gas nazista più visitata al mondo - quella di 
Auschwitz-I - sia stata infine riconosciuta, nel 1995, per ciò che era, cioè un 
montaggio. È una fortuna che sia stato infine ammesso che «LA TUTTO È 

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Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

FALSO» e, personalmente, mi rallegro del fatto che uno storico appartenente 
all' establishment abbia potuto scrivere: «Alla fine degli anni '70, Robert 
Faurisson sfruttò tanto meglio queste falsificazioni in quanto i responsabili del 
museo erano allora restii a riconoscerle» 7 . lo me ne rallegro tanto più in 
quanto in fondo la giustizia francese mi aveva, in modo iniquo, condannato 
per averlo detto. 

È un bene che, nello stesso articolo, lo stesso storico abbia rivelato che 
un luminare del mondo ebraico come Theo Klein non vede in questa «camera 
a gas» altro che un «artificio». 

È altresì un bene che, nello stesso articolo, lo stesso storico abbia 
rivelato dapprima che le autorità del Museo di Auschwitz sono consapevoli di 
aver ingannato milioni di visitatori (500.000 all'anno all'inizio degli anni '90), 
poi che esse continueranno nondimeno in futuro ad [24] ingannare i visitatori 
perché, secondo la vicedirettrice del museo: «{Dire la verità su questa 
"camera a gas"} è troppo complicato. Vedremo più avanti»? 

È una fortuna che nel 1996 due storici d'origine ebraica, il Canadese 
Robert J an van Pelt e l'Americana Deborah Dwork, abbiano, finalmente, 
denunciato alcuni degli enormi imbrogli del campo-museo di Auschwitz e il 
cinismo con cui s'ingannano i visitatori 9 . 

È, invece, inammissibile che l' UNESCO (United Nations Educational, 
Scientific and Cultural Organization) mantenga dal 1979 il patrocinio su un 
sito come quello di Auschwitz il cui centro racchiude, in questa falsa «camera 
a gas» (senza contare altre enormi falsificazioni), un'impostuta ora appurata; 
l'UNESCO (organizzazione che ha sede a Parigi e che è diretta da Federico 
Mayor) non ha il diritto di utilizzare i contributi dei paesi aderenti per farsi 
garante di un grande imbroglio talmente contrario ali" 'istruzione", alla 
"scienza" e alla "cultura". 

È una fortuna che J ean-Claude Pressac, dopo essere stato portato alle 
stelle, sia caduto nel discredito. Portato alla ribalta dalla coppia Klarsfeld, 
questo farmacista ha ritenuto intelligente cercare una posizione intermedia 
tra coloro che credono alle camere a gas e coloro che non ci credono. Per lui, 

7 Eric Conan, Auschwitz: la mémoire du mal, "L'Express", 19-25 gennaio 1995, p.68. 

8 Ibid. Nel 1992, cioè molto tempo dopo la "fine degli anni '70", un giovane revisionista californiano 
d'origine ebraica, David Cole, si presenterà come scopritore delle falsificazioni della "camera a gas" di 
Auschwitz-I. In un video mediocre, egli mostrerà, da una parte, la versione delle guide del museo (questa 
camera a gas è autentica) e, dall'altra, la versione di un responsabile del museo, Franciszek Piper (questa 
camera a gas è very similar {molto simile} all'originale). Fino a qui niente di nuovo. Il guaio è che D. Cole ed 

i suoi amici hanno poi di gran lunga esagerato - per non dire di più - quando sono arrivati a pretendere che 
F. Piper aveva riconosciuto che c'era stata «frode». Effettivamente, c'era stata frode, ma purtroppo D. Cole 
non aveva saputo dimostrarlo perché mal conosceva il dossier revisionista. Egli avrebbe potuto confondere 
definitivamente F. Piper mostrandogli, con la videocamera, le mappe originali, che io avevo scoperto nel 
1975/ 1976 e pubblicato "alla fine degli anni '70". Si vede molto bene che l'attuale pretesa "camera a gas" è 
la risultante di un certo numero di truccature del luogo alle quali si è proceduto dopo la guerra. Per 
esempio, i quattro pretesi «orifizi di scarico dello Zyklon B» praticati nel soffitto sono stati praticati - in 
modo molto grossolano e maldestro - dopo la guerra: i ferri per il cemento sono stati spezzati dai comunisti 
polacchi e lasciati così come stavano. 

5 R. J . van Pelt e D. Dwork, Auschwitz, 1270 to the Present, Yale University Press, Londra 1996, pp. 363-364, 
367, 369. 

17 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

in qualche modo, la donna da esaminare non era né incinta né non incinta ma 
a metà incinta e addirittura, con il passare del tempo, sempre meno gravida. 
Autore di scritti che si presumeva vertessero sulle camere a gas naziste ma 
nei quali non si riusciva a trovare ne una fotografia d'insieme, né un disegno 
d'insieme di uno solo di questi mattatoi chimici, il penoso pasticcione doveva 
dare la dimostrazione, il 9 maggio 1995, presso la XVII sezione del tribunale 
penale di Parigi, della sua totale incapacità di rispondere alle domande della 
presidente del tribunale su quello che avrebbe ben potuto essere uno di 
questi mattatoi. Tre anni dopo, egli è ridotto a scrivere: «Così, a dire di ex- 
membri del Sonderkommando, si desume con grande certezza che sia stato 
girato un film sulle gassazioni omicide dalle SS a Birkenau. Perché esso non 
sarebbe stato ritrovato per caso nel solaio o nella cantina di un ex- 
appartenente alle SS?» 10 . 

È una fortuna che i resti della «camera a gas», appartenente al 
Krematorium II di Birkenau (Auschwitz-li), possano soprattutto servire a 
dimostrare "in vivo" e "de visu" che non c'è mai stato "Olocausto", né in 
questo campo né altrove. Infatti, stando agli inter[25]rogatori di un imputato 
tedesco e secondo delle fotografie aeree "ritoccate" dagli Alleati, il tetto di 
questa camera a gas avrebbe posseduto quattro aperture speciali (di 25 cm x 
25 cm, si precisava) per versare lo Zyklon. Ora, tutti possono costatare sul 
posto che nessuna di queste aperture esiste né è mai esistita. Essendo 
Auschwitz la capitale dell" 'Olocausto" ed essendo questo crematorio in 
rovina al centro dello sterminio degli ebrei ad Auschwitz, io ho potuto dire nel 
1994 - e la formula sembra aver fatto strada nelle menti: «No holes, no 
"Holocaust"» (Niente orifizi, niente "Olocausto"). 

È altresì una fortuna che sia stata così finalmente invalidata una pletora 
di "testimonianze" secondo le quali quelle gassazioni erano esistite ed è, allo 
stesso tempo, estremamente deplorevole che tanti Tedeschi, giudicati dai 
loro vincitori, siano stati condannati ed a volte addirittura giustiziati per dei 
crimini che essi non avevano potuto commettere. 

È un bene che alla luce di processi che assomigliano a delle farse 
giudiziarie gli sterminazionisti stessi emettano dei dubbi sulla validità di molte 
testimonianze; queste testimonianze apparirebbero ancora più chiaramente 
errate se ci si prendesse finalmente la briga di ordinare delle perizie giudiziarie 
della presunta arma del presunto crimine, poiché, in occasione di mille 
processi riguardanti Auschwitz o altri campi, nessun tribunale ha ordinato una 
tale perizia (con la sola eccezione, assai poco nota, del campo di Struthof- 
Natzweiler, i cui risultati sono stati tenuti nascosti fino a quando io li ho 
rivelati). Si sapeva bene pertanto che testimonianze o confessioni devono 
essere circostanziate e verificate e che, mancando queste due condizioni, 
esse sono prive di valore probatorio. 

10 J .-C. Pressac, Enquète sur les chambres à gaz, Auschwitz, la Solution finale, collezioni de "L'Histoire", n. 3, 
Parigi, ottobre 1998, p. 41. 

18 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

È una fortuna che la storia ufficiale abbia riveduto per difetto spesso in 
proporzioni considerevoli - il supposto numero delle vittime. Ci sono voluti più 
di quarantanni di pressioni revisioniste perché le autorità ebraiche e quelle del 
Museo di Auschwitz ritirassero le diciannove targhe che, in diciannove lingue 
diverse, annunciavano che il numero delle vittime del campo ammontava a 
quattro milioni. Ci sono poi voluti cinque anni di dispute interne perché ci si 
accordasse sulla nuova cifra di un milione mezzo, cifra che, in seguito, a sua 
volta, è stata ben presto contestata da autori sterminazionisti: J .-C. Pressac, 
il protetto di S. Klarsfeld, non propone più, per parte sua, se non la cifra di 
600.000-800.000 vittime ebree e non ebree per tutto il perio[26]do in cui è 
esistito il complesso di Auschwitz. È un peccato che questa ricerca della vera 
cifra non prosegua per raggiungere la cifra probabile di 150.000 persone, 
vittime, principalmente, di epidemie in quasi quaranta campi del complesso di 
Auschwitz. È deplorevole che, nelle scuole di Francia, si continui a proiettare 
Nuit et Brouillard dove il numero dei morti di Auschwitz è fissato a nove 
milioni; inoltre, in questo film si perpetua il mito del «sapone fabbricato con I 
corpi», quello dei paralumi di pelle umana e quello delle tracce di unghie delle 
vittime nel cemento delle camere a gas; s'intende dire che «niente 
distingueva la camera a gas da un normale blocco di edifici» 1 . 

È un bene che nel 1988 Arno Mayer, professore d'origine ebraica, 
docente all'università di Princeton, abbia all'improvviso scritto: «Le fonti per 
lo studio delle camere a gas sono allo stesso tempo rare e dubbie»; ma 
perché aver affermato per così tanto tempo che le fonti erano innumerevoli e 
degne di fede, e perché aver vilipeso i revisionisti che scrivevano già nel 1950 
ciò che Arno Mayer scopriva nel 1988? 

È soprattutto un bene che nel 1996 uno storico, J acques Baynac, che 
aveva fatto una sua specialità, anche sul giornale "Le Monde", di trattare i 
revisionisti da falsari, abbia infine riconosciuto che non c'è, in definitiva, 
nessuna prova dell'esistenza delle camere a gas. È, precisa, «difficile da dire 
così come da sentire» 11 . Forse, in certe circostanze, la verità è, per alcuni, 
«difficile da dire così come da sentire» ma, per i revisionisti, la verità è 
piacevole a dirsi così come a sentirsi. 

È infine una fortuna che gli sterminazionisti si siano permessi di intaccare 
il terzo ed ultimo elemento della trinità della Shoah: la cifra di sei milioni di 
morti ebrei. Sembra che questa cifra sia stata portata alla ribalta, per la prima 
volta 12 , circa un anno prima della fine della guerra in Europa, dal rabbino 

11 J acques Baynac su "Le Nouveau Quotidien" (Losanna), 2 settembre 1996, p. 16, e 3 settembre 1996, p. 14; 
v. prima di quella data J . Baynac e Nadine Fresco, Comment s'en débarrasser?, "Le Monde", 18 giugno 1987, 
p. 2. 

12 A volte si è sostenuto che la cifra di sei milioni trovava origine in un articolo di giornale del... 1919: 
Martin H. Glynn, The Crucifixion ofjews Must Stop! Detto M. H. Glynn lanciava una richiesta di fondi in 
favore di sei milioni di ebrei europei che, diceva, erano affamati e perseguitati e vivevano così un 
«olocausto», una «crocifissione». La parola "olocausto" nella sua accezione di "disastro" è attestata in inglese 
nel XVII secolo; qui, nel 1919, designava le conseguenze di una carestia descritta come un minaccioso 
disastro. Nel 1894, Bernard Lazare applicava la parola ai massacri degli ebrei: «... di tanto in tanto, re, nobili 
o borghesi offrivano ai loro schiavi un olocausto di ebrei {...} si offrivano degli ebrei in olocausto» 

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Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

Michael Dov Weissmandel (1903-1956); insediato in Slovacchia, questo 
rabbino è stato l'artefice principale della menzogna di Auschwitz a partire 
dalle pretese testimonianze di Slovacchi come Rudolf Vrba e Alfred Wetzler; 
egli organizzava delle intense "campagne d'informazione" in direzione degli 
Alleati, della Svizzera e del Vaticano. In una lettera del 31 maggio 1944 (la 
guerra con la Germania è finita 18 maggio 1945), egli non esitava a scrivere: 
«Fino ad oggi, sei volte un milione di ebrei d'Europa e di Russia sono stati 
distrutti» 13 . 

Anche molto tempo prima della fine della guerra, si trova questa cifra di 
sei milioni presso l'ebreo sovietico llya Ehrenburg (1891-1967) [27] che fu 
forse il più astioso propagandista della seconda guerra mondiale 14 . Nel 1979, 
questa cifra è stata improvvisamente qualificata come «simbolica» (cioè come 
falsa) dallo sterminazionista Martin Broszat in occasione del processo ad un 
revisionista tedesco. Nel 1961, Raul Hilberg, il più prestigioso degli storici 
convenzionali, stimava il numero dei morti ebrei a 5,1 milioni. Nel 1953, un 
altro di questi storici, Gerald Reitlinger, aveva proposto una cifra compresa 
tra 4,2 e 4,6 milioni. Ma, in effetti, nessuno storico di questa scuola ha 
presentato delle cifre fondate su un'indagine; non si tratta che di calcoli 
approssimativi soggettivi. Il revisionista Paul Rassinier, per parte sua, ha 
avanzato la cifra di un milione circa di morti ebrei, ma partendo, precisava, da 
cifre fornite dalla parte avversa; dunque anche qui, si trattava di un calcolo 
approssimativo. La verità è che molti ebrei europei sono periti e molti sono 
sopravvissuti. Con i moderni mezzi di calcolo, dovrebbe essere possibile 
determinare che cosa significhi "molti" in ognuno dei due casi. Ma le tre fonti 
alle quali si potrebbero attingere le informazioni necessarie sono, in pratica, 
interdette ai ricercatori indipendenti o il loro accesso è limitato: 

- si tratta in primo luogo dell'enorme documentazione raccolta dal 
"Servizio internazionale di ricerche" (SIR) di Arolsen-Waldeck (Germania), che 
dipende dal "Comitato internazionale della Croce Rossa" (Svizzera) ed il cui 
accesso è gelosamente controllato da dieci Stati tra i quali quello d'Israele; 

- si tratta poi dei documenti posseduti dalla Polonia e dalla Russia e di cui 
solo una parte è stata resa accessibile: registri mortuari di certi campi, registri 
delle cremazioni ecc.; 

(L'Antisémitisme, son histoire et ses causes, 1894, L. Chailley, Parigi 1894, ried. La Vieille Taupe, Parigi, 
1985, p. 67, 71). 

13 «777/ now six times a million Jews from Europe and Russia have been destroyed», Lucy S. Dawidowicz, in 
una compilazione, A Holocaust Reader, Behrman House, New York 1976, p. 327; si tratta di lettere tradotte 
dall'ebraico e pubblicate a New York nel 1960 con il titolo Min hametzar. 

14 lo sono debitore di questa scoperta allo storico tedesco Joachim Hoffmann; in Stalins Vernichtungskrieg 
1941-1945, Verlag fùr Wehrwissenschaften, 2a edizione, Monaco 1995, p. 161 e n. 42 da p. 169, egli 
segnala che llya Ehrenburg dà questa cifra in un articolo di "Soviet War News" del 4 gennaio 1945 
intitolato: Once Again Remember! Cercando di verificare questo punto aH'"lmperial War Museum" di 
Londra, non ho trovato niente con quella data; in compenso, ho trovato il testo segnalato da J. Hoffmann 
con un altro titolo e con un'altra data: con il titolo Remember, Remember, Remember e in data 22 dicembre 
1944, pp. 4-5. Bisognerebbe forse dedurne che "Soviet War News" era pubblicato sotto diverse forme? 

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Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

- si tratta infine dei nomi dei milioni di sopravvissuti ebrei che hanno 
percepito o percepiscono delle indennità o riparazioni finanziarie, sia in Israele, 
sia in parecchie decine di paesi rappresentati in seno al Congresso mondiale 
ebraico. La semplice enumerazione di questi nomi mostrerebbe a che punto 
una comunità spesso detta «sterminata» non è stata affatto sterminata. 

Ancora a cinquantadue anni dalla guerra, lo Stato d'Israele valuta 
ufficialmente a circa 900.000 il numero dei «sopravvissuti» dell" 'Olocausto" 
nel mondo (esattamente: tra 834.000 e 960. 000) 15 . Secondo una stima dello 
statistico svedese Cari O. Nordling, al quale [28] io ho sottoposto questa 
valutazione del governo israeliano, è possibile, partendo dall'esistenza di 
900.000 "sopravvissuti" nel 1997 , concludere che esistessero, nel 1945, un 
po'più di tre milioni di "sopravvissuti" al termine della guerra. Ancora oggi, 
pullulano le organizzazioni di "sopravvissuti" sotto le denominazioni più 
diverse; esse riuniscono sia ex-" membri della resistenza" ebrei che ex-bambini 
di Auschwitz (cioè bambini ebrei nati in questo campo o internati in tenera 
età con i genitori), ebrei destinati ai lavori forzati o, più semplicemente, 
fuggiaschi o clandestini ebrei. Milioni di "miracolati" non sono più un 
"miracolo" ma il prodotto di un fenomeno naturale. La stampa americana 
riferisce abbastanza spesso di ricongiungimenti tra sopravvissuti di una stessa 
famiglia di cui ogni membro era, ci assicurano, convinto fino a quel momento 
che «tutta la sua famiglia» fosse scomparsa. 

Riassumendo, nonostante il dogma e nonostante le leggi, la ricerca della 
verità storica sulla seconda guerra mondiale in generale e sulla Shoah in 
particolare ha fatto progressi in questi ultimi anni; il grande pubblico è tenuto 
nell'ignoranza di questi progressi; sarebbe sbalordito nell'apprendere che 
molte delle sue credenze più solide sono state, dall'inizio degli anni '80, 
relegate dagli storici più ortodossi nello scaffale delle leggende popolari. Si 
potrebbe dire che esistono, da questo punto di vista, due concezioni 
dell'"Olocausto": da una parte, quella del grande pubblico e, dall'altra, quella 
degli storici conformisti; l'una sembra incrollabile mentre l'altra minaccia di 
crollare, pertanto si procede a delle frettolose riparazioni. 

Le concessioni fatte ai revisionisti dagli storici ortodossi, anno dopo 
anno, soprattutto a partire dal 1979, sono state così importanti per numero e 
qualità che questi storici si trovano oggi in un vicolo cieco. Essi non hanno più 
niente da dire di sostanziale sull'argomento stesso dell" 'Olocausto". Hanno 
passato la staffetta ai cineasti, ai romanzieri, alla gente di teatro. Anche 
coloro che si occupano di museografia sono in panne. AII'"Holocaust Memorial 
Museum" di Washington è stata presa la «decisione» di non offrire ai visitatori 
«nessuna rappresentazione fisica delle camere a gas» (dichiarazione che mi è 
stata fatta nell'agosto 1994 da Michel Berenbaum, responsabile scientifico 

15 V. Number of Living Holocaust Survivors, Adina Mishkoff, assistente amministrativa presso l'AMCHA 
(National Israeli Center for Psychosocial Support of Survivors of the Holocaust and the Second Generation), 
Gerusalemme, 13 agosto 1997 (cifre fornite dal gabinetto del primo ministro israeliano: testo consultabile 
su http://www.corax.org/revisionism/nonsense/19970813survivors.html ). 

21 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

del museo, in presenza di quattro testimoni, ed autore di un libro-guida di più 
di duecento pagine dove, infatti, non si trova nessuna rappresentazione fisica 
delle camere a gas, neanche di un misero e fallace plastico pur tuttavia [29] 
presentato ai visitatori) 16 . I visitatori del museo non hanno il diritto di scattare 
fotografie. Claude Lanzmann, autore di Shoah, film che spicca per l'assenza di 
contenuto storico o scientifico, non ha oggi più altra risorsa che di pontificare 
deplorando che «/' revisionisti occupino tutto il campo» 11 . Quanto a Elie Wiesel, 
egli fa appello alla discrezione di tutti; ci scongiura di non cercare più di 
vedere da vicino o d'immaginare cosa succedeva, secondo lui, nelle camere a 
gas: «Le camere a gas, è meglio che restino chiuse agli sguardi indiscreti. E 
all' immaginazione» 11 . Gli storici dell'"Olocausto" si sono tramutati in teorici, in 
filosofi, in pensatori. Le loro baruffe tra "intenzionalisti" e "funzionalisti" o 
persino tra sostenitori ed avversari di una tesi come quella di Daniel 
Goldhagen sulla propensione quasi naturale dei Tedeschi a versare 
nell'antisemitismo e nel crimine razzista non riuscirebbero a dissimularci 
l'indigenza dei loro lavori propriamente storici. 

SUCCESSI E INSUCCESSI DEL REVISIONISMO 

Nel 1998, il bilancio consuntivo dell'impresa revisionista si colloca come 
segue: un successo strepitoso sul piano della storia e della scienza (su questo 
piano i nostri avversari hanno firmato la capitolazione nel 1996) ma un 
insuccesso sul piano della comunicazione (i nostri avversari hanno bloccato 
ogni accesso dei revisionisti ai media salvo, per il momento, alla rete 
Internet). 

Negli anni '80 e nei primi anni '90, degli autori antirevisionisti avevano 
tentato d'incrociare le spade con i revisionisti sul terreno della scienza storica. 
Di volta in volta, Pierre Vidal-Naquet, Nadine Fresco, Georges Wellers, 
Adalbert Rùckerl, Hermann Langbein, Eugen Kogon, Arno Mayer o Serge 
Klarsfeld (quest'ultimo con l'aiuto del farmacista Jean-Claude Pressac) 
avevano cercato di far credere ai media che era stata trovata una risposta 
alle argomentazioni materiali o documentarie dei revisionisti. Persino Michael 
Berenbaum, persino T'Holocaust Memorial Museum" avevano, nel 1993 e 
all'inizio del 1994, voluto raccogliere la sfida che io avevo lanciato di 
mostrarci non [30] foss'altro che una sola camera a gas nazista e non 
foss'altro che una sola prova, a loro scelta, che era esistito un genocidio degli 
ebrei. Ma i loro fallimenti sono stati così cocenti che hanno dovuto 
progressivamente abbandonare la lotta su questo terreno. Proprio di recente, 

16 II misero e fallace plastico (con le sue pretese aperture per lo Zyklon nel tetto mentre tali aperture, lo si 
constata ancora oggi, non sono mai esistite, e con le sue pretese colonne forate mentre le colonne di 
cemento, come si può ancora vedere, erano piene) è riprodotto su un altro libro-guida pubblicato nel 1995; 
v. Jeshajahu Weinberg e Rina Elieli, New York, Rizzoli, pp. 126-127; in compenso, questo libro-guida non 
riproduce ciò che, nel precedente libro-guida, quello di M. Berenbaum, era presentato come il corpo del 
reato per eccellenza delle gassazioni omicide: una pretesa porta di camera a gas a Majdanek. 

17 "Le Nouvel Observateur", 30 settembre 1993, p. 96. 

18 Tous les fleuves vont à la mer (Mémoires 1), Le Seuil, Parigi 1994, p. 97. 

22 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

nel 1998, M. Berenbaum ha effettivamente pubblicato una ponderosa opera 
intitolata The Holocaust and History 19 ; ma, precisamente, lungi dallo studiarvi 
ciò che egli chiama I 1 «Olocausto» a livello della storia (cosa che aveva 
espressamente tentato A. Mayer nel 1988), ci mostra piuttosto, senza 
volerlo, che l'"Olocausto" è una cosa e la "Storia" tutt'altra cosa. D'altronde, 
l'opera è quasi immateriale. Non contiene ne una fotografia, ne un disegno, ne 
il minimo tentativo di rappresentare fisicamente una qualunque realtà. Solo la 
copertina dell'opera dà a vedere... un mucchio di scarpe. Si suppone che 
queste scarpe siano eloquenti come ali" 'Holocaust Memorial Museum" di 
Washington dove esse ci sembrano dire: «l/I/e are the shoes, we are the last 
witnesses» (Noi siamo le scarpe, siamo gli ultimi testimoni). L'opera non è 
altro che un insieme di cinquantacinque contributi scritti e pubblicati sotto 
l'alta sorveglianza del rabbino Berenbaum; anche Raul Hilberg, anche Yehuda 
Bauer, anche Franciszek Piper ivi rinunciano ad ogni vero e proprio sforzo di 
ricerca scientifica ed ivi è pronunciato l'anatema contro un Arno Mayer che, in 
un recente passato, aveva tentato di ricollocare I" 'Olocausto" nella storia 20 . 
L'irrazionale ha avuto la meglio sui tentativi di razionalizzazione. E. Wiesel, C. 
Lanzmann, Steven Spielberg (con un film, Schindler's List, ispirato da un 
romanzo), hanno infine trionfato su coloro che, nel proprio campo, cercavano 
di provare I" 'Olocausto". 

Il futuro mostrerà in retrospettiva che è stato nel settembre 1996 che è 
suonata la campana a morto per le speranze di coloro che avevano voluto 
combattere il revisionismo sul terreno della scienza e della storia. I due lunghi 
articoli pubblicati in quel periodo dallo storico antirevisionista J . Baynac su un 
giornale elvetico hanno definitivamente chiuso il capitolo dei tentativi di 
risposta razionale alle argomentazioni dei revisionisti 21 . 

A metà e alla fine degli anni '70, io avevo apportato il mio contributo allo 
sviluppo del revisionismo; avevo allora scoperto e formulato ciò che si è, da 
allora, convenuto di chiamare l'argomentazione fisicochimica, cioè le ragioni 
fisiche e chimiche per le quali le pretese camere a gas naziste erano 
semplicemente inconcepibili. A quel tempo, mi [31] vantavo di aver portato 
alla luce un'argomentazione decisiva che non era stata fino a quel momento 
esposta né da un chimico tedesco (la Germania non manca di chimici), né da 
un ingegnere americano (gli Stati Uniti possiedono degli ingegneri che, viste le 
drastiche complicazioni richieste per la costruzione di una camera a gas nei 
penitenziari del loro paese, avrebbero dovuto rendersi conto che era 
impossibile fabbricare le pretese camere a gas naziste per ragioni fisico- 
chimiche). Se in quel periodo, nel bel mezzo del chiasso provocato dalla mia 

19 The Holocaust and History. The Known, the Unknown, the Disputed and the Reexamined, opera realizzata 

sotto la direzione di Michael Berenbaum e Abraham J. Peck in associazione con l'"United States Holocaust 

Memorial Museum" (Washington), Bloomington e Indianapolis (Indiana, Stati Uniti), Indiana University 

Press 1998, xv-836 p., 55 contributi. 

n Ivi, p. 15. 

n V. sopra, p. 6. 

23 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

scoperta, un indovino mi avesse predetto che, ventanni dopo, verso il 1994- 
1996, i miei avversari, dopo parecchi tentativi di mostrare che io ero in 
errore, si sarebbero rassegnati, come ha fatto J . Baynac, a riconoscere che in 
fin dei conti non esiste la minima prova della realtà di una sola camera a gas 
nazista, io me ne sarei certamente rallegrato. E ne avrei forse concluso che il 
mito dell'"Olocausto", colpito al cuore, non sarebbe sopravvissuto, che i 
media avrebbero abbandonato il servizio della Grande Menzogna e che, in 
modo del tutto normale, la repressione antirevisionista si sarebbe estinta da 
sola. 

Avrei commesso qui un errore di diagnosi e di prognosi allo stesso 
tempo. Perché le credenze superstiziose vivono di una vita diversa da quella 
della scienza. Esse vanno per la loro strada. Il mondo della religione, 
dell'ideologia, dell'illusione, dei media e del cinema di fantasia può svilupparsi 
al di fuori delle realtà scientifiche. Nemmeno Voltaire è mai riuscito a 
«schiacciare l'infame». Così si potrebbe dire che, come Voltaire nel denunciare 
le assurdità dei racconti ebraici, i revisionisti sono condannati, nonostante il 
carattere scientifico dei loro lavori, a non prevalere mai sulle elucubrazioni 
della Sinagoga; tuttavia essa, la Sinagoga, non riuscirà mai a soffocare la voce 
dei revisionisti. La propaganda dell" 'Olocausto" e lo "Shoah- Business" 
continueranno a prosperare. Resta oggi ai revisionisti di mostrare come 
queste credenze, questo mito, siano riusciti a nascere, crescere, poi a 
prosperare prima, forse, di scomparire per lasciare il posto, un giorno, non alla 
ragione ma ad altre credenze e ad altri miti. 

Come vengono ingannati gli uomini e perché essi stessi s'ingannano così 
volentieri? 

[32] 

LA PROPAGANDA DELL" 'OLOCAUSTO" : 

MOSTRARE DEI MORTI E PARLARE DI MORTI AMMAZZATI, 

MOSTRARE DEI FORNI CREMATORI E PARLARE DI CAMERE A 

GAS 

È con la manipolazione delle immagini che è più facile trarre in inganno le 
masse. Sin dall'aprile 1945, dei giornalisti britannici ed americani si sono 
affrettati, all'apertura dei campi di concentramento tedeschi, a fotografare o 
a filmare degli orrori veri di cui si sono poi fatti, se così si può dire, degli orrori 
più veri del naturale. Nel linguaggio popolare caro al mondo della stampa, è 
stato fatto un "bidone"; ci è stato fornito un po' di "Timisoara" ante 
litteranf 2 . Da una parte, ci sono stati mostrati dei morti veri nonché degli 
autentici crematori; dall'altra, grazie a dei commenti fallaci e a una messa in 

22 A proposito di Timisoara, v. nella presente opera, voi. Ili, pp. 1141-1150, il mio studio del libro di Michel 
Castex, Un Mensonge gros comme le siede. Roumanie, histoire d'une manipulation, Albin Michel, Parigi 
1990. 

24 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

scena cinematografica, si è proceduto ad un abile raggiro il cui risultato può 
essere sintetizzato in una formula atta a servire da sesamo per la scoperta di 
tutte queste imposture: "Siamo stati indotti a prendere dei morti per dei 
morti ammazzati e dei forni crematori per delle camere a gas omicide". 
Verrebbe voglia di aggiungere: " ...e lucciole per lanterne" . 

Così è nata la confusione, ancora tanto diffusa ai giorni nostri, tra, da 
una parte, i forni crematori, che sono realmente esistiti (ma non a Bergen- 
Belsen) per servire alla cremazione dei morti, e, dall'altra, le camere a gas 
naziste che, esse, sarebbero servite ad uccidere frotte di uomini e donne, ma 
che non sono, in realtà, mai esistite né sono potute esistere. 

Il mito, sotto la sua forma mediatica, delle camere a gas naziste 
associate a dei forni crematori trova il suo punto di partenza nelle immagini e 
nei commenti della stampa riguardo a un campo - Bergen-Belsen che, persino 
secondo il parere degli storici ortodossi, non possedeva ne camere a gas 
omicide e nemmeno dei semplici forni crematori. 

DELLE "CAMERE A GAS" MAI VISTE, MAI MOSTRATE 

Nel marzo 1992, a Stoccolma, durante una conferenza stampa, io 
lanciavo una sfida alla platea di giornalisti della carta stampata e della [33] 
televisione. Questa sfida era racchiusa in poche parole: «Mostratemi o 
disegnatemi una camera a gas nazista!» 

L'indomani i giornalisti riportavano la conferenza stampa ma ne 
passavano sotto silenzio l'oggetto essenziale: precisamente, questa sfida. 
Essi avevano cercato delle fotografie e non ne avevano trovate. Miliardi di 
uomini, in questo mezzo secolo, s'immaginano (o si sono immaginati) di aver 
visto delle camere a gas naziste sui libri o in documentari. Molti si sono 
convinti di essersi, almeno una volta nella loro vita, imbattuti nella fotografia 
di una simile camera a gas. Alcuni hanno visitato Auschwitz o altri campi dove 
le guide hanno spiegato loro che tale locale era stato una camera a gas. Si è 
detto loro che avevano sotto gli occhi una camera a gas, secondo il caso, 
«allo stato originario» o «allo stato di ricostruzione» (implicando quest'ultima 
formula che detta ricostruzione sia fedele e conforme all'originale). Talvolta, 
dei resti sono stati designati loro come «resti di una camera a gas» 23 . Ora, in 
ogni caso, essi sono stati ingannati o, meglio, si sono ingannati da soli. 
Questo fenomeno si spiega facilmente. Troppe persone s'immaginano che una 
camera a gas possa ridursi ad un vano qualunque con dentro del gas. Equivale 
a confondere una gassazione per un'esecuzione capitale con una gassazione 
suicida o accidentale. Una gassazione per un'esecuzione capitale, come negli 
Stati Uniti per mettere a morte un solo condannato, presenta 

23 II preteso plastico di crematorio con "camera a gas" che si presenta al Museo nazionale di Auschwitz e 
quello che si può vedere all'"Holocaust Memorial Museum" di Washington sono talmente succinti per 
quanto concerne proprio la "camera a gas" e talmente in contraddizione con le vestigia che si possono 
esaminare sul posto, ad Auschwitz-Birkenau, che è ridicolmente facile provare che questi due plastici sono 
pure fantasie; v. nota 16 sopra. 

25 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

necessariamente una temibile complessità perché, in questo caso, bisognerà 
badare ad uccidere senza provocare incidenti e senza mettere in pericolo la 
propria vita o quella delle persone che stanno intorno, soprattutto nella fase 
finale, cioè quando bisognerà penetrare nel locale per manipolarvi un cadavere 
contaminato ed estrarlo dalla camera a gas. Questo, la maggior parte dei 
visitatori di musei, nonché la maggior parte dei lettori, la maggior parte degli 
spettatori di film e persino la maggior parte degli storici lo ignorano 
manifestamente. I responsabili dei musei, da parte loro, traggono profitto da 
quest'ignoranza generale. A guisa di camera a gas nazista, basta loro 
presentare al bravo pubblico un locale dall'apparenza lugubre, una cella 
frigorifera d'obitorio, una stanza docce (situata di preferenza in un 
sotterraneo), un rifugio antiaereo (dotato di una porta con spioncino) e il 
gioco sarà fatto. Gli imbroglioni possono accontentarsi di meno: basta loro far 
vedere una semplice porta, un muro, un tetto di una pretesa «camera a gas». 
Gli imbroglioni più avveduti si accontenteranno di [34] ancor meno: 
mostreranno un fagotto di capelli, un cumulo di scarpe, un mucchio d'occhiali 
e pretenderanno che si tratta delle sole tracce o vestigia dei «gassati» che 
siano state ritrovate; ovviamente, si guarderanno dal ricordare che, durante la 
guerra e il blocco economico, in un'Europa in preda alla carestia e alla penuria, 
si procedeva al "ricupero", poi al "riciclaggio" di qualsiasi materiale 
trasformabile, compresi i capelli, che, per parte loro, servivano, per esempio, 
per confezionare indumenti. 

I TESTIMONI DELL IM OLOCAUSTO": 
TESTIMONIANZE NON VERIFICATE 

A proposito dei testimoni regna la stessa confusione. Ci presentano delle 
coorti di testimoni del genocidio degli ebrei. A parole o con gli scritti, questi 
testimoni pretendono di attestare che la Germania eseguiva un piano di 
sterminio generale degli ebrei in Europa. In realtà, questi testimoni possono 
soltanto attestare la realtà della deportazione, quella dei campi di detenzione, 
dei campi di concentramento o dei campi di lavori forzati, e persino, in 
qualche caso, del funzionamento dei forni crematori. Gli ebrei erano così poco 
votati allo sterminio o alle camere a gas omicide, che ciascuno di questi 
innumerevoli testimoni sopravvissuti o superstiti, lungi dal costituire, come ci 
si vuole far credere, una «prova vivente del genocidio», è, al contrario, una 
prova vivente del fatto che non c'è stato genocidio. Come si è visto sopra, 
alla fine della guerra il numero dei "sopravvissuti" ebrei all'"Olocausto" 
superava probabilmente la cifra di tre milioni. 

Per il solo campo di Auschwitz, è considerevole l'elenco degli ex-internati 
ebrei che, sullo sterminio degli ebrei in questo campo, hanno portato una 
testimonianza pubblica a parole o con gli scritti, alla televisione, sui libri, 
dinanzi ai tribunali. 

26 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

Tra i più noti, citiamo: Odette Abadie, Louise Alcan, Esther Alicigùzel, 
J ehuda Bacon, Charles Baron, Bruno Baum, Charles-Sigismond Bendel, Maurice 
Benroubi, Henri Bily, Ada Bimko, [35] Suzanne Birnbaum, Eva Brewster, Henry 
Bulawko, Robert Clary, J ehiel Dinour alias K. Tzetnik, Szlama Dragan, Fania 
Fénelon, Arnold Friedman, Philip Friedman, Michel Gelber, Israel Gutman, Dr. 
Hafner, Henry Heller, Benny Hochman, Regine J acubert, Wanda J akubowska, 
Stanislas J ankowski alias Alter Fajnzylberg, Simone Kadosche, Raya Kagan, 
Rudolf Kauer, Marc Klein, Ruth Klùger, Guy Kohen, Erich Kulka, Simon Laks, 
Hermann Langbein, Leo Laufer, Sonia Letwinska, Renée Louria, Henryk 
Mandelbaum, Frangoise Maous, Mei Mermelstein, Ernest Morgan, Filip Mùller, 
Flora Neumann, Anna Novac, Miklos Nyiszli, David Olère, Dounia Ourisson, Dov 
Paisikovic, Gisella Perl, Samuel Pisar, Macha Ravine-Speter, J éròme Scorin, 
Georges Snyders, Henri Sonnenbluck, J acques Stroumsa, David Szmulewski, 
Henri Tajchner, Henryk Tauber, Sima Vaìsman, Simone Veil nata J acob, Rudolf 
Vrba, Robert Weil, Georges Wellers... 

Tra gli ultimi arrivati, citiamo anche il caso clamoroso del clarinettista 
Binjamin Wilkomirski. Non si sa bene perché, questo falso testimone è stato 
pubblicamente smascherato dopo tre anni di una gloria che gli era valsa, negli 
Stati Uniti, il "National J ewish Book Award"; in Gran Bretagna, il "J ewish 
Quarterly Literary Prize"; in Francia, il premio "Mémoire de la Shoah", nonché 
un'impressionante serie d'articoli ditirambici sulla stampa di tutto il mondo. La 
sua pretesa autobiografia di bambino deportato a Majdanek e ad Auschwitz 
(?) era uscita da Suhrkampf nel 1995 con il titolo di Bruchstucke. Aus einer 
Kindheit, 1939 bis 1948 (Frantumi. Un'infanzia. 1939-1948, Mondadori 
1998). In Francia, il libro era stato pubblicato da Calmann-Levy nel 1997 con 
il titolo Fragments d'une enfance, 1939-1948. Al termine della sua inchiesta, 
un autore ebreo, Daniel Ganzfried, rivelava che Binjamin Wilkomirski, alias 
Bruno Doessekker, nato Bruno Grosjean, aveva di certo conosciuto Auschwitz 
e Majdanek ma solo dopo la guerra, da turista 24 . Nel 1995, l'Australiano 
Donald Watt aveva, anche lui, tratto in inganno i grandi media di lingua inglese 
con la sua pretesa testimonianza di «autista» dei crematori II e III di 
Auschwitz-Birkenau 25 . Nel settembre- novembre 1998, in Germania e in 
Francia, si organizzava anche una vasta operazione mediatica attorno a delle 
improvvise «rivelazioni» del Dr. Hans Wilhelm Mùnch, ex-medico 55 di 
Auschwitz. La vena è proprio inesauribile. 

[36] 

Primo Levi, dal canto suo, tende ad esserci presentato ancora oggi come 
un testimone degno di fede. Si vedrà nella presente opera che questa 
reputazione era forse meritata nel 1947 all'uscita del suo libro Se questo è un 
uomo; purtroppo, Levi l'ha, in seguito, demeritata. Elie Wiesel resta 

24 v. "Weltwoche" (Zurigo), 27 agosto e 3 settembre 1998; Nicolas Weill, La mémoire suspectée de Binjamin 
Wilkomirski, "Le Monde", 23 ottobre 1998, p. V. 

25 Donald Watt, Stoker: the story of an Australian soldier who survived Auschwitz-Birkenau , Simon & 
Schuster, New York 1995. 

27 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

incontestabilmente "il grande testimone falso" dell" 'Olocausto". Nell'opera La 
Notte, racconto autobiografico, egli non menziona le "camere a gas"; per lui, i 
Tedeschi gettavano gli ebrei in fornaci; addirittura il 2 giugno 1987, al 
processo Barbie, testimonierà sotto giuramento di aver «visto, in un 
boschetto, da qualch'e parte all'interno di {Auschwitz }-Birkenau, dei bambini 
vivi che alcune SS gettavano nelle fiamme». Nella presente opera, si noterà 
come il traduttore e l'editore della versione tedesca di La Notte abbiano 
resuscitato le "camere a gas" nel racconto di E. Wiesei. In Francia, Fred Sedei 
agirà allo stesso modo e metterà nel 1990, nella riedizione di un libro 
pubblicato nel 1963, delle «camere a gas» là dove non aveva menzionato, 
ventisette anni prima, che dei «forni crematori» 26 . 

Saranno ridotte nelle stesse condizioni di "pietose bugie" le 
testimonianze di certi non ebrei e, in particolare, del generale André Rogerie 
che, forte dell'appoggio che gli concedeva Georges Wellers, si presentava nel 
1988 come «testimone dell'Olocausto» che aveva «assistito alla Shoah a 
Birkenau» 21 mentre, nell'edizione originale delle sue memorie, Vivre, c'est 
vaincre, pubblicata nel 1946, egli diceva solamente di aver sentito parlare 
delle «camere a gas» u . Il nostro eroe godeva proprio nel campo di Auschwitz- 
Birkenau di una sorte privilegiata. Egli era insediato nel blocco dei caid, u ed ivi 
beneficiava di una «pacchia da re» di cui «conserva dei buoni ricordi» 2 ". Lì 
mangiava crèpe alla marmellata e giocava a bridge 31 . Certo, scriveva, «{nel 
campo} non accadono solo fatti allegri» 12 ma, al momento di lasciare Birkenau, 
ha quest'intuizione: «Contrariamente a molti altri, io lì sono stato meno 
infelice che da qualsiasi altra parte» 1 3 . 

Samuel Gringauz aveva passato la guerra nel ghetto di Kaunas (Lituania). 
Nel 1950, cioè in un periodo in cui ci si poteva ancora esprimere con una 
certa libertà sull'argomento, egli redigeva il bilancio della letteratura dei 
sopravvissuti della «grande catastrofe ebraica». Egli deplorava allora in questa 
letteratura i misfatti del «complesso iperstorico» ( hyperhistorical complex) o 
complesso del soprappiù rispetto alla storia. Egli scriveva: 

[37] 

Si può descrivere il complesso iperstorico come giudeocentrico, 
lococentrico ed egocentrico. Esso non trova essenzialmente 

26 Fred Sedei, Habiter les ténèbres, La Palatine, Parigi-Ginevra 1963, eA.-M. Métaillié, Parigi 1990. 

27 Vivre c'est vaincre (Maulévrier, Maine-et-Loire {Francia}, Hérault-Éditions 1988) è presentato come se 
fosse stato scritto nel 1945 e stampato nel 3°trimestre del 1946. Nel 1988, avviene una riedizione da parte 
di Hérault-Éditions con gran chiasso. La fascetta pubblicitaria reca scritto: "Sono stato testimone 
dell'Olocausto" . È su "Le Figaro" del 15 maggio 1996 (p. 2) che il generale Rogerie dichiarerà di aver 
«assistito alla Shoah a Birkenau». La descrizione, estremamente succinta, che gli è fatta delle «camere a gas» 
e dei forni è contraria alla versione oggi ammessa: il suo «testimone» ha parlato di gas che arrivava dalle 
cipolle delle docce e di forni elettrici (p. 75). 

28 A. Rogerie, Vivre c'est vaincre, pp. 70, 85. 

29 Ivi, p. 82. 

30 Ivi, p. 83 

31 Ivi, p. 84. 

32 Ibidem. 

33 Ivi, p. 87. 

28 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

significato storico se non per dei problemi ebraici legati ad eventi 
locali, e ciò sotto l'aspetto di un'esperienza personale. 
È la ragione per cui, nella maggior parte dei ricordi e dei racconti, si 
ostentano una verbosità assurda, l'esagerazione dello scribacchino, 
gli effetti scenici, una presuntuosa inflazione dell'ego, una filosofia 
da dilettante, un lirismo preso a prestito, voci non verificate, 
distorsioni, attacchi di parte e discorsi pietosi 34 . 

Non si può far altro che sottoscrivere a questo giudizio che, formulato 
nel 1950, varrebbe oggi idealmente per un Claude Lanzmann o un Elie Wiesel. 
Per il «complesso iperstorico» di quest'ultimo, per il carattere 
«giudeocentrico, lococentrico ed egocentrico» dei suoi scritti, ci si potrà 
richiamare ai due volumi delle sue memorie: Tutti i fiumi vanno al mare (voi. 
I),... e il mare non si riempie mai (voi. 2). Ci si renderà conto, d'altronde, che, 
lungi dall'essere stati sterminati, gli ebrei rumeno-ungheresi della sola 
cittadina di Sighet sono verosimilmente sopravvissuti in gran numero alla 
deportazione, in particolare verso Auschwitz, nel maggio-giugno 1944. 
Originario di questa città di Sighet, Wiesel ha subito la sorte comune. Dopo la 
guerra, il suo peregrinare l'ha portato in varie parti del mondo dove, per 
effetto di un susseguirsi di «miracoli», ha incontrato un numero stupefacente 
di parenti, di amici, di vecchi conoscenti o di altre persone di Sighet che erano 
sopravvissuti ad Auschwitz o ali" 'Olocausto". 

PANORAMICA DI ALTRE MISTIFICAZIONI 
DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE 

Ancora altrettanto perplesse, le generazioni future si porranno delle 
domande identiche su molti altri miti della seconda guerra mondiale oltre a 
quello delle camere a gas naziste: oltre a quello del «sapone ebreo», delle pelli 
umane conciate, delle «teste rimpicciolite» e dei «furgoni a gas» [38] 
menzionati in precedenza, citiamo i dissennati esperimenti medici attribuiti al 
Dr. Mengele, gli ordini di Adolf Hitler per intraprendere lo sterminio degli ebrei, 
l'ordine di Heinrich Himmler per far cessare questo sterminio, gli stermini di 
ebrei per mezzo dell'elettricità, del vapore acqueo, con l'impiego della calce 
viva, in forni crematori, in fosse di cremazione, con pompe a vuoto; citiamo 
anche il preteso sterminio degli zingari e degli omosessuali o la pretesa 
gassazione degli alienati mentali. 

Quelle generazioni future s'interrogheranno su molti altri argomenti: i 
massacri sul fronte dell'Est come riferiti per iscritto, e solo per iscritto, al 
processo di Norimberga dal falso testimone professionista Hermann Grabe; le 
imposture ora appurate come il libro Hitler m'a dit, firmato da Hermann 

34 Samuel Gringauz, Some Methodological Problems in the Study of the Ghetto, "Jewish Social Studies / A 
Quarterly Journal Devoted to Contemporary and Historical Aspects of Jewish Life", volume XII, New York 
1950, p. 65. 

29 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

Rauschning, dovuto, in gran parte, all'ebreo ungherese Imre Revesz, alias 
Emery Reves, e pertanto abbondantemente utilizzato al processo di 
Norimberga come se fosse stato autentico; la possibile sperimentazione di 
una bomba atomica per eliminare degli ebrei vicino ad Auschwitz, menzionata 
al processo di Norimberga; le «confessioni» aberranti estorte a prigionieri 
tedeschi; il preteso diario di Anna Frank; il ragazzino del ghetto di Varsavia 
presentato come se andasse alla morte mentre è verosimilmente emigrato a 
New York dopo la guerra; e tanti falsi memoriali, falsi racconti, false 
testimonianze, false attribuzioni di cui, con un minimo d'attenzione, era facile 
individuare la vera natura. 

Ma è probabile che quelle stesse future generazioni si stupiranno 
soprattutto del mito instaurato e reso sacro dal processo di Norimberga (e, in 
misura minore, dal processo di Tokyo): quello dell'intrinseca barbarie dei vinti 
e dell'intrinseca virtù dei vincitori che pertanto, a guardare da vicino, hanno 
commesso degli orrori ben più sorprendenti, in fatto di qualità come di 
quantità, di quelli perpetrati dai vinti. 

UNA CARNEFICINA UNIVERSALE 

Nel momento in cui si finisca per credere che solo gli ebrei hanno 
davvero sofferto durante la seconda guerra mondiale e che solo i Tedeschi si 
sono comportati da veri e propri criminali, è d'uopo ritornare sulle vere [39] 
sofferenze e i veri e propri crimini di tutti i belligeranti. "Giusta" o "ingiusta", 
ogni guerra è una carneficina e persino una gara di carneficina, e ciò 
nonostante l'eroismo di molti combattenti; sicché alla fine del conflitto il 
vincitore non è più altro che un buon carnefice, e il vinto, un cattivo 
carnefice. Il vincitore può allora infliggere al vinto una lezione di carneficina 
ma non dovrebbe essere autorizzato ad impartirgli una lezione di diritto o di 
giustizia. È pertanto ciò che al processo di Norimberga (1945-1946) i quattro 
grandi vincitori, agendo a nome loro e in nome di diciannove potenze 
vittoriose (senza contare il Congresso mondiale ebraico che beneficiava dello 
status di amicus curiae, cioè di "amico della corte"), hanno avuto il cinismo di 
fare nei confronti di un vinto ridotto ad una totale impotenza. 

Secondo Nahum Goldmann, presidente del Congresso mondiale ebraico e 
presidente dell" 'Organizzazione sionista mondiale", l'idea del processo è 
uscita dritto dritto da alcuni cervelli ebrei 35 . Quanto al ruolo degli ebrei nel 
processo stesso di Norimberga, esso è stato considerevole. La delegazione 
americana, che conduceva tutto l'affare, era largamente composta da 
"reimmigranti", cioè da ebrei che, dopo aver lasciato la Germania negli anni 
'30 per emigrare negli Stati Uniti, erano ritornati in Germania. Il famoso 
psicologo G. M. Gilbert, autore di Nuremberg Diary (1947), che lavorava sotto 
banco con il pubblico ministero americano, era ebreo e non perdeva 

35 Op. cit., pp. 148-149. 

30 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

l'occasione, a modo suo, per praticare la tortura psicologica sugli accusati 
tedeschi. In un libro che reca la prefazione di Lord J ustice Birkett, membro del 
collegio giudicante, Airey Neave, addetto alla delegazione britannica, 
costatava che gli inquirenti americani erano «in gran parte tedeschi di nascita 
e tutti d'origine ebraica» 36 . Per delle ragioni che mi si vedrà esporre nella 
presente opera, si può ritenere che in questo secolo il processo di Norimberga 
sia stato il crimine dei crimini. Le sue conseguenze si sono rivelate tragiche. 
Esso ha accreditato una somma esorbitante di menzogne, di calunnie e 
d'ingiustizie che, a loro volta, sono servite a giustificare abomini d'ogni tipo, a 
cominciare dai crimini dell'espansionismo bolscevico o sionista a spese dei 
popoli d'Europa, d'Asia e della Palestina. 

Ma, siccome i giudici di Norimberga hanno, in primo luogo e prima di 
tutto, condannato la Germania per la sua responsabilità unilaterale nel 
preparare e scatenare la seconda guerra mondiale, è questo punto che 
dobbiamo esaminare per primo. 

[40] 

QUATTRO GIGANTI E TRE NANI: 
CHI HA VOLUTO LA GUERRA? 

Poiché la storia è in primo luogo un fatto di geografia, consideriamo un 
planisfero dell'anno 1939 e segniamo su di esso con un solo colore quattro 
immensi blocchi: la Gran Bretagna con il suo impero che occupava un quinto 
del globo "sul quale non tramontava mai il sole", la Francia con il suo vasto 
impero coloniale, gli Stati Uniti e i loro vassalli e, infine, l'impressionante 
impero dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche; poi, con un altro 
colore, segniamo la modesta Germania entro le sue frontiere d'anteguerra, 
l'esile Italia e il suo piccolo impero coloniale e, infine, il Giappone i cui eserciti, 
a quel tempo, occupavano una parte del territorio cinese. Lasciamo da parte i 
paesi che si sarebbero schierati, almeno provvisoriamente, a fianco dell'uno o 
dell'altro di questi due gruppi di belligeranti. 

Il contrasto, per quanto riguarda questi due gruppi, colpisce in primo 
luogo dal punto di vista della superficie, poi da quello delle risorse naturali, 
industriali e commerciali. Certo, alla fine degli anni '30, la Germania e il 
Giappone cominciavano - come dimostrerebbe il dopoguerra - a scuotere il 
giogo e a forgiarsi un'economia e un esercito capaci d'inquietare delle nazioni 
più grandi e più forti di loro. Certo, i Tedeschi e i Giapponesi di spiegavano 
una somma d'energia non comune e, durante i primi anni di guerra, 
conquistavano degli effimeri imperi. Ma, considerando il tutto, la Germania, 
l'Italia e il Giappone non erano, per così dire, che dei nani paragonati a quei 
quattro giganti che erano gli imperi britannico, francese, americano e 
sovietico. 

36 They Have Their Exits, Hodder and Stoughton, Londra 1953, p. 172. 

31 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

A chi si farà credere che alla fine degli anni '30 i tre nani cercassero 
deliberatamente, come si è preteso al processo di Norimberga e al processo di 
Tokyo, di provocare una guerra mondiale? E chi oserà affermare che nel 
1945, quando la battaglia è terminata, i quattro giganti avevano commesso 
meno orrori dei tre nani? Meglio: chi crederà per un solo istante che, nella 
carneficina generalizzata, il primo di questi tre nani (la Germania) si sia reso 
colpevole di tutti i crimini possibili ed immaginabili mentre il secondo (il 
Giappone) è rimasto assai indietro rispetto al primo e il terzo (l'Italia), passato 
nel settembre 1943 all'altro campo, non ha commesso alcun atto veramente 
reprensibile? Chi accetterà l'idea che i quattro giganti non hanno, per 
riprendere la terminologia di [41] Norimberga, commesso alcun «crimine 
contro la pace», alcun «crimine di guerra» né alcun «crimine contro l'umanità» 
che abbia meritato, dopo il 1945, di essere giudicato da un tribunale 
internazionale? 

È pertanto facile mostrare, con prove alla mano, che i vincitori hanno, in 
sei anni di guerra e in pochi anni del dopoguerra, accumulato più orrori dei 
vinti in fatto di massacri di prigionieri di guerra, di massacri di popolazioni 
civili, di deportazioni gigantesche, di saccheggi sistematici e d'esecuzioni 
sommarie o giudiziarie. Katyn, il Gulag, Dresda, Hiroshima, Nagasaki, la 
deportazione di 12-15 milioni di Tedeschi (dalla Prussia Orientale, dalla 
Pomerania, dalla Slesia, dalla Polonia, dalla Cecoslovacchia, dall'Ungheria, dalla 
Romania, dalla Iugoslavia) in condizioni orribili, la consegna di milioni di Europei 
al Moloch sovietico, la più sanguinosa "epurazione" che abbia spazzato tutto 
un continente, era davvero così poca cosa che nessun tribunale dovesse 
giudicare in proposito? In questo secolo, nessun esercito avrà ucciso tanti 
bambini quanti ne ha uccisi la US Air Force in Europa, in Giappone, in Corea, in 
Vietnam, in Iraq, in America Centrale e, pertanto, nessuna giurisdizione 
internazionale le ha chiesto di rendere conto di questi massacri, che i suoi 
boys sono sempre pronti a scatenare un'altra volta in qualunque punto del 
globo, perché questo è il loro job. 

VOLEVANO FORSE LA GUERRA I FRANCESI? 

"Sia maledetta la guerra. 1 " reca scritto il monumento ai caduti del 
comune di Gentioux nel dipartimento della Creuse. Il monumento di Saint- 
Ma rt in- d'Est rea ux, nel dipartimento della Loira, è più prolisso, ma il suo 
"Bilancio della guerra" lancia lo stesso grido 37 . In Francia, nelle nostre chiese o 
sui nostri monumenti pubblici, l'elenco dei morti della guerra 1914-1918 fa 

37 Di un testo di più di duecentocinquanta parole si ricorderà in particolare: «Più di dodici milioni di morti! 
Altrettanti individui che non sono nati! Ancora più mutilati, feriti, vedove e orfani! Per innumerevoli 
miliardi di distruzioni varie. Fortune scandalose edificate su miserie umane. Innocenti alla forca. Colpevoli 
agli onori. La vita atroce per i diseredati. Il formidabile conto da pagare». Altrove si legge: «Bisogna 
migliorare lo spirito delle Nazioni migliorando quello degli individui con un'istruzione più sana e 
largamente diffusa. Bisogna che il popolo sappia leggere. E soprattutto capire il valore di ciò che legge». Il 
testo termina con: «Sia maledetta la guerra. E i suoi artefici!» 

32 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

venire il crepacuore. Oggi, nessuno, in fondo, è più in grado di dire per quale 
ragione di preciso la gioventù francese (proprio come, da parte sua, la 
gioventù tedesca) è stata così falcidiata. 

Sugli stessi monumenti dei nostri comuni figurano a volte, in numero 
sensibilmente ridotto, i nomi di giovani Francesi caduti o dispersi [42] durante 
la campagna 1939-1940: circa 87.000. A volte vi si leggono anche nomi di 
vittime civili; gli Anglo-Americani, da soli, hanno ucciso nei loro 
bombardamenti circa 67.000 Francesi. A volte ancora vi si leggono nomi di 
membri della resistenza, includendo qualche volta, per far numero, i nomi di 
membri della resistenza deceduti parecchio tempo dopo la guerra nel loro 
letto. Mancano, quasi dappertutto e quasi sempre, i nomi di Francesi vittime 
dell" 'epurazione" (probabilmente 14.000 e non 30.000 o addirittura, come si 
è detto a volte, 105.000) in cui gli ebrei, i comunisti e i gollisti dell'ultima ora 
hanno avuto un ruolo fondamentale. Salvo eccezioni, mancano anche, perché 
non appartenevano per nascita a questi comuni, i membri delle truppe 
coloniali " morti per la Francia" . 

Per la Francia, le due guerre mondiali hanno costituito un disastro: la 
prima per il numero di perdite in vite umane e la seconda per il suo carattere 
di guerra civile che si perpetua ancora oggi. 

A guardare questi elenchi dei caduti della prima guerra mondiale, a 
completarli con i nomi dei dispersi, a rammentare gli interi battaglioni di "volti 
sfigurati", di feriti, di mutilati, d'invalidi permanenti, a fare il conto delle 
distruzioni di ogni sorta, a pensare alle famiglie devastate da queste perdite, 
ai prigionieri, ai "fucilati per diserzione", ai suicidi provocati da tante prove, a 
rammentare anche i venticinque milioni di morti provocati in America e in 
Europa a partire dal 1918 da un'epidemia d'influenza impropriamente 
chiamata "spagnola" e importata in Francia, almeno in parte, dai soldati 
americani 38 , non si possono forse capire sia i pacifisti e i fautori di "Monaco" 
ante 1939-1945 che i sostenitori del maresciallo Petain del giugno 1940? 
Con quale diritto, oggi, si parla spesso e volentieri di vigliaccheria sia a 
proposito degli accordi di Monaco, conclusi il 29 e 30 settembre 1938, che 
dell'armistizio firmato a Rethondes il 22 giugno 1940? I Francesi che, a quel 
tempo, portavano ancora, nella carne o nello spirito, i segni dell'olocausto del 
1914-1918 e dei suoi strascichi immediati - un vero e proprio olocausto, 
quello - potevano forse, alla fine degli anni '30, concepire come un obbligo 
morale di doversi lanciare in una nuova carneficina? E, dopo la firma di un 
armistizio che, per quanto duro fosse, non aveva niente d'infamante, che 
cosa c'era di disonorevole nel ricercare l'intesa con l'avversario, non per fare 
la guerra ma per concludere la pace? 

[43] 

38 V. Christiane Gallus, Une pandèmie qui a fait trois fois plus de victimes que la guerre de 1914-1918, "Le 
Monde", 31 dicembre 1997, p. 17. 

33 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

VOLEVANO FORSE LA GUERRA I TEDESCHI? 

"Hitler {è} nato a Versailles": la formula è servita come titolo ad 
un'opera di Leon Degrelle. Il diktat di Versailles - perché non ci fu veramente 
un trattato - fu, nel 1919, tanto rigoroso e così infamante per il vinto che i 
senatori americani rifiutarono di riconoscerlo (20 novembre 1919) e che 
cadde a poco a poco nel discredito. Esso smembrava la Germania, la 
sottoponeva ad una spietata occupazione militare, l'affamava. In particolare, 
esso obbligava il vinto a cedere alla Polonia la Posnania, la Slesia ed una parte 
della Prussia Occidentale. I quattrocentoquaranta articoli del "Trattato di pace 
fra le potenze alleate ed associate e la Germania" (nonché gli allegati) firmati 
a Versailles il 28 giugno 1919 costituiscono, con i trattati connessi, un 
monumento d'iniquità che solo il furore di una guerra appena terminata può, 
al limite, spiegare. «Si ha un bel rimproverare ai Tedeschi di non aver 
rispettato Versailles. Il loro dovere ed il loro senso dell'onore di Tedeschi 
imponevano d'aggirarlo prima, e poi di stracciarlo, così come il dovere e il 
senso dell'onore dei Francesi imponevano di mantenerlo» 39 . 

Vent'anni dopo la schiacciante umiliazione, Hitler vorrà ricuperare una 
parte dei territori consegnati alla Polonia, così come la Francia, dopo la 
disfatta del 1870, aveva voluto ricuperare l'Alsazia e una parte della Lorena. 

Siccome nessuno storico è in grado - salvo dar prova di leggerezza _ di 
designare il responsabile principale di un conflitto mondiale, ci si guarderà dal 
far portare a Hitler l'esclusiva responsabilità della guerra 1939-1945 con il 
pretesto che, il 1° settembre 1939, egli è entrato in guerra contro la Polonia. 
Invece, giustificare l'entrata in guerra, due giorni dopo, della Gran Bretagna e 
della Francia contro la Germania con la necessità, in nome di un trattato, di 
soccorrere la Polonia non ha molto senso, poiché, due settimane dopo, l'URSS 
entrava a sua volta in guerra contro la Polonia per occuparne una buona 
parte, senza provocare per questo alcuna reazione militare da parte degli 
Alleati. 

I conflitti mondiali assomigliano a quelle gigantesche calamità naturali 
che non si possono predire esattamente nemmeno se, qualche volta, si 
sentono venire. Non si spiegano se non dopo, laboriosamente e non senza 
mostrare una soverchia malafede nelle accuse reciproche di negligenza, di 
cecità, di cattiva volontà o d'irresponsabilità. 

[44] 

Si può tuttavia costatare che in Germania, alla fine degli anni '30, il 
partito della guerra con l'Occidente era per così dire inesistente; i Tedeschi 
non concepivano, per male che andasse, altro che una «spinta verso Est» 
{Drang nach Osterì). In compenso, in Occidente, il partito della guerra con la 
Germania era potente. La "consorteria della guerra" volle «la crociata delle 
democrazie», e la ottenne. 

39 Pierre Kaufmann, Le clanger allemand, "Le Monde", 8 febbraio 1947. 

34 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

Tra questi nuovi crociati figuravano in prima fila, salvo qualche notevole 
eccezione, gli ebrei americani ed europei congiuntamente. 

WINSTON CHURCHILL E I BRITANNICI 
QUALI PADRONI DELLA PROPAGANDA 

Durante la prima guerra mondiale, i Britannici avevano, con cinismo, 
sfruttato tutte le risorse della propaganda a base di racconti d'atrocità 
interamente fantasiose. Durante la seconda guerra mondiale essi non hanno 
derogato a tale consuetudine. 

Oggi si è severi verso la politica di "pacificazione" condotta da Neville 
Chamberlain nei confronti dei Tedeschi e si ammira, o si finge di ammirare, 
Winston Churchill per la sua determinazione nel proseguire la guerra. Non è 
detto che la storia, con il tempo, mantenga questo giudizio. Cièche si scopre 
a poco a poco della personalità e del ruolo di Churchill porta ad interrogarsi 
sui motivi piuttosto dubbi di questa determinazione e sui frutti della sua 
politica. Almeno Chamberlain aveva previsto che persino una vittoria della 
Gran Bretagna si sarebbe tramutata in disastro per la nazione stessa, per il 
suo impero ed anche per altri vincitori. Churchill non lo vide o non seppe 
vederlo. Egli annunciava il sudore, le lacrime, il sangue, e poi la vittoria. Egli 
non prevedeva i futuri giorni amari della vittoria: la rapida scomparsa di 
quell'impero britannico al quale egli teneva e la consegna di quasi metà 
dell'Europa all'imperialismo comunista. 

In una delle sue conferenze, David Irving, biografo di Churchill, mostra il 
carattere illusorio dei successivi motivi che Churchill fu indotto ad invocare, 
prima per lanciare i suoi compatrioti nella guerra, poi per mantenerceli. 

[45] 

L'affare, se si può dire, si svolse in quattro tempi. 

In un primo tempo, Churchill assicurò ai Britannici che era loro dovere 
venire in aiuto alla Polonia aggredita da Hitler, ma, due settimane dopo, 
questo motivo diventava caduco con l'aggressione della Polonia da parte 
dell'Unione Sovietica. 

In un secondo tempo, egli spiegò ai suoi connazionali che essi dovevano 
continuare la guerra per salvaguardare l'impero britannico: egli rifiutava le 
reiterate offerte di pace della Germania; nel maggio 1941, egli faceva 
internare il messaggero di pace Rudolf Hess; e, mentre la Germania era incline 
al mantenimento dell'impero britannico, egli scelse di concludere un'alleanza 
con il nemico peggiore che ci fosse di quest'impero: l'Americano Franklin 
Roosevelt. Il secondo motivo diventava così caduco a sua volta. 

In un terzo tempo, Churchill annunciò ai suoi compatrioti che essi 
dovevano battersi per la democrazia, anche sotto la sua forma più 
paradossale: la democrazia socialista sovietica; bisognava, egli diceva, aprire 
un secondo fronte in Europa per alleviare gli sforzi di Stalin. Equivaleva a 

35 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

venire in aiuto ad una dittatura che aveva pertanto aggredito la Polonia il 17 
settembre 1939 e che si apprestava ad una nuova conquista di questo paese. 

Ancora un mese prima della fine della guerra in Europa (8 maggio 1945) 
la propaganda inglese girava così a vuoto, mentre molti soldati britannici e 
americani scoprivano con sgomento a che punto l'aviazione anglo-americana 
aveva devastato la Germania. 

È allora che, all'improvviso, nell'aprile 1945, si produsse un miracolo che 
permise a Churchill di trovare questa volta il quarto e buon motivo: la 
scoperta del campo di Bergen- Belsen lo indusse a pretendere che, se la Gran 
Bretagna si era tanto battuta ed aveva provocato e subito tante distruzioni 
per quasi sei anni, non era stato per niente di meno che per la civiltà. 
Sicuramente, Churchill aveva già, più d'una volta, propinato ai Britannici le 
consuete tiritere, dalla guerra del 1914-1918, sulla Gran Bretagna, questa 
culla della civiltà messa in pericolo dalle orde teutoniche («dagli Unni», 
diceva), ma il meccanismo oratorio girava a vuoto. Il miracolo fu la scoperta 
nell'aprile 1945 di questo campo di concentramento devastato dalle 
epidemie: una manna per Churchill e per la propaganda britannica. 

[46] 

I BRITANNICI INAUGURANO A BERGEN-BELSEN 

I REALITY SHOW DEI "CRIMINI NAZISTI" 

(aprile 1945) 

Situato vicino a Hannover, Bergen-Belsen era stato prima un campo per 
feriti di guerra tedeschi. Nel 1943, i Tedeschi vi stabilirono un campo di 
detenzione per ebrei europei da scambiare con civili tedeschi detenuti dagli 
Alleati. In piena guerra, degli ebrei furono trasferiti da questo campo verso la 
Svizzera o persino verso la Palestina attraverso la Turchia (prova 
supplementare, sia detto per inciso, dell'assenza di qualsiasi politica di 
sterminio fisico degli ebrei). 

Fino alla fine del 1944, le condizioni di vita dei detenuti di Bergen-Belsen 
furono quasi normali, quando, con l'arrivo di convogli di deportati venuti 
dall'Est di fronte all'assalto sovietico, le epidemie di dissenteria, di colera e di 
tifo esantematico provocarono un disastro aggravato dai bombardamenti 
anglo-americani che impedivano l'arrivo dei medicinali, del cibo e - fu il colpo 
di grazia - dell'acqua. I convogli in arrivo non impiegavano più due o tre giorni 
per venire dall'Est, bensì da una a due settimane; a causa dei bombardamenti 
e dei mitragliamenti dell'aviazione alleata, essi non potevano circolare che di 
notte; il risultato fu che al loro arrivo questi convogli non contenevano più 
quasi nient'altro che dei morti, dei moribondi o un gran numero di uomini e 
donne stremati e dunque non in grado di affrontare tali epidemie. Il 10 marzo 
1945, il comandante del campo, J osef Kramer, indirizzò al generale Richard 
Glùcks, responsabile dei campi di concentramento, una lettera che descriveva 

36 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

in termini testuali questa «catastrofe» e terminava con «Imploro il Suo aiuto 
per superare questa situazione» 40 . 

La Germania, allo stremo delle forze, non poteva far fronte all'afflusso 
dei propri profughi dall'Est che giungevano a milioni. Essa non riusciva più ad 
approvvigionare l'esercito d'armi e munizioni e la popolazione di cibo. Infine, 
non poteva più porre rimedio alle drammatiche condizioni di vita dei campi 
dove persino i guardiani morivano a volte di tifo. Himmler autorizzò dei 
responsabili della Wehrmacht a prendere contatto con i Britannici per 
avvertire questi ultimi del fatto che si stavano avvicinando, nella loro 
avanzata, ad un temibile focolaio d'infezione. Né seguirono dei negoziati. In 
un'ampia zona attorno a Bergen-Belsen fu dichiarata la tregua e Britannici e 
membri della [47] Wehrmacht decisero, di comune accordo, di dividersi la 
sorveglianza del campo. 

Ma lo spettacolo che scoprirono i Britannici e l'odore insopportabile dei 
cadaveri in decomposizione, nonché delle baracche o delle tende inondate di 
materia fecale finirono per sollevare l'indignazione generale. Si credette o si 
lasciò credere che le SS avevano deliberatamente scelto di uccidere o di 
lasciar morire i detenuti. E, nonostante i loro sforzi, i Britannici furono incapaci 
di arginare la spaventosa mortalità. 

Come un nugolo d'avvoltoi, i giornalisti piombarono sul campo e 
filmarono o fotografarono tutti gli orrori possibili. Essi procedettero, per 
giunta, a dei montaggi. Una scena famosa, ripresa in Nuit et Brouillard, mostra 
un bulldozer che spinge dei cadaveri in una fossa comune. Molti spettatori di 
questa scena furono indotti a credere che si trattasse di «bulldozer 
tedeschi»* 1 . Essi non si accorsero che il bulldozer (al singolare) era guidato da 
un soldato britannico che, probabilmente, dopo il conteggio dei cadaveri, li 
spingeva in una vasta fossa scavata dopo la liberazione del campo. 

Ancora nel 1978, una pubblicazione ebraica mostrerà questo bulldozer 
ma non senza decapitarne, opportunamente, nella fotografia il guidatore in 
modo da nascondere il suo berretto di soldato inglese 42 . L'ebreo Sydney 
Lewis Bernstein, responsabile, a Londra, della sezione cinematografica del 
ministero dell'Informazione, fece appello ad Alfred Hitchcock per produrre un 
film su queste «atrocità naziste». In fin dei conti, furono resi pubblici solo 
degli spezzoni di questo film, probabilmente perché il film nella versione 
integrale conteneva delle asserzioni capaci di far dubitare della sua 
autenticità 43 . 

40 V. Mark Weber, Bergen-Belsen Camp: The Suppressed Story, "The Journal of Historical Review", maggio- 
giugno 1995, pp. 23-30. 

41 Tale fu il caso, per esempio, di Bartley C. Crum, Behind the Silken Curtain, Simon & Schuster, New York 
1947, p. 114. 

42 Arthur Suzman & Denis Diamond, 5ix Million Did Die: the truth shall prevali, pubblicato dal South 
African J ewish Board of Deputies, J ohannesburg 1978, 2° edizione, p. 18. 

43 Nel 1945, A. Hitchcock, nato nel 1899, era già noto. Per i suoi gusti macabri o morbosi, per la sua arte nel 
«manipolare il pubblico», per lo strano fascino che il gas esercitava sulla sua mente, si leggerà Bruno Villien, 
Hitchcock, Colonna, Parigi 1982, pp. 9-10. 

37 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

Ma nell'insieme, il "colpo di Bergen-Belsen" costituì una straordinaria 
riuscita per la propaganda degli Alleati. È a partire da questa prodezza 
mediatica che tutto il mondo imparò a non vedere ciò che aveva sotto gli 
occhi: gli si presentarono sia dei morti, sia dei moribondi ma il commento lo 
portò a credere di avere sotto gli occhi dei morti ammazzati, dei morti 
assassinati, degli sterminati, ovvero dei cadaveri ambulanti condannati a 
morire vittime d'uccisioni, d'assassini, di stermini. Così, come si è visto in 
precedenza, è a partire da un campo che non possedeva né forni crematori, 
né - secondo il parere stesso degli storici conformisti - la minima camera a 
gas omicida, che si edificò il mito generale della presenza ad Auschwitz ed 
altrove di «camere a gas» accoppiate con dei forni crematori. 

[48] 

In questo campo, tra le vittime più celebri delle epidemie si trovarono 
Anna Frank e sua sorella Margot che, per quasi quarantanni dopo la guerra, si 
persisterà generalmente a presentare come gassate ad Auschwitz (campo da 
cui esse effettivamente provenivano) o come morte ammazzate a Bergen- 
Belsen; oggi, si è d'accordo nel riconoscere che esse sono morte di tifo a 
Bergen-Belsen nel febbraio-marzo 1945. 

Il "colpo di Bergen-Belsen" fu ben presto imitato dagli Americani che, 
facendo appello a Hollywood, girarono una serie di film sulla liberazione dei 
campi tedeschi; essi procedettero ad una selezione di loro riprese 
cinematografiche (6.000 piedi di pellicola su un totale di 80.000, cioè 1.800 
metri soltanto su quasi 25.000) che, il 29 novembre 1945, fu proiettata al 
processo di Norimberga dove tutti, compresa la maggior parte degli imputati, 
ne rimasero scossi. Alcuni imputati fiutarono l'imbroglio ma era troppo tardi: il 
bulldozer della grande menzogna era stato messo in moto. Esso è in funzione 
ancora oggi. Gli spettatori di tutti questi film d'orrore sui «campi nazisti» 
furono, alla lunga, condizionati dalla scelta delle immagini e dal commento. Un 
pezzo di muro, un mucchio di scarpe, un camino: non ebbero bisogno d'altro 
per credere che fosse stato mostrato loro un mattatoio chimico. 
Cinquantadue anni dopo la liberazione del campo di Bergen-Belsen, Maurice 
Druon, segretario a vita deH"'Académie frangaise", verrà a deporre al 
processo di Maurice Papon. Ecco uno stralcio di questa deposizione in cui 
sono evocate le camere a gas omicide di Bergen-Belsen (di cui tutti gli storici 
riconoscono oggi che questo campo era privo), il famoso bulldozer e i «capelli 
tosati sui morti per farne un qualche surrogato» : 

Quando oggi si parla dei campi si hanno negli occhi, e i giurati 
presenti hanno negli occhi quelle immagini atroci che i film e gli 
schermi ci presentano e ci ripresentano; e si ha ben ragione di farlo, 
e si dovrebbe diffonderli di nuovo in tutte le ultime classi, ogni anno. 
Ma quelle immagini, delle camere a gas, dei mucchi di capelli tosati 
sui morti per farne qualche surrogato, di quei bambini che giocavano 
tra i cadaveri, e di quei cadaveri così numerosi che si era costretti a 
spingerli nelle fosse con il bulldozer, e di quelle coorti scheletriche, 

38 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

titubanti e stralunate, in pigiama a righe, con la morte negli occhi, 

quelle immagini, e ne fornisco qui la testimonianza, io fui, nella mia 

modesta qualità [49] di ufficiale d'informazione, uno dei venti 

ufficiali alleati che "ne presero visione" per primi, quando pervenne il 

materiale cinematografico integrale, come si dice, della liberazione da 

parte degli Inglesi del campo di Bergen- Belsen. Ma era la primavera 

del 1945. Fino a quel momento non si sapeva. - Non bisogna 

giudicare con i nostri occhi addestrati [sic} di oggi, ma con i nostri 

occhi accecati di /eri 44 . 

M. Druon, in realtà, aveva ieri degli «occhi addestrati» e oggi ha degli 

«occhi accecati». Più di cinquantanni di propaganda l'hanno reso 

definitivamente cieco. Ma già durante la guerra, M. Druon e suo zio J oseph 

Kessel, entrambi ebrei, non erano forse accecati dall'odio verso il soldato 

tedesco quando componevano l'atroce Chant des Partisans ("Uccisori con le 

pallottole o con il coltello, uccidete in fretta!")? 

AMERICANI E SOVIETICI RINCARANO 
LA DOSE RISPETTO Al BRITANNICI 

Almeno, nel 1951, un'ebrea come Hannah Arendt aveva l'onestà di 

scrivere: 

«Non è di poca importanza sapere che tutte le fotografie di campi di 
concentramento sono ingannevoli (misleading,) nella misura in cui 
esse mostrano i campi nel loro ultimo periodo, nel momento in cui gli 
Alleati vi penetrarono {...}. Le condizioni che regnavano nei campi 
risultavano dai fatti di guerra degli ultimi mesi: Himmler aveva 
ordinato l'evacuazione di tutti i campi di sterminio dell'Est; di 
conseguenza, i campi tedeschi furono notevolmente sovraffollati e 
non {si} era più in grado di garantire l'approvvigionamento in 
Germania»^ 5 . 
Ricordiamo qui, ancora una volta, che l'espressione «campi di sterminio» 

(extermination camps) è una creazione della propaganda di guerra alleata. 

[50] 

Eisenhower seguì le orme di Churchill e procedette, su scala americana, 
ad una tale propaganda a base di racconti d'atrocità che tutto divenne 
permesso sia nei riguardi del vinto che nei confronti della semplice verità dei 
fatti. Nei pretesi reportage sui campi tedeschi si aggiunsero, come ho detto, 
agli orrori veri degli orrori più veri del naturale. Si eliminarono le fotografie o 
gli spezzoni di film che mostravano degli internati dall'aspetto fiorente come 
quello di Marcel Paul, o ancora degli internati relativamente in buona salute 
nonostante la carestia o le epidemie, o ancora, come a Dachau, delle madri 
ebree ungheresi in buona salute che davano il biberon a dei bei pupi. Non si 

44 "Le Figaro", 24 ottobre 1997, p. 10. 

45 The Origins of Totalitari anism, Harcourt, Brace, New York 1951, p. 446, n. 138. 

39 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

ricordarono che i derelitti, gl'invalidi, i relitti umani che erano, in realtà, vittime 
tanto dei Tedeschi quanto degli Alleati che, con i loro bombardamenti a 
tappeto su tutta la Germania e i loro mitragliamenti sistematici dei civili, 
anche dei contadini nei loro campi, avevano creato una situazione apocalittica 
proprio nel cuore dell'Europa. 

La verità obbliga a dire che né Churchill, né Eisenhower, né Truman, né 
de Gaulle spinsero comunque l'impudenza fino ad avallare le storie di mattatoi 
chimici; essi lasciarono questa cura alle loro fucine di propaganda e ai giudici 
dei loro tribunali militari. Furono inflitte terribili torture ai Tedeschi colpevoli, 
agli occhi degli Alleati, di tutti questi "crimini"; furono esercitate delle 
rappresaglie sui prigionieri tedeschi e sui civili. Fino al 1951 si fucilarono e 
s'impiccarono Tedeschi e Tedesche (ancora negli anni '80, i Sovietici 
fucileranno dei «criminali di guerra» tedeschi o alleati dei Tedeschi). I militari 
britannici ed americani, da principio sconvolti dallo spettacolo delle città 
tedesche ridotte in cenere e allo stesso tempo dei loro abitanti trasformati in 
trogloditi, poterono ritornare a casa con la coscienza tranquilla. Churchill e 
Eisenhower se ne facevano garanti: le truppe alleate avevano sgominato il 
Male; esse incarnavano il Bene; si sarebbe proceduto alla "rieducazione" del 
vinto bruciando i suoi cattivi libri a milioni. A conti fatti, la Grande Carneficina 
era stata condotta a buon fine e per il buon motivo. 

È questo il bluff che il processo-spettacolo di Norimberga consacrò. 

[51] 

UN BLUFF FINALMENTE DENUNCIATO NEL 1995 

Ci vollero non meno di cinquant'anni perché una storica, Annette 
Wieviorka, ed un cineasta, William Karel, rivelassero al grande pubblico, in un 
documentario intitolato Contre l'oubli, le messe in scena e le creazioni 
americane e sovietiche del 1945 in merito alla liberazione dei campi dell'Ovest 
e dell'Est. 

A. Wieviorka, ebrea francese, e W. Karel, Israeliano residente in Francia 
dal 1985, hanno manifestamente subito l'influenza della scuola revisionista 
francese. Assai ostili ai revisionisti, essi hanno nondimeno ammesso che era 
giunto il momento di denunciare alcune invenzioni troppo vistose della 
propaganda sterminazionista. Al riguardo si farà riferimento sia ad un articolo 
di Philippe Cusin 46 , sia, soprattutto, in occasione della nuova diffusione del 
documentario su Antenne 2, a un articolo di Beatrice Bocard il cui titolo, da 
solo, la dice lunga: "La Shoah, dalla realtà agli show. Di fronte ai racconti dei 
deportati, l'indecente messa in scena dei loro liberatori»* 7 . 

La giornalista scrive: 

Esagerando appena, si potrebbe dire che la liberazione dei campi di 
concentramento ha inaugurato i reality show {...}. Le primizie della 

46 "Le Figaro", 16 gennaio 1995, p. 29. 

47 "Liberation", 18 dicembre 1995, p. 41. 

40 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

società dello spettacolo che le catene televisive come la CNN 
avrebbero banalizzato cinquantanni dopo c'erano già, con il 
soprappiù dell'indecenza, del voyeurismo e il ricorso alla messa in 
scena {...}. Davanti alle telecamere, si fa ripetere ai meno malandati 
dei sopravvissuti il loro testo: «lo sono stato deportato perché ero 
ebreo», dice uno. Una volta, due volte... {...} Per non essere da meno 
dopo lo show americano, i Sovietici, che non avevano fatto niente al 
momento della liberazione di Auschwitz, filmano una "falsa 
liberazione" alcune settimane dopo, con delle comparse polacche che 
acclamano i soldati a gran voce... «William Karel è il primo a sfaldare 
queste false immagini che ci sono sempre state mostrate, anche 
assai di recente, come autentiche», dice Annette Wieviorka. Come si 
è potuto credervi? «Non c'è l'abitudine di mettere in dubbio le 
immagini come lo si fa per gli scritti», spiega la storica. «L 'esempio 
del carnaio di Timisoara non è tanto remoto». 

[52] 

Va da se che, in quest'articolo di B. Bocard, le manipolazioni erano 
mostrate come oltraggiose... per i deportati. Quanto ai Tedeschi, civili e 
militari, alcuni di loro avevano denunciato sin dal 1945 questo tipo di 
montaggi; ma, piuttosto che credere loro, li si accusò di nazismo o 
d'antisemitismo. 

EMINENTE RESPONSABILITÀ DELLE ORGANIZZAZIONI EBRAICHE 

IN QUESTA PROPAGANDA 

Dalle sue origini, 1941, ai nostri giorni, la propaganda sviluppatasi 
attorno al «genocidio» o alle «camere a gas» è essenzialmente dovuta alle 
organizzazioni ebraiche. Perciò si è a poco a poco formata nel grande pubblico 
la convinzione che un'impresa di sterminio fisico condotta dai Tedeschi 
mirasse, prima di tutto, agli ebrei e che le «camere a gas» fossero in qualche 
modo riservate agli ebrei (compresi gli ebrei del Sonderkommando che 
conducevano i loro correligionari al mattatoio). Oggi, gl'innumerevoli "musei 
dell'Olocausto" costituiscono un monopolio ebraico ed è una parola ebraica, la 
parola Shoah (catastrofe), che designa sempre più spesso questo preteso 
genocidio. Qualsiasi possa essere stata la loro partecipazione alla costruzione 
e al successo del mito, gli Alleati non hanno avuto in questa circostanza che 
un ruolo secondario e sempre sotto le pressioni delle organizzazioni ebraiche. 
Tuttavia, il caso dei Sovietici potrebbe essere stato diverso: la loro 
fabbricazione di un "Auschwitz" dove non viene messo l'accento sulla sorte 
degli ebrei potrebbe avere trovato origine nella necessità di una propaganda, 
al di là della Cortina di ferro, in direzione dei progressisti occidentali. 

E non è perché oggi delle voci ebree si levano per chiedere che si parli 
meno delle «camere a gas», che la propaganda dell" 'Olocausto" o della Shoah 
smorza il tono presso i responsabili della comunità israelitica. Più 

41 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

semplicemente, agli occhi degli storici ebrei, queste incredibili «camere a gas» 
sono diventate ingombranti per la propagazione della fede nella Shoah. 

[53] 

Una personalità politica francese ha detto delle camere a gas naziste che 
erano un dettaglio della seconda guerra mondiale. Ora, nelle loro rispettive 
opere su questa guerra, Eisenhower, Churchill e de Gaulle hanno 
apparentemente ritenuto che questi mattatoi chimici fossero addirittura meno 
di un dettaglio poiché non ne hanno fatto parola. Si nota la stessa discrezione 
nello storico René Rémond, importante membro del "Comité d'histoire de la 
Deuxième Guerre mondiale" prima, poi dell'"lnstitut d'histoire du temps 
présent": in due sue opere dove ci si sarebbe aspettato di veder figurare le 
parole "camera a gas", non si trova niente di tale. Lo storico americano Daniel 
J onah Goldhagen parla di queste camere come di un «epifenomeno». Nella 
versione francese della sentenza di Norimberga, vi sono dedicate solo 520 
parole, estremamente vaghe, su circa 84.000, il che costituisce lo 0,62% del 
testo di questa sentenza. 

Per un revisionista, le camere a gas sono meno di un dettaglio, perché 
molto semplicemente non sono esistite; ma il mito delle camere a gas, esso, è 
molto più di un dettaglio: è la pietra angolare d'un immenso edificio di 
credenze di ogni sorta che la legge ci vieta di contestare. 

"Camere a gas o no, che importanza ha?" Si sente a volte questa 
domanda, impregnata di scetticismo. Essa irrita lo storico P. Vidal-Naquet per 
il quale rinunciare alle camere a gas equivarrebbe a «capito/are in aperta 
campagna»* 8 . Non si può far altro che dargli ragione. Infatti, a seconda che le 
camere a gas siano esistite o no, ci verranno presentati i Tedeschi come dei 
criminali matricolati oppure gli ebrei come dei bugiardi matricolati (o 
imbonitori). Nel primo caso, i Tedeschi hanno, per tre o quattro anni, ucciso 
con mezzi industriali e in proporzioni industriali delle sventurate vittime 
inermi, mentre, nel secondo caso, gli ebrei, da più di mezzo secolo, propalano 
una menzogna di dimensioni storiche. 

Nel 1976 l'universitario americano Arthur Robert Butz pubblicava la sua 
opera The Hoax of the Twentieth Century; da parte mia, io pubblicavo su "Le 
Monde" del 29 dicembre 1978 e del 16 gennaio 1979 due testi sulla "voce 
su Auschwitz" e, proprio all'inizio dello stesso anno 1979, Wilhelm Staglich 
pubblicava Der Auschwitz Mythos. Facendosi portavoce di molte inquietudini 
ebraiche dinanzi al fiorire degli scritti revisionisti, il sionista W. D. Rubinstein, 
professore all'università Deakin di Melbourne, scriveva allora: 

Se si dimostrasse che l'Olocausto è una mistificazione, 
scomparirebbe l'arma n. 1 dell'arsenale della propaganda d'Israele 9 . 

[54] 

Ripetendosi qualche tempo dopo, dichiarava: 

Pierre Vidal-Naquet, Le secret partagé, "LeNouvel Observateur", 21 settembre 1984, p. 80. 
Lettera a "Nation Review" (Australia), 21 giugno 1979, p. 639. 

42 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

{Sta} di fatto che, se si può dimostrare che /'Olocausto è un "mito 
sionista", crolla la più forte di tutte le armi dell'arsenale della 
propaganda d'Israele 50 . 

Otto anni dopo, come a fargli eco, un avvocato della LICRA dichiarava: 
Se le camere a gas sono esistite, la barbarie nazista non eguaglia 
nessun' altra. Se non sono esistite, gli ebrei hanno mentito e 
l'antisemitismo si vedrebbe giustificato. Ecco la posta in gioco del 
dibattito 11 . 

Secondo la formula di E. Zùndel, «/" "Olocausto" è la spada e lo scudo 
d'Israele» . 

La posta in gioco non è dunque semplicemente storica, bensì politica. 
Questa posta in gioco politica è paradossale: il mito dell" 'Olocausto" serve a 
condannare in primo luogo il nazionalsocialismo tedesco, poi ogni forma di 
nazionalismo o d'idea nazionale salvo il nazionalismo israeliano e l'idea sionista 
che questo mito, al contrario, rafforza. 

La posta in gioco è anche finanziaria quando si pensa che, almeno a i 
partire dagli accordi sulle "riparazioni" firmati nella città di Lussemburgo nel 
1952, i contribuenti tedeschi hanno versato delle somme «astronomiche» 
(l'aggettivo qualificativo è di Nahum Goldmann) agli ebrei dello Stato d'Israele 
o della Diaspora nel loro insieme e che continueranno, a causa della Shoah, a 
pagare per i crimini che si imputano loro almeno fino all'anno 2030. Lo 
«Shoah- Business», denunciato persino da un P. Vidal-Naquet, è indissociabile 
dalla Shoah. 

Oggi, il bluff della Shoah autorizza un racket su scala mondiale. Per 
cominciare, una serie crescente di paesi ricchi o poveri, tra cui la Francia, si 
vedono reclamare, da parte del Congresso mondiale ebraico presieduto dal 
miliardario Edgar Bronfman e da parte di ricchissime organizzazioni ebraiche 
americane, montagne d'oro e di denaro a titolo di nuove "restituzioni" o di 
nuove "riparazioni". I paesi d'Europa, a cominciare dalla Svizzera, non sono i 
soli presi di mira. Per il momento, una mafia, saldamente insediata, opera in 
quattro direzioni principali (ce ne saranno altre, non c'è da dubitare): «l'oro 
nazista», gli averi degli ebrei, le collezioni d'arte ebree e le polizze 
d'assicurazione sotto[55]scritte da ebrei. I bersagli principali sono i governi, 
le banche, i musei, le sale d'asta pubblica e le compagnie d'assicurazioni. Negli 
Stati Uniti, sotto le pressioni delle organizzazioni ebraiche, lo Stato del New 
Jersey ha già votato delle misure di boicottaggio contro le istituzioni bancarie 
svizzere. Non è che un inizio. La sola vera argomentazione invocata dai 
maestri cantori è racchiusa in una parola: Shoah. Non un governo, non una 
banca, non una società d'assicurazioni osa ribattere a sua difesa che si tratta 
qui di un mito e che non è il caso di pagare per un crimine che non è stato 
commesso. Gli Svizzeri, su pressioni delle organizzazione ebraiche, in un primo 

50 The Left, the Right and thejews, seconda parte, "Quadrant" (Australia), settembre 1979, p. 27. 

51 Avv. Bernard J ouanneau, "La Croix", 23 settembre 1987, p. 2. 

43 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

tempo hanno avuto l'ingenuità di votare una legge che vietava qualsiasi 
rimessa in discussione della Shoah; ma non hanno fatto in tempo a pubblicare 
questa legge che E. Bronfman ha presentato loro il conto da pagare. Gli 
Svizzeri hanno allora offerto delle somme considerevoli. Fatica sprecata. E. 
Bronfman, «in collera», ha fatto sapere che gli ci voleva infinitamente di più. 
«La mia esperienza degli Svizzeri - ha dichiarato - è che, a meno che non 
tentate loro i piedi sul fuoco, non vi prendono sul serio» 52 . 

Quanto al danno morale causato alla Germania in particolare e ai non 
ebrei in generale dalla propagazione della religione dell" 'Olocausto", esso è 
incalcolabile. Le organizzazioni ebraiche non cessano di reiterare le loro 
accuse contro una Germania colpevole d'un «genocidio» degli ebrei e contro 
Churchill, Roosevelt, de Gaulle, Stalin, papa Pio XII, il "Comitato internazionale 
della Croce Rossa", i paesi neutrali ed altri paesi ancora, colpevoli, pare, di 
aver lasciato che la Germania commettesse questo «genocidio» e debitori, di 
conseguenza, anch'essi, di "riparazioni" finanziarie. 

LE ORGANIZZAZIONI EBRAICHE 
IMPONGONO IL CREDO DELL IM OLOCAUSTO" 

La mia opera, come si vedrà, tocca poco la "questione ebraica". 

Se, per tanti lustri, ho perseguito con accanimento l'indagine storica 
senza preoccuparmi troppo della "questione ebraica" in quanto tale, [56] è 
che, nella mia mente, quest'ultima non aveva che un'importanza secondaria. 
Essa rischiava di distogliermi dall'essenziale: io cercavo, in primo luogo e 
prima di tutto, di determinare le rispettive parti della verità e del mito nella 
storia detta dell" 'Olocausto" o della Shoah; m'importava dunque molto di più 
di stabilire la materialità dei fatti che di ricercare le responsabilità. 

Pertanto, mio malgrado, due fatti mi costringevano ad uscire dalla mia 
riserva: l'atteggiamento di numerosi ebrei nei confronti dei miei lavori e la loro 
ingiunzione lancinante di dovermi pronunciare su ciò che appassiona tanti di 
loro: la "questione ebraica". 

Quando, all'inizio degli anni '60, abbordai ciò che alga Wormser-Migot 
chiamava, nella sua tesi del 1968, «il problema delle camere a gas», io seppi 
di primo acchito quali conseguenze avrebbe potuto comportare una simile 
impresa. L'esempio di P. Rassinier mi avvertiva che potevo temere gravi 
ripercussioni. Decisi nondimeno di andare avanti, di attenermi ad una ricerca 
di carattere puramente storico e di pubblicarne il risultato. Sceglievo anche di 
lasciare all'eventuale avversario la responsabilità di uscire dal campo della 
controversia universitaria per impiegare i mezzi della coercizione e forse 

52 "Globe and Mail" (Canada), 2 giugno 1998, p. Al, 15. Edgar Bronfman, presidente del Congresso mondiale 
ebraico, è il re dell'alcool e della pornografia. Egli presiede il gruppo Seagram e, a Hollywood, possiede la 
Universal Studioso. Ha appena ricevuto, da una giuria di uomini politici americani, l'onorificenza "Silver 
Sewer" ("Cloaca d'argento"), in particolare per i reality show dell'ebreo Jerry Springer, trasmissioni che 
mettono in scena spogliarelliste incinte, giovani prostitute che si picchiano con i loro protettori, beccamorti 
che copulano con i cadaveri ecc. ("Financial Times", 21-22 marzo 1998, p. 2). 

44 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

persino della violenza fisica. E precisamente ciò che avvenne. Valendomi di un 
paragone, potrei dire che in qualche modo la fragile porta d'ufficio dietro alla 
quale redigevo i miei scritti revisionisti cedette, un giorno, sotto la spinta di 
una turba vociante di protestatari. Mi fu allora giocoforza constatarlo, la 
totalità o la quasi totalità degli agitatori erano figli e figlie d'Israele. "Gli ebrei" 
avevano appena fatto irruzione nella mia vita, lo li scoprivo all'improvviso non 
più quali li avevo conosciuti fino a quel momento, cioè come individui da 
distinguere gli uni dagli altri, ma come gli elementi, impossibili da staccare gli 
uni dagli altri, di un gruppo particolarmente saldato nell'odio e, per usare la 
loro parola, nella "collera". Frenetici, con la bava alla bocca, con tono di 
gemito e al tempo stesso di minaccia, essi venivano a strombazzarmi 
all'orecchio che i miei lavori li irritavano, che le mie conclusioni erano false e 
che dovevo tassativamente fare atto di vassallaggio alla loro interpretazione 
della storia della seconda guerra mondiale. Quest'interpretazione kasher pone 
"gli ebrei" al centro di questa guerra come vittime, non somiglianti a 
nessun'altra, di un conflitto che ha però causato probabilmente quasi 
quaranta milioni di morti. Per loro, il loro massacro era [57] unico nella storia 
del mondo. Mi si avvertiva che, a meno di sottomettermi, avrei visto la mia 
carriera rovinata. Sarei stato trascinato dinanzi ai tribunali. Poi, per via 
mediatica, il Gran Sinedrio, formato dai sacerdoti, dai notabili e dai dottori 
della legge ebraica, lanciò contro la mia persona una virulenta campagna di 
richiami all'odio e alla violenza. Non mi dilungherò sul susseguirsi, 
interminabile, degli oltraggi, delle aggressioni fisiche e dei processi. 

I responsabili di queste organizzazioni mi trattano volentieri da «nazista», 
che io non sono. Paragone per paragone, io sarei piuttosto, rispetto a loro, un 
"Palestinese", trattato come tale e portato a credere che nei riguardi di 
coloro che essi non gradiscono gli ebrei si comportano nella Diaspora come li 
si vede comportarsi in Palestina. I miei scritti sono, se si vuole, le pietre della 
mia Intifada. Parlando francamente, io non scopro nessuna differenza 
essenziale tra il comportamento dei responsabili sionisti di Tel-Aviv o di 
Gerusalemme e quello dei responsabili ebrei di Parigi o di New York: stessa 
durezza, stesso spirito di conquista e di dominio, stessi privilegi, su un fondo 
incessante di ricatto, di pressioni accompagnate da lagnanze e gemiti. Questo 
nello spazio. È forse altrimenti nel tempo? Il popolo ebraico è stato forse così 
sventurato nei secoli passati da essere pronto a dirlo? Ha forse sofferto di 
guerre e guerre civili tanto quanto le altre comunità umane? Ha forse 
conosciuto altrettante ristrettezze e miseria? Non ha davvero nessuna 
responsabilità nelle reazioni d'ostilità di cui si lamenta spesso e volentieri? Su 
questo punto, Bernard Lazare scrive: 

Se quest'ostilità, addirittura questa ripugnanza, si fossero esercitate 
nei riguardi degli Ebrei solo in un periodo e solo in un paese, sarebbe 
facile individuare le cause ristrette di queste collere; ma questa razza 
è stata, al contrario, fatta segno all'odio da parte di tutti i popoli in 

45 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

mezzo ai quali si è stabilita. Bisogna dunque, poiché i nemici degli 
Ebrei appartenevano alle razze più diverse, vivevano in contrade 
molto lontane le une dalle altre, erano retti da leggi diverse, 
governati da principi opposti, non avevano né gli stessi usi, né gli 
stessi costumi, erano animati da spiriti dissimili che non 
permettevano loro di giudicare ugualmente tutte le cose, bisogna 
dunque che le cause generali dell'antisemitismo siano sempre 
risiedute in Israele stesso e non presso coloro che le combatterono. 

[58] 

Questo non per affermare che i persecutori degli Israeliti ebbero 
sempre il diritto dalla loro parte, né che essi non si lasciarono andare 
a tutti gli eccessi che comportano gli odi vivi, ma per porre come 
postulato che gli Ebrei furono causa - in parte almeno dei propri 
mali 53 . 
Lazare, che non è per niente ostile ai suoi correligionari - ben al contrario 
-, ha la schiettezza di ricordare a più riprese quanto gli ebrei abbiano saputo, 
in tutto il corso della loro storia, sin dall'Antichità, guadagnarsi dei privilegi: 
« {Molti} tra la povera gente erano attirati dai privilegi concessi agli fibre/» 54 . 
Mi si permetterà qui una confidenza. 

Da vecchio latinista e al tempo stesso da imputato perseguito dinanzi ai 
tribunali da parte di organizzazioni ebraiche, da professore universitario cui si 
è impedito di tenere le proprie lezioni a causa di manifestazioni ebraiche, e, 
infine, da autore cui è stato vietato di pubblicare a causa di decisioni del 
rabbinato maggiore ratificate dalla repubblica francese, mi capita di 
confrontare le mie esperienze con quelle d'illustri predecessori. È così che 
penso all'aristocratico romano Lucio Fiacco. Nel 59 prima della nostra era, 
Cicerone ebbe a difenderlo in particolare contro i suoi accusatori ebrei; la 
descrizione che fa l'illustre oratore dell'influenza, della potenza e dei 
procedimenti degli ebrei di Roma nel pretorio mi fa pensare che, se egli 
ritornasse sulla terra, nel XX secolo, per difendervi un revisionista, non 
avrebbe per così dire bisogno di cambiare neanche una parola su questo 
punto nella sua arringa del Pro Fiacco. 

Avendo dovuto insegnare alla Sorbona, penso anche al mio predecessore 
Henri Labroue, autore di un'opera su Voltaire antijuif. Alla fine del 1942, in 
piena occupazione tedesca, in un periodo in cui ci vogliono far credere che gli 
ebrei e i loro difensori si dimostrassero quanto più possibile discreti, egli 
dovette rinunciare a tenere le sue lezioni sulla storia del giudaismo. Citiamo 
Andre Kaspi: 

È stata creata alla Sorbona una cattedra di storia del giudaismo per 
la ripresa delle lezioni dell'anno accademico 1942 e affidata a Henri 

53 B. Lazare, L'Antisémitisme..., prima pagina del primo capitolo. 

54 Ivi, p. 27. 

46 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

Labroue. Le prime lezioni hanno dato luogo a manifestazioni d'ostilità 
e a incidenti che hanno comportato la soppressione dei corsi 55 . 

[59] 

Ma, oggi, immancabilmente si ritroverebbero dinanzi ai tribunali, su 
querela di associazioni ebraiche, decine di grandi nomi della letteratura 
mondiale, tra cui Shakespeare, Voltaire, Hugo nonché Zola (il difensore di 
Dreyfus ha scritto anche L'Argent). Tra i grandi nomi della politica, persino un 
J aurès siederebbe sul banco dell'infamia. 

Tali considerazioni potrebbero valermi l'epiteto d'antisemita o 
d'antiebreo. lo respingo queste qualifiche che considero facili insulti, lo non 
voglio nessun male a nessun ebreo. Trovo, invece, detestabile il 
comportamento della maggior parte delle associazioni, organizzazioni e gruppi 
di pressione che pretendono di rappresentare gli interessi ebraici o la 
«memoria ebraica». 

I responsabili di queste associazioni, organizzazioni o gruppi fanno 
manifestamente molta fatica a capire che si possa agire per semplice onestà 
intellettuale. Se, dal canto mio, ho dedicato buona parte della mia vita al 
revisionismo, prima nel campo degli studi letterari, poi in quello della ricerca 
storica, non è affatto in seguito ad odiosi calcoli o per servire un complotto 
antiebraico, ma per un moto così naturale come quello che fa sì che l'uccello 
canti, che spunti la foglia e che, nelle tenebre, l'uomo aspiri alla luce. 

RESISTENZA NATURALE 
DELLA SCIENZA STORICA A QUESTO CREDO 

Come certi altri revisionisti, avrei potuto operare la mia sottomissione, 
fare atto di pentimento, ritrattare; altra scappatoia: mi sarei potuto 
accontentare di ordire dei sapienti ed arzigogolati stratagemmi. Non soltanto 
io decisi, a cominciare dagli anni '70, di resistere a viso aperto e alla luce del 
sole, ma mi ripromisi di non prendere parte al gioco dell'avversario, lo presi la 
risoluzione di non cambiare niente nel mio comportamento e di lasciare che gli 
eccitati si eccitassero ogni giorno di più. Tra gli ebrei, non avrei ascoltato che 
quelli, particolarmente coraggiosi, che osavano prendere le mie difese almeno 
nello spazio di una stagione 56 . 

[60] 

Le organizzazioni ebraiche nell'insieme trattano come antisemiti coloro 
che non adottano la loro concezione della storia della seconda guerra 
mondiale. Le si può capire, poi che arrivare a dire, come faccio io qui ora, che 

55 Kaspi, Les Juifs pendant l'Occupation, ed. riveduta ed aggiornata, Le Seuil, Parigi 1997 [1991}, p. 109, n. 
27./ 

56 lo sento a volte dire che rischia di costare più caro ad un ebreo che ad un non ebreo fare professione di 
revisionismo. I fatti smentiscono quest'asserzione. Non un ebreo è stato condannato in tribunale per 
revisionismo, nemmeno Roger Guy Dommergue (Polacco de Menasce) che, da anni, moltiplica i più 
veementi scritti contro ciò che egli chiama le menzogne dei suoi «congeneri». Finora non si è osato 
applicargli né la legge Pleven (1972) né la legge Fabius-Gayssot (1990). È opportuno tuttavia ricordare il 
caso del giovane revisionista americano David Cole che mostra a quale violenza possono ricorrere certe 
organizzazioni ebraiche per far tacere degli ebrei che hanno preso partito per la causa revisionista. 

47 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

esse rientrano, per me, nel novero dei principali responsabili della 
propagazione di un mito gigantesco ha le apparenze di un'opinione ispirata 
dall'antisemitismo. Ma, in realtà, io non faccio che trarre le conclusioni ovvie 
di un'indagine storica che, con ogni probabilità, deve essere tra le più serie, 
poiché nessun tribunale, nonostante le febbrili ricerche dell'accusa, ha potuto 
individuarvi tracce di leggerezza, di negligenza, di deliberata ignoranza o di 
menzogna. 

Peraltro, a dei gruppi di persone che non hanno manifestato il minimo 
rispetto per le mie ricerche, le mie pubblicazioni, la mia vita personale, 
familiare o professionale, non vedo perché, dal canto mio, dovrei dimostrare 
rispetto, lo non attacco né critico questi gruppi per le loro convinzioni 
religiose o il loro attaccamento allo Stato d'Israele. Tutti i gruppi umani si 
beano di fantasmagorie. Di conseguenza, ciascuno di loro è libero di offrirsi 
della sua storia una rappresentazione più o meno reale, più o meno 
immaginaria. Ma questa rappresentazione, non bisogna imporla agli altri. Ora, 
le organizzazioni ebraiche c'impongono la loro, cosa che, in se, è inaccettabile 
e lo è ancora di più quando questa rappresentazione è manifestamente 
erronea. Ed io non conosco in Francia nessun gruppo che, di un articolo di 
fede della sua religione (quella della Shoah) sia arrivato a fare un articolo della 
legge repubblicana; che benefici del privilegio esorbitante di possedere delle 
milizie armate con l'assenso del ministero dell'Interno; e che, infine, possa 
decretare che gli universitari che non gli sono graditi non avranno più diritto 
d'insegnare né in Francia, né all'estero (vedi, in particolare, il caso Bernard 
Notin). 

PER UN REVISIONISMO SENZA COMPLESSI 

I revisionisti non conoscono in effetti ne maestro ne discepolo. Essi 
formano una truppa eteroclita. Ripugna loro organizzarsi, il che pre[61]senta 
tanti inconvenienti quanti vantaggi. Il loro individualismo li rende inadatti 
all'azione concertata; in compenso, i servizi di polizia si rivelano incapaci di 
penetrare e di sorvegliare un insieme così disparato; essi non possono risalire 
a nessun canale, proprio perché non esiste nessuna rete revisionista. Questi 
individui si sentono liberi d'improvvisare, ognuno secondo le proprie attitudini 
o i propri gusti, un'attività revisionista che assumerà le forme più diverse. La 
qualità dei lavori intrapresi ne risente e bisogna riconoscere che il risultato è 
disuguale. Da questo punto di vista, si può dire che resta ancora molto da 
fare. Il semplice dilettante sta gomito a gomito con l'erudito, e l'uomo 
d'azione con il ricercatore nei suoi archivi, lo qui non farò nomi per timore di 
catalogare ciascuno di questi individui 57 . 

57 Un ricercatore indipendente, che non si proclama pertanto tale, può indirettamente contribuire al 
revisionismo con la semplice qualità del suo lavoro. Farò qui un nome, quello di Jean Plantin, responsabile 
di una pubblicazione il cui titolo, da solo, indica il carattere erudito: Akribeia - tale è il titolo di questa 
pubblicazione semestrale - significa "esattezza", "cura minuziosa" e ha dato in francese la parola acribie 

48 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

Sulla maniera di condurre la battaglia revisionista, va da se che i 
revisionisti si dividono tra fautori ed avversari di una sorta di realismo politico. 
La maggior parte ritiene che, di fronte alla potenza del tabù, è meglio 
procedere per vie traverse e non scontrarsi frontalmente con i sostenitori 
dell'ortodossia. Per questi revisionisti, è maldestro ed imprudente buttare lì, 
per esempio, che I" 'Olocausto" è un mito; è meglio, secondo loro, insinuare 
che I" 'Olocausto" è esistito per davvero ma non nelle proporzioni 
generalmente ammesse. Presi dalla strategia o dalle tattiche, questi 
revisionisti cercheranno di aver riguardo per le suscettibilità ebraiche e 
suggeriranno, a torto, che la parte leggendaria dell" 'Olocausto" è soprattutto 
imputabile ai comunisti o agli Alleati ma non agli ebrei, o comunque assai 
poco. Non si vedono forse degli apprendisti revisionisti praticare il fallace 
amalgama che consiste nel presentare gli ebrei come vittime, allo stesso 
titolo degli altri, di una sorta di credo universale erroneo? Gli ebrei si 
sarebbero visti obbligati, in qualche modo da una forza immanente, a credere 
al genocidio ed alle camere a gas, mentre, probabilmente, la stessa forza li 
spingerebbe a reclamare ancora più denaro in riparazione alle sofferenze 
fittizie 58 . A un ebreo errante appena passato al campo revisionista, si farà 
festa come al genio più puro del revisionismo. Se riprenderà a suo conto, ed 
in modo maldestro, le scoperte dei suoi predecessori non ebrei su Auschwitz, 
si saluterà in questo nuovo venuto un luminare del pensiero scientifico. 

lo ammetto certe forme di questo realismo politico, ma a condizione che 
non sia accompagnato da arroganza. Non c'è nessuna superio[62]rità, né 
intellettuale né morale, nel pensare che il fine giustifica i mezzi e che a volte 
bisogna proprio prendere a prestito dall'avversario le armi della dissimulazione 
e della menzogna. Ma, personalmente, la mia preferenza va ad un revisionismo 
senza complessi e senza troppi compromessi. Si dichiara il colore. Si cammina 
diritto verso la meta. Soli, se necessario. Non si ha riguardo per l'avversario. 
D'altronde, una lunghissima esperienza della battaglia revisionista mi fa 
pensare che la migliore strategia, la migliore tattica possano consistere in una 
successione di attacchi frontali; l'avversario non se li aspettava; egli 
immaginava che nessuno avrebbe avuto l'audacia di sfidarlo così; egli scopre 
di non fare più paura; ne è disorientato. 

UN CONFLITTO SENZA FINE 

I revisionisti hanno proposto cento volte ai loro avversari un dibattito 
pubblico sul genocidio, le camere a gas e i sei milioni. Le organizzazioni 
ebraiche si sono sempre sottratte a questa proposta. C'è ora la prova che 
esse non l'accetteranno. Almeno la Chiesa cattolica ammette oggi una forma 

(qualità dell'erudito che lavora con un'estrema cura), AKRIBEIA, 45/3, Route de Vourles, 69230 Saint-Genis- 
Laval, Francia. 

58 V. la pertinente analisi di Guillermo Coletti, The Taming of Holocaust Revisionism {"Domare il 
revisionismo dell'Olocausto"}, 13 novembre 1998, Anticensorship News Agency. 

49 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

di dialogo con gli atei, ma lei, la Sinagoga, non dimenticherà l'offesa fattale 59 e 
non si risolverà mai a correre il rischio di un tale dialogo con i revisionisti. 
Peraltro, sono in gioco troppi interessi politici, finanziari e morali perché, da 
parte loro, i responsabili dello Stato d'Israele o della Diaspora accettino di 
avviare un simile dibattito sulla versione kasher della storia della seconda 
guerra mondiale. 

Continuerà dunque la prova di forza, lo non ne vedo una fine. Il conflitto 
al quale noi assistiamo tra "sterminazionismo" e "revisionismo", cioè, da un 
lato, una storia ufficiale, immutabile, sacra e, dall'altro, una storia critica, 
scientifica, profana, s'iscrive nella battaglia senza fine che si danno nelle 
società umane, da millenni, la fede e la ragione o le credenze e la scienza. La 
fede nell'"Olocausto" o Shoah fa parte integrante di una religione, la religione 
ebraica, di cui, a guardare da vicino, le fantasmagorie dell" 'Olocausto" non 
sono che un'emanazione. Non si è mai vista una religione crollare sotto i colpi 
della ragione. Non sarà [63] domani che scomparirà la religione ebraica con 
una delle sue componenti più vivaci. Secondo le interpretazioni in atto, questa 
religione è vecchia di 1.500 anni o di tremila, se non di quattromila anni. Non 
si vede perché gli uomini dell'anno 2000 dovrebbero beneficiare del privilegio 
d'assistere in diretta al naufragare di una religione che risale a tempi tanto 
antichi. 

Si sente a volte dire che il mito dell" 'Olocausto" o della Shoah potrebbe 
un giorno svanire come è crollato non molto tempo fa il comunismo stalinista 
o come crolleranno un giorno prossimo futuro il mito sionista e lo Stato 
d'Israele. Equivale a paragonare ciò che non è paragonabile. Comunismo e 
sionismo poggiano su basi fragili; tutt'e due presuppongono nell'uomo delle 
alte aspirazioni che sono largamente illusorie: il disinteresse generalizzato, la 
divisione alla pari tra tutti, il senso di sacrificio, il lavoro a profitto di tutti; i 
loro emblemi sono, in un caso, la falce, il martello e il kolchoz e, nell'altro, la 
spada, l'aratro e il kibbutz. La religione ebraica, da parte sua, sotto 
l'apparenza lambiccata della masora o del pilpul, non si perde in queste 
fantasticherie; essa mira basso per mirare giusto; essa fa assegnamento sul 
reale; sotto la copertura di stravaganze talmudiche e prestidigitazioni 
intellettuali o verbali, si vede che essa fa soprattutto lega con il denaro, il re 
dollaro, il Vitello d'Oro e le blandizie della società dei consumi. Chi può 
credere che quei valori perderanno un giorno prossimo futuro parte del loro 
potere? E, peraltro, in che modo la scomparsa dello Stato d'Israele 
provocherebbe conseguenze nefaste per il mito dell'"Olocausto"? Al 
contrario, milioni di ebrei, costretti a raggiungere i paesi ricchi dell'Occidente 
o a ritornarvi, non perderebbero l'occasione di gridare al "Secondo Olocausto" 
e, di nuovo e ancora più forte, accuserebbero tutto il mondo di questa nuova 
prova imposta al popolo ebraico, che bisognerebbe allora "risarcire". 

59 «L'oubli n'est pas notre principale vertu» (il presidente del Concistoro di Tolosa, secondo "Le Figaro", 9 
ottobre 1997, p. 10). 

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Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

Infine, la religione ebraica - lo si vede anche troppo bene con i racconti 
dell" 'Olocausto" - si ancora in ciò che vi è forse di più profondo nell'uomo: la 
paura. È qui la sua forza. Qui sta la sua possibilità di sopravvivenza malgrado 
tutti i rischi e malgrado tutti i colpi di maglio sferrati contro i suoi miti dal 
revisionismo storico. Giocando con la paura, i professionisti del giudaismo 
vincono ad ogni colpo. 

lo sottoscrivo la constatazione del sociologo e storico Serge Thion 60 per 
il quale [64] 

// revisionismo storico, che ha vinto tutte le battaglie intellettuali da 
venticinque anni a questa parte, perde ogni giorno la guerra 
ideologica. Il revisionismo si scontra con l'irrazionale, con un pensiero 
quasi religioso, con il rifiuto di prendere in considerazione ciò che 
proviene da un polo non ebraico; noi ci troviamo in presenza di una 
sorta di teologia laica di cui Elie Wiesel è il sommo sacerdote 
internazionale consacrato dall'attribuzione di un premio Nobel. 

IL FUTURO TRA REPRESSIONE E INTERNET 

I nuovi venuti del revisionismo non dovranno cullarsi nelle illusioni. Il loro 
compito sarà arduo. Lo sarà forse meno che per Paul Rassinier e i suoi 
successori più diretti? La repressione sarà forse meno feroce? 

Personalmente, ne dubito. Tuttavia, nel mondo, il cambiamento degli 
equilibri politici e delle tecniche della comunicazione darà forse alle minoranze 
la possibilità di farsi sentire meglio che in un recente passato. Grazie a 
Internet, per i revisionisti sarà forse più facile eludere la censura e le fonti 
d'informazione storiche diventeranno probabilmente più accessibili. 

Resta il fatto che in questa fine secolo e fine millennio l'uomo è chiamato 
a vivere la strana esperienza di un mondo in cui libri, giornali, radio e catene 
televisive sono, più che mai, strettamente controllate dal potere del denaro o 
dalla polizia del pensiero, mentre, parallelamente, si sviluppano, a velocità 
crescente, nuovi mezzi di comunicazione che sfuggono, in parte, ad ogni 
controllo. Sembrerebbe un mondo a due facce: una s'irrigidisce ed invecchia, 
l'altra ha l'insolenza della giovinezza e guarda verso il futuro. Si osserva lo 
stesso contrasto nella ricerca storica, per lo meno quella che la polizia del 
pensiero sorveglia: da un lato, gli storici ufficiali, che moltiplicano le opere 
sull'"Olocausto"o la Shoah, si rinchiudono nel campo delle credenze religiose 
o del ragionamento cavilloso in completo isolamento, mentre, dall'altro, degli 
spiriti indipendenti si sforzano di non osservare che i precetti della [65] 
ragione e della scienza; grazie a questi ultimi, la libera ricerca storica 
manifesta, in particolare su Internet, una vitalità impressionante. 

60 S. Thion è, in particolare, autore di un'opera revisionista che reca il titolo eloquente di Une Allumette sur 
la banquise. Un'opera revisionista, anche se il suo contenuto sembra essere dinamite, non apporta forse, in 
fin dei conti, maggiore chiarezza e calore di un fiammifero «nella notte polare, sulla banchisa delle idee 
congelate» (p. 90). 

51 

Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

I sostenitori di una storia ufficiale protetta e garantita dalla legge 
saranno, per sempre, condannati a trovarsi davanti i contestatori di una verità 
d'ufficio. Gli uni hanno, con l'età, il potere e il denaro; gli altri, un vero e 
proprio futuro. 

UNA REPRESSIONE CHE S'AGGRAVA 

Se c'è un punto su cui la presente opera può apportare tanta 
informazione ai revisionisti quanta agli antirevisionisti, è quello della 
repressione che subiscono i primi a causa dei secondi. 

Ogni revisionista sa a proprie spese che cosa gli costa esprimersi su un 
argomento tabù, ma non ha sempre coscienza di ciò che subiscono nello 
stesso momento i suoi simili in altri paesi oltre al suo. Gli antirevisionisti, dal 
canto loro, minimizzano sistematicamente l'ampiezza delle loro azioni 
repressive; essi non pensano che ai propri tormenti, paragonabili a quelli di 
Torquemada e dei Grandi Inquisitori: essi devono colpire, colpire sempre; il 
braccio si stanca, hanno i crampi, soffrono, gemono; trovano che, se ci sono 
degli uomini da compiangere, quelli sono i boia; si coprono gli occhi e si 
tappano gli orecchi per evitare di vedere e di sentire tutte le loro vittime. A 
volte addirittura, si stupiscono, forse in buona fede, quando si presenta loro 
l'elenco dei revisionisti che essi sono riusciti a stroncare nella vita personale, 
familiare o professionale, a rovinare, a subissare d'ammende o pene 
carcerarie, a ferire gravemente, a vetrioleggiare, ad uccidere, a spingere al 
suicidio, mentre all'inverso non si riesce a presentare un solo caso in cui un 
revisionista abbia torto anche solo un capello ad uno dei suoi avversano 

Bisogna dire che la stampa si adopera per dissimulare il più possibile certi 
effetti di questa repressione generalizzata. In Francia, il giornale "Le Monde" a 
questo proposito ha fatto una sua specialità, come si vedrà, di passare sotto 
silenzio certi abomini che, se ne fossero stati vit[66]time degli ebrei alla 
Vidal-Naquet, avrebbero suscitato, su tutta la superficie del globo, cortei di 
protesta e manifestazioni d'ogni genere. 

II meglio che si possa attendere dagli apostoli della Shoah sarà, tutt'al 
più, una messa in guardia contro eccessi d'antirevisionismo che potrebbero 
arrecare danno alla buona fama degli ebrei e alla sacra causa della Shoah. 

Nella valanga di tutte le ultime misure di repressione adottate contro i 
revisionisti, si noterà, per la Francia, la revoca da parte della pubblica 
Istruzione di Michel Adam, che insegnava storia e geografia in un liceo in 
Bretagna; a cinquantasette anni, con cinque figli a carico, si ritrova senza la 
minima risorsa e addirittura, per il momento, senza il reddito minimo 
d'inserimento (RMI). Quanto a Vincent Reynouard, anche lui revocato dalla 
pubblica Istruzione, gli è stata appena inflitta una condanna definitiva dal 
tribunale di Saint-Nazaire, lo scorso 10 novembre, a tre mesi di prigione e a 
dieci mila franchi d'ammenda per aver diffuso l'edizione francese del Rudolf 
Gutachten ("Rapporto Rudolf, analisi chimico-fisica delle "camere a gas" di 

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Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

Auschwitz N.d.T.); venti nove anni, sposato, padre di tre bambini in tenera 
età, egli si ritrova, assieme alla moglie, senza la minima risorsa. Sempre in 
Francia, il pastore Roger Parmentier viene escluso dal partito socialista per 
aver dato il suo sostegno dinanzi ad un tribunale a Roger Garaudy, mentre 
Jean-Marie Le Pen, da parte sua, è sottoposto ad indagine, in Francia come 
pure in Germania, per una dichiarazione anodina sul «dettaglio» delle camere a 
gas. 

A Barcellona, il 16 novembre, su istanza del "Centro Simon Wiesenthal", 
di "SOS-Razzismo-Spagna", delle due comunità israelitiche della città e del 
Movimento ebraico liberale spagnolo, il libraio Pedro Varela ha ricevuto una 
condanna definitiva a cinque anni di carcere per «negazione dell'Olocausto» e 
«incitamento all'odio razziale» con gli scritti. Egli è anche condannato ad 
un'ammenda di trentamila franchi e a delle gravose spese giudiziarie. I 20.972 
libri e le centinaia di cassette che compongono il fondo della sua libreria 
saranno distrutti... dalle fiamme. La sua libreria era stata fatta segno 
d'attentati e d'incendi. A più riprese, erano stati aggrediti il suo dipendente o 
lui stesso. Il "Centro Simon Wiesenthal" tenterebbe oggi di ottenere 
l'annullamento del dottorato di storia concesso a Pedro Varela più di dieci 
anni fa 61 . 

[67] 

In Germania, si sequestrano e si bruciano sempre più spesso scritti 
revisionisti. Gary Lauck (cittadino americano estradato dalla Danimarca in 
Germania), Gùnter Deckert e Udo Walendy vegetano sempre in carcere e 
possono ritenersi fortunati se non si prolunga la loro incarcerazione con il 
minimo pretesto. Erhard Kemper, di Mùnster, dopo un anno di prigione e sotto 
la minaccia di nuove e pesanti pene che lo terrebbero in carcere 
probabilmente fino alla fine della sua vita, ha dovuto rifugiarsi nella 
clandestinità. Altri Tedeschi o Austriaci vivono in esilio. 

In Canada, continua il calvario di Ernst Zùndel e dei suoi amici dinanzi ad 
uno di questi tribunali ad hoc, detti "commissioni dei diritti umani", dove ci si 
fa, allegramente, beffe dei normali diritti di difesa; per esempio, uno ha il 
divieto di sostenere che ciò che ha scritto corrisponde ad una verità 
verificabile; queste commissioni non si preoccupano della verità; a loro 
interessa solo sapere se ciò che è scritto arreca o no dispiacere ad alcuni! 
Altre commissioni speciali collegate con l' Intelligence Service del Canada, 
prendono le decisioni, nel caso dei revisionisti, a porte chiuse in base ad un 
fascicolo non comunicato all'interessato. Nel 1999, Ottawa adotterà una 
legge antirevisionista che autorizza la polizia a sequestrare a domicilio 
qualsiasi libro o materiale che potrebbe, secondo la polizia stessa, propagare il 
revisionismo; questa stessa legge stipulerà che i tribunali allineeranno la loro 

61 V. Un libraire espagnol condamné pour "apologie du génocide" , "Le Monde", 19 novembre 1998, p. 3; 
Emmanuel Ratier, "Faits & Documents", 10 dicembre 1998, p.12. 

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Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

prassi a quella delle commissioni ad hoc e non permetteranno più all'accusato 
di difendersi invocando la verità di ciò che egli ha scritto 62 . 

Dappertutto nel mondo le associazioni ebraiche moltiplicano le iniziative 
per l'adozione di una legge antirevisionista specifica. Recentemente, in 
occasione di una conferenza riunita a Salonicco, l'Associazione internazionale 
degli avvocati e giuristi ebrei ha reclamato l'instaurazione in Grecia di una tale 
legge ed ha fatto sapere che terrà delle conferenze identiche in altri venti e 
più paesi 63 . 

[68] 

IL DOVERE DI RESISTERE 

Quali che possano essere le tempeste e le vicissitudini presenti o a 
venire, lo storico revisionista deve mantenere la rotta. Al culto di una 
memoria tribale fondata sulla paura, la vendetta e il lucro, egli preferirà la 
ricerca ostinata dell'esattezza. In questo modo, anche senza volerlo, egli 
renderà giustizia alle vere sofferenze di tutte le vittime della seconda guerra 
mondiale. E, da questo punto di vista, sarà lui ad evitare qualsiasi 
discriminazione di razza, di religione, di comunità. Soprattutto, rifiuterà 
l'impostura suprema che ha coronato questo conflitto: quella del processo di 
Norimberga, del processo di Tokyo e di altri mille processi del dopoguerra in 
occasione dei quali, ancora oggi, il vincitore, senza dover rendere il minimo 
conto dei propri crimini, si arroga il diritto di perseguire e condannare il vinto. 

Contrariamente alla visione romantica di Chateaubriand, lo storico non è 
affatto «incaricato della vendetta dei popoli» e, ancor meno, della vendetta di 
un popolo che si pretende eletto da Dio. 

Su qualunque argomento, lo storico in generale e lo storico revisionista 
in particolare non hanno altra missione che di verificare se ciò che si dice è 
esatto. Si tratta qui di una missione elementare, ovvia, ma l'esperienza 
insegna - pericolosa. 

62 V. Crackdown ori hate materials planned, "National Post" (Canada), 25 novembre 1998. 

63 "Athens New", 28 giugno 1998, p. 1. 

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Faurisson - Introduzione agli Écrits révisionnistes 

INDICE 

Premessa alla 2' edizione dei miei Écrits révisionnistes (1974-1998) .. 5 

Scritti revisionisti (1974-1998) 11 

In Memoriam 13 

Introduzione a Écrits révisionnistes (1974-1998) 15 

ooooOOOOoooo 


Fonte: http://archive.org/stream/IntroduzioneAcritsRvisionnistes/RFintroit_djvu.txt

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Published: 2014-06-02
First posted on CODOH: May 25, 2018, 6:31 p.m.
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