Jürgen Graf : Il gigante dai piedi d’argilla. Presentazione/traduzione del prof. Antonio Caracciolo

Published: 2013-09-15

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Jürgen Graf: Il gigante dai piedi d’argilla

 

(Riese auf tönernen Füssen—Raul Hilberg und sein Standardwerk über den 'Holocaust')

 

Testo originale tedesco ( http://holocausthandbuecher.com/dl/03d-ratf.pdf )

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GrafJuergen-RieseAufToenernenFuessen

1. Dopo le vicende teramane del maggio 2007 che con indubbia violenza, sia di tipo squadristico ma anche di tipo istituzionale, hanno impedito ad un anziano signore di 80 anni (il Prof. Robert Faurisson, ndr) di poter prendere la parola sorge spontanea la curiosità per tutti quegli autori “maledetti” che vengono messi in carcere e perseguitati per il solo reato di aver formulato tesi storiografiche ed averle illustrate in apposite trattazioni. Eppure, tra i principi su cui si fonda la superbia della nostra civiltà occidentale figurano al primo posto la libertà di pensiero, di ricerca, di insegnamento. Su ogni cosa si può dissentire ma nessun colloquio e confronto critico è più possibile se al nostro contraddittore gli è imputato come un reato la sua diversa opinione. Si tenta di mascherare la sostanziale violazione della libertà di pensiero con distinzioni e sottodistinzioni che richiamano alla mente le critiche del giovane Marx alle nascenti costituzioni europei. Al primo comma proclamano solennemente un principio rispettabile e condivisibile, ma dal secondo comma in poi introducono una serie di limitazioni che finiscono per annullare la portata innovativa e rivoluzionaria del comma primo. Ma poiché i libri “proibiti” sono per loro natura i più interessanti ho deciso di sottrarre alle abituali occupazioni scientifiche una parte del mio tempo per destinarlo alla traduzione online di un testo che mette in discussione la validità scientifica di un’opera canonica nella storiografia dell’Olocausto, che ha tutto il sostegno dell’ufficialità e del potere. La traduzione dell’opera di Jürgen Graf che vive da esule per aver scritto questo libro ed altri è per me un’occasione di studio in un campo ignoto.

Per questa mia impresa dilazionata nel tempo sono certo del gradimento dell’Autore, ma visto i tempi mi aspetto anche qualche fastidio. Sono curioso di conoscere le probabili obiezioni alla mia libertà di tradurre un qualsiasi testo da me liberamente scelto. Potrò conoscere l’effettiva portata e significanza del nostro sistema di libertà e della pretesa superiorità del nostro modello di civiltà. La traduzione del testo sarà corredata da una iconografia tratta dal web e da tutti i links da me trovati o da altri segnalati. Se del caso, aggiungerò Note del Traduttore. Tutti i lettori, buoni e cattivi, saranno egualmente benvenuti ed i loro commenti pubblicati se appena attengono al contenuto e non siano una mera espressione di dileggio. Insomma, l’edizione elettronica si propone di dare un proprio valore aggiunto al testo cartaceo. Giunta a termine, la traduzione italiana avrà pure una sua edizione cartacea. Il testo originale tedesco è disponibile all’interno del Gruppo Civium Libertas ed ha circolazione privata strettamente riservata agli Iscritti. Ogni diffusione esterna non sarà da noi autorizzata, non avendole noi i diritti. Questa traduzione italiana avviene invece con il consenso dell’Autore. Ogni osservazione tecnica sulla traduzione da me fatta, dal tedesco all’italiano, sarà da me quanto mai gradita e tenuta nella massima considerazione. Poiché prevedo tempi alquanto lunghi per terminare questa mia nuova fatica di traduttore, i lettori possono rendersi conto dell’avanzamento del testo leggendo in alto a sinistra il numero della versione. Numerosi collegamenti interni ridurranno la fastidiosità dello scrolling di un testo che nell’originale tedesca è di circa 160 pagine.

2. Di Hilberg una notiziola in apparenza marginale mi fa riflettere non poco. Lo storico ufficiale dell’«Olocausto» ha iniziato la sua carriera nell’analisi degli archivi che i vincitori hanno depredato ai vinti. Chi appena un poco sa di archivistica sa quanto gli archivi sono importanti non solo per la storia in sé, ma per la stessa identità nazionale di un popolo, i cui capi conservavano anticamente nelle stanze del tesoro anche le carte che conferivano loro diritti e privilegi. Su queste carte si è costruita l’identità politica di un popolo. Privare delle sue carte, dei suoi archivi, significa privare un popolo della sua identità, ovvero poterla manomettere. Andrebbe rubricato come un vero e proprio crimine contro l’umanità il trafugamento o la distruzione degli archivi di un popolo. Orbene, la storia ci ha insegnato che non sempre possiamo avere un’assoluta e cieca fiducia nell’operato delle amministrazioni americane. Non posso reprimere il sospetto che i vincitori abbiano cancellato o distrutto tutte le carte che potessero contrastare con il piano giudiziario di criminalizzazione del vinto, conservando o esibendo solo quelle carte che potesse suffragare l’impianto accusatorio ideologico. Che anche in tal modo, a meno di non fabbricare veri e propri falsi che possono essere tecnicamente riconosciuti, non siano riusciti ad esibire quei documenti che i revisionisti giudicano necessari e dirimenti, non può che accrescere i dubbi e le perplessità di quanti non siano pregiudizialmente e materialmente interessati ad una versione ufficiale della storia della seconda guerra mondiale e del nazismo, che pone al suo punto centrale lo “sterminio” degli Ebrei d’Europa.

3. Come singola unità di quel grande pubblico che secondo il Sunday Times dovrebbe trovare nel grosso tomo di Hilberg un impareggiabile libro di storia, proprio mentre mi accingo alla lettura sequenziale delle 1479 pagine numerate dell’ultima edizione italiana cui pose mano lo stesso Autore comunico che la mia prima impressione è che si tratti non di opera impareggiabile di storia ma di opera eminentemente “ideologico”, scritta da un militare americano per scopi di guerra, essendo ormai acclarato che le guerre dei nostri tempi non terminano mai con la pace, ma con tribunali di guerra che criminalizzano per l’eternità i vinti ed influenzano in modo capillare tutto il sistema educativo del popolo vinto e la formazione delle sue nuove generazioni. Si spiega perciò agevolmente la reazione scomposta davanti ad innocui libri come quelli dei cosiddetti revisionisti: con pochi colpi ben assestati ai piedi d’argilla del moloch ideologico è facile che crolli il tutto con il suo seguito di servitori e sacerdoti del nuovo ordine imperiale.

4. Annoto qui in prima approssimazione e salvo rivedere un testo in progress quanto mi viene da obiettare leggendo l’inizio del terzo capitolo dell’edizione italiana di Hilberg. Egli da per scontata la sua tesi della distruzione premeditata negli anni 1941-45 fin dal 1933. Egli confonde la discriminazione già in atto con la pretesa distruzione premeditata negli anni bellici, dove perfino in un paese come l’Italia non poche famiglie “ariane” erano alle prese con le difficoltà di provvedere al vitto quotidiano. Processi di discriminazione possono individuarsi nel tempo e nello spazio fino ai nostri giorni. Che dire, ad esempio, della trovata di un ministro italiano che pretendeva di sottoporre ogni musulmano residente in Italia all’esplicita accettazione di una “carta dei valori” redatta dallo stesso ministero. Non avrebbe ciò necessariamente richiesto una preliminare individuazione della qualità di “musulmano”? E che dire dell’aparteid sudafricano o delle discriminazioni razziali forse ancora oggi praticate nella più antica democrazia d’Occidente, gli USA, come si suol dire, al cui sorgere si trova il genocidio degli indiani e la tratta dei negri. Certo, se in tutti questi casi la situazione dovesse evolvere verso qualcosa di simile a ciò che Hilberg chiama “distruzione" quei precedenti potrebbero ben prestarsi al teorema hilberghiano. Ma si tratta - per adesso - di mere illazioni, di un giudizio retrospettivo in applicazione di quella guerra ideologica di cui i contendenti era ben consapevoli. La guerra ideologica è continuato ben oltre il 1945, cioè dopo la disfatta della Germania e dell’Italia. Il libro di Hilberg ha tutta l’aria di essere uno strumento di questa guerra ideologica ancora in atto.

5. Per le ragioni sopra dette io sarei propenso a rendere letteralmente “standard” (Standardwerk) con “tipico”, “di riferimento" e simili, ma non con “classico”. Sono classici Tacito, Machiavelli, Dante e quanti superano le prove dello spazio e del tempo per riuscire a parlare ad ogni uomo. Accolgo gli autorevoli suggerimenti a non tradurre “opera standard” il relativo termine tedesco che in effetti suonerebbe curioso in italiano. Ma “classica” a me l’opera di Hilberg proprio non appare, malgrado il diverso parere dell’imbonitore dell’introduzione all’edizione tedesca. È un prodotto di regime che a noi europei dovrebbe riuscire poco simpatico se non infamante. Se poi a ciò – e non tocca a me dimostrarlo - si aggiunge anche la sua inconsistenza storico-documentaria avremmo l’equivalente dei “Protocolli di Sion” in campo occidentale. Mi riservo pertanto di conservare la dizione “opera classica” fino al termine della traduzione del libro di Graf e della mia lettura della traduzione italiana di Hilberg, ma se poi il libro continuerà a confermare la mia impressione iniziale sostituirò l’aggettivo “classico” con “tipico” o “di riferimento”. In effetti ‘standard’ è termine in uso nella produzione industriale di oggetti. Molti oggetti industriali prodotti da diverse ditte hanno bisogno di adeguarsi ad uno stesso standard: le prese del telefono, le misure della carta in A4, la produzione di soft per determinati sistema operativi e così via. In questo senso l’opera di Hilberg è davvero un’«opera standard» all’americana, un cliché destinato quasi per decreto imperiale a dare il via programmato ad opere tutte simili nel contenuto e nella forma, ma applicato alla nostra tradizionale sensibilità letteraria suona in effetti quanto mai barbarico ed incomprensibile.

6. A p. 51 del testo di Hilberg io leggo:

«A prima vista, la distruzione degli Ebrei può apparire come un fatto globale, indivisibile, monolitico e ribelle a ogni spiegazione. Esaminandolo più da vicino, essa si mostra come un processo condotto per tappe successive [corsivo mio], ciascuna delle quali fu il risultato di decisioni prese da innumerevoli burocrati, nell’ambito di una vasta macchina amministrativa».

E qui mi pare si possa interpretare come nella testa di Hilberg vi sia un percorso dal 1933 in avanti per tutto quello che riguarda gli Ebrei fino ad arrivare a quella che lui chiama la “distruzione”. Quindi, se morti vi furono nei campi di concentramento durante la guerra, non fu per la vita di stenti che anche i civili non coinvolti in zone di guerra pativano, ma morirono per una prava decisione che era maturata esattamente il 30 gennaio 1933, in quelle due righe - da me viste e fotocopiate al Bundesarchiv di Koblenz – con cui Hindenburg nominava Hitler cancelliere del Reich. La prima cosa che Hitler pensò non fu di governare la Germania, ma di far fuori gli Ebrei. Era questa anche la tesi di Hans Mayer quando in escandescenza in una Serata in onore a lui tributata in Roma. Di questa connessione fra il 1933 ed il 1942 mi pare Hilberg parli ancora più chiaramente in questo brano della stessa pagina:

«Nel 1933, nessuno tra gli esecutori poteva prevedere le misure che sarebbero state prese nel 1938; né, nel 1938, quale forma avrebbe assunto l’impresa nel 1942».

Dotare i nazisti anche di una capcità sovrumana di previsione sarebbe pretendere troppo dagli angeli del male. Se una simile preveggenza fosse nelle loro facoltà, avrebbero certo potuto impiegarla meglio, per dare un diverso esito alla guerra. Non si tratta di prevedere, ma del fatto che Hilberg suppone una concatenazione causale di eventi di cui neppure responsabili ed esecutore erano consapevoli. Ma a mio modesto avviso si tratta di una supposizione arbitraria che già alla p. 51 lascia trasparire l’intento ideologico e non scientifico di tutta l’opera. Ma vedremo più avanti nella lettura. Qui siamo appena agli inizi.

7. Un Autore che scrive un libro può avere una sua tesi che cerca di illustrare al lettore, forse addirittura imponendogliela. Ma il lettore può a sua volta essere uno spirito critico e trarre ben altre conclusioni da quelle a cui nel nostro caso lo vorrebbe condurre Hilberg. Egli, in ben altro contesto e con ben altre finalità scrive a p. 54:

«Nel 1933, gli Ebrei erano quasi completamente emancipati ed integrati nella società tedesca: rompere tutti i legami tra loro e i Tedeschi era dunque diventata un’operazioni delle più complesse».

Malgrado Hilberg, il brano fa riflettere sotto diversi aspetti. Se l’integrazione degli Ebrei nella società tedesca era così elevato perché mai i nazisti avrebbero avuto interesse a recidere questi legami e questa integrazione? Se gli ebrei di allora si sentivano a tutti gli effetti tedeschi ed erano in primo luoghi tedeschi, la persecuzione verso di loro non era una persecuzione contro cittadini tedeschi? Quale regime ha mai interesse ad opprimere i suoi cittadini anziché a proteggerli? In Italia, il fascismo ha inteso negli stessi anni reprimere le minoranze linguistiche, pensando così di cementare meglio l’unità nazionale. Né il fascismo né il nazismo sono stati movimenti minoritari. Almeno questo mi pare ci dicano i maggiori storici ed innumerevoli ricerche fatte e documenti noti.

8. Stavo riflettendo, a mio rischio e pericolo, che in fondo i primi ad avere interesse ad una libera ricerca e ad una libera discussione sul tema «Olocausto» dovrebbero essere gli stessi Ebrei, per lo meno in quanto non irretiti dall'avventura sionista. E mi spiego. O almeno tento di spiegarmi. Io non so e poco mi interessa sapere cosa sia “ebreo”: una religione senza distinzione di razza o di altro, una religione alla quale tutti possono convertirsi; oppure una razza con determinate caratteristiche (colore della pelle, dna, altr); oppure un popolo a fronte ed in contrapposizione di ostilità, amicizia, alleanza con altri popoli e particolarmente caratterizzato da una sua religione esclusiva che non può essere rivolta ad altri popoli o a tutti i popoli della terra, come è poi stato per il cristanesimo sorto come eresia dell'ebraismo. E veniamo ora al cosiddetto Olocausto, ossia ad uno «sterminio» premeditato e deliberato di tutti gli ebrei che capitassero nella sfera di dominio dei nazisti ovvero sotto la giurisdizione di un altro popolo, cioè quello tedesco. Si vuol dire in genere e lo si dice senza mezzi termini: fu responsabile il popolo tedesco. Tanto è vero che – passato il nazismo – i tedeschi odierni hanno pagato e continuano a pagare "riparazioni di guerra” allo Stato di Israele che neppure esisteva durante lo svolgimento della guerra 1940-45. Bizzarrie del diritto internazionale di cui ci occuperemo in altra occasione.

Se lo «sterminio» non esiste e si rivela essere un’invenzione sionista, allora il problema si riduce ad una discriminazione e persecuzione di cittadini, allo stesso modo in cui nel tempo sono stati discriminati altri cittadini. Le condizioni civili e le sensibilità per fortuna mutano nel tempo. Oggi, nei paesi cristiani, non si punisce più l'omosessualità con la condanna a morte, anche se teologicamente resta una condizione peccaminosa. I cittadini prima discriminati tornano ad essere cittadini a pari titolo degli altri. E magari in quanto ingiustamente discriminati possono avere a titolo personale un equo indennizzo e risarcimento. Se però si vuol rendere colpevole un intero popolo per il supposto tentato «sterminio» di tutti gli ebrei, allora bisogna interrogarsi sui fondamenti di ciò che si chiama diritto e che viene comunemente posto come disciplina del vivere civile. Hobbesianamente vige per i popoli nei loro rapporti reciproci lo stato di natura caratterizzato dalla guerra perpetua ovvero dalla sua perpetua possibilità, anche se la pace è la condizione che bisogna sempre cercare e all'interno e all’esterno.

All’interno la giustizia è esercitata in nome del popolo che è giudice supremo, contro le cui sentenze non è ammesso appello. Se gli ebrei tedeschi o soggetti al loro dominio sono stati «sterminati» dal popolo tedesco in quanto si riteneva che essi a torto o a ragione potessero costituire un pericolo o per un qualunque altro motivo, la sentenza fu hobbesianamente giusta e contro di essa nessuno è legittimato a fare appello, almeno sotto il profilo del diritto interno. Il popolo è sovrano. Se invece si giudica tutta la faccenda sotto il profilo del diritto internazionale, allora la pretesa di voler pronunciare una condanna su un intero popolo costituisce una misura di guerra con la quale si vuole incidere sulla libertà di un popolo, sul suo sistema di eticità, cancellandone per sempre la sua libera autodeterminazione. Ed è in effetti quello che è successo con la Germania, anche se ad esserne consapevoli sono in pochi, quei pochi – ma sono 17.000 ogni anno – vengono penalmente icriminati per reati di opinione nella sola Germania.

Ritengo personalmente che la faccenda dell’«Olocausto» sia stata e sia tuttora una misura di guerra con la quale si mantiene soggetto un popolo, anzi i popoli d’Europa, non solo con le armi e gli eserciti stanziali – camuffati da Alleanza – ma anche sul piano spirituale e metafisico. È questa infatti la forma più efficace e duratura di assoggettamento. La stessa strategia la si vuole oggi adottare in tutta quell’area geopolitica che forse impropriamente chiamiamo Medio Oriente. Per fortuna resistono più di quanto noi europei non abbiamo saputo fare. E resistendono difendono anche la nostra libertà e la nostra possibilità di riscatto con buona pace delle baggianate che ci vengono quotidianamente propinate da un sistema informativo che non è mai stato libero e volto a produrre consapevolezza critica e democratica nei cittadini.

Antonio Caracciolo

 

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Published: 2013-09-15
First posted on CODOH: Oct. 30, 2017, 12:26 p.m.
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