Logica della repressione del pensiero e della ricerca storica praticata dai socididio e loro reggicoda
Premessa
Teniamo presente che... "Gli Israeliti sono chiamati Uomo , e i Goyim non sono chiamati Uomo" (Bava Metzia 114b), si tratta di un commento al verso di Ezechiele 34:31: "Voi siete le mie pecore, le pecore del mio pascolo; siete Adam (Uomo) e io sono il vostro Dio". ...quindi quando parlano di uomini si deve intendere gli "israeliti", quindi i "diritti degli uomini" sono i diritti degli "israeliti"...se la logica ha ancora senso. Invitiamo hasbara, shabbos goy, shabbat goy , shabbes goy, גוי של שבת , goy shel shabat a non postare interpretazioni del testo,non ci servono nè ne vogliamo, sappiamo leggere...
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Con estremo piacere presentiamo , con l’ autorizzazione dell’ Autore, un lucido brano sulla sistematica, isterica , ossessiva , repressione della libertà di ricerca storica ed espressione del pensiero individuale nelle terre rieducate alla democrazia e alle credenze olocau$tiche. Il brano è tratto da: “Logiche olocaustiche, I protocolli dei Savi Anziani goyim”, del Dr. Gianantonio Valli, Conferenza III “Logica della Repressione, Il prezzo del coraggio”, pagg. 137→148, il nuovo lavoro che sarà in distribuzione nei primi giorni di Giugno 2013 ). Un ringraziamento all’Autore da parte di Olodogma .
III – LOGICA DELLA REPRESSIONE
Il prezzo del coraggio
tantum religio potuit suadere malorum
a tanto grandi mali potè indurre la superstizione religiosa
Lucrezio, De Rerum Natura, I, 101
Per la terza volta ringrazio tutti i presenti, in particolare per l'attenzione mostrata in questo ciclo di conferenze su tre degli aspetti metodologici della Nota Questione. Dopo avere trattato della Logica del Revisionismo e della Logica dello Sterminazionismo, in questa terza seduta tratterò della Logica della Repressione del pensiero e della ricerca storica praticata dagli ebrei e dai loro reggicoda. La tratterò, chiedendovi una ancora maggiore pazienza, poiché produrrò una serrata citazione di articoli di legge e una serrata e pesante, per quanto decisamente incompleta, esemplificazione della repressione attuata nei più vari paesi del mondo, in particolare nella Germania «riunificata»... un'entità statuale amorfa, che più corretto sarebbe chiamare con l'acronimo BRDDR. Quella della olorepressione è una logica, cioè un comportamento logico,del tutto coerente con le premesse storiche, politiche e ideali non solo del giudaismo, ma anche della democrazia e del mondialismo da esso figliati. Una logica, e con tale termine esprimo un giudizio neutro, asettico, un giudizio intellettuale, non un giudizio morale. Perché in questo secondo caso dovrei rilevare in primo luogo la miseria umana di quei soggetti, l'arroganza unita al terrore sottesi alla loro sete liberticida, alla loro doppiezza, alla loro violenza.
«È probabilmente arrivato il momento di creare un organismo internazionale per portare in giudizio sia gli antisemiti sia i revisionisti dell'Olocausto».
Queste parole, queste avvertenze, questi ammonimenti, espressione di tutto uno psichismo razziale certamente squilibrato ma conseguente e ferreamente determinato, sono state riportate dal quotidiano americano The Daily News il 19 settembre 1993. Non sono state pronunciate da uno storico, ma da un combattente, il generale Uzi Narkiss allievo del big boss Henry Kissinger all'Harvard International Seminar, capo delle truppe di occupazione a Gerusalemme Est nel giugno 1967 e direttore della World Zionist Organization. Ma ancor prima della repressione giuridica planetaria pretesa da Narkiss, decine di migliaia sono stati gli atti persecutori – di gravità e titolazione ovviamente diverse – compiuti dai Regimi di Occupazione Democratica contro gli studiosi revisionisti, i più generici «antisemiti» e i semplici curiosi: ostracismo, intimidazione, boicottaggio, percosse, aggressioni fisiche, demonizzazioni massmediali, sequestri librari, fermi bancari, licenziamenti, divieti di professione, ritiro amministrativo dei passaporti, denunce e defatiganti processi, ammende e carcere per motivi di pensiero spacciati per tutela di minoranze «indifese», e altre amenità escogitate dal Sistema, soprattutto in Francia, Svizzera, Austria e Germania – la Terra Rieducata per eccellenza – e per le quali nessun retore demoliberale, nessun ipocrita amnes(t)internazionale ha mai speso verbo. Contraddicendo infatti i suoi princìpi – cosa invero naturalissima data l'aporìa strutturale di ogni democrazia – il Sistema demoliberale imperversa non solo sui suoi nemici più concretamente politici, ma anche sui suoi nemici «soltanto» culturali. Cosa, ripetiamo, naturalissima, visto che, ci conferma Rabbi Bernard Bamberger presidente del Synagogue Council of America, prima che gli ebrei vincano la Battaglia Finale contro le nazioni, dovranno esserne annientati gli Dei, e cioè le ideologie, le visioni del mondo, i Sistemi di valori che le nazioni hanno rette e reggono: «Ogni nazione sulla terra ha un Angelo Guardiano in cielo, un sar o Principe. Le nazioni che hanno oppresso e perseguitato Israele lo hanno fatto in quanto istigate e guidate dai loro patroni celesti. La redenzione di Israele dovrà quindi essere preceduta non solo dalla disfatta dei suoi nemici terreni, ma anche dalla rovina e dalla punizione dei loro Angeli Guardiani». Invero, recita il Libro dei Giubilei XV 32, in ogni popolo Jahweh ha messo un angelo a guidarlo, ma sopra Israele non ha posto alcun angelo, «perché Egli solo è la sua guida e il suo custode»... talché, rileva nel 1994 l'ebreo comunista Manes Sperber in Être Juif, fin da sempre gli ebrei «non si considerano mai come vinti davvero, ma si credono al contrario promessi a un altro trionfo che sarà definitivo. Essi rivendicano un alleato invincibile, il loro Dio, il solo Dio vero, che regna sull'intero universo». Concetto di «elezione», questo ricordato dall'ateo Sperber, reso dalla lingua ebraica – Leshon Haqodesh, "Lingua Sacra/Santa" – con l'espressione, tratta dalla liturgia, Attah Vehartanu, "Tu ci hai scelto". Della centralità del concetto di essere «scelto» e comunque diverso scrive il tedesco Rudolf Rahlves: «Nell'ebraismo non c'è idea più radicata di quella di costituire un popolo eletto». E ciò, sogghigna Woody Allen, anche per i più irreligiosi: «Dio non esiste, comunque noi siamo il suo popolo eletto». A parte la repressione degli studiosi revisionisti invocata da Narkiss, vedi quindi la repressione –mi piace citare due casi che mi hanno sfiorato tangenzialmente e di cui posso offrire diretta e sofferta testimonianza – dei reati di pensiero (non viene imputato il minimo atto di violenza, né ritrovamento di armi, piani eversivi od offesa di altrui diritti) compiuta nel lontano maggio 1993 contro due redattori del nonconforme trimestrale l'Uomo libero, per sei mesi imprigionati in casa in attesa di processo, e nello stesso luglio contro il sodalizio «razzista» Fronte Nazionale, quattro dei cui dirigenti sono stati incarcerati per quattro mesi per essere poi condannati al carcere per anni. Gli strumenti della repressione sono stati allora la legge Scelba n. 645, 20 giugno 1952, «contro la ricostituzione del disciolto partito fascista», che ne vieta anche l'«apologia» (recte: «una diversa opinione») e proibisce la «denigrazione» della democrazia (che, non ci stancheremo mai di ribadirlo, si denigra a meraviglia da sé), e il Decreto delle Tre M, più La lettera di Mancino..."Sono però sollecitato"...Cliccare per ingrandire la foto.
noto come «Decreto Mancino» dal ministro democristiano dell'Interno Nicola Mancino (lo stesso onorevole Mancino che al quotidiano l’Unità del 25 novembre 1992 affermava: “Siamo in Italia, la situazione non è esplosiva, e dunque preferirei un disegno di legge. Sono però sollecitatoa scegliere il Decreto Legge”. “Sollecitato”! Da chi? È anche questo che occorrerà appurare, mettendo in relazione l’intervista del 25 novembre 1992 con la lettera del 20 giugno 1993».Testo in blue inserito da Olodogma). Le altre due «M» essendo quella del ministro socialista della Giustizia ex sessantottino Claudio Martelli e del deputato repubblicano, ebreo e nepote del Nobel per l'Economia Franco Modigliani, Enrico Modigliani, il cervello nell'ombra e il vero autore del testo. Stupenda l'impudenza di costui, presidente dell'apposito intergruppo parlamentare (poi di Democrazia laica, sinistro gruppo che, riporta Simonetta della Seta su Shalom n.11/2003, «aderisce all'Ulivo e si batte per la difesa della laicità delle istituzioni nel rispetto delle singole coscienze religiose dei cittadini»), in un colloquio interebraico riferito da Shalom n.2/1994 (corsivo nostro): «Ho partecipato attivamente in Parlamento alla stesura della nuova legge sulle discriminazioni etniche, razziali o religiose. Posso anzi dire che la commissione che se ne è occupata ha recepito in gran parte le mie proposte [in particolare, per l'estensione della repressione alle «discriminazioni» per «motivi religiosi», fino ad allora meno incriminabili in quanto basate, ancor più delle altre, sull'adesione a motivazioni di pensiero]. Io mi sono sentito particolarmente impegnato su questo tema in quanto ebreo, ma i parlamentari della commissione dal canto loro mi hanno riconosciuto una certa maggiore competenza, se non proprio diritto, a trattare l'argomento perché riconoscevano che in quanto ebreo, con alle spalle tutta la storia ebraica, avevo il dovere di testimoniare e di prevenire e perché dobbiamo vaccinare la società contro ogni discriminazione nei confronti di qualsiasi diverso. Questo dovere non può essere confuso con una autodifesa ebraica, in quanto oggi gli ebrei non corrono nel nostro paese proprio alcun rischio, ma riguarda il nostro rapporto con gli immigrati del terzo e quarto mondo». Il terroristico decreto 122 del 26 aprile 1993, convertito il 25 giugno nella terroristica legge n.205 «Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa», formalmente nato nel cocuzzolo del Martelli, dal 27 aprile 1993, giorno di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n.97, conferisce non solo ai magistrati, ma anche direttamente agli organi di polizia – in virtù dell'esplicita criminalizzazione del pensiero, dell'evanescenza del vocabolo «discriminazione» (vedi l'ebreo Pierre-André Taguieff, scettico sulla possibilità di trovare al termine un nucleo semantico che lo definisca inequivocamente in riferimento alle infinite situazioni percepite come «discriminatorie») e dell'assoluta vaghezza precettizia – poteri di repressione discrezionale illimitati. Con tale legge il vero problema è rappresentato dall'arbitrio riposto nelle mani di un qualsiasi procuratore e organo di polizia che vogliano perseguire anche semplici esposizioni di idee contrarie alle loro, affermando semplicemente che le stesse sarebbero fondate sulla «superiorità», l'«odio» o la «discriminazione». Criminalizzando in tal modo espressioni di pensiero fondate sul ragionamento, lo studio e l'approfondimento storico. Il tutto, in barba alla Costituzione italiana – per il giullare Roberto Benigni, comunista nonché miliardario, «la più bella del mondo» – art.3: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzioni di opinioni politiche» e art.21: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione», nonché all'art.19 della Dichiarazione degli Human Rights, i Sacrosanti Diritti: «Ognuno ha diritto alla libertà di opinione e di espressione, il che implica il diritto a non essere perseguito per le proprie opinioni e a cercare, ricevere e diffondere, senza ostacolo di frontiere, le informazioni e le idee, attraverso qualsiasi mezzo», all'art.19 del Patto sui Diritti Civili e Politici: «Ogni individuo ha diritto a non essere molestato per le proprie opinioni. Ogni individuo ha il diritto alla libertà di espressione; tale diritto comprende la libertà di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni genere [«di ogni genere»!], senza riguardo a frontiere, oralmente, per iscritto, attraverso la stampa, in forma artistica o attraverso qualsiasi altro mezzo di sua scelta...» e, perché no, all'art.2 della sublime Déclaration della Gloriosa Rivoluzione: «La libera comunicazione di pensieri e opinioni è uno dei diritti più preziosi dell'uomo; ogni cittadino può dunque parlare, scrivere e pubblicare liberamente»... concludendo col saintjustiano «salvo dover rispondere dell'abuso di questa libertà nei casi stabiliti dalla legge». E non pensi il lettore che la persecuzione per «crimini» di opinione sia stigmatizzata dall'ONU. Certo, recita l'art.14 dei Sacrosanti Diritti, «ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni». E tuttavia basta passare al secondo comma, che dichiara a tutte lettere, al pari del tedesco Grundgesetz, che
tale diritto non può essere invocato «qualora l'individuo sia realmente ricercato per reati non politici o per azioni contrarie ai fini e ai princìpi delle Nazioni Unite».
D'altronde, chi sia stato a ideare ed imporre i Sacrosanti il 10 dicembre 1948 e, nel 1950, l'United Nations Covenant against Genocide «patto delle Nazioni Unite contro il Genocidio», ce lo dice l'American Jewish Year Book 1952: «Our work on behalf of international safeguards for human rights has progressed steadily ever since we were instrumental in having the Human Rights provisions incorporated in the United Nations Charter at San Francisco in 1945, La nostra opera a sostegno della salvaguardia internazionale dei Diritti dell'Uomo è proseguita regolarmente fin da quando fummo di valido aiuto per fare inserire le disposizioni per i Diritti dell'Uomo nella Carta delle Nazioni Unite a San Francisco nel 1945». Le più pressanti Teste d'Uovo dietro il Segretario di Stato Edward Stettinius sono infatti Henry Monsky, Louis Lipsky e Israel Goldstein dell'American Jewish Conference, e Joseph Proskauer, Jacob Blaustein e Simon Segal dell'AJC.
Del resto, fin dal 1890 aveva notato La Civiltà Cattolica, la principale rivista dei gesuiti (nell'articolo più volte ristampato, anche in opuscolo, Della questione giudaica in Europa): «E in effetto i principii moderni, ossia i così nominati diritti dell'uomo, furono inventati da' giudei, per fare che i popoli e i Governi si disarmassero, nella difesa contro il giudaismo, e moltiplicassero a vantaggio di questo le armi nella offesa. Acquistata la più assoluta libertà civile e la parità in tutto coi cristiani e coi nazionali, si aperse agli ebrei la diga che prima li conteneva; ed essi, qual torrente devastatore, in breve penetrarono da per tutto e scaltramente di ogni cosa s'impossessarono [...] Quella collana di apotemmi [apoftegmi, «detti memorabili»], che nel 1789 si disse costituire la sintesi dei diritti dell'uomo, nel fatto non ha costituito altro fuorché i diritti degli ebrei, a scapito dei popoli, nel cui seno la pratica di questi diritti fu intronizzata». Altrettanto chiaro un secolo dopo, nel 1977, l'ebreo Louis Henkin, docente di International Law and Diplomacy alla Columbia: «I concetti degli odierni diritti umani sono, per più aspetti, profondamente radicati, o hanno forti parallelismi, nel tradizionale pensiero giudaico. I diritti umani dipendono, alla fin fine, dalle nozioni di giusto ed ingiusto, di bene e di male, che costituiscono un fondamento del giudaismo [...] L'attivismo ebraico nel sostenere i diritti umani è dunque profondamente radicato nella storia e nell'esperienza ebraiche, che molti ebrei percepiscono come storia dell'ebreo quale vittima e come storia della sua lotta contro la violazione dei diritti umani [...] Gli ebrei perseguirono i diritti umani, i loro e quelli degli altri, in diversi modi nei diversi tempi e luoghi nei passati cent'anni. Molti li cercarono nel costituzionalismo liberale, molti nel socialismo [...] Senz'alcun dubbio fu l'Olocausto dell'ebraismo europeo a dare l'impulso più forte a trasformare in realtà la legge internazionale dei diritti umani; in larga misura fu un atto di riparazione morale nei confronti degli ebrei.
Ovviamente clausole chiare e precise sui diritti umani furono inserite nelle Costituzioni stese per la Germania (e il Giappone) sotto l'occupazione e nei trattati di pace imposti agli Stati sconfitti dopo la Guerra Mondiale.
L'ineffabile tragedia ebraica fu poi chiaramente presente agli spiriti quando la Carta delle Nazioni Unite identificò nei diritti umani uno scopo primario delle Nazioni Unite, obbligò gli Stati ad agire e cooperare in favore dei diritti umani e istituì allo ONU una commissione per i diritti umani, il primo ente internazionale con giurisdizione generale sui diritti umani. La tragedia ebraica restò in primo piano negli anni formativi che produssero la Convenzione sul Genocidio e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, e quando aprì un quarto di secolo di azione per i diritti umani – azione universale e regionale, nazionale e transnazionale, governativa e non-governativa [...] Ben a ragione gli ebrei rivendicano un ruolo di primo piano nella nascita dell'azione transnazionale non-governativa per i diritti umani [...] Gli ebrei cercano alleati veramente devoti ai diritti umani. Inevitabilmente, soprattutto in questi tempi difficili gli ebrei giudicheranno tale devozione dalla prontezza dei loro alleati a correre in aiuto dei diritti degli ebrei, che possono essere assicurati solo in quanto diritti umani». Quanto al termine «azioni» del 14/2, si configura come «azione», ovviamente, anche la manifestazione, a voce o per iscritto, del pensiero. È per questo che al revisionista Gerd Honsik, esule in Spagna per delitto di pensiero storico, Madrid nega l'asilo richiesto; uno Stato che, come l'Austria, osserva le onusiche Tavole non può infatti, per definizione, violare i Sacrosanti Diritti. Vedi gli artt.29/3 e 30: «Questi diritti e queste libertà non possono in nessun caso essere esercitati in contrasto con i fini e i princìpi delle Nazioni Unite» e «Nulla nella presente Dichiarazione può essere interpretato nel senso di implicare un diritto di un qualsiasi Stato, gruppo o persona di esercitare un'attività o di compiere un atto mirante alla distruzione di alcuni dei diritti e delle libertà in essa enunciati» o anche «Nessuna disposizione della presente dichiarazione, se giustamente interpretata, implica per uno Stato, un gruppo o una persona, il diritto di esercitare un'attività o di compiere un atto mirante alla distruzione dei diritti e delle libertà in essa annunciati» (similmente, scrive Henkin, il giudaismo «non riconosce libertà religiosa agli idolatri e non assicura loro altri eguali diritti»). In particolare, quanto a se sia giusto il divieto di «propagandare etnicismi e fondamentalismi servendomi degli spazi della democrazia» – o, detto meglio, difendere la propria nazione dall'assalto mondialista – capzioseggia Nicolao Merker, docente a Roma di Storia della Filosofia Moderna: «La risposta, in realtà, c'era già nella Dichiarazione dell'ONU del 1948, i cui conclusivi artt.29 e 30 vietavano che qualcosa della "presente Dichiarazione" venisse strumentalizzato per "distruggere alcuni dei diritti e delle libertà in essa enunciati". Ovvero non c'è diritto, nella tradizione liberaldemocratica, se esso lede un pari diritto altrui; e in particolare le specificazioni di un diritto di libertà (come appunto quelle a tutela dell'identità etnica) sono nulle se confliggono con la norma generale della libertà, quella che vieta discriminazioni, emarginazioni e ideologie ghettizzanti verso chiunque. Insomma: o il riconoscimento dell'identità etnica (cioè di una differenza) postula ch'essa si apra, in osmosi, anche verso altre identità (e conseguenti differenze), oppure viene stravolto il senso stesso dei diritti etnici perché il diritto alla differenza si trasformerebbe in un obbligo della differenza, in obbligatorie segregazioni reciproche. Il diritto alla diversità, a un'identità diversa da altre, è un diritto che semplicemente si aggiunge al diritto-dovere, primario, di partecipare a una più larga identità comune, quella enunciata, in definitiva, negli artt.1 e 2 della Dichiarazione dell'ONU». Del tutto ovvio, quindi, che il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, sottoscritto all'ONU il 16 dicembre 1966, reciti in fotocopia agli artt.19: «1. Ogni individuo ha diritto a non essere molestato per le proprie opinioni. 2. Ogni individuo ha il diritto alla libertà di espressione; tale diritto comprende la libertà di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni genere, senza riguardo a frontiere, oralmente, per iscritto, attraverso la stampa, in forma artistica o attraverso qualsiasi altro mezzo di sua scelta. 3. L'esercizio delle libertà previste al paragrafo 2 del presente articolo comporta doveri e responsabilità speciali. Esso può essere pertanto sottoposto a talune restrizioni che però devono essere espressamente stabilite dalla legge ed essere necessarie: a) al rispetto dei diritti o della reputazione altrui...», 20/2: «Qualsiasi appello all'odio nazionale, razziale o religioso che costituisca incitamento alla discriminazione, all'ostilità o alla violenza deve essere vietato dalla legge» e, soprattutto, 46: «Nessuna disposizione del presente Patto può essere interpretata in senso lesivo delle disposizioni dello Statuto delle Nazioni Unite e degli statuti degli istituti specializzati che definiscono le funzioni rispettive dei vari organi delle Nazioni Unite e degli istituti specializzati riguardo alle questioni trattate nel presente Patto». Dopo l'art.17 della «Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo» («Nessuna disposizione di questa Convenzione può essere interpretata come implicante, per uno Stato, un gruppo o un individuo, un qualsiasi diritto di praticare una attività o compiere un atto tendente a distruggere i diritti e le libertà riconosciute in questa Convenzione o a limitare più ampiamente questi diritti e libertà di quanto si preveda in questa Convenzione»), fotocopia degli onusici 29/3 e 30, identica ipocrisia spira sui 54 articoli della «Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea». Redatta da 62 Illuminati ed intrisa di Immortali Princìpi (strillano il Capo II: Libertà, il Capo III: Uguaglianza e il Capo IV, essendo ormai ridicola la fraternité: Solidarietà), essa viene approvata a Biarritz dal Consiglio Europeo il 13-14 ottobre 2000 e a Strasburgo dall'Europarlamento il 14-15 novembre, e proclamata il 7 dicembre a Nizza da capi di Stato e governo. I soli a manifestare allora contro l'Inganno, ricordo, erano stati i militanti del Front National, guidati dall'indomito Jean-Marie Le Pen e, guarda caso, aggrediti dai sinistri cani da guardia sistemici. Così come l'11 novembre a Milano erano stati aggrediti dai delinquenti dei «centri sociali» i «neofascisti» di Forza Nuova manifestanti contro il convegno della Trilateral imposto alla città; inoltre, con l'eterna scusa di «disordini», il Sistema aveva impedito l'accesso a Nizza e Milano a migliaia di altri manifestanti e vietato a Forza Nuova di sfilare in corteo. Nota di colore: gli addobbi floreali per la kermesse di Nizza erano stati commissionati dal duo Jospin-Chirac non ai produttori nazionali, ma a Israele. Se infatti, per creare «un futuro di pace fondato su valori comuni» e «uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia», l'art.11/1 squilla a pieni polmoni: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera» e 11/2: «Le libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati», precisi altolà li pongono gli articoli 21/1: «È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali» (con tutta evidenza, è ammessa unicamente la devozione all'ideologia mondialista, oltreché, beninteso, la scelta fra il tè con il latte o il tè col limone), 52/2: «Eventuali limitazioni all'esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall'Unione o all'esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui» (dove il trucco risiede, in particolare, nei termini «essenziale», «generale» ed «esigenza»), e soprattutto gli onufotocopici articoli 53: «Nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di applicazione, dal diritto dell'Unione, dal diritto internazionale, dalle convenzioni internazionali delle quali l'Unione, la Comunità o tutti gli Stati membri sono parti contraenti, in particolare la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, e dalle Costituzioni degli Stati membri» e 54: «Nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata nel senso di comportare il diritto di esercitare un'attività o compiere un atto che miri alla distruzione dei diritti o delle libertà riconosciuti nella presente Carta o di imporre a tali diritti e libertà limitazioni più ampie di quelle previste dalla presente Carta». Di poco più truce era stato il tedesco Grundgesetz all'art.18: «Chi abusa della libertà di espressione, in particolare della libertà di stampa (art. 5/1), di insegnamento (art. 5/3), di riunione (art. 8), di associazione (art. 9), del segreto epistolare, postale e telefonico (art. 10), della proprietà (art. 14) o del diritto di asilo (art. 16a), per lottare contro l'ordinamento costituzionale liberale e democratico, perde tali diritti. La perdita e la misura della perdita sono stabiliti dal Bundesverfassungsgericht». Poiché la «distruzione» dell'ideologia demoliberale, e non parliamo poi del Sistema!, potrebbe derivare, a valanga, neppure dall'«abuso», ma dalla semplice critica dei suoi postulati ideologici, la critica, cioè l'uso autonomo del pensiero, diviene di per sé un crimine. Da contenere. Reprimere. Soffocare. Con la doppia lingua delle Dichiarazioni di Principio. Giusto quanto in 1984, Brave New World, Fahrenheit 451 e, prima, nel dettato jahwista. Il tutto, comunque in disprezzo del rabbino medioevale Jacob ben Abba Mari ben Samson Anatoli, medico di Federico II, traduttore di Averroè ed autore del maimonideo Malmad HaTalmidim, per il quale ogni essere umano ha il diritto di cercare e di acquisire le conoscenze da ebrei e da non-ebrei, «da ogni persona, sia essa rispettata o disprezzata, credente od eretico». Il tutto, in barba agli squillanti teoremi del costituzionalista, poi giudice costituzionale, ebreo comunista Guido Neppi Modona, per il quale, guarda un po' la bellezza, l'art.21 dei Sacrosanti proclama il «principio del pluralismo ideologico [...] da intendersi nel senso che lo Stato non si fa tutore di un particolare credo nei vari settori in cui può esercitarsi il pensiero umano, essendo ammessa ogni ideologia politica, economica, sociale, religiosa, estetica [...] concezione relativistica la quale riconosce come positiva per tutta la società una pluralità di valori, l'importanza del dissenso, della discussione, della critica [...] anche di radicale dissenso rispetto ai valori costituiti» (corsivo nostro), essendo la libertà di manifestare il pensiero «il più alto, forse» fra i diritti primari, vera e propria «pietra angolare dell'ordine democratico». Il tutto, celando la repressione del pensiero dietro accuse di «denigrazione della democrazia» – ripeto, quasi la democrazia non si denigrasse a meraviglia da sé! – e incitamento a odio, violenza e «discriminazione» (vecchio gioco, ma gioco tutto moderno, quello di colpire le idee condannandone le possibili / supposte conseguenze pratico/applicative!). Non creda comunque il lettore che tali contraddizioni – tale suprema ipocrisia – siano tipiche del Sistema: esse sono consustanziali non solo alla pratica di questo o di quel regime democratico, ma alla ideologia stessa della democrazia.
La democrazia, «insensatezza riconosciuta / notoria forma di follia»,
ci insegna l'intera saggezza ellenica, è violenza di classe – oggi, «classe» trasversale ad ogni schieramento censuario, dominata non più dalla plebe ma dal potere finanziario – è cattivo governo, regno della corruzione e della sopraffazione, vorrei dire innanzi tutto in tribunale, è il regno dello spreco e del parassitismo. Ne basti Brian Sörensen: «Demokratie ist die Legalisierung organisierten Verbrechens, La democrazia è la legalizzazione del crimine organizzato». Ne basti Socrate contro la giuria: «E non adiratevi con me, perché dico la verità. Non può salvarsi nessuno che davvero si opponga a voi o a qualsiasi altra democrazia [così William Guthrie; letteralmente: "moltitudine"] cercando di prevenire o di impedire che molte sventure ed abusi illegali incolgano la città. Un difensore sincero della giustizia deve starsene per conto suo, evitando la politica, oppure rassegnarsi a non sopravvivere a lungo» (Apologia, 31e-32a). Lapidaria poi l'Athenaion politeia: «Un politico che accetta di operare in una città retta a democrazia è di certo una canaglia che ha qualcosa da nascondere». E dunque, data l'assoluta incapacità del Sistema democratico a riformarsi ed ammettere modelli alternativi di reggimento, ribadisco l'assoluta impossibilità di un'azione politica che si voglia alternativa (a meno che non si voglia giocare con le parole o non ci si accontenti di fare l'Opposizione di Sua Maestà) e l'assoluta centralità culturale e operativa del Revisionismo Storico, prima fra tutti la sezione Olocausto. Perché delle due l'una, come confidò l'avvocato della benemerita LICRA, "Lega Internazionale Contro il Razzismo e l'Antisemitismo", il goy Bernard Jouanneau al giornale La Croix il 23 settembre 1987:
«Se le camere a gas sono veramente esistite, la barbarie nazista non ha uguali. Se non sono esistite, gli ebrei hanno mentito e l'antisemitismo se ne troverebbe giustificato. Ecco la posta in gioco nel dibattito».
Su questa base «morale», otto anni più tardi, sfruttando il torbido attentato-provocazione di Oklahoma City – per il quale, avendo già abusato della vostra attenzione, non posso qui trattare, rimandandovi a La rivolta della ragione – l'Anti-Defamation League del B'nai B'rith instaura un clima di linciaggio contro i più vari dissidenti, scagliandosi in Canada e negli USA contro il «giornalismo irresponsabile» che concede la parola agli «eversori». Si verificano a Toronto attentati incendiari contro il leader del Canada's Nationalist Party Don Andrews, mentre esplosioni contro case di cittadini a Scarborough/Ontario vengono accompagnate da sfregi a base di svastiche e slogan razzisti. Il vero obiettivo è però un altro. Si scatena infatti una campagna contro il revisionista tedesco-canadese Ernst Zündel: manifesti, lettere ai giornali, scritte nelle strade, volantini, il volto inquadrato in un mirino e le scritte «Guru of hate, your days are numbered, Guru dell'odio, hai i giorni contati», «Zündel watch your back, Zündel, guardati le spalle» e «Drive Zündel out, Espellete Zündel», cortei, lanci di sassi, diuturne minacce di morte telefoniche/epistolari, tentativi di assalto al domicilio da parte della Jewish Defense League. Alle 05.00 del 7 maggio 1995 un attentato incendiario – e il vano intervento dei vigili del fuoco – devasta la casa, distruggendo gli effetti dello studioso, la biblioteca di 6000 volumi, l'archivio e le apparecchiature di composizione. Mentre Max Yalden, direttore della Canadian Human Rights Commission, invoca la demogiustizia contro Zündel («Hate propaganda is not free speech [...] When you say the Holocaust did not happen, that Six Million Jews did not die, that's not historical debate. It's incitement to hatred, Propagandare l'odio non è libertà di parola [...] Se dici che l'Olocausto non c'è stato, che Sei Milioni di ebrei non sono morti, non è discutere di storia. È incitare all'odio»), nel novembre l'indomito revisionista viene ritrascinato in due cause legali dalla miliardaria ebrea Sabine Citron, sua vecchia persecutrice, affiancata da una pletora di organizzazioni, tra cui il Simon Wiesenthal Center, il Canadian Jewish Congress, la Canadian Holocaust Remembrance Association, la bnaibritica League for Human Rights e gli altisonanti Toronto Mayor's Committee on Community and Race Relations "Comitato municipale di Toronto sulle relazioni comunitarie e razziali" e Canadian Human Rights Commission. Le accuse sono sempre le stesse: «conspiracy to spread racial hatred, cospirazione al fine di diffondere odio razziale» e pubblicazione e distribuzione di «a newsletter defaming prominent Jews, una newsletter che diffama personalità ebraiche». Malgrado anche il ministro della Giustizia dell'Ontario sia un deputato ebreo, antirevisionista e socio della Yad Vashem Society, e che l'establishment eserciti pressioni per il varo di una legge antirevisionista, il 15 marzo 1996 la giustizia lascia cadere le citroniane denunce in quanto palesemente infondate. Gli attacchi proseguono comunque, incessanti. Si pensi anche solo al «Tribunale dei Diritti dell'Uomo», che il 26-27 maggio 1997 siede a Toronto con l'obiettivo di interdire allo studioso l'accesso ad Internet. Si pensi agli arzigogoli del tribunale della detta Commissione per i Diritti Umani (tribunale controllato dal governo), che il 25 maggio 1998 dichiara impunito: «It was the submission of the commission trat truth was not a defense to a discriminatory practice under s.13/1 of the Canadian Human Rights Act, La proposta della Commissione fu che la verità non era una difesa dall'imputazione di un atto discriminatorio a norma dell'art. 13/1 della Legge Canadese sui Diritti Umani [...] La Commissione stabilì inoltre che lasciare che Mr. [Douglas] Christie [l'avvocato difensore di Zündel] continuasse con la sua linea difensiva era contrario al vero scopo della legislazione dei Diritti Umani [...]
La dignità dei querelanti e le procedure non devono essere offese col permettere che l'imputato dimostri o analizzi la verità dei suoi commenti offensivi».
Ma questo si può dirlo di ogni altro intervento intellettuale, di ogni altra affermazione ed azione umana. Se la verità non costituisce difesa contro un'accusa di qualsiasi tipo, la democrazia giustificando il divieto di analisi e dibattito, la repressione e la pena come «dovuti», «necessari» e «morali» in quanto funzionali a tutelare «il più alto princìpio» della (evanescente) «dignità umana», un qualsiasi «ordine» e «pace sociale»... ebbene non è chi non veda l'intera speciosità delle argomentazioni. Tanto più che tali sofismi provengono non dagli adepti di una dittatura, ma dai cantori della libera analisi, del libero dibattito, della libera critica, tutti vantati pilastri della democrazia. Ecco, tutta la speciosità, tutta l'ipocrisia già bollate dal diritto romano con le espressioni «summum ius, summa iniuria» e «fiat iustitia et pereat mundus».
* * *
Poiché pressoché nessun liberale è mai sceso in campo contro la devastazione del diritto di critica storica e libera espressione compiuta dal Sistema (semplicemente osceno della forma mentis sterminazionista è, quasi fosse la storia dogma divino e non opera umana nel farsi e nell'essere scritta, il titolo del sinistro settimanale Internazionale n.148: Si può riscrivere la storia?), cito, omaggiandone la libertà intellettuale, il revisionista marxista, e mio stimato amico, Cesare Saletta. Il quale si scaglia contro
«i magistrati, rarissime eccezioni a parte, ligi fino all'assurdo alle pressioni esercitate dalle sfere ministeriali da cui dipendono o solleciti per proprio conto a non urtare suscettibilità che vanno risparmiate ad ogni costo; le innumerevoli angherie amministrative; una stampa che non ci pensa due volte a disonorarsi col ricusare ogni effettivo diritto di replica a chi da essa viene attaccato nella maniera più velenosa; firme illustri del giornalismo (democratico, che diamine!) che si sono espresse in termini che erano un invito appena camuffato, quando pure era camuffato, all'aggressione fisica; l'emendamento antirevisionistico fatto oscenamente scivolare di soppiatto, nottetempo, all'insaputa della commissione parlamentare competente, dal guardasigilli Chalandon in un progetto di legge contro lo spaccio degli stupefacenti; la legge liberticida Fabius-Gayssot che reprime duramente ogni pubblica espressione di idee revisionistiche erigendo le "verità" olocaustiche di Norimberga a dogmi dell'ordinamento repubblicano; la vita resa impossibile alla Vieille Taupe [la editrice gauchiste che ha pubblicato alcuni dei primi testi revisionisti]; il vetrioleggiamento di Michel Caignet; l'atroce pestaggio inflitto a Faurisson da squadristi delle organizzazioni paramilitari sioniste che sapevano di poter contare sulla sperimentata disattenzione della polizia; l'auto imbottita di esplosivo con cui venne eliminato a suo tempo François Duprat, che era, non c'è motivo di celarlo, un uomo di destra. Non c'è dubbio: tutti questi sono mezzi che provano, sì, qualcosa, e qualcosa di importante, ma contro chi li adotta, non contro chi li subisce». __________________________________________________
Gianantonio Valli : “Logiche olocaustiche, I protocolli dei Savi Anziani goyim”, 241 pagine, maggio 2013, © 2013 effepi Edizioni, via Balbi Piovera 7 – 16149 Genova. Euro 20. Per ordinazioni telefoniche: 010-6423334- 338-9195220, e-mail : [email protected] , il volume sarà disponibile dal 1° Giugno 2013. ___________
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Author(s): | Olodogma |
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Published: | 2013-05-22 |
First posted on CODOH: | July 23, 2017, 5:29 p.m. |
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