L'Olocausto, antica religione, di Gilad Atzmon

Published: 2013-04-13

Il seguente brano è tratto da "Holocaustica religio, Psicosi ebraica, progetto mondialista", nuova versione, ampliata e reimpostata, di "Holocaustica religio - Fondamenti di un paradigma", del Dottor Gianantonio Valli. Edizioni EFFEPI, http://www.effepiedizioni.com/, © 2010 effepi, via Balbi Piovera, 7 - 16149 Genova, [email protected] , Telefono (0039) 010-6423334 - 338-9195220. La pubblicazione avviene col consenso dell'Autore. Olodogma

Copertina di Holocaustica religio, cliccare sulla foto per ingrandirla

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APPENDICI

(Pagg.170→179) Seguono otto brevi saggi che approfondiscono la tematica dell’Olocausto quale religione o meglio, con la più specifica accezione latina, religio, vale a dire

"superstizione a connotazione religiosa o simil-religiosa".

Superstizione, aggiungiamo, prava et immodica. Bieca e sguaiata, cioè, per ogni tempo, ma assolutamente scandalosa se considerata per la nostra epoca demo-illuminata. Se da un lato il problema del destino degli ebrei europei nel secondo conflitto mondiale – che dovrebbe riguardare in primo luogo la ricerca storiainveste invece primamente la psicologia e la sociologia, altrettanto valore per la nascita, la crescita e l'affermazione della nouvelle holovague ha avuto e ha l'approccio concretamente politico e materiale.

Cioè il condizionamento operativo dei cervelli e il quanto più bieco sfruttamento a finalità di rendita pecunaria.

La questione, lo si vede, è quindi ben variegata e multifattoriale. Mentre l’ebreo Gilad Atzmon considera l'oloculto come la più recente espressione di un'atavica, consustanziale componente del plurimillenario psichismo ebraico, il francese Robert Faurisson lo vede sotto l'aspetto, quanto più attuale, della “società dei consumi”. Un riflesso della menzogna sulla psiche degli olodiscendenti ci palesa Maurizio Blondet, mentre Gian Franco Spotti rende in pregnante sintesi il destino dei coraggiosi oloincreduli. A tre dei quali, il tedesco Germar Rudolf, lo svizzero Jürgen Graf e il tedesco Horst Mahler, lasciamo, ammirati, l'ultima parola. ( Gianantonio Valli )

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L'Olocausto, antica religione:

PURIM SPECIAL: FROM ESTER TO AIPAC

di Gilad Atzmon

Gilad Atzmon

Gilad Atzmon

«In certi contesti la memoria può essere sovversiva; in altri può difendere lo status quo. Quando la memoria conferisce ai singoli e alle comunità una forma di identità e singolarità, la sofferenza di altri minaccia di spiazzare la centralità della nostra esperien­za. Invece che un ponte di solidarietà verso coloro che soffrono nel presente, l'avere sofferto nel passato può dive­nire un segno d'ono­re che ci protegge dalle sfide future. Allora la nostra testimonian­za, un tempo poten­te, che investe proble­matiche su Dio e sul pote­re, viene a diluirsi, può venire consi­de­rata falsa, artificiosa, persino ostinata. Una industria ti cresce intorno, ti onora e al contempo usa la tua testimonianza per altri scopi. Alla fine domina la confusione, all'esterno come all'inter­no, finché la stessa testimo­nianza non può più ricono­scere la differenza tra il mondo del­l'in­terpretazione che essa ha contri­buito a formare e il mondo che ora parla in suo nome. È questo che è accaduto a Wiesel, o anche la più aspra analisi di Finkel­stein è esatta?» [Marc Ellis, Marc Ellis su Finkelstein]

L'ebraicità [Jewishness = l'essere ebreo] è un concetto assai vasto. Si rife­ri­sce ad una cultura con molte facce, gruppi distin­ti, diverse credenze, campi poli­ti­ci opposti, etnie differen­ti. E tuttavia ciò che unisce questa gente così diversa che si identifica come «ebrei» è piuttosto sorprendente. Nel saggio cerche­rò di indagare a fondo la nozione di ebraicità. Cercherò di iden­ti­fica­re il legame collet­ti­vo, intellettuale, spirituale e mitico, che conferisce all'ebrai­cità un'identità così potente. L'ebraicità non è certo una categoria raz­ziale o etnica. Per quanto l'iden­tità ebraica sia orientata in senso sia razziale che etnico, il popolo ebraico non forma un gruppo omogeneo. Non c'è un continuum razziale o etnico. Taluni pos­sono considerare l'ebrai­cità una continuazione del giudai­smo. Io sostengo che non è sempre così. Per quanto l'e­braicità attinga a certi elementi fonda­mentali del giudai­smo, l'ebraicità non è giudaismo ed è persino categorica­mente diverso da esso. Inoltre, lo sappia­mo, molti di quelli che si autodefi­niscono orgogliosamente ebrei conoscono poco del giudaismo. Molti sono atei, non religiosi e anche oppo­si­to­ri del giu­dai­smo e di ogni altra religione. Molti di quegli ebrei che si oppon­go­no al giudaismo vogliono mante­ne­re la loro identità ebraica e ne sono davvero orgo­gliosi. [www.coun­ter­punch.org/] Questa opposizio­ne al giudaismo com­pren­de ov­via­mente l'opposizione al sioni­smo (almeno nella pri­mitiva versio­ne), ma forma anche la base di molto anti-sioni­smo ebraico di stampo sociali­sta.

Sebbene l'ebraicità sia cosa diversa dal giudaismo, ci si può tuttavia chiedere cosa costituisca l'ebraicità: se sia una nuova forma di religione, un'ideologia o giusto uno "stato menta­le". Se l'ebraicità è una religione, la domanda successiva è "che tipo di religione è? cosa comporta? in cosa credono i suoi seguaci?" Se è una religio­ne, uno può chiedersi se è possibile abbandonarla, così come è possibile abbandonare il giudaismo, il cristia­nesimo o l'islam. Se l'ebraicità è un'ideo­logia, la corretta domanda è "cosa rappresenta questa ideo­logia? è una forma di discor­so? è un discorso monoliti­co? promuove un nuovo ordine mondiale? i suoi fini sono la pace o la violenza? porta un mes­saggio universale all'umanità o è giusto un'altra manifestazione di un qualche precetto tribale?" Se l'ebrai­ci­tà è uno stato mentale, bisogna chiedersi se è razionale o irrazio­na­le. E se è nell'ordine delle cose esprimibili o inesprimibi­li. Io suggerisco di considerare la possibili­tà che l'ebraicità sia uno strano ibrido, misto di religione, ideologia e stato mentale.

La Religione Olocaustica

«Yeshayahu Leibowitz, il filosofo che era anche un ebreo osser­vante, mi disse una volta: "La religione ebraica morì duecento anni fa. Oggi non c'è nulla che unisca gli ebrei al mondo se non l'Olocausto [Uri Avnery, esponente della sini­stra israeliana, pacifista e filopalestinese, www.ramallahonli­ne­.com]

Il filosofo Yeshayahu Leibowitz, nato in Germania e docente all'Universi­tà Ebraica, è stato forse il primo a suggerire che l'Olocausto era divenuto la nuova religione ebraica. "L'Olocau­sto" è ben più che una narrazione storica, contiene molti degli elementi essenziali di una religione: ha i suoi sacerdoti (Simon Wiesenthal, Elie Wiesel, Deborah Lipstadt, etc.) e pro­fe­ti (Shimon Peres, Benja­min Netanyahu e coloro che profetiz­za­no l'imminente ebrei­ci­dio da parte dell'I­ran). I suoi coman­da­menti e dogmi ("mai più", "sei milioni", etc.). I suoi rituali (Giorni della Memoria, Pellegri­naggi ad Ausch­witz, etc.). Stabi­lisce un ordine simbolico esoterico (kapo, camere a gas, camini, polveri, "musulmani" [nel gergo dei «campi»: gli internati scheletriti], etc.). Ha i suoi santuari e templi (Yad Vashem, il Museo dell'Olocausto a Wa­shington e oggi l'ONU). Non bastasse, la Religione Olocau­stica è mante­nuta in vita da una massiccia rete economica e da infrastruttu­re finanziarie globali (l'Industria dell'Olocausto alla Norman Fin­kelstein). Ancora più significati­vamente, la Religio­ne Olocausti­ca è coerente al punto da marchiare i nuovi "anti­cri­sti" (i nega­zionisti) ed è abbastanza potente da perseguir­li (leggi contro la negazione dell'Olocau­sto).

Gli studiosi che contestano la nozione di "Religione Olocau­stica" obiettano che sebbene la nuova religione possegga molte caratteristiche di una religione organizzata, non ha fissato una figura divina da adorare o da amare. Mi permetto di obietta­re: l'Olocausto è precisamente la religione che incorpora l'essenza della visione del mondo liberale democratico. È in tale contesto che ci si offre una nuova forma di adorazione. Essa ha trasfor­mato l'amo­re di sé in una convinzione dogmatica in cui il fedele adora se stesso. Nella nuova religione è "l'ebreo" che adora gli ebrei. Tutto ruota intorno a "me", il soggetto di un'infinita sofferenza che avanza verso l'autoredenzione. In ogni caso, pochi studiosi ebrei in Israele e nel mondo accet­ta­no le osserva­zioni di Leibowitz. Tra costoro è Marc Ellis, l'illu­stre teologo ebreo che ha gettato uno sguardo rivela­to­re sulla dia­let­tica della nuova religione. "La teologia dell'Olo­cau­sto", dice Ellis, "comporta tre temi che sussistono in tensio­ne dialetti­ca: sofferenza e liberazione, innocenza e riscatto [redem­ption], unicità e norma­lizzazione. [Marc H. Ellis, Beyond Innocence & Redemp­tion - Con­fron­ting The Holocaust And Isra­eli Power, Creating a Moral Future for the Jewish People, San Francisco: Harper & Row, 1990]

Sebbene la Religione Olocaustica non abbia sostituito il giudai­smo, essa ha conferito all'ebraicità un nuovo significato. Ha co­struito una moderna narrazione ebraica inserendo il sog­getto ebrai­co in un progetto ebraico. Ha conferito all'e­breo un ruolo centrale in un universo autocentrato. Il "sofferen­te" e l'"innocente" sono in marcia verso il "riscatto" e il "potere". Ovvia­mente Dio è fuori causa, è licen­zia­to, ha fallito nella sua missione storica, non c'era a salvare gli ebrei. Nella nuova religione l'ebreo diviene "il nuovo Dio degli ebrei", tutto è centrato sull'e­breo che riscatta se stesso. Il seguace ebreo della Religione Olocaustica idealizza le condi­zioni della propria esistenza. Egli struttura le condizioni per una lotta futura verso il riconoscimento.

Per il seguace sionista della nuova religione, le implicazioni sembrano relativa­mente dura­ture. Egli "trascina" a Sion l'interezza dell'ebrai­smo mondiale a spese del popolo autoctono palestine­se.

Per l'ebreo socia­lista, il progetto è un po' più complesso. Per lui il riscatto significa co­strui­re un nuovo ordine mondiale, ossia un paradiso socialista. Un mondo dominato dai politici dogmatici della clas­se operaia nel quale gli ebrei non saranno più che una mino­ran­za tra le tante.

Per il fedele umanitario, la Religione Olocausti­ca significa che gli ebrei devono conside­rarsi l'avan­guardia della lotta contro il razzi­smo, l'oppres­sione e il male in generale. Per quanto ciò sembri promet­tente, il tutto è problematico per ovvie ragioni. Nel mondo attuale Israele e l'America sono schie­rati tra i peggiori mali e le peggiori oppres­sio­ni. Atten­dersi che gli ebrei si schierino all'avan­guar­dia della lotta umani­ta­ria schiera gli ebrei in una lotta contro i loro fratelli e la superpoten­za che li sostiene.

In ogni caso, è piuttosto chiaro che tutte e tre le Chiese olocaustiche assegna­no agli ebrei un ruolo centrale nel progetto con talune implicazioni globali.

Nello stesso tempo, l'Olocausto funziona come interfaccia ideologica. For­ni­sce al seguace un logos, un discorso. A livello co­sciente fornisce certo una visione del passato e del presente che sembra storica e fattuale, ma non si ferma qui: definisce anche la lotta futura. Prevede il futuro ebraico. Con­tem­porane­amente, nell'incon­scio, riempie il soggetto ebraico dell'ango­scia più definitiva: la paura della distruzione dell'"io". Va da sé che una fede che stimola la coscien­za (ideologia) e guida l'inconscio (spirito) è una ricetta molto buona per una religione vincente. Questo legame strutturale tra ideolo­gia e spirito è fondamenta­le per la tradizione giudaica. Il legame tra la chiarezza legale della halachah (ideolo­gia) e il mistero di Jahweh o anche della Qabba­lah (spirito) fa del giudai­smo una totalità, un universo conchiu­so. Il bolscevismo, inteso come movimento di massa piuttosto che teoria politica, è strutturato allo stesso modo, la lucidità del materiali­smo pseudo­scientifico si coniuga con la paura dell'avi­dità capitali­stica. La politica neoconser­vatrice della paura chiude anch'essa il soggetto nel baratro tra la presunta lucidità giuridica della WMDs [?] e l'indicibile paura del "terrore a venire".

Il vero legame tra coscienza e inconscio ci porta alla nozione lacaniana di "Reale". Il "Reale" è ciò che non può venire sim­bo­lizzato, cioè espresso, in paro­le. Il Reale è l'"inesprimi­bile", l'inaccessibile. Nelle parole di Zizek [lo sloveno Slavoj Zizek, filosofo, sociologo e studioso di psicoanalisi, docente all'u­niversità di Lubiana], "il Reale è l'impos­sibile", "il Reale è il trauma". Cionondi­meno, questo trauma defi­nisce l'ordine simbolico. È il trauma che forma la nostra real­tà. La Religione Olocaustica si conforma a puntino al modello lacania­no. Il suo nucleo spirituale è radicato nel dominio dell'i­nespri­mibile. La sua predica ci inse­gna a vedere una minaccia in ogni cosa. È la suprema congiunzione tra l'ideo­lo­gia e lo spirito, materializzata in puro pragmati­smo.

Fatto alquanto interessante, la Religione Olocaustica va molto aldilà della comunità ebraica. Invero, la nuova religione è missio­na­ria. Innalza santuari in terre lontane. Anzi, vediamo che questa religione emergente sta già diven­tando il Nuovo Ordine Mondiale. E l'Olocausto oggi viene usato come alibi per incene­rire l'Iran con bombe atomiche [peacepa­lestine.­blog­spot­. com/]. Chiaramen­te, la Religione Olocaustica serve al discorso politico israeliano sia di destra che di sinistra, ma fa appello anche ai goyim, specie a quelli impe­gnati a massacrare spietatamente gli altri "in nome della libertà" [www.amin­.org/]. In un certo senso siamo tutti soggetti a questa religione, taluni sono veri e propri adoratori, altri semplice­men­te soggetti al suo potere. Aspetto sempre interessante, anche chi nega l'Olocausto è soggetto alla persecu­zione da parte dei Gran Sacerdoti di questa religione. La Religione Olocaustica costitui­sce il "Reale" per l'Occidente. Non siamo autorizzati a toccarlo o a guardarci dentro. Proprio come gli israeliti, che erano tenuti ad adorare il loro Dio, ma non autorizza­ti a porgli domande.

Gli studiosi della Religione Olocausti­ca (teologia, ideologia e storicità) sono impegnati soprattutto con formulazioni struttu­rali, il suo significato, la sua retorica, la sua interpreta­zione storica. Taluni indagano la dialettica teologica (Marc Ellis), altri formulano i comandamenti (Adi Ofir), qualcuno ne studia l'e­vo­luzione storica (Lenni Brener), altri ne mettono a nudo l'infra­struttura finanzia­ria (Finkel­stein). La maggior parte degli stu­dio­si della Religione Olo­cau­stica sono impegnati a indagare una lista di eventi accaduti tra il 1933 e il 1945. La maggior parte degli studiosi sono essi stessi osser­van­ti ortodos­si. Per quanto possano essere critici sui diversi aspetti dello sfruttamen­to dell'Olocausto, tutti accettano la realtà dell'ebreici­dio nazista e le sue interpretazioni e implicazioni mag­gioritarie. La massima parte degli studiosi, quand'anche non tutti, non conte­stano la narrazione sionista, cioè l'ebreici­dio nazista, anche se qualcuno critica il modo col quale le istituzioni ebraiche e sioniste usano l'Olocausto. Mal­gra­do alcuni contesti­no i numeri (Shraga Elam) e altri la validità della memoria (Ellis, Finkel­stein), nessuno si spinge lontano come il revisioni­smo, nessuno studioso della Re­li­gione Olo­cau­stica osa intra­prendere un dibattito coi cosiddetti "negazionisti" per discu­te­re la loro visione degli eventi o un qualsiasi altro aspetto delle loro tesi.

Molto più interessante è il fatto che nessuno degli studiosi della Religione Olocaustica ha speso una qualche energia per studiare il ruolo dell'Olocausto nella lunga storia dell'ebraismo. Da questo punto di vista, io sostengo che la Religione dell'Olo­causto esisteva già ben prima della Soluzione Finale (1942), ben prima della Notte dei Cristalli (1938), ben prima delle Leggi di Norim­ber­ga (1935 [Atzmon scrive erroneamente: 1936]), ben prima che la prima legge anti-ebraica fosse annunciata dalla Germania nazista, ben prima che l'American Jewish Con­gress [da non confondere con l'AJC American Jewish Committee] dichiarasse una guerra finan­zia­ria contro la Germania nazista (1933) e persino ben prima che Hitler nascesse (1889).

La Religione Olocau­stica è antica quanto gli ebrei.

Archetipi ebraici

In un precedente articolo ho definito la nozione di Pre­Trauma­tic Stress Disorder (Pre-TSD) [www.imemc.org/arti­cle/21744]. Nella condizione di Disordine da Stress Pretrauma­tico, lo stress è il risultato di un episodio immaginario fantasma­tico posizionato nel futuro, un evento che non si è mai verifica­to. A differenza del Disordine da Stress Posttraumatico, nel quale lo stress si verifica come diretta reazione ad un evento che (può) essersi verifi­ca­to nel passato, nella condizione di Disordine da Stress Pretraumatico lo stress si forma come risul­tato di un evento immaginario, potenzia­le. Nella condizione di Disordine da Stress Pretraumati­co un'illu­sione prende il posto delle condizio­ni nelle quali la fantasia del futuro terrore forma la realtà presente. La dialettica della paura domina l'esistenza e la mente ebraica ben più di quanto siamo disposti ad ammettere­. Sebbene la paura sia stata sfruttata poli­ti­ca­mente dai capi dell'ebrai­smo fin dai giorni dell'emancipazione, la dialetti­ca della paura è molto più antica della moderna storia ebraica. Invero, è il retaggio del Tanakh (la Bibbia ebraica) a porre gli ebrei in uno stato pretraumatico. È la Bibbia ebraica a porre la vita ebraica sul binario dell'Inno­cenza­/Sofferenza e della Persecuzio­ne/Ri­scatto. Più specificamente, la paura dell'ebreici­dio è consustan­ziale allo spirito, alla cultura, alla letteratura ebraica. In questo senso, affermo che la Religione dell'Olocausto ha trasfor­mato gli antichi israeliti in ebrei.

L'antropologo americano Glenn Bowman, specia­lista nello studio delle iden­tità esiliche, dà un contributo decisivo quanto ai soggetti della paura e della politica dell'Identità. "L'ostilità", dice Bowman, "è fondamenta­le al processo di feticizza­zione che soggiace all'iden­tità, perché si tende precisa­mente a parlare di ciò che uno è o di ciò che uno è al momento in cui sembra esse­re minaccia­to. Io inizio a considerarmi questa o quella persona, questo o quell'esponen­te di una immagi­na­ria comunità, nel momento in cui qualcosa sembra minacciare di non ricono­scere ciò che mi figuro essere. Il termine identità entra in gioco nel preciso momento in cui per una qualche ragione si viene ad avvertire il significato di un'entità, per la cui difesa bisogna combat­tere" [Glenn Bowman-Migrant Labour: Constru­cting Ho­meland in the E­xilic Imagina­tion, Anthropologi­cal Theory II:4. December 2002, pp.447-468]. In breve, Bowman afferma che è la paura a cristal­liz­zare il concetto di identi­tà. In ogni caso, dal momento in cui la paura è cresciuta in una condi­zio­ne di Disordine da Stress Pretrauma­tico, l'identità si autoridefini­sce. Venendo al popolo ebraico, vediamo che è la Bibbia ad aver posto gli ebrei in una condizio­ne di Disordi­ne da Stress Pretraumatico. È la Bibbia che ha avviato la paura dell'e­breici­dio. Sempre più numerosi studiosi oggi contestano la storicità della Bibbia. Niels Lechme sostiene in The Canaanites and their Land [I cananei e il loro paese] che essa è stata in massima parte "scritta dopo l'esilio babilonese e che questi testi riscri­vo­no (e in larga parte inventa­no) la precedente storia israelita al punto di riflettere e ripetere le esperienze di coloro che torna­rono dall'esilio babilone­se". [ibidem]

In altre parole, essendo scritta da coloro che tornarono, la Bibbia incorpo­ra in una narrazione storica taluni aspetti duri dell'ideologia esilica. Così è per il caso dei primi ideologi sionisti, che consideravano l'assimilazio­ne una minaccia morta­le. "Le comunità aggregate sotto la guida dei sacerdoti jahwi­sti (al tempo dell'esi­lio babilonese) consideravano l'assimi­lazione e l'apostasia non solo come la morte sociale in quanto ebrei, ma anche come tentato deici­dio. Essi decisero di mante­nere una asso­luta ed esclusiva fedeltà a Jahweh, perché erano certi che li avrebbe riportati nella terra da cui erano stati esiliati.

La prescrizione della purezza del sangue come modalità per conser­vare i confini della comunità nazio­na­le proscrisse allora i matrimoni misti coi popoli che li circondavano.

I ritornati sta­bi­liro­no dunque una serie di rituali esclusivisti che li isolaro­no dai loro vicini, e i rituali non includeva­no solo una forma surro­gata di adorazione nel Tempio, ma anche un calendario distin­to, che permetteva loro di vivere ritualmente in un tempo differente da quello delle comunità con le quali condivi­devano lo spazio. Tutti questi strumenti di separazione servirono a marcare e mantenere la diversi­tà, ma non impediro­no loro il commercio e la sopravvivenza tra i babilone­si".

Il considerare le spettacolari tesi bibliche di Bowman e di Lechme nonché la narrativa giudaica come manifestazione di identità esilica e marginale può spiega­re il fatto che l'ebraicità fiorisce nell'esilio ma perde la propria carica allorché diviene un'avven­tura nazionale [domestic]. Ma se l'ebraicità s'incen­tra su un'ide­o­logia di sopravvivenza collettiva nell'emigrazione, i suoi cultori prospereranno nell'Esilio. In ogni caso, ciò che man­tiene l'identità collettiva degli ebrei è la paura. Come nella Religione Olocaustica, l'ebraicità pone la paura dell'e­breicidio nel cuore della psiche ebraica, ma offre anche le misure spiri­tua­li, ideologi­che ed operative per combattere questa paura.

Il libro di Ester

Il Libro di Ester è una storia biblica che fonda la festa di Purim, probabil­mente la ricorrenza ebraica più gioiosa. Il libro racconta la storia di un tentato ebreicidio, ma anche una storia nella quale gli ebrei operano per cambiare il proprio destino. Nel libro gli ebrei agiscono per salvare se stessi e anche vendi­carsi dei loro nemici. La storia ha luogo nel terzo anno del regno di Assuero, che si è soliti identificare con il re persiano Serse I. È una storia di palazzo, di complotti, di un tentato ebreicidio e di una valorosa e bella regina ebrea, Ester, che salva il popolo ebraico all'ulti­mo minuto.

Nel racconto, il re Assuero è sposo a Vashti, che ripudia dopo che ella ha rifiutato di "visitarlo" durante una festa. Ester viene scelta tra le candidate per essere la nuova moglie di Assuero. Col tempo, Haman, primo ministro di Assue­ro, com­plotta affin­ché il re uccida tutti gli ebrei, peraltro senza sapere che Ester è ebrea. Nel racconto Ester e suo cugino Mordechai salvano il loro popolo. A rischio della vita, Ester avverte Assuero del crimina­le complotto anti-ebraico di Haman. Haman e i figli ven­gono impiccati a una forca di cinquanta cubiti che Haman aveva preparato per Morde­chai. Mordechai diviene primo ministro al posto di Haman. Poiché Assuero non può annullare il proprio decreto che sanzio­na lo ster­mi­nio degli ebrei, egli emana un altro editto che consente agli ebrei di prendere le armi per uccidere i loro nemici, ciò che essi fanno. La morale della storia è piuttostro chiara. Se gli ebrei vorranno sopravvi­vere, dovranno infiltrarsi nei corridoi del potere. Quando si hanno nella testa Ester, Mordechai e Purim, l'AIPAC [l'Ameri­can-Israel Public Affairs Com­mit­tee che, guidando una ottantina di Politi­cal Ac­tion Committe­es pro-Israele è il più potente dei trentot­to mag­giori gruppi di pressio­ne ebraici statuni­ten­si] e il concetto di "potere ebraico" appaio­no radicati in una profonda ideologia biblica e culturale.

Ma qui c'è un profondo travisamento. Per quanto la narra­zione sia presen­tata come un racconto storico, la fedeltà storica del Libro di Ester è contesta­ta dalla maggior parte dei moderni studiosi bibli­ci. La mancanza di riscontri nella storia persiana, quale è nota alle fonti classiche, ha indotto gli studiosi a concludere che essa è per lo più o totalmente inventa­ta. In altre parole, per quanto la morale sia chiara, il tentato genocidio è finto.

Il Libro di Ester mette i suoi seguaci in una condizione di Disordine da Stress Pretrau­matico. Trasforma una fantasmatica di distruzione in un'ideologia di so­pravviven­za. È l'allegoria degli ebrei perfettamente "assimilati" che scoprono di essere vit­ti­me dell'"antise­miti­smo", ma sono in una posizione per salvare se stessi e i loro connazionali ebrei. Tenendo presente Bowman, possiamo capire di più. Il Libro di Ester è la base che forma l'identità esilica, genera lo stress esisten­ziale, annuncia la Religione Olocaustica, pone le premes­se per inse­rire l'Olocausto nella realtà. Il Libro di Ester (nella versione ebraica) è uno dei soli due libri biblici che non fanno menzione diretta di Dio (l'altro è il Cantico dei Cantici). Nel Libro di Ester agiscono gli ebrei che credono in se stessi, nel proprio potere, nella propria unici­tà, nella propria astuzia, nella propria capacità com­plotti­stica, nella propria capacità di soverchiare i regni, nella propria capacità di salvarsi. Il Libro di Ester tratta della presa del potere e degli ebrei che credono nei propri poteri.

Da Purim a Birkenau

In un articolo intitolato A Purim Lesson: Lobbying Against Genocide, Then and Now [La lezione di Purim: fare lobby con­tro il genocidio, allora e oggi], [www.wymanin­stitute­.org/arti­cles/­2004-03-purim.php] il dottor Rafael Me­doff partecipa ai lettori l'insegnamento che concerne gli ebrei nel Libro di Ester. Per essere più precisi, Ester e Mordechai ci insegnano come fare lobby. "La festa di Purim", dice Medoff, "celebra gli sforzi, coronati da successo, di ebrei influenti nel Campidoglio dell'antica Persia per prevenire il genocidio del popolo ebrai­co". Ma Medoff non si ferma qui. Questo speci­fi­co esercizio di quello che taluno chiama "potere ebraico" è stato portato avanti e perfezionato dagli ebrei di oggi: "Ciò che non a tutti è noto è che un eguale lavoro di lobby ebbe luogo nei tempi moderni, a Washington, al culmine dell'Olocau­sto".

Nell'articolo, Medoff lumeggia le analogie tra l'azione di lobby di Ester in Persia e quella dei suoi moderni confratelli durante l'amministrazione di Franklin Delano Roosevelt al culmine della Seconda Guerra Mondiale. "La Ester degli anni Quaranta a Washin­gton fu Henry Morgenthau jr., un ricco ebreo assimilato di ascendenze tedesche, ansioso (come avrebbe rivelato il figlio) di essere consi­de­rato 'americano al cento per cento'. Grazie al fatto di non mettere in rilievo la propria ebrai­cità, Morgenthau salì gradatamente fino a divenire amico, consi­gliere e Ministro del Tesoro di FDR". E Medoff ci segnala anche un Morde­chai moder­no, "un gio­vane emissario sio­nista giun­to da Gerusalemme, Peter Bergson (vero nome: Hillel Kook), che capeggiò una serie di manifesta­zioni di protesta al fine di trascinare gli Stati Uniti a salvare gli ebrei sotto Hitler. Le inserzioni sui gior­na­li e le manifesta­zioni dei gruppi di Bergson resero l'opinione pubblica consa­pevole dell'Olo­causto, specie quando riuscirono ad organizzare la marcia di quat­trocento rabbini davanti alla Casa Bianca, la vigilia di Yom Kippur del 1943".

La lettura che fa Medoff del Libro di Ester ci fornisce una chiara visione del codice interno delle dinamiche di sopravvi­venza collettiva nelle quali l'ebreo assimilato (Ester) e l'ebreo osservante (Mordechai) uniscono le forze col chiaro obiettivo di salvaguardare gli interessi ebraici. Seguendo Medoff, le analo­gie sono scioccanti. "Alla fine, le pressioni di Mordechai con­vin­sero Ester a recarsi dal re; le pressioni di Bergson convinse­ro Morgenthau ad an­da­re dal presidente, armato di un rovente rap­porto di diciotto pagine intito­la­to Report to the Secretary on the Acquiescence of This Gover­nment in the Mur­der of the Jew­s [Rapporto al Ministro sull'inazio­ne di questo governo riguar­do allo sterminio degli ebrei]". Il dottor Medoff è pronto a trarre le conclusioni storiche. "Il lobbysmo di Ester ebbe successo. Assuero cancellò il decreto del genocidio e giustiziò Haman e i suoi boia. Anche il lob­bysmo di Morgenthau ebbe successo. Una risoluzione congres­suale scritta da Bergson, che chiedeva un'azione di soccor­so da parte degli USA, fu approvata dalla Commissione Esteri del Senato. Il che rese possi­bile a Morgenthau di dire a Roosevelt: 'Deve attivarsi molto rapidamente, altri­menti lo farà per Lei il Congresso degli Stati Uniti'. Dieci mesi prima delle elezioni, l'ultima cosa che avrebbe voluto FDR era un pubblico scandalo sulla questione dei rifugiati. In pochi giorni Roosevelt fece quanto voleva la risoluzione del Con­gresso, firmò un ordine esecutivo che creava il War Refugee Board, un'a­genzia governa­tiva americana per salvare gli ebrei da Hitler".

È chiaro che Medoff considera il Libro di Ester come un manuale genera­le per un felice futuro ebraico. Medoff termina l'articolo dicendo: "La protesta che niente fu fatto per salvare gli ebrei d'Europa è stata demolita dagli ebrei che vinsero le loro paure e parlarono per il loro popolo, nell'anti­ca Persia come nella moderna Washington". In altri termini, gli ebrei opera­no e opere­ranno per se stessi. Questa è la morale del Libro di Ester, e questa è la morale della Religione Olocaustica. Ciò che gli ebrei faranno per se stessi è una questione ancora aperta. Gli ebrei hanno opinioni diverse. I neocon credono sia bene trascinare l'America e l'Occi­dente in una guerra infi­nita contro l'Islam. [Il filosofo] Emmanuel Levinas crede invece che gli ebrei debbano porsi all'avanguardia della lotta contro l'op­pressione e l'ingiustizia. Invero, il potere ebraico è solo una risposta tra le tante. Certo, tale potere è davvero potente, per non dire che è pericoloso. È pericoloso soprat­tutto quando l'Ameri­can Jewish Committee agisce come un moderno Morde­chai e pubblicamente si adopera in una vasta azione di lobby­smo per scatenare una guerra contro l'Iran.

Quando si analizza l'opera e l'influenza dell'AIPAC nella vita politica ameri­ca­na, è il Libro di Ester che si dovrebbe aver presente. L'AIPAC è più di una mera lobby politica. L'AIPAC è un moderno Mordechai, l'AJC è un moder­no Mordechai. Sia l'AIPAC che l'AJC sono in linea con la scuola bi­bli­ca di pensie­ro. In ogni caso, mentre i Morde­chai sono relativamente facili da identificare, le Ester, che agiscono per Israele dietro le quinte, sono più difficili da rintraccia­re.

Io credo che da quando possiamo guardare il lobbysmo di Israele nei ter­mi­ni tracciati dal Libro di Ester, cioè della Religione Olocaustica, siamo autorizzati a considerare Ahmadi­nejad come l'attuale figura di Haman/Hitler. L'AJC è Morde­chai, Bush è ovviamente Assuero, ma Ester può essere pres­so­ché chiunque, dal­l'ultimo neocon a Cheney e oltre.

Brenner e Prinz

Nel primo paragrafo mi sono chiesto cosa fosse l'ebraicità. Per quanto io accetti che il concetto di ebraicità è complesso, tendo a concordare con Lei­bo­witz:

l'Olocausto è la nuova reli­gione ebraica.

Piuttosto che riferirmi solo alla Shoah, cioè all'ebreici­dio nazista, sostengo che l'Olocau­sto oggi permea il dibatti­to e lo spirito ebraici. L'Olocau­sto è l'essenza del Disordine da Stress Pretrau­ma­tico ebraico collettivo, e precede la Shoah. Essere ebreo significa guardare l'"altro" come un nemico, non come un fratello. Essere ebreo vuol dire essere sempre in allerta. Essere ebreo è introiettare il messag­gio del Libro di Ester. È puntare agli snodi decisivi del potere. Essere ebreo è collaborare col potere.

Lo storico marxista americano Lenni Brenner ha fatto luce sulla collabora­zione tra i sionisti e il nazismo. Nel libro Zionism In The Age of Dictators [Il sionismo nell'epoca dei dittatori], fornisce un sunto del libro del rabbino Joachim Prinz, edito nel 1937, dopo che Prinz lasciò la Germania per l'Ame­ri­ca.

"Ognuno in Germania sa che solo i sionisti possono rappre­sentare responsabil­mente gli ebrei nelle trattative col governo nazista. Noi tutti sappiamo che un giorno il governo aprirà un tavolo di discussione con gli ebrei, ove dopo i disor­di­ni e le atrocità del periodo rivoluzionario verrà considerato il nuovo status degli ebrei tedeschi. Il governo [tedesco] dichiara solen­ne­mente che non c'è stato al mondo un paese che ha cercato di risolvere la questione ebraica in modo più serio che la Germa­nia. Solu­zio­ne della questione ebraica? Era il sogno di noi sionisti! Noi non abbiamo mai negato l'esistenza di una questio­ne ebraica! Dissimulazio­ne? Era il nostro appello! [...] In una dichiarazione notevole per orgoglio e dignità, abbiamo chiesto di indire una conferen­za" [www.mar­xists.de­/middle­ast/bren­ner/ ch05.htm].

Brenner riporta poi brani da un memorandum inviato al par­tito nazista dal­la ZVfD Zionistische Vereinigung für Deutsch­land [Unione Sionista per la Germa­nia] il 21 giugno 1933:

"Noi sionisti non ci facciamo illusioni sulla difficoltà della condizione ebraica, che consiste essenzialmente in attività lavorative anormali e nella mancanza di radici nella propria tradizione [...] Con la fondazione del nuovo Stato, basato sul principio di razza, noi voglia­mo inserire la nostra comunità nella struttura totalitaria, cosicché anche per noi, nell'ambito assegna­toci, sia possibile lavorare a profitto della Patria [...] Il nostro ricono­scimento della nazionalità ebraica richiede una relazione chiara e sincera col popolo tedesco e le sue realtà nazionali e razziali. Proprio perché non vogliamo falsare questi principi, proprio per­ché anche noi siamo contro i matrimoni misti e vogliamo mantenere la purezza del gruppo ebrai­co [...] crediamo nella possibili­tà di una onesta relazione di lealtà tra un ebraismo cosciente della propria specificità e lo Stato tedesco" [ibidem].

Brenner non approva né l'atteggiamento di Prinz né l'inizia­tiva dei sioni­sti. Indignato, egli dice: "Questo documento, un tradimen­to degli ebrei in Germania, fu stilato usando i classici stereotipi sionisti: 'attività occupazio­nali anormali', 'intellettuali sradicati bisognosi di rigenerazio­ne', e così via. Con esso i sionisti tedeschi offrivano una calcolata collaborazio­ne tra sionismo e nazismo, giu­stificata dal fine di uno Stato ebraico: non daremo battaglia a te ma a quelli che ti resistono". Brenner non riesce a vedere quanto ciò sia ovvio. Rabbi Prinz e la ZVfD non erano traditori, erano veri ebrei. Segui­va­no un codice genuinamente ebraico. Seguivano il Libro di Ester, ave­va­no il ruolo di Mordechai. Cercavano di trovare una forma di col­la­bo­razione con quello che corretta­mente avevano identifica­to come un grande pote­re emer­gen­te. Nel 1969 Prinz confes­sò che "dall'assas­sinio di Walter Ra­thenau nel 1922, mai aveva­mo avuto dubbi che l'evoluzione della Germania portasse a un regime antisemita totali­tario. Quando Hitler cominciò a crescere e 'sve­gliò' la nazione tedesca alla consape­volezza razziale e alla superiorità razzia­le, non avemmo dubbi che quell'uomo, prima o poi, sarebbe diventato il capo della nazio­ne tedesca". [www.­marxists. de/mid­dleast/bren­ner/ch03.ht­m]

Piaccia o non piaccia a Brenner o a chiunque altro, Rabbi Prinz dimostra di essere un vero leader ebreo. Dimostra di possede­re un meccanismo radar di so­pravvivenza altamente svi­luppato, che si adatta alla perfezione all'ideolo­gia esilica. Nel 1981 Brenner intervistò Prinz. Riportiamo quanto disse sul rabbino col­labo­razionista: "[Prinz] maturò drammatica­mente nei 44 anni da quando fu espulso dalla Germania. Egli mi disse, a registrato­re spento, di avere improvvisa­mente realizzato che nulla di quanto aveva detto poteva essere capito in America. Divenne un liberal americano. Alla fine, come capo dell'Ameri­can Jewish Congress, gli fu chiesto di marciare con Martin Luther King, ed egli lo fece".

Ancora una volta, Brenner non riesce a vedere ciò che è ovvio. Prinz non cambiò affatto. Prinz non maturò in quei 44 anni. Era e restò un autentico ebreo, e un ebreo estrema­mente intelligente. Un uomo che aveva interiorizza­to l'essenza della filosofia ebraica dell'emigrazione: essere tedesco in Germania, americano in Ameri­ca. Essere duttile, adeguarsi e adottare un pensiero etico relativi­sta. Prinz, devoto seguace di Mordechai, realizzò che qualunque cosa è buona per gli ebrei, è, semplice­mente, buona in assoluto. Sono tornato ad ascoltare le impagabili interviste di Brenner a Rabbi Prinz, ora disponibili su internet. [cosmos.uc­c.ie/cs 1064/jabowen/IPSC7php/ clip.php? cid=512] Ero piuttosto scioccato nello scoprire che alla fine Prinz aveva illustrato apertamente la propria posizione. È Prinz, piuttosto che Brenner, che ci per­met­te uno sguardo sull'ideologia ebraica e sulla sua intera­zio­ne con la realtà circostante. È Prinz, più che Brenner, che capisce il Volk tedesco e le sue aspirazioni. Prinz illustra da ebreo orgoglioso le proprie azioni. Da questo punto di vista­, collabo­rare con Hitler era la cosa giusta. Egli seguiva Morde­chai, probabil­mente era in cerca di una Ester. Allo­ra, è soltanto naturale che Rabbi Prinz sia divenuto presidente dell'A­merican Jewish Congress. Egli divenne un grande leader ameri­cano mal­grado la sua "collabora­zione con Hitler". Semplice­mente, per un'ovvia ragione: dal punto di vista ideologico ebraico, aveva fatto la cosa giusta.

Conclusioni sul sionismo

Quando impariamo a guardare all'ebraicità come ad una cultura da esilia­ti, possiamo comprenderla come un continuum collettivo basato su una fanta­smatica di orrore. L'ebraicità è la materializza­zione di una politica di paura inserita in un'agenda operativa. Questo e solo questo è la Religione Olocau­sti­ca, anti­ca quanto gli ebrei. Rabbi Prinz prevedeva l'Olo­causto. Sia Prinz che la ZVfD si aspettavano un ebreicidio. Allora, dal punto di vista ideologi­co ebraico, essi agirono appropria­tamente. Erano guidati dalla loro etica esoterica, presente all'interno di un discorso culturale esoterico.

Il sionismo è stato una grande promessa, quella di trasforma­re gli ebrei in israeliti, fare cioè dei giudei un popolo come gli altri. Per questo il sionismo denunciava e combatteva il galut (diaspora), la caratteristica esilica del popolo ebraico e della sua cultura. Ma il sionismo ha fallito, com'era prevedibile.

La ragione è ovvia: in una cultura metafisicamente fondata sull'i­deologia esilica, un sere­no ritorno a casa è l'ultima cosa che ci si può aspettare. Al fine di vivere per la sua promessa, il sionismo avrebbe dovuto libe­rarsi dall'ideologia esilica ebraica, avrebbe dovuto liberarsi della Reli­gio­ne Olocaustica. Ma proprio in questo ha fallito.

Essen­do esilico fino al midollo, per mantenere il feticcio dell'iden­tità ebraica il sionismo ha dovuto farsi nemico dei palestinesi autocto­ni.

Poiché il sionismo ha fallito nello scindersi dall'ideologia ebraica dell'emi­gra­zione, ha perso l'opportunità di evolversi in una qualunque forma di cultura inter­na/nazionale [domestic]. Conse­guentemente, la cultura e la politica di Israele sono uno strano amalgama di irrisolutezza; un misto di potere colonia­le e di mentalità vittimistica da galut. Il sionismo è un prodotto secolare della cultura esilica che non è in grado di evolvere in un'autentica percezione inter­na/nazionale [home­grown].

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Author(s): Olodogma
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Published: 2013-04-13
First posted on CODOH: June 14, 2017, 4:33 p.m.
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