Otto domande a Carlo Mattogno
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di Davide D’Amario
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Cosa l’ha spinta ad analizzare la figura di Hitler in relazione alla storiografia olocaustica?
Mattogno : I processi celebrati dagli Alleati nell’immediato dopoguerra contro i “criminali di guerra” nazisti costituirono, nella storia contemporanea, il primo caso in cui i vincitori non si limitarono a giudicare i vinti, ma pretesero di distruggerlo ideologicamente e culturalmente. Il processo di Norimberga, come dichiarò candidamente il procuratore degli Stati Uniti J.R.H. Jackson, rappresentava semplicemente una «continuazione degli sforzi bellici delle Nazioni Unite», che si trovavano «tecnicamente ancora in stato di guerra con la Germania». Maurice Bardèche colse perfettamente lo spirito di Norimberga scrivendo che, «per scusare i crimini commessi nella [loro] condotta di guerra, [per gli Alleati] era assolutamente necessario scoprirne di ancora più gravi dall’altra parte. Bisognava assolutamente che i bombardieri inglesi e americani apparissero come la spada del Signore. Gli Alleati non avevano scelta. Se non avessero affermato solennemente, se non avessero dimostrato – non importa in che modo – che essi erano stati i salvatori dell’umanità, sarebbero stati solo degli assassini». Sarebbero stati solo dei criminali di guerra che giudicavano altri criminali di guerra. Adolf Hitler divenne inevitabilmente il criminale per antonomasia e mantenne questa centralità anche nella concrezione processuale che si trasformò successivamente in “storiografia”.
Per quanto riguarda l’imputazione di crimini contro l’umanità, la tesi propugnata a Norimberga della motivazione ideologico-razziale hitleriana del presunto sterminio ebraico diventò un caposaldo della storiografia olocaustica e regnò incontrastata fino agli anni Settanta, quando sorse una nuova interpretazione, che fu definita funzionalista o strutturalista. In opposizione a quella norimberghiana, che individuava in Hitler il centro unico del regime nazionalsocialista e gli attribuiva l’intenzione di sterminare gli Ebrei prima ancora di salire al potere – e perciò fu chiamata – l’interpretazione funzionalista proponeva l’idea di un governo policratico in cui il presunto sterminio fu il risultato dell’interazione di centri di potere autonomi in una sorta di radicalizzazione cumulativa.
Tuttavia questa prospettiva mantiene in un certo qual modo la centralità di Hitler in quanto, nel suo complesso, lo considera il referente supremo, colui che poteva ordinare con “cenno della testa” o legittimare grazie ad una “lettura di pensieri concordanti”.
La figura di Hitler, nella storiografia olocaustica, resta dunque sempre primaria.
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Le confessioni di Rudolf Höss ex comandante di Auschwitz in che modo garantirono la realtà del preteso “ordine di Hitler”?
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SS-Obersturmbannführer Rudolf Franz Ferdinand Höß (Höss o Hoess),la moglie Hedwig ed i loro 5 figli. Click per ingrandire
Mattogno: Gli inquisitori di Norimberga sopperirono in due modi alla totale mancanza di documenti relativi ad una politica generale nazionalsocialista di sterminio ebraico: con la tesi del “linguaggio in codice” e con le testimonianze.
Rudolf Höss, il primo comandante di Auschwitz, fu indubbiamente uno dei testimoni più importanti. Nella prigione di Cracovia, l’ex SS-Obersturmbannführer scrisse: «Venni arrestato l’11 marzo 1946, alle 23. [...]. La polizia mi fece subire gravi maltrattamenti. Venni inviato a Heide, dove mi rinchiusero nella stessa caserma dove, otto mesi prima, ero stato rilasciato dalle truppe inglesi.
Il mio primo interrogatorio si concluse con una confessione, dati gli argomenti più che persuasivi usati contro di me. Non so che cosa contenga la deposizione, sebbene l’abbia firmata».
(Sulle “confessioni” dello SS-Obersturmbannführer Höss abbiamo pubblicato l'interessantissimo studio di Carlo Mattogno, Cliccare QUI )
Una delle sue prime confessioni, risalente probabilmente al marzo 1946, fu redatta direttamente in inglese dagli inquirenti britannici ed egli si limitò a firmarla. Contiene tre affermazioni relative al presunto sterminio ebraico ad Auschwitz, che sono tutte storicamente assurde.
Anche l’affidavit del 5 aprile 1946 (PS-3868) fu redatto in inglese e fu semplicemente firmato da Höss. Non a caso le sue dichiarazioni, nella loro struttura essenziale, costituiscono un coacervo di assurdità e di contraddizioni cronologiche insuperabili. Per decenni la storiografia olocaustica norimberghiana si aggrappò disperatamente alle dichiarazioni di Höss come unico surrogato del fantomatico “Führerbefehl”, il preteso ordine di sterminio ebraico di Hitler. Quando però la corrente funzionalista vi infuse un briciolo di senso critico, la centralità del testimone Höss venne meno e si dissolse conseguentemente anche l’“ordine di Hitler”. Per salvare capra e cavoli, si pensò (J.-C. Pressac, K. Orth) di posticiparlo d’autorità di un anno, al giugno 1942 (Höss lo faceva risalire al giugno 1941) , ma in tal modo le assurdità e le contraddizioni cronologiche si aggravarono ulteriormente.
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Come si arriva a ritenere fondanti storicamente prove quali un “cenno della testa” o la “lettura di pensieri concordanti” nella definizione del ruolo di Hitler nel presunto genocidio?
Mattogno: La corrente funzionalista ha innescato una sorta di suicidio storiografico. Eliminata la (fasulla) concretezza testimoniale di Höss, essa si è impantanata inevitabilmente in congetture personali sempre più evanescenti, come appunto quella del “cenno della testa” (nella foto Christopher Browing, titolare del copyright “cenno della testa”) di Hitler o della “lettura di pensieri concordanti”. Ovviamente queste supposizioni, che sconfinano nella parapsicologia, non hanno alcun valore probatorio.
L’“ordine di Hitler” resta comunque, tacitamente, l’aspetto centrale e imprescindibile della storiografia olocaustica, perché solo esso può costituire il punto di inversione della ben documentata politica ebraica nazionalsocialista.
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Il nazionalsocialismo come affrontò “la questione ebraica”? Come si è innestata la pretesa politica genocida dalle documentate dichiarazioni inerenti alla “emigrazione di tutti gli ebrei”?
Mattogno: Contrariamente alla tesi intenzionalista norimberghiana, Hitler fin dal 1919 era fautore di un «antisemitismo della ragione» che propugnava l’allontanamento degli Ebrei dalla Germania. Un’abbondante documentazione permette di ricostruire nei particolari la politica ebraica attuata dal regime nazionalsocialista.
(nella foto l'ebreo titolare del copyright “lettura di pensieri concordanti”, hilberg raul)
La prima fase fu l’emigrazione, realizzata attraverso istituzioni ufficiali create appositamente: il “Servizio per le questioni ebraiche” (1936),
l’“Ufficio centrale per l’emigrazione ebraica” di Vienna (1938), l’“Ufficio centrale del Reich per l’emigrazione ebraica” di Berlino (1939), l’“Ufficio centrale per l’emigrazione ebraica” di Praga (1939). Che si trattasse di una politica reale è attestato dal fatto che, fino al 31 dicembre 1942, dal Vecchio Reich, dall’Austria e dalla Boemia-Moravia emigrarono 557.357 ebrei; aggiungendo il Governatorato generale e i territori orientali occupati dai Tedeschi, si arriva a circa un milione di Ebrei emigrati dalla sfera di influenza tedesca.
(Ulteriori informazioni sulla collaborazione tra Terzo Reich ed ebrei sionisti tedeschi si hanno QUI, cliccare)
Il 24 giugno 1940 Reinhard Heydrich, il capo del Reichssicherheitshauptamt, scrisse al ministro degli Esteri Joachim Ribbentrop che, nonostante gli sforzi fatti (fino ad allora erano emigrati dal territorio del Reich oltre 200.000 Ebrei), a causa del numero ingente di Ebrei sotto il dominio tedesco, il problema ebraico non poteva essere risolto mediante emigrazione, perciò si rendeva necessaria una «soluzione finale territoriale». Da ciò nacque il «progetto Madagascar», elaborato all’inizio di luglio da Franz Rademacher, capo della sezione ebraica del ministero degli Esteri. Il progetto prevedeva il trasferimento degli Ebrei sotto sovranità tedesca nell’isola di Madagascar dopo il trattato di pace con la Francia (cui l’isola apparteneva). Le difficoltà create dalla guerra imposero però la rinuncia al progetto, che fu abbandonato definitivamente all’inizio di febbraio del 1942.
La politica di emigrazione cessò ufficialmente il 23 ottobre 1941, quando Himmler impartì l’ordine relativo.
Nei mesi successivi le prospettive territoriali aperte dalla campagna di Russia portarono ad un importante cambiamento di destinazione nella politica nazionalsocialista nei confronti degli Ebrei: alla «soluzione finale territoriale» mediante trasferimento degli Ebrei europei nel Madagascar subentrò una «soluzione finale territoriale» mediante deportazione degli Ebrei europei nei territori orientali occupati dai Tedeschi.
Le deportazioni in massa cominciarono nel novembre 1941.
Oltre 70 trasporti, con circa 71.000 Ebrei furono inviati direttamente a Riga, Minsk, Kaunas ed altre località orientali fino al novembre 1942.
(Nella foto una deportazione dal Ghetto di Lodz, foto originale yad vashem, notare l'uso delle normali carrozze passeggeri)
A partire dal marzo 1942, almeno 72 trasporti ebraici provenienti dal ghetto di Theresienstadt, da Vienna, dalla Slovacchia, dal Vecchio Reich, con oltre 87.000 Ebrei, furono deportati nel distretto di Lublino, per essere poi trasportati nei territori orientali occupati.
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Deportazione di ebrei senza cittadinanza francese, francia, in carrozze passeggeri, 1941. Fonte yad vashem, Gerusalemme, 10155295328327630790 . Click...
Secondo fonti SS, attraverso i campi del Governatorato generale e del Warthegau passarono, fino al 31 dicembre 1942, quasi 1.400.000 Ebrei, che la storiografia olocaustica considera assassinati in campi di sterminio.
Tuttavia non esiste alcun documento né circa il fatto che i campi in questione (Belzec, Sobibor, Treblinka e Chelmno) fossero campi di sterminio, né che vi fossero stati uccisi Ebrei. Tutto è rimesso alle testimonianze, di norma assunte dagli storici olocaustici aprioristicamente come veridiche e attendibili, anche quando sono manifestamente assurde – e ciò accade molto spesso. ( Sul "tema" Belzec, Sobibor, Treblinka + Chelmno, ovvero la famosa "Azione Reinhard", è disponibile, su questo sito, lo studio di oltre 1000 pagine di Graf-Kues-Mattogno, cliccare QUI )
Dal punto di vista storico-documentario, il problema fondamentale resta quello dell’ “ordine di Hitler”:
Quando, come e perché la politica di emigrazione-deportazione fu sostituita da una politica di sterminio?
Finché la storiografia olocaustica non lo risolverà, non potrà dimostrare la realtà del cambiamento radicale della politica ebraica nazionalsocialista, il quale, storicamente, rappresenta la condicio sine qua non della realtà dei campi di sterminio.
Sintetizzando: niente “ordine di Hitler”, niente cambiamento di politica ebraica, niente campi di sterminio.
Qui parlo di “ordine di Hitler” in senso lato, con riferimento ad un ordine o a una decisione di sterminio da parte di chiunque, anche di un gerarca locale, ma tale da costituire un punto di inversione di tale politica.
Finora la storiografia olocaustica ha tentato di risolvere truffaldinamente il problema coll’espediente del “linguaggio in codice” (nella foto l'inventore, nel 1945-46, del “linguaggio in codice”, il giudice istruttore polacco Sehn Jan, del processo farsa polacco contro l’ SS-Obersturmbannführer Rudolf Höss) : la decisione dello sterminio sarebbe dimostrata da termini, appunto, “in codice”, che appaiono in vari documenti tedeschi, primo fra tutti “Endlösung”, “soluzione finale”, abusivamente assurto a sinonimo di sterminio. Di fatto, in questo modo si presuppone surrettiziamente ciò che dev’essere dimostrato, perché il supposto cambiamento di significato di questo termine implica già la decisione di sterminio che bisogna provare.
E gli storici olocaustici si sono crogiolati in questo sterile gioco autoilludendosi a tal punto che Endlösung è diventata per loro una sorta di parola magica che ha soppiantato i termini di sterminio o genocidio. Basta pronunciarla per credere (o fingere di credere) di possedere una “prova” dell’ “ordine di Hitler”.
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Cosa voleva dire l’affermazione presente nel libro di Irving “La guerra di Hitler” nel 1977 che “Hitler non era responsabile del preteso genocidio ebraico”?
Mattogno: La tesi di Irving era legata al problema della mancanza di documenti che stabiliscano un legame tra Hitler il presunto sterminio ebraico. All’epoca lo storico britannico non metteva in dubbio la realtà dell’olocausto, ma ne attribuiva la responsabilità a Himmler, che lo avrebbe perpetrato all’insaputa del Führer. Successivamente Irving ha assunto posizioni altalenanti e in parte evasive, sicché non è facile conoscere il suo pensiero.
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La seconda guerra mondiale, le democrazie Occidentali e i campi di concentramento quali prove portano al preteso Olocausto?
Mattogno: Durante la seconda guerra mondiale il governo polacco in esilio a Londra funse (Al seguente link la cronaca delle operazioni di tale “governo”, click QUI ) da cassa di risonanza mondiale per tutte le storie propagandistiche che vi confluivano dai territori occupati dai Tedeschi. All’inizio gli Alleati e il Vaticano si dimostrarono però molto cauti. Ad esempio, in una nota del Foreign Office del 26 dicembre 1942 riguardante il progetto di una “Four Power Declaration” sulle atrocità naziste, che si realizzò poi il 17 dicembre come “Joint Allied Declaration”, si affermava che tale dichiarazione avrebbe dovuto essere «piuttosto vaga», non essendoci «alcuna prova concreta di queste atrocità”, sebbene la loro «probabilità» fosse tale da giustificare la dichiarazione. Sarebbe stato comunque «pericoloso imbarcarsi in una campagna propagandistica senza un fondamento di fatti citabili e dimostrati». E una nota d’ufficio della Segreteria di Stato vaticana del 6 ottobre 1942 in risposta a una richiesta di informazioni sulle «uccisioni di Ebrei» presentata qualche giorno prima da Harold Tittman, incaricato di affari degli Stati Uniti presso la Santa Sede, disponeva: «Preparare un breve appunto nel quale si dice, in sostanza, che la S. Sede ha avuto notizia di trattamenti severi contro gli Ebrei. Essa non ha però potuto controllare l’esattezza di tutte le notizie ricevute».
All’epoca tutto ciò che si conosceva era la propaganda nera ebraico-polacca. Successivamente, dovendo giustificare i propri crimini, gli Alleati mutarono atteggiamento. La liberazione dei campi di concentramento fu l’occasione per lanciare una vasta campagna propagandistica di demonizzazione del nemico tedesco. I cadaveri non mancavano.
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Bergen-Belsen concentration camp is burned to the ground by British soldiers - typhus. Germany, May 21, 1945. Click...
Acausa delle tragiche condizioni in cui versava la Germania, complici i bombardamenti terroristici degli Alleati, negli ultimi mesi della guerra i campi di concentramento subirono un collasso amministrativo e organizzativo, i rifornimenti si ridussero drasticamente o cessarono, folle di detenuti evacuati dai campi orientali si riversarono in essi. La fame e le malattie fecero strage di detenuti, i cui cadaveri furono trovati a migliaia. (Nella foto, 1945, la distruzione col fuoco del lager di Bergen Belsen eseguita dagli “alleati”, dove non fù impossibile debellare l’epidemia di tifo. Nello stesso lager, per tifo, morì frank anne)
Questo quadro, immortalato con malcelato compiacimento dalle cineprese alleate, viene ancora presentato come “prova” dello sterminio ebraico.
Si dimentica però che il preteso programma di sterminio sarebbe cessato sei mesi prima, nell’ottobre del 1944.
Paradossalmente, finché il presunto sterminio fu in atto, la mortalità dei campi fu relativamente bassa; quando esso cessò, la mortalità crebbe vertiginosamente.
Ad esempio,
a Buchenwald, dei 32.878 decessi di detenuti registrati nella statistica dell’ospedale, ben 12.595 si verificarono nel 1945, in tre mesi e mezzo, 20.283 nei sei anni precedenti;
a Dachau vi furono 27.839 decessi, di cui 15.385 nei primi cinque mesi del 1945 e 12.455 nei quattro anni precedenti;
a Mauthausen, degli 86.024 decessi registrati, 36.043 si verificarono dal gennaio al maggio 1945 e 49.981 nei sette anni precedenti;
a Sachsenhausen, dei 19.900 decessi registrati, 4.821 si ebbero nei primi quattro mesi del 1945 e 15.079 nei cinque anni precedenti.
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Se come lei dice Birkenau divenne “un campo di transito” (dove addirittura doveva sorgere un ospedale) cosa è successo al processo di Norimberga e come può essere che sia divenuto simbolo di sterminio?
Mattogno : Nel complesso di Auschwitz-Birkenau vi furono ospedali maschili e femminili per i detenuti. Quello di Auschwitz fu il più grande e il più organizzato fino all’inaugurazione del campo ospedale BIIf a Birkenau. (Click QUI per più dettagliate informazioni)
Secondo il “Rapporto trimestrale sul servizio sanitario nel KL Auschwitz” datato 16 dicembre 1943, esso constava di
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sala radiologica,
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laboratorio chimico,
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reparto oto-laringoiatrico,
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laboratori ottici,
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reparto lampade,
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farmacia delle erbe officinali,
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cucina dietetica,
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reparto dentistico.
Leonardo De Benedetti e Primo Levi descrissero così i reparti dell’ospedale per i detenuti del campo di Monowitz che funzionavano regolarmente (vedi il nostro post che riporta il "rapporto" del levi e de benedetti) :
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«Ambulatorio di Medicina Generale;
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Ambulatorio di Chirurgia Generale;
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Ambulatorio di Otorinolaringoiatria e di Oculistica;
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Ambulatorio Dermatologico;
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Gabinetto Odontoiatrico (nel quale si eseguivano anche otturazioni e più elementari lavori di protesi);
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Padiglione di Chirurgia Asettica, con annessa sezione Otorinolaringoiatra;
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Padiglione di Chirurgia Settica;
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Padiglione di Medicina Generale con una Sezione per le Malattie Nervose e Mentali (questa era dotata perfino di un piccolo apparecchio per elettroshokterapia);
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Padiglione per le Malattie Infettive e per la Diarrea;
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e finalmente un Padiglione detto “Schonungs-Block” [blocco di convalescenza] nel quale erano ricoverati
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i distrofici,
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gli edematosi
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e certi convalescenti.
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L’ospedale inoltre era dotato di un Gabinetto Fisico-terapico con lampada di quarzo per irradiazioni ultraviolette e lampada per irradiazioni infrarosse
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e di un Gabinetto per ricerche chimiche, batteriologiche e sierologiche. Non esisteva un impianto Roentgen e qualora un esame radiologico si fosse reso necessario, gli ammalati erano inviati ad Auschwitz, dove esistevano buoni impianti e donde rientravano con la diagnosi radiologica».
Il campo ospedale maschile del settore BIIf di Birkenau comprendeva 18 baracche. L’ospedale femminile fu insediato nel settore BIa e includeva 12 blocchi.
All’inizio di maggio del 1943 fu avviato un programma di «Misure speciali per il miglioramento delle installazioni igieniche» a Birkenau nel cui quadro, fra l’altro, fu progettato nel settore BIII un enorme ospedale
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-4 baracche di disinfestazione,
-11 baracche per infermieri e
-12 baracche per «malati gravi».
(Nella foto: lager di Auschwitz ,2 pagine numerate del registro del “Block20″ dell’ ospedale per internati, con tutti gli estremi del caso)
Il progetto, realizzato solo in parte, era in aperto contrasto con le presunte intenzioni sterminatrici delle SS.
Allora Auschwitz come divenne simbolo dello sterminio?
Mattogno - Grazie alla propaganda dei Sovietici e alla successiva propaganda in veste giudiziaria dei Polacchi negli anni 1945-1947.
Gli uni ne fissarono il grado di orrore (i mitici 4 milioni di morti), gli altri i procedimenti argomentativi. Il processo Auschwitz di Francoforte, negli anni Sessanta, conferì il suggello definitivo al quadro orrorifico di Auschwitz.
Il risultato fu riassunto così nel 1989 da Jean-Claude Pressac, il massimo esperto olocaustico di Auschwitz: «una storia basata in massima parte su testimonianze raccolte secondo l’umore del momento, troncate per formare verità arbitrarie e cosparse di pochi documenti tedeschi di valore disparato e senza connessione reciproca».
Non si trattava dunque di un risultato storiografico, bensì propagandistico.
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Le reazioni liberticide nei confronti dei revisionisti in Europa la preoccupano? I suoi studi come sente che vengano valutati in patria e all’estero?
Mattogno: L’isteria collettiva che si scatena quando si tocca la questione dell’olocausto è la dimostrazione lampante che qui la storiografia non c’entra nulla, come non c’entra nulla il concetto di verità o di esattezza storica.
Il “negazionismo” non è sentito da chi agita questa parodia del revisionismo come negazione di una verità storica, ma come negazione di una ideologia, di una religione, la cui fondamentale importanza politica per lo stato di Israele è ovvia.
Per costoro la storiografia revisionistica è pericolosa perché inficia questa ideologia, perciò essi non rispondono sul piano storiografico, ma su quello giudiziario, con leggi liberticide. Dato il clima generale europeo, l’introduzione di una legge antirevisionistica anche in Italia sembra un fatto inevitabile.
[A questo punto immettiamo nel testo la RIVELATRICE frase di tale pacifici riccardo (foto), presidente della comunità ebraica di Roma, il quale rivela che... CONTRO le TESI REVISIONISTE occorre urgentemente (entro il 27 Gennaio 2011) una legge che è l'<<unico strumento per contrastare>> i tentativi di ridurre l'entità dello sterminio degli ebrei. Di più!...essa sarebbe <<la nostra ultima chance>>! Fonte: <<Repubblica>> del 15 ottobre 2010.
Questo è l'eletto "dramma"! 65 (al 2011) anni di stipendi, premi, onorificenze, premi Nobel, carriere universitarie, pagati INUTILMENTE in quanto NON hanno prodotto PROVE sufficienti a TACITARE meno di una dozzina di privati cittadini col pallino della ricerca storica e qualche gentiluomo che non accetta gli olo-dogmi ! Quindi abbiamo nella VIOLENTA REPRESSIONE della libertà di espressione ad opera dello stato ...<<la nostra ultima chance>> ! Tutta la cronaca della legge <<ultima chance>> è documentata in una serie di posts su questo sito: cliccare QUI per accedere all'elenco completo ]
Per quanto riguarda l’accoglienza dei miei scritti, in generale essi non vengono giudicati storiograficamente, ma ideologicamente, perciò il giudizio degli avversari è immancabilmente negativo.
Un surrogato molto autoconsolante di un giudizio storiografico, che del resto costoro sono incapaci di esprimere.
Per approfondimenti sui temi trattati sopra rimando al mio libro fresco di stampa Hitler e il nemico di razza. Il nazionalsocialismo e la questione ebraica. Edizioni di Ar, 2009, e al mio studio in rete Raul Hilberg e i «centri di sterminio» nazionalsocialisti. Fonti e metodologia.
(Fonte Rinascita del 6 maggio 2009)
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Author(s): | Olodogma |
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Published: | 2014-11-19 |
First posted on CODOH: | Sept. 22, 2018, 10:18 a.m. |
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