Revisionismo storico sul "caso Guernica", propaganda comunista, Picasso...
Per il bombardamento di Guernica, 26 aprile 1937, vengono propagandati ancor oggi dinamiche e cifre del tutto false (nella foto lo Stendardo della tedesca Legione Condor). A parte la coppia Gallois-Vergès che dà 2000 vittime, la vulgata riporta (vedi la prima edizione dell'opera di Hugh Thomas, ma anche Eddy Florentin): deliberato esperimento di nuove tattiche da parte dei «nazi» su una città indifesa e priva di importanza bellica, in un giorno di mercato, in ore in cui le strade erano piene di gente, con lancio di bombe da 500 chili ininterrotto per tre ore, distrutto il 70% delle case, impiego di 70 aerei e mitragliamento della popolazione, bilancio: 1654 morti e 889 feriti, cifre «sorprendentemente precise» ma del tutto «campate per aria» (Stefano Mensurati) avanzate nel maggio 1937 dal presidente basco José Antonio de Aguirre y Lecube e da lui ufficializzate al ministro della Marina e Aviazione Indalecio Prieto dell'11 giugno (nella seconda edizione, non tradotta in italiano, Thomas, pur inviluppato in un complesso di espressioni ambigue, abbassa le orecchie: «Non è stato possibile stabilire con esattezza il numero delle persone uccise. Le stime variano da 1600 a 100 vittime. La valutazione più bassa sembra la più verosimile»); ancora nel 2003 il rieducato Wolfgang Bönitz e nel 2004 Gijs van Hensbergen osano dare 1645 morti... del resto il 18 luglio 1956, nel ventesimo dell'Alzamiento, il comunista Riccardo Longone aveva ricapitolato su l'Unità: «Su seimila abitanti ne morirono quattromila»! Mentre all'epoca i bollettini della nazionale Burgos, della rossa Valencia e della basca Bilbao danno all'accaduto scarso rilievo, l'«evento» (a somiglianza del mai avvenuto «eccidio» dei 4000 repubblicani di Badajoz ad opera dei nazionali di Yagüe propalato nell'agosto 1936 da Jay Allen sulla Chicago Tribune e ancor oggi propagandato, ad esempio, da un Ranzato) viene gonfiato da cinque giornalisti inglesi, agenti dell'Intelligence Service: George Lowther Steer di The Times, autorevolissimo anche se con tiratura di sole 200.000 copie, e dell'agenzia Press Association, nel 1943 tenente colonnello dei servizi; Noel Monks del Daily Express e Paris Soir, all'epoca i più venduti quotidiani inglese e francese, oltre due milioni di copie il primo, 1,8 milioni il secondo; Christopher Holme della Reuter, di The Star e dell'edizione serale di News Chronicle; Mathieu Corman del comunista Ce Soir; certo Watson del Daily Herald, «più famoso per i suoi periodici interventi a Radio Bilbao che per i suoi articoli» (Mensurati), nessuno dei quali presente a Guernica ma che inventarono una potenza terrificante della Luftwaffe, favoleggiando di nuovi esplosivi sperimentati dai tedeschi (invero, già all'epoca la stampa italiana, come attesta Villari, aveva smascherato le menzogne anglo-francesi).
Il caso viene poi ulteriormente gonfiato a New York dalla giornalista Dorothy Thompson, iniziatrice sulla New York Herald Tribune del 30 aprile, e a Parigi dal kominternista Willi Münzenberg (che, già inventore della responsabilità «nazista» per l'incendio del Reichstag, non solo impiega mezzo milione di sterline per fabbricare i necessari «documenti», ma promuove la discesa in campo di Picasso) in modo talmente falso e nauseante che persino l'antifranchista George Orwell ricorderà, in Looking Back on the Spanish War "Ripensando alla guerra di Spagna":
«Da tempo mi sono reso conto che non c'è un solo avvenimento che venga correttamente riferito dai giornali, ma in Spagna, per la prima volta, ho visto cronache giornalistiche che non avevano alcuna relazione coi fatti, e nemmeno una sottintesa relazione con una normale bugia. Ho visto reportages su grandi battaglie mai combattute e assoluti silenzi su altre nelle quali hanno perso la vita centinaia di uomini. Ho visto soldati che hanno combattuto valorosamente denunciati come codardi e traditori, e altri che non hanno mai udito un colpo d'arma da fuoco additati a eroi di immaginarie vittorie; ho visto giornali londinesi smerciare queste bugie e intellettuali smaniosi costruire emozionanti sovrastrutture su eventi mai avvenuti. Ho visto, in effetti, storie scritte non sulla base di quanto accaduto ma secondo quanto sarebbe dovuto accadere in conformità con le varie direttive di partito».
Guernica è cittadina posta in un crocevia situato trenta chilometri alle spalle del fronte cantabrico che copre Durango e Bilbao, messo in movimento dall'offensiva nazionale del 23 aprile, presidiata da tre battaglioni rojos con 2000 soldati, evacuata per treno da gran parte dei civili, transito per truppe, il tradizionale mercato mattutino del lunedì sospeso dal delegato governativo basco Pedro Azcarreta in previsione di un'incursione aerea (le cui avvisaglie appaiono verso le 16.30, mentre il «grosso» sarà di due ore dopo; il che non vieta a Steer & company di informare» su una strage di contadini compiuta «durante il mercato»), presenza di quattro fabbriche d'armi (Talleres de Guernica, Unceta y Cia., Beistegui Hermanos e Joyería y Platería de Guernica, con una produzione all'epoca di trecento bombe per aerei al giorno, spolette e ogive per artiglieria, mine antisommergibili, pistole, mitragliatrici e bossoli per fucile) e di imponenti depositi di munizioni e artiglieria «criminalmente sparpagliati in pieno centro» (Mensurati), bombardamento del ponte di Rentería sul fiume Oca, in due-tre riprese: 1. alle 16.30, proveniente da sud, con un Dornier-17 E, bombardiere leggero con 15 bombe da 50 chili, in parte sganciate in due passate sul ponte, cadute sul lato destro del fiume nel sobborgo di Rentería senza danni di rilievo, e, incrociatolo ad alta quota senza identificarlo, 2. tre Savoia Marchetti SM-79 italiani con 36 bombe da 50 chili, sganciate da 3800 metri di quota in neppure un minuto, tutte anch'esse andate fuori bersaglio, 3. alle 18.30, scortati da cinque caccia Fiat CR-32, compaiono 4. tre squadriglie di diciassette/diciotto Junkers-52 della Legione Condor, aerei inferiori ai bombardieri che i sovietici impiegavano senza risparmio da mesi sulle città franchiste (anche lontane dal fronte come Saragozza, Valladolid, Cordoba e Melilla), i quali in gruppi di tre in fila indiana su un corridoio di volo largo 130-150 metri, sganciano da una quota tra 1500 e 3500 metri 39 bombe da 250 chili, oltre 200 tra bombe da 50 chili e da 10 chili e 5184 spezzoni incendiari da un chilo, gli ultimi da utilizzare sulle truppe nemiche in ritirata per Guernica (altri dati secondo Moa: 17 pezzi da 250 chili, 184 da 50 chili e 4896 spezzoni da un chilo), durata dell'azione cinque minuti (i corrispondenti britannici, l'agenzia francese Havas e l'inglese Reuter «informano» di una forza stragizzante che va da 150 a 240 velivoli che bombardano per ore). Subito dopo segue 5. un isolato Heinkel-111 da ricognizione che, scortato di propria iniziativa da uno dei cinque caccia italiani, fotografa le linee nemiche poco a sud della cittadina. Esplosivo totale sganciato, da un'altezza di 1500-1800 (ma anche, come visto, 3800) metri, nelle due-tre azioni: 24,15 tonnellate, delle quali 750 chili dovute al Dornier, 1800 chili ai tre Savoia-Marchetti e 21,6 tonnellate ai diciassette/diciotto Junkers. Di «scopo terroristico del bombardamento» e di «un simile dispiegamento di mezzi e potenza distruttiva» straparla Ranzato (I), definendo pappagallescamente, e con tono tra il sadico e il compiaciuto nei confronti dei tedeschi, l'azione «bombardamento strategico» «prefigurazione di quelli del futuro conflitto mondiale che come nemesi si sarebbero abbattuti sulla stessa Germania più che su ogni altro paese europeo»!
Quanto ai morti effettivi sui cinquemila abitanti e i duemila miliziani presenti, vanno da 93 a 126 (taluno dei rojos ha l'impudenza di dare cifre di 3000 e 2000 morti!); dai 1654 morti della prima edizione dell'opera Thomas precipita a 200 nelle successive; altri autori più o meno «autorevoli» parlano di 3000, «circa duemila», 1000, «più di ottocento», 800, 690, 600, 592, 500, 250, 200 e 150, «centinaia», «migliaia e migliaia», «un numero incalcolabile»; il generale e storico Jesús María Salas Larrazábal di 125-126, tutti nominativamente identificati (dei quali: 45 nel rifugio antiaereo di via Santa María, sfondato da una bomba, estratti la settimana seguente dai nazionali dopo la liberazione del paese, 16-17 nell'Asilo Calzada, colpiti dall'unica bomba caduta oltre il paese, 11 in una cunetta laterale sulla strada per Luno, 24 registrati dall'anagrafe, 18 inseriti in un secondo tempo nel registro del tribunale locale, 3 deceduti in ospedale a Bilbao e altri 8 indicati da varie fonti); secondo Pio Moa I, che revisiona Salas Larrazábal i morti scendono a 102, molti dei quali militari, con 30 feriti; nella biografia di Göring, David Irving abbassa ulteriormente la cifra a 90, «quasi tutti uccisi quando le bombe avevano colpito un rifugio antiaereo primitivo e un ospedale psichiatrico [il suddetto Asilo Calzada, in realtà una casa per anziani requisita dai baschi per installarvi un ospedale]». Inoltre, tutti i testimoni concordano che al termine del bombardamento – dopo il quale non ci fu alcun mitragliamento sui civili, come invece favoleggiato e come ancor oggi pappagallizzato, ad esempio, dal solito Ranzato, che ne fa autori fantomatici «fiammanti caccia Messerschmitt in volo radente» – resta danneggiato solo il 10% delle case; l'incendio di alcune di esse, favorito dalla tradizionale architettura in legno, da un forte vento sia da nord che da est, dal ritardo dei pompieri nell'arrivo da Bilbao e dall'inerzia dei rojos, porta però alla distruzione di due terzi della città. Invero, solo undici bombe da 250 chili, deviate dal forte vento laterale, cadono nell'abitato; le altre, di cui alcune non esplose, cadono nei campi prima del ponte di Rentería e delle strade che vi convergono, gli obiettivi dell'incursione, rimasti tuttavia indenni; una bomba colpisce l'opposta periferia all'estremo sud del paese. Delle distruzioni sono in parte responsabili gli spezzoni incendiari lanciati dai velivoli, caduti anche sui quartieri centrali a causa del vento, del tempo nuvoloso, della vicinanza degli obiettivi all'abitato e dell'imprecisione strutturale del puntamento, ma anche il materiale incendiario e l'esplosivo usati dai rojos prima dell'evacuazione, onde fare terra bruciata davanti ai nazionali (tra i principali artefici delle distruzioni sono i dinamiteros delle cave di pietra); di parte delle ingenti distruzioni materiali della cittadina gli stessi abitanti fanno, infatti, autori i minatori asturiani che, prima di fuggire, per fermare l'avanzata dei nazionali o per vendetta contro i «tiepidi» fanno saltare intere strade, incendiando monasteri, edifici pubblici e case private. Del resto, la politica della terra bruciata davanti al nemico vittorioso, adottata da anarchici, socialisti e comunisti, e ordinata da Indalecio Prieto, già era stata praticata a Tarua, Eibar, Irún e Amorebieta, mentre Bilbao si sarebbe salvata dalla preventivata distruzione solo per l'opposizione delle più ragionevoli autorità basche. Sulle distruzioni riportate dagli edifici riassume Mensurati: «Le cause di questo immenso falò sono molteplici e tutte chiaramente individuabili: la tipica struttura in legno delle case della zona che favorì la propagazione delle fiamme (i caratteristici balconi chiuso a invetriata, con l'intelaiatura in legno, quando erano dirimpettai quasi si toccavano); l'angustia delle strade del centro che canalizzarono il forte vento; l'assoluta inadeguatezza dei mezzi anti-incendio di cui era dotata la cittadina, aggravata dai danni subiti dalle condutture dell'acqua; il ritardo col quale arrivarono i pompieri da Bilbao, che giunsero sul posto intorno alle 22.000 (le linee telefoniche erano interrotte e per chiedere soccorsi si dovette raggiungere di notte un paese vicino); i gravi errori commessi nelle operazioni di spegnimentoo; la colpevole decisione di abbandonare il paese a se stesso, tanto che alcune case che inizialmente non avevano patito alcun danno presero fuoco addirittura due giorni dopo, al punto che quando giovedì 29 i nazionali conquistarono la cittadina ancora bruciavano; il probabile, anche se non provato, contributo successivo di qualche "guastatore", quando la cittadina era stata sgomberata e non c'erano più testimoni».
In compenso Rudolf Arnheim, squisito psicologo dell'arte «tedesco», tonitrueggia: «L'evento nel suo insieme fu impressionante: non si trattava semplicemente di "danni", ma della devastazione pressoché totale di una pacifica comunità umana. E non si trattava neppure d'un semplice attacco da parte di un [singolo] generale ribelle, ma d'una manifestazione della brutalità fascista nel senso più completo della parola, impersonata dagli aeroplani e dagli equipaggi stranieri». Del resto, già il 2 giugno don Sturzo aveva portato il suo contributo cristiano sulle colonne de L'Aube: «Guernica è un nome che resterà nella storia come un simbolo, così come è rimasto il nome di Lusitania. È fatale che si riparli di Guernica ancora per un pezzo. La questione se Guernica fu bombardata da aeroplani tedeschi al servizio di Franco e della causa ribelle è superata [...] Nel passato tali bombardamenti sono stati tollerati, perché non furono rilevanti o non furono rilevati; da oggi la storia delle guerre future (storia di catastrofi inaudite) si rifarà per i bombardamenti aerei alla distruzione di Guernica (come per i siluramenti sottomarini si rifà al Lusitania)». Inoltre, nell'ottobre già il pazzoide sanguinario francese André Marty, segretario del Comitato Esecutivo del Komintern dotato di buona cultura scolastica, comandante di un battaglione franco-belga a lui intitolato, stalinista ribattezzato, per intuibili buone maniere, «il macellaio di Albacete», aveva tuonato: «Guernica! Un massacro terribile, preparato freddamente, le mitragliatrici che finivano i superstiti; Guernica, simbolo di tutte le città e i villaggi martiri della Spagna; Guernica, un delitto dopo il quale, indiscutibilmente, i misfatti di Nerone, di Attila, di Gengis Khan ci sembrano insignificanti. Guernica, che nel mondo intero ha sollevato un grido di orrore tra tutti coloro che lavorano e che pensano. Guernica, talmente raccapricciante che persino gli stessi criminali della croce uncinata non hanno osato giustificarsi e hanno saputo soltanto gridare: "Non siamo noi, sono loro!". Guernica, venuta a ricordare atrocemente a chi ha già dimenticato, i fiumi di sangue, le membra staccate, gli occhi strappati e i cervelli resi pazzi dal mostro con le camicie nere e le croci uncinate». Una vera e propria idiozia viene infine riportata dal quotidiano socialista tedesco Vorwärts il 3 settembre 1988: a ridurre Guernica «in macerie e cenere» è stato, ordinato da Hitler, «lo spietato aviatore nazista Boelcke»... singolare che il capitano prussiano Oswald Boelcke fosse precipitato, per incidente dopo quaranta vittorie nella Grande Guerra, il 28 ottobre 1916. «Per ultimo, si deve nuovamente ricordare» – commenta Pio Moa (I) – «che i bombardamenti della popolazione civile furono iniziati e compiuti spesso dal Fronte Popolare. Per distogliere i nazionali da questa pratica, i rivoluzionari ricorsero molte volte all'uccisione di prigionieri [vedi i 224 massacrati da un'isterica folla aizzata da anarchici nelle carceri di Bilbao, le cui porte erano state spalancate all'interno il 4 gennaio 1937 in «rappresaglia» per un bombardamento tedesco che casualmente aveva fatto quattro morti tra la popolazione della città] e, con miglior risultato, alla denuncia internazionale, considerando tali azioni un crimine compiute dal nemico, azioni legittime in caso contrario». A differenza poi del settantennale cancan per Guernica, aggiunge nel febbraio 2009 Piero Menarini, uno storico dotato di un minimo di decenza dovrebbe ricordare – tanto per cercare una più obiettiva prospettiva o dimostrare un minimo di onestà intellettuale – il caso, opposto, di Cabra, «del quale da poco stanno emergendo particolari e che è oggetto di un breve saggio ancora inedito che lo studioso Eduardo Palomar Baró ci ha concesso di utilizzare in anteprima. Si tratta dell'eccidio (uno dei tanti documentati) consumato dall'aviazione, questa volta repubblicana, il 7 novembre 1938. In quel paesino, situato nella zona nazionalista a 72 km da Cordova, era un animato giorno di mercato. Alle 7.35 spuntarono all'improvviso tre Tupolev SB-2 "Katiusha" dell'esercito repubblicano che scaricarono 30 bombe alla rinfusa, centrando scuola e mercato. Morirono 108 persone e oltre 200 furono i feriti: contadini e braccianti arrivati a frotte dai campi, operai, artigiani, donne che facevano la spesa insieme ai figli più piccoli (Palomar Baró dà la lista di tutti i morti, con nome, cognome, professione ed età). Nessuno, né allora né in seguito, è mai riuscito a capire i motivi di quella strage, visto che Cabra, al contrario di Guernica, non aveva fabbriche d'armi, né truppe, né era scenario di operazioni militari, essendo il fronte fermo sull'Ebro. Dato che gli aerei erano presumibilmente pilotati da sovietici, l'unica ipotesi, folle e per questo verosimile in quella guerra civile, è che l'attacco avesse voluto essere una sorta di "celebrazione" dell'anniversario della rivoluzione d'ottobre». Sulla città basca conclude infine Piero Buscaroli: «Gli scopi dell'invenzione vanno distinti, nella necessaria occhiata a ritroso dietro i piedestalli del mito. Scopo immediato: distogliere l'attenzione internazionale dalle batoste che i "rossi" stavano toccando sul fronte basco, prossimo alla resa, e dirottarla sulle atrocità del "fascismo internazionale". Scopo a lunga scadenza: capitalizzare l'indignazione per Guernica e dirigerla sulla "crociata antifascista generale", che tutti sentivano vicina [nonché, aggiungiamo, permettere al governo dell'«appaisementista» Chamberlain di aumentare le spese di guerra dell'aviazione inglese per contrapporsi alla «devastante potenza» italo-tedesca]. Non si può negare che entrambi siano stati, grazie alla combinazione degli sforzi comunisti e radicali, ampiamente raggiunti». E raggiunti al punto tale che non solo nell'aprile 1998 gli Ignobili del Bundestag votano una risoluzione in cui si uniscono alle «scuse» presentate un anno prima ai cittadini di Guernica dal presidente Roman Herzog, ma fanno passare, col voto dei Verdi e l'astensione della SPD, un emendamento presentato dai neocomunisti della PDS teso a vietare ogni forma di commemorazione degli aviatori della Legione Condor. G V
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Author(s): | Olodogma |
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Published: | 2012-10-26 |
First posted on CODOH: | March 12, 2017, 12:11 p.m. |
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