Roger Garaudy: I miti fondatori della politica israeliana

Published: 2015-04-25

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Roger Garaudy

I miti fondatori della politica israeliana


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Roger GARAUDY, I miti fondatori dell a politica israeliana, Graphos, 1996,

Traduzione di Simonetta Littera e Corrado Basile.

Graphos, Campetto 4, 16123 Genova.

 

Questo testo è stato messo su Internet a scopi puramente educativi e per incoraggiare la

ricerca, su una base non-commerciale e per una utilizzazione equilibrata, dal Segretariato

internazionale dell'Association des Anciens Amateurs de Récits de Guerres et d'Holocaustes

(AAARGH). L'indirizzo elettronico del segretariato è <[email protected]>.

L'indirizzo postale è: PO Box 81 475, Chicago, IL 60681-0475, Stati Uniti.

Mettere un testo sul Web equivale a mettere un documento sullo scafale di una biblioteca

pubblica. Ci costa un po' di denaro et di lavoro. Pensiamo que sia di sua volontà che il lettore

ne approfitta e questo lettore lo supponiamo capace di pensare con la sua testa. Un lettore che va a cercare un documento sul Web lo fa sempre a proprio rischio e pericolo. Quanto

all'autore, sarebbe fuori luogo supporre che condivio la responsabilità degli altri testi

consultabili su questo sito. In ragione delle leggi che istituiscono una censura specifica in certi

paese (Germania, Francia, Israele, Svizzera, Canada, ecc.) non domandiamo il consenso degli

autori che in esi vivono, poichè non sono liberi di darlo.

Ci poniamo sotto la protezione dell'articolo 19 della Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo, il

quale stabilisce: <Oguno ha diritto alla libertà di opinione e di expresssione, il che implica il

diritto di non essere molestati per le proprie opinioni e quello di cercare, di ricevere e di

diffondere, senza considerazione di frontiera, le informazioni e le idee con qualsiasi mezzo di

espressione li si faccia>  (Dichiarazione internazionale dei Diritti dell'Uomo, adottata

dall'Assemblea generale dell'ONU a Parigi il 10 dicembre 1948).


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Nota editoriale

Introduzione

I -- I miti teologici

1. Il mito della "promessa": terra promessa o terra conquistata?

2. Il mito del "popolo eletto"

3. Il mito di Giosuè: la purificazione etnica

II. I miti del ventesimo secolo

1. Il mito dell'antifascismo

2. Il mito della giustizia di Norimberga

2. Il mito della giustizia di Norimberga (2)

3. Il mito dell'Olocausto

4. Il mito di una "terra senza popolo per un popolo senza terra"

III. L'utilizzazione politica del mito

1. La lobby degli Statti Uniti

2. La lobby in Francia

3. Il mito del "miracolo israeliano": i finanziamente esteri d'Israele

Conclusioni


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Nota editoriale

Inutile farsi illusioni: il coraggio civile, quello autentico, è una merce decisamente

rara. Specie, poi, se si va a cercarlo nella razza intellettuale. Che sia un fatto di

sempre? Millenovecentotrentuno: su qualche migliaio di professori universitari non

più di dodici rifiutano di giurare fedeltà al regime fascista (e di questi dodici ben tre

sono ebrei, mentre, all'epoca, gli ebrei sono uno ogni mille italiani). Dagli intellettuali

di professione ne vengono così pochi, di esempi di coraggio vero, che a quei pochi va

prestata quella stessa attenzione che si riserva ad un fenomeno di cui si ignora quando

e dove si ripeterà. Non foss'altro per questo, il libro di Roger Garaudy che offriamo al

lettore italiano si raccomanda a quanti intendano sottrarsi per ciò che sta in loro a quei

condizionamenti culturali e politici, la tacita sottomissione ai quali conferisce

carattere di totale innocuità a gesti che, pure, vorrebbero accreditarsi come ardite

manifestazioni di anticonformismo.

Garaudy l'ha pubblicato ben sapendo di andare incontro o alla congiura del silenzio o,

più probabilmente, all'ignominia. E ignominia è stata, non disgiunta da quell'elemento

di grottesco che è una costante nelle pratiche di proscrizione delle espressioni di

pensiero revisionistico.

Si pensa da molti (e li autorizza a pensarlo la tacita sottomissione, appunto, a quei

condizionamenti) che, come qualcuno ha detto incisivamente, nulla vi sia di

abbastanza sacro da meritare di non incorrere nella sodomizzazione perpetrata sulla

pubblica piazza; e tuttavia si può essere certi che, fino a tanto che il vento non cambia,

anche i più spericolati tra gli esprit forts rinunceranno ad ogni modesto esercizio non

già di iconoclastia, che sarebbe comunque fuori luogo, ma di senso critico, quando il

senso critico si tratta di applicarlo al preteso sterminio di sei milioni di ebrei ad opera

della Germania nazista. Né il senso critico pare meglio accasato presso gli storici di

mestiere. Oggi, fra loro è in voga un nicodemismo che li mette al riparo

dall'eventualità di venirsi a trovare in una situazione delicata. Non ne incontrerai uno

che sia disposto a dar voce ai suoi stessi dubbi (ne hanno, se è per questo, ne hanno...)

sulla veridicità della tradizione olocaustica. È perfettamente naturale che le cose

vadano così: il quieto vivere richiede delle autolimitazioni. Ma è proprio questo che

dà la misura del coraggio civile e morale di un Garaudy.

Ci è ignoto che cosa il Garaudy di oggi pensi di se stesso, in particolare se si consideri

ancora un marxista. Per noi è evidente che non lo è. Ma troviamo che il fronte

antioscurantistico che egli, a 83 anni, raggiunge con questo libro che prolunga, poi, il

suo impegno nella lotta contro i fondamentalismi è quello stesso sul quale prima o poi

debbono attestarsi coloro che si richiamano alla dottrina che è stata anche la sua.

Coloro che vogliono respirare a pieni polmoni. A tutta la storia si può estendere ciò

che Clemenceau diceva della rivoluzione francese: che la si deve accettare in blocco.

Che sia la storia reale, però, la storia che si è svolta effettivamente. Dobbiamo, tutti,

lasciarci alle spalle quel senso di colpa, quella psicosi di condivisione oggettiva di un

abominio la pianificata soppressione dell'etnia ebraica che ci viene instillata da mezzo


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secolo. Non c'è abbondanza che di abomini, purtroppo. Ma quell'abominio quello, non

altri, che vi furono, certo, e con le medesime vittime , quello, ora sappiamo che non vi

fu. E sappiamo anche perché ci hanno fatto credere che vi sia stato.

Ecco la ragione per cui ci facciamo editori in Italia de I miti fondatori della politica

israeliana.

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Segnaliamo ai lettori che in italiano è stata pubblicata l'autobiografia di Roger

Garaudy: Il mio giro del secolo, San Domenico di Fiesole, Cultura della Pace, 1991.Il

volume comprende anche una bibliografia dei suoi scritti.


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Introduzione

Questo libro è la storia di un'eresia. Quella che consiste nel trasformare la religione

nello strumento di una politica e nel sacralizzarla, attraverso la lettura letterale e

selettiva di una parola rivelata.

Si tratta di una malattia mortale di questo fine secolo che ho già definito nella mia

opera intitolata Intégralismes.

L'ho combattuta tra i musulmani con L'Islamisme, una maladie de l'Islam, a rischio di

non piacere a coloro che non amavano che lo dicessi.

L'ho combattuta tra i cristiani Vers une guerre de religion , col rischio di non piacere

a coloro che non amavano che dicessi: "Il Cristo di Paolo non è Gesù"

La combatto, oggi, tra gli ebrei con I miti fondatori della politica israeliana, a rischio

di attirare i fulmini dei sionisti israeliani che già non amano che il rabbino Hirsh

ricordi loro: "Il sionismo vuole definire il popolo ebraico come un'entità nazionale... È

un'eresia " .

Fonte: "Washington Post", 3 ottobre 1978

Che cos'è il sionismo, (e non la fede ebraica) di cui parlo nel mio libro?

Si è spesso definito da se stesso:

1 È una dottrina politica.

"Dal 1896 il sionismo si collega al movimento politico fondato da Theodor Herzl".

Fonte: Encyclopaedia of Zionism and Israel, New York, Herzl Press, 1971, II, p. 1262

2 È una dottrina nazionalista che non è nata dall'ebraismo, ma dal nazionalismo

europeo del XIX secolo. Il fondatore del sionismo politico, Herzl, non si richiamava

alla religione: "Io non obbedisco a un impulso religioso".

Fonte: Theodor Herzl, Diaries, Londra, Gollancz, 1958 "Sono un agnostico" (p. 54).

Ciò che gli interessa non è propriamente la "terra santa": prende in considerazione allo

stesso modo, per i suoi obiettivi nazionalistici, l'Uganda, la Tripolitania, Cipro o

l'Argentina, il Mozambico o il Congo.


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Fonte: Op. cit., passim

Ma, di fronte all'opposizione dei suoi compagni di fede ebraica, egli prende coscienza

dell'importanza della "grande leggenda" ("mighty legend" (Diaries, I, 9 giugno 1895,

p. 56), che "rappresenta un richiamo di irresistibile potenza".

Fonte: Theodor Herzl, L'État Juif, p. 45

È uno slogan di mobilitazione che questa politica, prevalentemente realistica, non può

ignorare. Così egli afferma, trasformando la "grande leggenda" del "ritorno" in realtà

storica: "La Palestina è la nostra indimenticabile patria [...] questo nome, di per sé,

sarà un potente grido di richiamo per il nostro popolo".

Fonte: Op. cit., p. 209

"La questione ebraica non è, per me, né una questione sociale, né una questione

religiosa [...] è una questione nazionale".

3 È una dottrina coloniale. Qui il perspicace Theodor Herzl non nasconde i propri

obiettivi: in primo luogo realizzare una Chartered company (società per azioni

coloniale), sotto la protezione del-l'Inghilterra o di qualsiasi altra potenza, in attesa di

creare lo "Stato ebraico".

Ciò è dovuto al fatto che egli si rivolge a un maestro in questo tipo di operazioni: il

trafficante coloniale Cecil Rhodes, il quale riuscì a trasformare la sua Chartered

company nello Stato del Sudafrica, dando perfino il proprio nome a una regione: la

Rhodesia.

Herzl gli scrive l'11 gennaio 1902:

"Vi prego, inviatemi un testo in cui dite che avete esaminato il mio programma e che

l'approvate. Vi domanderete perché mi rivolgo a voi, signor Rhodes. È perché il mio è

un programma coloniale".

Fonte: Theodor Herzl, Tagebuch, III, p. 105

Dottrina politica, nazionalista, colonialista, queste sono le tre caratteristiche che

definiscono il sionismo politico trionfatore al congresso di Basilea nell'agosto 1897.

Herzl, il suo geniale e machiavellico fondatore, poté dire, con ragione, al termine del

congresso stesso: "Ho fondato lo Stato ebraico".

Fonte: T. Herzl, Diaries, p. 224

Mezzo secolo più tardi, in effetti, questa politica è stata applicata esattamente dai suoi

discepoli, che hanno creato lo Stato di Israele, secondo i suoi metodi e seguendo la

sua linea politica (all'indomani della seconda guerra mondiale).

Ma quest'impresa politica, nazionalista e colonialista non aveva nulla a che fare con la

fede e la spiritualità ebraiche.


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Nello stesso momento in cui si svolgeva il congresso di Basilea, che non si era potuto

tenere a Monaco (come Herzl prevedeva) a causa dell'opposizione della comunità

ebraica tedesca, si tenne in America la conferenza di Montréal (1897), nella quale, su

proposta del rabbino Isaac Mayer Wise (la personalità ebraica più rappresentativa

dell'America di allora), fu votata una mozione che opponeva radicalmente due modi

di leggere la Bibbia: la lettura politica e tribale del sionismo e la lettura spirituale e

universalista dei profeti.

"Noi disapproviamo assolutamente tutte le iniziative miranti alla creazione di uno

Stato ebraico; questo genere di tentativi mette in evidenza una concezione sbagliata

della missione d'Israele [...] che i profeti ebrei per primi hanno proclamato [...]. Noi

affermiamo che l'obiettivo dell'ebraismo non è politico né nazionale, bensì spirituale

[...]. Esso guarda a un'epoca messianica in cui tutti gli uomini si riconosceranno come

appartenenti a una sola grande comunità per la fondazione del Regno di Dio sulla

terra " .

Fonte: Conferenza centrale dei rabbini americani, "American Jewish Yearbook " , VII, 1897, p. XII

Rufus Learsi riassume la prima reazione delle organizzazioni ebraiche,

dall'Associazione dei rabbini di Germania all'Associazione israelitica universale di

Francia, dall'Israelitische Allianz d'Austria alle associazioni ebraiche di Londra.

Questa opposizione al sionismo politico, ispirata dall'attaccamento alla spiritualità

della fede ebraica, non ha smesso di esprimersi, nemmeno quando, dopo la seconda

guerra mondiale, approfittando una volta di più, all'ONU, delle rivalità tra le nazioni e

soprattutto dell'appoggio incondizionato degli Stati Uniti, il sionismo israeliano, riuscì

ad imporsi come forza dominante e, grazie alle sue lobbies, a rovesciare la tendenza e

a far trionfare, anche nell'opinione pubblica, la politica sionista israeliana di potenza,

contro l'ammirevole tradizione dei profeti. Tuttavia esso non riuscì a soffocare la

critica degli spiriti illuminati.

Martin Buber, una delle voci ebraiche più importanti di questo secolo, non ha mai

smesso, fino alla sua morte in Israele, di denunciare la degenerazione e la

trasformazione del sionismo religioso in sionismo politico.

Egli dichiarava a New York: "Il sentimento che provavo sessant'anni fa, quando ho

aderito al movimento sionista, è, nella sostanza, quello che provo ancora oggi [...]. Io

speravo che questo nazionalismo non avrebbe seguito il cammino degli altri,

cominciati con una grande speranza e poi degenerati fino a divenire un egoismo che

osava proclamarsi, come nelle parole di Mussolini, "sacro egoismo", come se

l'egoismo collettivo potesse essere più sacro dell'egoismo indi-viduale. Da quando

siamo tornati in Palestina, la questione decisiva è stata: "Volete venire qui come

amici, come fratelli, membri della comunità dei popoli del Medio Oriente, o come

rappresentanti dell'imperialismo e del colonialismo?".

"La contraddizione tra lo scopo e i mezzi per realizzarlo ha diviso i sionisti: gli uni

volevano ricevere dalle grandi potenze dei particolari privilegi politici, gli altri,

soprattutto i giovani, volevano solamente che fosse loro permesso di lavorare in

Palestina, con i loro vicini, per la Palestina e per l'avvenire [...].


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"I nostri rapporti con gli arabi non sono stati sempre perfetti, ma in generale tra i loro

villaggi e quelli ebraici la relazione era di buon vicinato.

"Questa fase organica di insediamento in Palestina è durata fino all'epoca di Hitler. È

stato Hitler che ha spinto in Palestina delle masse di ebrei e non un'élite che venisse a

svolgervi la propria vita e a preparare l'avvenire. Così, ad uno sviluppo organico

selettivo è seguita una immigrazione di massa con la necessità di trovare una forza

politica che difendesse la sua sicurezza [...] la maggior parte degli ebrei ha preferito

imparare da Hitler e non da noi [...]. Hitler ha mostrato che la storia non segue il

cammino dello spirito, ma quello del potere e che, un popolo quando è

sufficientemente forte, può uccidere con impunità. Questa è la situazione che noi

dobbiamo combattere [...]. All'Ihud noi proponiamo che arabi ed ebrei non si

accontentino più di coesistere, ma che collaborino [...]. Ciò renderebbe possibile lo

sviluppo economico del Vicino-Oriente, grazie al quale esso potrebbe contribuire in

modo essenziale all'avvenire dell'umanità " .

Fonte: "Jewish Newsletter", 2 giugno 1958

Il 5 settembre 1921, rivolgendosi al XII Congresso sionista a Karlsbad, Buber diceva:

"Noi parliamo dello spirito d'Israele, e crediamo di non essere paragonabili alle altre

nazioni; ma se lo spirito d'Israele non è altro che la sintesi della nostra identità

nazionale, niente più che una bella giustificazione al nostro egoismo collettivo [...]

trasformato in idolo, noi che abbiamo rifiutato di accettare un principe diverso dal

Signore dell'universo, siamo come le altre nazioni, e beviamo con esse alla coppa che

le inebria.

"La nazione non è il valore supremo [...]. Gli ebrei sono più che una nazione: sono i

membri di una comunità di fede.

"La religione ebraica è stata sradicata, e questa è l'essenza della malattia il cui sintomo

è stato la nascita del nazionalismo ebraico alla metà del XIX secolo.

"Questo nuovo modo di desiderare la terra fa da sfondo all'ebraismo nazionale

moderno, che lo ha preso a prestito dal nazionalismo moderno dell'Occidente [...].

"Che cosa ha a che fare con tutto questo l'idea del "carattere elettivo" d'Israele? Esso

non rappresenta un sentimento di superiorità, ma un senso della predestinazione.

Questo sentimento non nasce da un confronto con gli altri, ma da una vocazione e

dalla responsabilità di eseguire un compito che i profeti non hanno mai cessato di

ricordare: vantarsi di essere scelti, invece di vivere nell'obbedienza a Dio, è una

slealtà".

Ricordando questa "crisi nazionalista" del sionismo politico, che è perversione della

spiritualità dell'ebraismo, Buber concludeva:

"Noi speravamo di salvare il nazionalismo ebraico dall'errore di fare di un popolo un

idolo. Abbiamo fallito".


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Fonte: Martin Buber, Israel and the world,

New York, Schocken, 1948, p. 263

Il professor Judas Magnes, presidente dell'Università ebraica di Gerusalemme dal

1926, considerava che il cosiddetto programma del Biltmore del 1942, per la

creazione di uno Stato ebraico in Palestina, avrebbe condotto "alla guerra contro gli

arabi".

Fonte: Norman Bentwich, For Sion sake, biografia di Judas Magne,

Filadelfia, Jewish Publication Society of America, 1954, p. 352

Nel 1946, pronunciando il discorso d'apertura dell'anno accademico dell'università,

Magnes diceva:

"La nuova voce ebraica parla per bocca dei fucili. Questa è la nuova Torah della terra

d'Israele. Il mondo è stato incatenato alla follia della forza fisica.

"Il cielo ci impedisce, adesso, di incatenare l'ebraismo e il popolo d'Israele a questa

follia. Quello che ha conquistato una gran parte della potente diaspora è un ebraismo

pagano. Avevamo pensato, all'epoca del sionismo romantico, che Sion doveva essere

riscattata attraverso la rettitudine. Tutti gli ebrei d'America hanno la responsabilità di

questo errore [...] anche quelli che non sono d'accordo con le azioni della direzione

pagana, ma restano seduti, con le braccia conserte. L'anestesia del senso morale porta

alla sua atrofizzazione".

Fonte: Op. cit., p. 131

In America, in effetti, dopo il programma del Biltmore, i dirigenti sionisti avevano

ormai il più potente protettore: gli Stati Uniti. L'Organizzazione sionista mondiale

aveva fatto piazza pulita dell'opposizione ebraica, fedele alle tradizioni spirituali dei

profeti d'Israele, e aveva voluto la creazione, non più di "un focolare nazionale

ebraico in Palestina", secondo i termini (se non lo spirito) della Dichiarazione Balfour

della precedente guerra, ma la creazione di uno Stato ebraico di Palestina.

Albert Einstein, già nel 1938, aveva condannato questa tendenza:

"A mio avviso, sarebbe più ragionevole arrivare a un accordo con gli arabi sulla base

di una vita pacifica comune, che creare uno Stato ebraico [...]. La coscienza che ho

della natura essenziale dell'ebraismo stride con l'idea di uno Stato dotato di frontiere,

di un esercito e di un progetto di potere temporale, per quanto modesto possa essere.

Ho paura dei danni interni che l'ebraismo subirà a causa dello sviluppo, nelle nostre

file, di un nazionalismo in senso stretto [...]. Noi non siamo più gli ebrei del periodo

dei maccabei. Ridiventare una nazione, nel senso politico del termine, equivarrebbe a

distrarsi dalla spiritualizzazione della nostra comunità che dobbiamo al genio dei

nostri profeti".

Fonte: Rabbi Moshe Menuhin, The decadence of Judaism in our time, 1969, p. 324

Le critiche non sono mai mancate in occasione di tutte le violazioni della legge

internazionale da parte di Israele.


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Citeremo solo due esempi, in cui fu detto ad alta voce quello che milioni di ebrei

pensavano e non potevano dire pubblicamente a causa dell'inquisizione intellettuale

delle lobbies israelo-sioniste. Nel 1960, durante il processo di Eichmann a

Gerusalemme, l'American Council for Judaism dichiarava:

"Il Consiglio americano per l'ebraismo ha indirizzato ieri, lunedì, una lettera a

Christian Herter per negare al governo israeliano il diritto di parlare a nome di tutti gli

ebrei.

"Il Consiglio dichiara che l'ebraismo è una questione religiosa e non nazionale " .

Fonte: "Le Monde", 21 giugno 1960

L'8 giugno 1982 il professor Benjamin Cohen, dell'università di Tel Aviv, al momento

della sanguinosa invasione degli israeliani in Libano, inviò una lettera a P. Vidal-

Naquet:

"Vi scrivo ascoltando la radio che ha appena annunciato che "noi" stiamo per

"raggiungere il nostro obiettivo" in Libano: assicurare "la pace" agli abitanti della

Galilea. Questa menzogna, degna di Goebbels, mi rende folle. È chiaro che questa

guerra, più selvaggia di tutte le precedenti, non ha niente a che fare né con l'attentato

di Londra, né con la sicurezza della Galilea [...]. Degli ebrei figli di Abramo [...].

Degli ebrei, essi stessi vittime di tanta crudeltà, possono diventare tanto crudeli? [...]

Il più grande successo dell'ebraismo non è dunque che questo: la degiudaizzazione

[...] degli ebrei.

Caro amico, fate tutto quello che è in vostro potere affinché i Begin e gli Sharon non

realizzino il loro doppio scopo: l'eliminazione finale (espressione alla moda qui, in

questi giorni) dei palestinesi in quanto popolo e degli israeliani in quanto esseri umani

" .

Fonte: Lettera pubblicata su "Le Monde", 19 giugno 1982, p. 9

Il professor Leibowitz definì la politica israeliana in Libano "giudeo-nazista " .

Fonte: "Yediot Aharonoth", 2 luglio 1982, p. 6

Tale è la posta in gioco della lotta tra la fede ebraica dei profeti e il nazionalismo

sionista, fondato, come tutti i nazionalismi, sul rifiuto dell'altro e sulla propria

sacralizzazione.

Tutti i nazionalismi hanno bisogno di santificare le loro pretese: dopo la divisione

della cristianità, tutti gli Stati-nazione hanno preteso di avere raccolto l'eredità del

sacro e di avere ricevuto l'investitura da Dio: la Francia è la "Figlia primogenita della

Chiesa", attraverso la quale si compie l'azione di Dio (Gesta Dei per Francos). La

Germania è al "disopra di tutto" perché Dio è dalla sua parte (Got mit Uns). Eva Peron

dichiara che "la missione dell'Argentina è quella di portare Dio nel mondo" e nel 1972

Vorster, primo ministro del Sudafrica, famoso per il razzismo selvaggio

dell'apartheid, profetizza a sua volta: "Non dimentichiamo che noi siamo il popolo di


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Dio, incaricato di una missione"... Il nazionalismo sionista condivide questa ebrezza

con tutti i nazionalismi.

Anche i più razionali si lasciano tentare da questa "ubriacatura".

Anche un uomo come il professor André Neher, nel suo bel libro L'essence du

prophétisme (Parigi, Calmann-Lévy, 1972, p. 311), dopo aver così bene evocato il

senso universale dell'Alleanza stretta da Dio con l'uomo, giunge a scrivere che Israele

è "il segno, per eccellenza, della storia divina nel mondo. Israele è l'asse del mondo,

ne è il nervo, il centro, il cuore" (p. 311).

Tali affermazioni evocano spiacevolmente il mito ariano, la cui ideologia è alla base

del pangermanesimo e dell'hitlerismo. Per questa via si arriva agli antipodi rispetto

all'insegnamento dei profeti e dall'ammirevole Io e tu di Martin Buber.

L'esclusivismo impedisce il dialogo: non si può dialogare né con Hitler né con Begin,

giacché la superiorità razziale che li caratterizzerebbe e l'esclusiva alleanza con il

divino che avrebbero realizzato non lasciano loro più niente da aspettare dall'altro.

Noi sappiamo, invece, che nella nostra epoca non esiste alternativa tra dialogo e

guerra e che il dialogo esige, come non ci stanchiamo di ripetere, che, in partenza,

ciascuno abbia coscienza di ciò che manca alla propria fede e di aver bisogno

dell'altro per colmare in se stesso questo vuoto, un bisogno che è la condizione di ogni

miglioramento e di ogni desiderio di pienezza (essenza di ogni fede vivente).

La nostra antologia del crimine sionista si colloca sul filo degli sforzi di quegli ebrei

che hanno tentato di difendere un ebraismo profetico contro un sionismo tribale.

L'antisemitismo non è alimentato dalla critica alla politica di aggressione, impostura e

sangue del sionismo israeliano, ma dal sostegno incondizionato alla sua politica la

quale, delle grandi tradizioni dell'ebraismo, fa salve solo quelle che, attraverso

un'interpretazione letterale, sembrano giustificarla e innalzarla al di sopra di ogni

legge internazionale, sacralizzandola attraverso i miti di ieri e di oggi


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I

I miti teologici

1. Il mito della "promessa":

terra promessa o terra conquistata?

"Io dò alla tua progenie questa terra, dal torrente d'Egitto, fino al gran fiume,

l'Eufrate".

Genesi, XV, 18

La lettura integralista del sionismo politico

"Se si possiede la Bibbia, se ci si considera come il popolo della Bibbia, bisogna

possedere tutte le terre bibliche".

Generale Moshe Dayan, "Jerusalem Post", 10 agosto 1967

Il 25 febbraio 1994 il dottor Baruch Goldstein massacra degli arabi in preghiera sulle

tombe dei patriarchi.

Il 4 novembre 1995 Ygal Amir assassina Isaac Rabin, "su ordine di Dio" e del suo

gruppo di "guerrieri d'Israele" di eliminare chiunque ceda agli arabi la "terra

promessa" di "Giudea e Samaria" (l'attuale Cisgiordania).

L'esegesi cristiana

Albert de Pury, professore incaricato di Vecchio Testamento alla facoltà di teologia

protestante dell'università di Ginevra, riassume così la sua tesi di dottorato Promesse

divine et légende cultuelle dans le cycle de Jacob (Parigi, Gabalda, 2 voll., 1975),

nella quale integra, discute e continua le ricerche dei più grandi storici ed esegeti

contemporanei specificamente di Albrecht Alt e Martin Noth (vedere: Histoire

d'Israël di M. Noth, Parigi, Payot, 1954; Théologie de l'Ancien Testament, 1971,

Ginevra, Labor et Fides, a cura di Von Rad; Histoire ancienne d'Israël, 2 volumi,

Parigi, Lecoffre-Gabalda, 1971, di padre R. de Vaux).

"Il tema biblico del dono del paese ha origine nella "promessa patriarcale", cioè nella

promessa divina, fatta, secondo la tradizione della Genesi, al patriarca Abramo. I

racconti della Genesi ci riferiscono, a più riprese e in forme svariate, che Dio ha

promesso ai patriarchi e ai loro discendenti il possesso del paese nel quale stavano per

stabilirsi. Pronunciata a Sichem (Gn., XII, 7), a Bet-el (Gn., XIII, 14-16; XXVIII, 13-

15; XXXV, 11-12) e a Mamré (vicino a Ebron, Gn., XV, 18-21, e XVII, 4-8), quindi


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ai santuari principali di Samaria e di Giudea, questa promessa sembra si applichi

prima di tutto alle regioni dell'attuale Cisgiordania.

"I narratori biblici ci presentano la storia delle origini d'Israele come un susseguirsi di

epoche ben delimitate. Tutti i ricordi, le storie, le leggende, i poemi che sono loro

pervenuti, tramandati oralmente, sono inseriti in un quadro genealogico e cronologico

preciso. Come convengono quasi tutti gli esegeti moderni, questo schema storico è

estremamente fittizio.

"I lavori di Albrecht Alt e di Martin Noth hanno dimostrato, in particolare, che la

divisione in epoche successive (patriarchi schiavitù in Egitto conquista di Canaan) è

falsa".

Fonti: A. Alt, Der Gott der Väter (1929), in A. Alt,

Kleine Schriften zur Geschichte des Volkes Israel, I,

Monaco, 1953 (=1963), pp. 1-78

(trad. ingl. in Essays on old Testament History and Religion,

Oxford, Blackwell, 1966, pp. 1-77); Id., Die Landnahme der

Israeliten In Palästina (1925), in Kleine Schriften zur Geschichte

des Volkes Israel, cit., pp. 89-125 (trad. ingl. cit. pp. 133-169)

Riassumendo, d'accordo con la tesi di Albert de Pury, i lavori dell'esegesi

contemporanea, Françoise Smyth, decana della facoltà di teologia protestante di

Parigi, scrive: "La recente ricerca storica ha ridotto a livello di fiction le

rappresentazioni classiche dell'esodo dall'Egitto, della conquista di Canaan, dell'unità

nazionale israelitica prima dell'esilio, delle frontiere precise; la storiografia biblica

non informa su quello che racconta, ma su coloro che la elaborarono: i teologi giunti a

un pensiero monoteista e allo stesso tempo etnocentrico, alla fine dell'esilio (VI secolo

a.C.)".

Fonte: Françoise Smyth, Les protestants, la Bible et Israël depuis 1948

"La Lettre", n. 313, novembre 1984, p. 23

Françoise Smyth-Florentin ha realizzato una messa a punto rigorosa sul mito della

promessa nel libro Les mythes illégitimes. Essai sur la "terre promise", Ginevra,

Labor et Fides, 1994.

Albert de Pury afferma:

"La maggior parte degli esegeti hanno considerato e considerano la promessa

patriarcale nella sua espressione classica (cfr., per esempio, Gn, 13/14-17 o 15/18-21)

per una legittimazione post eventum della conquista israelitica della Palestina o, più

concretamente ancora, dell'estensione della sovranità israelitica sul regno di Davide.

In altre parole, la promessa sarebbe stata introdotta nei racconti patriarcali con lo

scopo di fare di questa "epopea ancestrale" un preludio e un annuncio dell'età d'oro

davidica e salomonica.


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"Ora possiamo circoscrivere in forma sommaria le origini della promessa patriarcale:

"1. La promessa della terra, intesa come una promessa di seden-tarizzazione, è stata

fatta in un primo tempo a gruppi di nomadi legati al regime di transumanza e che

aspiravano a stanziarsi in qualcuna delle regioni abitate. Considerata sotto questo

aspetto, la promessa ha potuto far parte del patrimonio religioso e narrativo di

differenti gruppi tribali [*].

_______________

[*] La lettura dei testi sacri del Medio Oriente ci mostra che tutti i popoli vi hanno

ricevuto promesse simili riguardanti il dono della terra da parte del loro dio, dalla

Mesopotamia all'Egitto, passando per gli ittiti. In Egitto, sulla stele di Karnak, elevata

da Tutmosis III (tra il 1480 e il 1475 a.C.) per celebrare le vittorie che aveva

conseguito a Gaza, Megiddo, Qadesh e Karkemish (sull'Eufrate) si legge che il dio

dichiara: "Io ti assegno per decreto, tutta la terra che vedi. Sono venuto e ti incarico di

schiacciare la terra d'Occidente".

All'altro estremo del Crescente fertile, in Mesopotamia, il dio Marduk nella sesta

tavoletta del Poema babilonese della creazione "assegna a ciascuno il suo lotto"

(versetto 46) e "per suggellare l'Alleanza ordina di costruire Babilonia e il suo

tempio" (Les religions du Proche-Orient , a cura di René Labet, Parigi, Fayard, 1970,

p. 60).

Quanto agli ittiti, essi cantano in lode di Arinna, dea solare: "Tu vegli sulla sicurezza

dei cieli e della terra / Tu stabilisci le frontiere del paese" (op. cit., p. 557).

Se anche gli ebrei non avessero ricevuto una promessa del genere, allora

costituirebbero veramente un'eccezione! (Sulla promessa si veda la tesi del padre

Landouzies, Le don de la terre de Palestine, Istituto cattolico di Parigi, 1974, pp. 10-

15).

"2. La promessa riguardante i nomadi non aveva come fine la conquista politica e

militare di una regione o di tutto un paese, bensì la sedentarizzazione in un territorio

limitato.

"3. Originariamente la promessa patriarcale, di cui ci parla la Ge-nesi, non è stata fatta

da Jahvè (il dio che è entrato in Palestina con il "gruppo dell'Esodo"), ma dal dio

cananeo Elohim, in una delle sue ipostasi locali. Solo un dio locale, possessore del

territorio, poteva concedere a dei nomadi la sedentarizzazione sulle proprie terre.

"4. Più tardi, quando i clan nomadi sedentarizzati si sono uniti ad altre tribù per

formare il "popolo d'Israele", le antiche promesse hanno assunto una nuova

dimensione. Raggiunto l'obiettivo della sedentarizzazione, la promessa prendeva

ormai un significato politico, militare e "nazionale". Così reinterpretata, la promessa

fu intesa come la prefigurazione della conquista definitiva della Palestina, come

l'annuncio e la legittimazione dell'impero davidico".


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FonteA. de Pury, conferenza del 10 febbraio 1975 a Cret-Bérard (Svizzera) durante

un colloquio sulle interpretazioni del conflitto arabo-israeliano, "Études théologiques

et religieuses", n. 3, 1976 (Montpellier)

Il contenuto della promessa patriarcale

"Mentre la promessa "nomade", mirante alla sedentarizzazione di un clan di pastori,

risale senza dubbio a un'origine ante eventum, la stessa cosa non si verifica per ciò che

riguarda la promessa fatta alle dimensioni "nazionali". Dato che le tribù "israelitiche"

non si sono unite che dopo la loro installazione in Palestina, la reinterpretazione della

promessa nomade come una promessa di sovranità politica, deve essersi attuata post

eventum. Così la promessa della Gn., XV, 18-21, che prospetta la sovranità del popolo

eletto su tutte le regioni situate tra "il torrente d'Egitto e il grande fiume, l'Eufrate" e

su tutti i popoli che vi abitano, è manifestamente un vaticinio ex eventum ispirato alle

conquiste davidiche.

"Le ricerche esegetiche hanno permesso di stabilire che l'ampliamento della promessa

"nomade" in promessa "nazionale" è stato fatto precedentemente alla prima scrittura

dei racconti patriarcali.

"Lo jahvista, che può essere considerato il primo grande narratore (o, piuttosto,

editore di racconti) dell'Antico Testamento, è vissuto all'epoca di Salomone. Di

conseguenza è stato contemporaneo e testimone di quei pochi decenni in cui la

promessa patriarcale, reinterpretata alla maniera di Davide, sembrò realizzarsi al di là

di ogni speranza. Il passaggio della Gn., XII, 3 è uno dei documenti chiave per la

comprensione dell'opera dello jahvista. In seguito a questo testo la benedizione

d'Israele ebbe per corollario la benedizione di tutti i "clan della terra (adámah)". Essi

sono, in principio, tutte le popolazioni che dividono la Palestina e la Transgiordania

con Israele.

"Così noi non siamo in grado di affermare che in un certo momento, nella storia, Dio

si sia presentato davanti a un personaggio storico chiamato Abramo e che gli abbia

conferito i titoli legali per il possesso del paese di Canaan. Da un punto di vista

giuridico, non abbiamo in mano nessun atto di donazione firmato "Dio" e abbiamo

anche delle buone ragioni per credere che la scena della Gn., XII, 1-8, e XIII, 14-18,

per esempio, non sia il riflesso di un avvenimento storico.

"Pertanto, è possibile "attualizzare" la promessa patriarcale? Se realizzarla significa

servirsene come di un atto di proprietà o metterla al servizio di una rivendicazione

politica, allora certamente no. Nessuna politica ha il diritto di rivendicare per se stessa

la cauzione della promessa. Non ci si può collegare in alcun modo a coloro che, tra i

cristiani, considerano le promesse dell'Antico Testamento come una legittimazione

delle attuali rivendicazioni territoriali dello Stato d'Israele".

FonteAlbert de Pury, conf. cit.

L'esegesi profetica ebraica

Il rabbino Elmer Berger, ex presidente della Lega per l'ebraismo affermava:


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"È inammissibile per chiunque pretendere che l'insediamento attuale dello Stato

d'Israele sia il compimento di una profezia biblica e che, di conseguenza, tutte le

manovre realizzate dagli israeliani per instaurare il loro Stato e per conservarlo siano,

a priori, ratificate da Dio.

"L'attuale politica israeliana ha distrutto o, quanto meno, oscurato il significato

spirituale d'Israele

"Mi propongo di esaminare due elementi fondamentali della tradizione profetica.

"a Innanzitutto, quando i profeti hanno evocato la restaurazione di Sion, non era la

terra ad avere di per sé un carattere sacro. Il criterio assoluto e indiscutibile della

concezione profetica della redenzione era la restaurazione dell'Alleanza con Dio, che

era stata infranta dal re e dal suo popolo.

"Michea disse loro in tutta chiarezza: "Ascoltate, o principi di Giacobbe, o magistrati

d'Israele, non è forse vostro compito sapere ciò che è giusto? Invece voi odiate il bene

e amate il male [...] edificate Sion col sangue e Gerusalemme con l'iniquità [...]. Sion

sarà arata come un campo, Gerusalemme diverrà un cumulo di pietre e il monte del

Tempio un colle ricoperto di piante" (Michea, III, 1-12) .

"Sion è santa solo se vi regna la legge di Dio. E questo non significa che tutte le leggi

emanate a Gerusalemme siano sante.

"b Non è solamente la terra a dipendere dall'osservanza e dalla fedeltà all'Alleanza: il

popolo stabilitosi a Sion è tenuto al rispetto delle stesse esigenze di giustizia, di

dirittura e di fedeltà all'Alleanza con Dio.

"Sion non poteva aspettarsi la restaurazione di un popolo basandosi su dei trattati,

delle alleanze, dei rapporti di forza militari o su una gerarchia militare che cercasse di

affermare la sua superiorità sui vicini d'Israele.

"La tradizione profetica mostra chiaramente che la santità di una terra non dipende dal

suolo, così come quella del suo popolo non dipende dalla sola presenza di esso in quel

territorio.

"La sola ad essere sacra e degna di Sion è l'Alleanza divina, che si esprime nel

comportamento del suo popolo.

"Ora, l'attuale Stato d'Israele non ha alcun diritto di reclamare la realizzazione di un

progetto divino per un'era messianica [...].

"È pura demagogia del suolo e del sangue.

"Né il popolo né la terra sono sacri e non meritano alcun privilegio spirituale al

mondo.

"Il totalitarismo sionista che cerca di sottomettere tutto il popolo ebraico, anche con la

violenza e la forza, ne fa un popolo come gli altri, tra gli altri".


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Fonte: Rabbi Elmer Berger, Prophecy, Zionism and the State of Israel,

American jewish alternatives to zionism, conferenza tenuta

all'Università di Leida il 20 marzo 1968

* * *

Ygal Amir, l'assassino di Isaac Rabin, non è un teppista e nemmeno un folle, ma una

volta di più il prodotto dell'educazione sionista. Figlio di un rabbino, studente modello

dell'università clericale di Bar Ilan vicino a Tel Aviv, infarcito degli insegnamenti

delle scuole talmudiche, soldato d'élite nel Golan, aveva nella sua biblioteca la

biografia di Baruch Goldstein (colui che assassinò, qualche mese fa, a Ebron, 27 arabi

in preghiera presso le tombe dei patriarchi). Egli aveva potuto vedere alla televisione

ufficiale israeliana il reportage sul gruppo Eyal (Guerrieri di Israele) che giuravano,

sulla tomba del fondatore del sionismo politico, Theodor Herzl, di "uccidere chiunque

cedesse agli arabi la "terra promessa" di Giudea e Samaria" (l'attuale Cisgiordania).

L'assassinio del presidente Rabin (come quello commesso da Goldstein) s'inscrive

nella stretta logica della mitologia degli integralisti sionisti: l'ordine di uccidere, dice

Ygal Amir "viene da Dio", come ai tempi di Giosuè.

Fonte: "Le Monde" (AFP), 8 novembre 1995

Non si tratta di un fatto marginale della società israeliana: il giorno dell'assassinio di

Rabin, i coloni di Kiryat Arba e di Ebron danzavano di gioia recitando salmi di

Davide intorno al mausoleo eretto in onore di Baruch Goldstein.

Fonte: "El Pais", 7 novembre 1995, p. 4

Isaac Rabin era un bersaglio simbolico, non perché, come ha sostenuto Bill Clinton

alle sue esequie, "aveva combattuto tutta la vita per la pace" (al comando delle truppe

d'occupazione agli inizi dell'Intifada Rabin diede ordine di "spaccare le ossa delle

braccia" ai bambini palestinesi che non disponevano di altre armi se non le vecchie

pietre del loro paese per difendere la terra dei loro antenati).

Ma Rabin, realisticamente, aveva compreso (come gli americani in Vietnam o i

francesi in Algeria) che nessuna soluzione militare definitiva è possibile quando un

esercito si scontra non con un altro esercito, ma con un intero popolo.

Egli si era, quindi, impegnato con Yasser Arafat sulla via di un compromesso: aveva

concesso un'autonomia amministrativa a una parte dei territori la cui occupazione era

stata condannata dalle Nazioni Unite, mantenendo comunque la protezione militare

israeliana per le colonie insediate contro gli autoctoni e diventate, come a Ebron, dei

seminari di odio.

Era già troppo per gli integralisti, che beneficiavano di questo colonialismo: essi

hanno creato, contro Rabin che consideravano un traditore, il clima che ha condotto

all'infamia del suo assassinio.

Isaac Rabin è stato vittima, come migliaia di palestinesi, del mito della "terra

promessa", pretesto millenario di sanguinosi colonialismi.


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Questo assassinio fanatico mostra, una volta di più, che una vera pace tra lo Stato

d'Israele, al sicuro entro le frontiere fissate dalla spartizione del 1947, e uno Stato

palestinese del tutto indipendente esige l'eliminazione radicale dell'attuale

colonialismo, cioè di tutti i possedimenti che, all'interno di un futuro Stato palestinese,

sarebbero una fonte incessante di provocazione e perciò si trasformerebbero in

altrettanti detonatori di guerre future.

2. Il mito del "popolo eletto"

"Così parla il Signore: Israele è mio figlio, il mio primogenito". Esodo, IV, 22

La lettura integralista del sionismo politico

"Gli abitanti del mondo possono essere divisi tra Israele e le altre nazioni prese in

blocco. Quello di Israele è il popolo eletto: dogma capitale".

Fonte: Rabbino Cohen, Le Talmud, Parigi, Payot, 1986, p. 104

Questo mito è la credenza, priva di ogni fondamento storico, secondo la quale il

monoteismo sarebbe nato con l'Antico Testamento.

Dalla stessa Bibbia risulta, al contrario, che i suoi due principali redattori, lo jahvista e

l'eloista, non erano monoteisti. Essi si limitavano a riconoscere la superiorità del Dio

ebreo sugli altri dei e la sua "gelosia" nei loro confronti (Esodo, XX, 2-5). Il Dio di

Moab, Kamosh, è riconosciuto (I Re, XI, 7; II Re, XXIII, 13) così come gli altri dei.

La Traduzione ecumenica della Bibbia sottolinea in una nota: "Per molto tempo, in

Israele, si è creduto all'esistenza e alla potenza di dei stranieri" (p. 680, nota d).

Solo dopo l'esilio si affermerà il monoteismo, specificamente tra i profeti, passando da

formule come quella dell'Esodo: "Non avrai altro Dio all'infuori di me" (XX, 4), a

quella in cui non ci si accontenta di pretendere l'obbedienza a Jahvè e non ad altri dei

(come è ribadito anche nel Deuteronomio (VI, 14): "Voi non andrete al seguito di altri

dei") e che proclama. "Io solo sono Dio e nessun altro!" (Isaia, XLV, 22). Questa

indiscutibile affermazione del monoteismo risale alla seconda metà del VI secolo (tra

il 550-539).

In effetti il monoteismo è il frutto della lunga maturazione delle grandi culture del

Medio Oriente, quella della Mesopotamia e quella dell'Egitto. Dal XIII secolo il

faraone Akhenaton aveva fatto cancellare da tutti i templi il plurale della parola Dio.

Il suo Inno al sole è parafrasato quasi testualmente nel Salmo 104. La religione

babilonese si incammina anch'essa verso il monoteismo; ricordando il dio Marduk, lo

storico Albright segna le tappe di questa trasformazione: "Quando si arriva a


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riconoscere che numerose divinità differenti non sono che le manifestazioni di un solo

Dio [...] c'è solo un passo da fare per arrivare a un sicuro monoteismo".

Fonte: W.F. Albright, Les religions dans le Moyen Orient, p. 159

Il Poema della creazione babilonese (XI secolo a.C.) testimonia quest'ultimo passo:

"Se gli esseri umani sono divisi per ciò che riguarda gli dei, noi, a prescindere dai

nomi con cui lo avremmo chiamato, ne abbiamo uno solo, il nostro Dio".

Questa religione ha raggiunto quel grado d'interiorità in cui appare l'immagine del

Giusto sofferente:

"Voglio lodare il Signore della saggezza...

il mio Dio mi ha abbandonato...

Mi pavoneggiavo come un signore,

e cammino lungo i muri.

Tutti i giorni gemevo come una colomba

e le lacrime bruciano le mie guance,

E perciò la preghiera era per me saggezza

e il sacrificio la mia legge

Io credevo di essere al servizio di Dio,

ma i disegni divini, nel profondo degli abissi,

chi può comprenderli?

Chi, dunque, se non Marduk,

è il maestro della resurrezione?

Voi, che egli modellò con l'argilla originaria,

cantate la gloria di Marduk".

Fonte: Op. cit., pp. 329-341

Questa immagine di Giobbe gli è anteriore di numerosi secoli. Una immagine simile,

del giusto sofferente, quella di Daniele, punito da Dio e riportato sulla terra, si trova

nei testi ugaritici di Ras Shamara, nella cosiddetta Bibbia di Canaan, precedente a

quella degli ebrei, dal momento che Ezechiele cita Daniele accanto a Giobbe (Ez.,

XIV, 14 e 20). Vi sono alcune parabole il cui significato spirituale non dipende

assolutamente dalla verifica storica. È il caso, per esempio, di quella, meravigliosa

parabola sulla resistenza all'oppressione e sulla liberazione che è il racconto

dell'Esodo.

Importa poco che "l'attraversamento del mare di canne non possa essere considerato

un avvenimento storico", scrive Mircea Eliade (Histoire des croyances et des idèes

religieuses, I, p. 190) e non riguardi l'insieme degli ebrei, ma qualche gruppo di

fuggitivi.

Per contro è significativo che la fuga dall'Egitto, in questa versione grandiosa, sia

stata messa in relazione con la celebrazione della Pasqua [...] rivalorizzata e integrata

alla storia santa dello jahvismo (op. cit., p. 191).


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A partire dal 621 a.C. la celebrazione dell'Esodo, in effetti, prende il posto di un rito

agrario cananeo della Pasqua in primavera: la festa della resurrezione di Adonis.

L'Esodo diventa così il momento iniziale della rinascita di un popolo, strappato alla

schiavitù dal suo Dio.

L'esperienza divina della liberazione dell'uomo dalle sue antiche schiavitù si ritrova

tra i popoli più diversi: come nel lungo errare, nel XIII secolo, della tribù azteca

mexica, che dopo più di un secolo di tentativi arriva nella valle guidata dal suo dio.

Egli le apre la via laddove nessuna strada era mai stata tracciata. Stesso significato

hanno i viaggi iniziatici verso la libertà del Kaydara africano. La sedentarizzazione

delle tribù nomadi o erranti è legata, nella storia di tutti i popoli, in particolare del

Medio Oriente, alla donazione della terra promessa da parte di un Dio.

I miti punteggiano il cammino dell'umanizzazione e della divinizzazione dell'uomo.

Quello del diluvio, secondo il quale Dio punì i peccati degli uomini e ricominciò la

creazione, si ritrova in tutte le civiltà, dal Gilgamesh mesopotamico al Popol Vuh dei

Maya (prima parte, cap. 3).

Gli inni di lode a Dio nascono in tutte le religioni come i salmi in onore di

Pachamama, la dea madre o del Dio degli Incas:

"Wiraqocha, radice dell'essere,

Dio sempre vicino...

che crea dicendo:

che l'uomo sia!

che la donna sia!

Wiraqocha, signore luminoso

Dio che fa nascere e che fa morire...

Tu che rinnovi la creazione

veglia sulla tua creatura

nei lunghi giorni

perché ella possa

migliorarsi...

camminando sulla retta via".

Se un pregiudizio etnocentrico non fosse d'ostacolo, perché non sviluppare, su questi

testi sacri, che sono un Vecchio Testamento per ciascun popolo, una riflessione

teologica sulla scoperta del senso dell'esistenza? Solo allora il messaggio della vita e

delle parole di Gesù realizzerebbe la vera universalità: esso sarebbe radicato in tutte le

esperienze vissute del divino e non costretto, e perfino soffocato, a causa di una

tradizione unilaterale. La vita di Gesù, la sua visione radicalmente nuova del Regno di

Dio, non più retaggio della potenza dei grandi, ma della speranza dei poveri, non

sarebbe più cancellata a profitto di uno schema storico che va dalle promesse divine

fatte a un popolo, fino al loro mantenimento.

Noi qui non abbiamo ricordato che le religioni del Medio Oriente al loro inizio, in

seno alle quali è germogliato il monoteismo e tra le quali si sono formati gli ebrei.

Nelle altre culture, non occidentali, il cammino verso il monoteismo è ancora più

antico.


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In India, per esempio, esso traspare nei Veda:

"I saggi danno all'Essere Unico più di un nome" (Inno del Rig-Veda, III, 7).

Vrihaspati "è nostro padre, che comprende tutti gli dei" (III, 18). "Colui che è nostro

padre ha generato e comprende tutti gli esseri. Dio, l'unico, ha fatto gli altri dei. Tutto

ciò che esiste lo riconosce come maestro [...]. Voi conoscete Colui che ha fatto tutte le

cose; è lo stesso che è in voi" (CXI, 11). "I suoi nomi sono molti, ma Egli è Uno".

Questi testi sacri si collocano tra il XVI e il VI secolo a.C. e il gesuita Monchanin nei

suoi sforzi per comprendere a fondo i Veda li definì: "Il poema liturgico assoluto".

Fonte: Jules Monchanin, Mystique de l'Inde, mystère chrétien, pp. 231-239

3. Il mito di Giosuè: la purificazione etnica

"Da Lachis Giosuè con tutto Israele passò a Eglon, vi si accamparono e l'assaltarono.

Nello stesso giorno, la presero, la fecero passare a fil di spada, votando allo sterminio

ogni essere vivente, come avevano fatto a Lachis. Quindi Giosuè e tutti i suoi

marciarono da Eglon contro Ebron".

Libro di Giosuè, X, 34-36

La lettura integralista del sionismo politico

Il 9 aprile 1948 Menahem Begin, con le sue truppe dell'Irgun, massacra i 254 abitanti

del villaggio di Deir Yassin, uomini, donne e bambini.

Non studieremo il passaggio dalla fossilizzazione del mito alla storia e le pretese di

questo bricolage volto a giustificare una politica, che in un solo caso particolare:

quello della strumentalizzazione dei racconti biblici, perché essi continuano a

svolgere un ruolo determinante nel divenire dell'Occidente, mascherando le sue

imprese più sanguinarie, dalla persecuzione degli ebrei ad opera dei romani prima e

dei cristiani poi, fino alle crociate, dalle inquisizioni alle Sante alleanze, dalle

dominazioni coloniali compiute dal "popolo eletto" fino alle estorsioni dello Stato di

Israele, non solo grazie alla politica espansionista in Medio Oriente, ma anche

attraverso le pressioni delle sue lobbies, tra le quali la più potente, negli Stati Uniti,

svolge un ruolo di primo piano nella politica americana di dominazione mondiale e di

aggressione militare.

Questo è il motivo della nostra scelta: lo sfruttamento di un passato mitico che orienta

l'avvenire verso quello che potrebbe essere un suicidio planetario.

* * *

La Bibbia contiene, al di là del racconto dei massacri ordinati da un "Dio degli

eserciti", il grande profetismo di Amos, di Ezechiele, di Isaia e di Giobbe, fino


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all'annuncio di una nuova alleanza, fatto da Daniele. Questa "nuova alleanza" (Nuovo

Testamento) segnerà al tempo stesso la più grande svolta nella storia degli uomini e

degli dei, con l'avvento di Cristo, attraverso il quale, come dicono i Padri della chiesa

d'Oriente, Dio si è fatto uomo affinché l'uomo possa diventare Dio. Poi, con San

Paolo, si torna alla concezione tradizionale di un Dio sovrano e onnipotente, dirigente

dall'esterno e dall'alto la vita degli uomini e delle comunità, non più attraverso la

"legge" ebraica, ma attraverso la "grazia" cristiana che avrebbe la stessa caratteristica

deresponsabilizzante nei confronti dell'uomo... "È per sua grazia infatti che voi siete

stati salvati mediante la fede; ora, tutto questo non viene da voi, ma è un dono di Dio"

(Efesini, II, 8).

Non tratteremo della Bibbia in generale, ma solo di quella parte a cui pretendono di

ispirarsi, oggi, il regime teocratico israeliano e il movimento sionista: la Torah (che i

cristiani chiamano Pentateuco, vale a dire i cinque libri iniziali: la Genesi, l'Esodo, il

Levitico Numeri e il Deuteronomio) e i suoi annessi definiti "storici", cioè i libri di

Giosuè, dei Giudici, dei Re e di Samuele.

Della Torah ebraica non fa parte la critica profetica che ricorda costantemente come

l'alleanza di Dio con gli uomini sia condizionale e universale, legata all'osservanza

della legge divina e rivolta a tutti i popoli e a tutti gli uomini.

* * *

La Torah (il Pentateuco) e i libri "storici" (come da più di un secolo gli esegeti hanno

dimostrato) sono una raccolta scritta di tradizioni orali di cronisti del IX secolo e degli

scribi di Salomone, che avevano come preoccupazione primaria quella di legittimare

(amplificandole) le conquiste di Davide e del suo impero (del quale non esiste,

d'altronde, alcuna possibilità di verifica storica, né attraverso tracce archeologiche, né

per mezzo di documenti che non siano i racconti biblici; il primo fatto confermato

dalla storia riguarda Salomone di cui si sono trovate tracce negli archivi assiri). A

parte ciò non esiste alcuna fonte al di fuori dei racconti della Bibbia per controllarne

la storicità.

Per esempio i resti archeologici di Ur, in Iraq, non ci danno nessuna informazione su

Abramo, più di quanto gli scavi delle rovine di Troia ce ne diano su Ettore o Priamo.

Il libro dei Numeri ci racconta le prodezze dei "figli di Israele" che, avendo vinto i

madianiti, "come il signore aveva ordinato a Mosè, uccisero tutti gli uomini", "fecero

prigioniere le donne", "incendiarono tutte le città". Allorché tornarono da Mosè, egli

si adirò. "Come disse loro avete lasciato in vita tutte le donne...! Ebbene, ora andate e

uccidete tutti i ragazzi e tutte le donne che hanno conosciuto un uomo nell'abbraccio

coniugale! Ma le vergini conservatele per voi" (14-18).

Il successore di Mosè, Giosuè, al momento della conquista di Canaan, continuò in

modo sistematico questa politica di purificazione etnica ordinata dal Dio degli

eserciti.

"Anche Makkeda, in quello stesso giorno fu conquistata da Giosuè che la fece passare

a fil di spada, votando allo sterminio il re e gli abitanti senza risparmiarvi persona.

Trattò il re di Makkeda come aveva fatto col re di Gerico. Giosuè con tutto Israele da


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Makkeda andò poi, contro Lebna e l'assediò. Il signore diede in mano a Israele anche

questa città col suo re ed essa fu passata a fil di spada con tutti gli abitanti senza che

ne venisse risparmiato neppure uno. Fece al re di Lebna ciò che aveva fatto al re di

Gerico. Poi Giosuè con tutto Israele passò da Lebna a Lachis, vi pose l'assedio e le

dette l'assalto. Il Signore consegnò pure Lachis in potere di Israele, che la poté

occupare il secondo giorno e passò a fil di spada tutti gli abitanti come aveva fatto con

Lebna. In quel tempo Oram, re di Gazer, stava salendo a Lachis per venirle in aiuto,

ma Giosuè lo sbaragliò con tutto il suo popolo, senza lasciarne scampare neppure uno.

Da Lachis Giosuè con tutto Israele passò a Eglon, vi si accamparono e l'assaltarono.

Nello stesso giorno la presero, la fecero passare a fil di spada votando allo sterminio

ogni essere vivente, come avevano fatto a Lachis. Quindi Giosuè e tutti i suoi

marciarono da Eglon a Ebron".

Fonte: Libro di Giosuè, X, 28-36

E la litania continua elencando gli "stermini sacri" perpetrati in Cisgiordania.

Di fronte a questi racconti dobbiamo porci due questioni fonda-mentali:

1) quella della loro verità storica

2) quella delle conseguenze di un doppione dell'esaltazione di una politica di

sterminio.

La verità storica degli "stermini sacri"

Qui ci scontriamo con l'archeologia. Le ricerche sembrano aver dimostrato che gli

israeliti arrivati alla fine del XIII secolo a.C. non avrebbero potuto conquistare

Gerico, perché Gerico allora era disabitata. La città del Bronzo medio fu distrutta

verso il 1550 e fu abbandonata. Nel XIV secolo essa fu ripopolata, anche se

scarsamente: si sono ritrovate delle terrecotte di quell'epoca anche in alcune tombe del

Bronzo medio e, in una casa, si è rinvenuta una piccola brocca della metà del XIV

secolo. Niente poteva essere attribuito al XIII secolo. Non ci sono tracce di

fortificazioni del Bronzo recente. La conclusione, secondo K.M. Kenyon, è che è

impossibile far coincidere la distruzione di Gerico con l'entrata degli israeliti alla fine

del XIII secolo a.C.

Fonti: Cfr. K.M. Kenyon, Digging up Jericho, Londra, 1957, pp. 256-265;

Jericho, in Archaeology and Old Testament Study,

a cura di D.Winton, Oxford, 1967, spec. pp. 272-274;

H.J. Franken, Tell-es Sultan and Old Testament Jericho,

"Old Testament Study", n. 14, 1965, pp. 189-200;

M. Weippert, Die Landnahme der israelitischen Stamme, pp. 54-55

Lo stesso accade per quanto riguarda la presa di Ai:

"Di tutti i racconti della conquista questa è la narrazione più dettagliata: non comporta

alcun elemento miracoloso e sembra essere la più verosimile. Sfortunatamente è


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smentita dall'archeologia. Il luogo è stato scavato da due spedizioni differenti; i

risultati concordano: Et-El era nel periodo del Bronzo antico una grande città di cui

ignoriamo il nome, distrutta nel corso del Bronzo antico III, verso il 2400 a.C. Restò

deserta fino a circa il 1200, quando un piccolo villaggio privo di fortificazioni si

installò in una parte delle rovine. Esso non durò che fino all'inizio del X secolo, al più

tardi. Dopo di che il luogo fu definitivamente abbandonato. Al momento dell'arrivo

degli israeliti, non vi era più la città di Ai, né il suo re, ma solo delle rovine vecchie di

1200 anni".

Fonte: Padre de Vaux (OP), Histoire ancienne d'Israël, cit., I, p. 565. Cfr. anche, per

il 1933-35, a cura di J. Marquet-Krause, Le fouilles de Ay (Et-Tell), Parigi 1949; dopo

il 1964: J.A. Callaway, "Basor", n. 178, aprile 1965, pp. 13-40; "Revue Biblique", n.

72, 1965, pp. 409-415; K. Schoonover, "RB", n. 75, 1968, pp. 243-247; "RB", n. 76,

1969, pp. 423-426; J.A. Callaway, "Basor", n. 196, dicembre 1969, pp. 2-16

Le conseguenze della riproposizione di una politica di sterminio

Perché, quindi, un ebreo devoto e integralista, (vale a dire che si attiene alla

interpretazione letterale della Bibbia) non dovrebbe seguire l'esempio di personaggi

prestigiosi come Mosè o Giosuè?

Non è detto nei Numeri (XXI, 3) al momento della conquista della Palestina: "Il

Signore esaudì la voce d'Israele e gli diede nelle mani i cananei, che Israele distrusse

completamente insieme alle loro città"?

Non è detto poi a proposito degli amorrei e del loro re: "E percossero lui, i suoi figli e

tutto il suo popolo, al punto che non rimase nessuno in vita, e ne conquistarono il

paese" (Numeri, XXI, 35)?

Il Deuteronomio, esigendo non solo il furto della terra e l'espulsione degli autoctoni,

ma il massacro, ripete: "Quando il Signore, Iddio tuo, t'avrà introdotto nel paese... e

numerosi popoli cadranno davanti a te, tu li voterai all'anatema" (Deut., VII, 1-2) "e tu

li sopprimerai" (Deut., VII, 24).

Da Sharon al rabbino Meir Kahane, si prefigura il modo con cui i sionisti si

comportano riguardo ai palestinesi.

Il metodo di Giosuè non è lo stesso usato da Menahem Begin, quando, il 9 aprile

1948, fece massacrare dalle sue truppe dell'Irgun i 254 abitanti del villaggio di Deir

Yassin, uomini, donne e bambini, per mettere in fuga col terrore gli arabi disarmati?

Fonte: Menahem Begin, La révolte: Histoire de l'Irgoun, Parigi, Albatros, 1978, p.

200

Egli chiamò gli ebrei "non solo a respingere gli arabi ma a impossessarsi di tutta la

Palestina". Il metodo di Giosuè non è lo stesso che perpetrava Moshe Dayan: "Se si

possiede la Bibbia, e se ci si considera come il popolo della Bibbia, bisogna possedere

anche le terre bibliche"?


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Fonte: "Jerusalem Post", 10 agosto 1977

Il sistema di Giosuè non è quello sostenuto da Joram Ben Porath nel giornale

israeliano "Yediot Aharonoth", il 14 luglio 1972: "Non c'è sionismo, né

colonizzazione dello Stato ebraico, senza l'eliminazione degli arabi e l'esproprio delle

loro terre"?

I termini di questo esproprio di terre furono fissati da Rabin quando era generale in

capo nei territori occupati: rompere le braccia ai lanciatori di pietre dell'Intifada.

Quale fu la reazione delle scuole talmudiche israeliane? Spingere al potere uno dei

diretti responsabili di Sabra e Chatila: il generale Rafael Eytan fautore del

"rafforzamento delle colonie ebraiche esistenti".

L'interpretazione letterale conduce agli stessi massacri attuati da Giosuè.

Animato dalle stesse certezze il dottor Baruch Goldstein, colono di origine americana,

fa più di cinquanta vittime a Kiryat Arba (Cis-giordania), mitragliando dei palestinesi

in preghiera sulla tomba dei patriarchi. Membro di un gruppo integralista, fondato con

il patrocinio di Ariel Sharon (sotto protezione del quale furono compiuti gli eccidi di

Sabra e Chatila, e che fu ricompensato per il suo crimine con una promozione:

ministro dell'alloggiamento, incaricato dello sviluppo delle "colonie" nei territori

occupati), Baruch Goldstein è attualmente oggetto di un vero e proprio culto da parte

degli integralisti che baciano la sua tomba e vi depositano fiori, perché egli è stato

rigo-rosamente fedele alla tradizione di Giosuè, che sterminò tutti i popoli di Canaan

per impossessarsi delle loro terre.

* * *

Questa "purificazione etnica" divenuta sistematica nello Stato israeliano di oggi,

deriva dal principio della purezza razziale, che impedisce al sangue ebreo di

mischiarsi col "sangue impuro" di tutti gli altri.

Nelle linee di condotta che seguono l'ordine di Dio di sterminare le popolazioni che

consegna a Mosè, il Signore stabilisce che il suo popolo non deve sposare le figlie di

quelle genti (Esodo, XXXIV, 16).

Nel Deuteronomio si legge che il popolo "eletto" (Deut., VII, 6) non deve mischiarsi

agli altri: "Tu non darai tua figlia al loro figlio e tu non prenderai la loro figlia per tuo

figlio" (Deut., VII, 3).

L'apartheid è il solo modo di impedire la contaminazione della razza scelta da Dio e

della fede che la lega a lui.

La separazione dall'altro è rimasta una legge: nel suo libro Le Talmud (Parigi, Payot,

1986, p. 104) il rabbino Cohen scrive: "gli abitanti del mondo si possono dividere tra

Israele e le altre nazioni prese in blocco. Quello di Israele è il popolo eletto: dogma

capitale".


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Al ritorno dall'esilio Esdra e Nehemia vegliano sul ripristino di questo apartheid:

Esdra piange perché "la razza santa (sic) si è mescolata con gli altri popoli del paese"

(Esdra, IX, 2). Pinhas impala una coppia mista... Esdra ordina la selezione razziale e

l'espulsione: "Tutti coloro che hanno preso delle donne straniere scaccino donne e

bambini" (Esdra, X, 44). Nehemia dice degli ebrei: "io li purificherò di tutti gli

elementi stranieri" (Nehemia, XIII, 30). Questa mixofobia e questo rifiuto dell'altro

vanno al di là della dimensione razziale. Se si rifiuta il sangue dell'altro, impedendo i

matrimoni misti, si rifiutano anche la sua religione, la sua cultura e il suo modo di

essere.

Così Jahvè colpisce coloro che ignorano la sua verità, di certo la sola esistente:

Sofonio lotta contro l'abbigliamento straniero, Nehemia contro le lingue straniere:

"Ho visto degli uomini che avevano sposato delle donne filistee di Azoto, ammonite e

moabite. Metà dei loro figli parlavano la lingua azotese, o di questo o di quel popolo e

non sapevano più parlare l'ebraico. Io li rimproverai li maledissi, ne sottoposi alcuni a

battiture, radendo loro anche i capelli" (Nehemia, XIII, 23-25).

I colpevoli sono tutti duramente giudicati. Rebecca, moglie d'Isacco e madre di

Giacobbe, afferma: "Mi è venuta a noia la vita a causa delle tue donne etee. Se

Giacobbe prende in moglie una donna etea, come son quelle di questo paese che mi

giova la vita?" (Gn., XXVII, 46). I genitori di Sansone, esasperati per il suo

matrimonio con una filistea, gli risposero: "Non c'è forse una donna fra le fanciulle

dei tuoi connazionali e fra tutto il popolo perché tu vada a prendere moglie tra i filistei

incirconcisi?" (Giudici, XIV, 3).

L' interpretazione letterale conduce agli stessi massacri di Giosuè.

"I coloni puritani d'America, nella loro caccia agli indiani per impadronirsi delle loro

terre, invocavano Giosuè e "gli stermini sacri" degli amaleciti e dei filistei".

Fonte: Thomas Nelson, The puritans of Massachusetts, "Judaism", n. 2, 1967

Haim Cohen, che fu giudice della Corte suprema d'Israele, constata: "l'amara ironia

della sorte ha voluto che le stesse tesi biologiche e razziste divulgate dai nazisti e che

hanno ispirato le infamanti leggi di Norimberga, servano di base alla definizione

dell'ebraicità in seno allo Stato d'Israele" (vedere Joseph Badi, Fundamental Laws of

the State of Israel, New York, 1960 p. 156).

In effetti al processo dei criminali di guerra a Norimberga, nel corso

dell'interrogatorio al "teorico" della razza, Julius Streicher, la questione viene

sollevata:

"Nel 1935 al Congresso del Partito di Norimberga sono state promulgate le "leggi

razziali". Al momento della preparazione di questo progetto di legge, siete stato

interpellato e avete partecipato in qualche modo all'elaborazione di queste leggi?".

L'accusato Streicher risponde: "Sì io credo di avervi partecipato nel senso che da anni

scrivevo che bisognava impedire in futuro ogni contaminazione del sangue tedesco

con il sangue ebraico. Ho scritto degli articoli su questo argomento e ho sempre


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ripetuto che avremmo dovuto prendere a modello la razza ebraica o il popolo ebraico.

Nei miei articoli ho sempre sostenuto che gli ebrei dovevano essere considerati come

un modello per le altre razze, perché essi obbediscono a una legge razziale, la legge di

Mosè, che dice: "Se andate in un paese straniero, non dovete prendere una donna

straniera"; ciò, signori, è d'importanza fondamentale per giudicare le leggi di

Norimberga. Sono queste leggi ebraiche che sono state prese a modello. Quando,

secoli più tardi il legislatore ebreo, Esdra constatò che, nonostante ciò, molti ebrei

avevano sposato delle donne non ebree, quelle unioni furono spezzate. Questa fu

l'origine dell'ebraismo che, grazie alle sue leggi razziali, è sopravvissuto nei secoli,

mentre tutte le altre razze e tutte le altre civiltà sono state annientate".

Fonte: Tribunale Militare Internazionale di Norimberga,

14 novembre 1945 - 1 o ottobre 1946: dibattito del 26 aprile 1946,

Trial of the Major War Criminals, Washington, 1946-1949, XII, doc. 321

In effetti è così che i giuristi consiglieri del ministro degli interni nazista avevano

elaborato le "Leggi di Norimberga, sul diritto della popolazione del Reich e la

protezione del sangue e dell'onore tedeschi".

Questo è il commento dei consiglieri che si trova nella raccolta intitolata Le leggi di

Norimberga:

"Secondo la volontà del Führer le leggi di Norimberga non comprendono misure volte

specificamente ad accentuare l'odio razziale e a perpetuarlo. Al contrario, esse

significano l'inizio di una tregua nelle relazioni tra il popolo ebraico e quello tedesco.

"Se gli ebrei avessero già il loro Stato, nel quale potersi sentire a casa loro, la

questione potrebbe considerarsi risolta, tanto per gli ebrei quanto per i tedeschi: è per

questa ragione che i sionisti, i più convinti, non hanno sollevato la minima

opposizione contro lo spirito delle leggi di Norimberga".

Questo razzismo, modello per tutti gli altri razzismi, è un'ideologia di dominazione di

popoli diversi.

Tra la Shoha cananea e la mixofobia si inserisce oggi, l'ideologia del "trasferimento"

di popolazioni come sostiene il 77% dei rabbini della Giudea-Samaria. Che questa

dottrina dell'esclusione-sterminio abbia dei fondamenti in parte religiosi (è Dio che lo

impone), non riabilita affatto l'ebraismo dal rifiuto dell'altro. Dio, nel Levitico, ordina

agli ebrei di non praticare la combinazione delle "specie" (Lev., XIX, 19) e ordina loro

di distinguere il "puro" dall'"impuro" (Lev., XX, 25), come egli stesso ha fatto la

distinzione tra Israele e gli altri popoli (Lev., XX, 24), per realizzare una

discriminazione razziale ("stabilirò una differenza tra il mio popolo e il tuo popolo",

Esodo,VIII, 19).

Così, nel 1993, il gran rabbino Sitruk poté dire, senza rischio di essere richiamato

all'ordine da una qualsiasi istanza: "Io vorrei che i giovani ebrei sposassero soltanto

delle ragazze ebree".


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Questa fobia arriva al suo culmine quando si tratta di Israele. Così Israele, "che sarà

santo" (Lev., XX, 26), non deve contaminarsi a contatto con le altre nazioni che

disgustano Dio (Lev., XX, 23). Il divieto è ripetuto più volte.

"Tu non ti unirai in matrimonio con quelle (delle nazioni cananee); tu non darai tua

figlia al loro figlio, tu non prenderai la loro figlia per tuo figlio [...]" (Deut., VII, 3-4).

"Se vorrete allontanarvi da Lui, per aderire alle poche genti che ancora restano intorno

a voi, contrarre con loro matrimoni e frammischiarvi insieme, sappiate fin d'ora che il

Signore, vostro Dio, non continuerà più a scacciare quelle genti dinanzi a voi: esse

diventeranno per voi un laccio, un inciampo, un pungolo ai vostri fianchi; diverranno

spine ai vostri occhi, finché voi non sarete tutti sterminati da questa ottima terra che il

Signore, Dio vostro vi ha dato" (Giosuè, XXIII, 12-13).

Il 10 novembre 1975 l'ONU, in seduta plenaria, ha stabilito che il sionismo è una

forma di razzismo e di discriminazione razziale.

Dopo lo smembramento dell'URSS, gli Stati Uniti hanno fatto man bassa sull'ONU e,

attraverso vari atti di banditismo internazionale, hanno ottenuto, il 16 dicembre 1991,

l'abrogazione della giusta risoluzione del 1975, lavando, ancora una volta, il sangue

che ricopre Israele e i suoi dirigenti. Ora, nei fatti, niente è cambiato dal 1975, o

meglio: la repressione, il genocidio lento del popolo palestinese e la colonizzazione si

sono ampliati in una misura senza precedenti..


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II

I miti del ventesimo secolo

1. Il mito dell'antifascismo sionista

Nel 1941 Itzak Shamir commise "un crimine imperdonabile dal punto di vista morale:

proporre un'alleanza con Hitler, con la Germania nazista contro la gran Bretagna".

Fonte: M. Bar Zohar, Ben Gurion. Le Prophèt armé,

Parigi, Fayard, 1966, p. 99

Quando cominciò la guerra contro Hitler la quasi totalità delle organizzazioni

ebraiche s'impegnò a fianco degli alleati e anche alcuni dei più importanti dirigenti,

come Chaim Weizmann, presero posizione a loro favore, ma il gruppo sionista

tedesco, all'epoca comunque molto minoritario, assunse un atteggiamento contrario e

dal 1933 al 1941 si impegnò in una politica di compromesso e perfino di

collaborazione con Hitler. Le autorità naziste, mentre perseguitavano gli ebrei, in un

primo tempo estromettendoli per esempio dalle funzioni pubbliche, trattavano con i

dirigenti sionisti tedeschi e accordavano loro un trattamento di favore, distinguendo

gli ebrei integralisti da quelli cui davano la caccia.

L'accusa di collusione con le autorità hitleriane non è indirizzata all'immensa

maggioranza degli ebrei, che non avevano atteso la guerra per contrastare il fascismo

in Spagna, armi alla mano nelle Brigate internazionali dal 1936 al 1939, che crearono

un Comitato ebraico di lotta perfino nel ghetto di Varsavia e seppero morire

combattendo, ma è rivolta alla minoranza fortemente organizzata dei dirigenti sionisti

che per otto anni (1933-1941) patteggiarono con i nazisti.

L'unica preoccupazione dei sionisti, che era di creare un potente Stato ebraico, unita

alla loro visione razzista del mondo, li rendeva molto più anti-inglesi che anti-nazisti.

Dopo la guerra essi divennero, come Menahem Begin o Itzak Shamir, dirigenti di

primo piano nello Stato di Israele.

* * *

In data 5 settembre 1939 due giorni dopo la dichiarazione di guerra dell'Inghilterra e

della Francia alla Germania Chaim Weizmann, presidente dell'Agenzia ebraica,

scrisse a Chamberlain, primo ministro inglese, una lettera nella quale lo informava:

"noi ebrei siamo al fianco della Gran Bretagna e combatteremo per la Democrazia". E

precisava: "i rappresentanti degli ebrei sono pronti a firmare immediatamente un


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accordo per permettere l'utilizzo di tutte le loro forze in uomini, delle loro tecniche,

del loro aiuto materiale e di tutte le loro capacità".

Pubblicata nel "Jewish Chronicle" dell'8 settembre 1939, questa lettera costituì

un'autentica dichiarazione di guerra del mondo ebraico alla Germania e pose il

problema dell'internamento di tutti gli ebrei tedeschi nei campi di concentramento

come "fuorusciti di un popolo in stato di guerra con la Germania".

* * *

Quanto ai dirigenti sionisti, essi hanno dato prova, all'epoca del fascismo hitleriano e

mussoliniano, di un comportamento equivoco, oscillante dal sabotaggio della lotta

antifascista al tentativo di collaborazione.

L'obiettivo essenziale dei sionisti non era, infatti, salvare la vita degli ebrei, ma creare

uno Stato ebraico in Palestina.

Il primo dirigente dello Stato d'Israele, Ben Gurion, il 7 dicembre 1938 affermò senza

esitazioni davanti ai vertici sionisti: "Se sapessi che è possibile salvare tutti i bambini

della Germania portandoli in Inghilterra, e solamente la metà di essi portandoli in

Eretz Israel, sceglierei la seconda soluzione. Perché non dobbiamo pensare solamente

alla vita di questi bambini, ma anche alla storia del popolo d'Israele".

Fonte: Yvon Gelbner, Zionist policy and the fate of European Jewry,

in "Yad Vashem Studies", XII, p. 199, Gerusalemme

"La salvezza degli ebrei in Europa non figurava ai primi posti nella lista di priorità

della classe dirigente. Ciò che aveva importanza primaria agli occhi di questa era la

creazione dello Stato".

Fonte: Tom Segev, Le septième million,

Parigi, Liana Levi, 1993, p. 539

"Dobbiamo aiutare tutti coloro che ne hanno bisogno senza tenere conto delle

caratteristiche di ciascuno? Non dobbiamo dare a questa azione un carattere nazionale

sionista e tentare di salvare, in primo luogo, coloro che possono essere utili alla terra

d'Israele e all'ebraismo? So che può sembrare crudele impostare la questione in questo

modo, ma sfortunatamente dobbiamo stabilire chiaramente che se siamo in grado di

salvare 10.000 persone tra le 50.000 che possono contribuire alla costruzione del

paese e alla rinascita nazionale, oppure un milione di ebrei che diventerebbero per noi

un fardello o, meglio, un peso morto, ci dobbiamo limitare e salvare i 10.000 che

possono essere salvati, nonostante le accuse e gli appelli del milione lasciato da

parte".

Fonte: Memorandum del "Comitato per la salvezza"

dell'Agenzia ebraica, 1943. Cfr. Tom Segev, op. cit.


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Questo fanatismo aveva ispirato, per esempio, l'atteggiamento della delegazione

sionista alla conferenza di Évian nel luglio 1938, nella quale 31 nazioni si erano

riunite per discutere della sistemazione dei profughi della Germania nazista: la

delegazione sionista chiese, come unica soluzione possibile, di ammettere

duecentomila ebrei in Palestina.

Lo Stato ebraico era più importante della vita degli ebrei.

Il nemico principale per i dirigenti sionisti era l'assimilazione.

Essi condividevano la preoccupazione fondamentale di ogni razzismo, compreso

quello hitleriano: la purezza del sangue.

Ecco perché i nazisti, in funzione stessa dell'antisemitismo sistematico che li animava,

fino a concepire il disegno mostruoso di cacciare tutti gli ebrei della Germania e poi

dell'Europa, fintanto che ne furono padroni, considerarono i sionisti come preziosi

interlocutori, giacché questi assecondavano il loro disegno.

Esistono le prove di tale collusione. La Federazione sionista tedesca il 21 giugno 1933

indirizzò al partito nazista un memorandum che dichiarava specificamente:

"Nella formazione di un nuovo Stato, che ha proclamato il principio della razza, noi

desideriamo adattare la nostra comunità a queste nuove strutture [...] il nostro

riconoscimento della nazionalità ebraica ci permette di stabilire relazioni chiare e

sincere con il popolo tedesco e le sue realtà nazionali e razziali. Proprio perché non

vogliamo sottovalutare questi principi fondamentali, perché anche noi siamo contro i

matrimoni misti e per la conservazione della purezza del gruppo ebraico [...].

"Gli ebrei coscienti della loro identità, a nome dei quali parliamo, possono trovare

posto all'interno della struttura dello Stato tedesco perché sono liberati dal

risentimento che devono provare gli ebrei assimilati. [...] noi crediamo nella

possibilità di relazioni leali tra gli ebrei consapevoli della loro comunità e lo Stato

tedesco.

"Per raggiungere questi obiettivi pratici, il sionismo spera di essere in grado di

collaborare anche con un governo fondamentalmente ostile agli ebrei [...]. La

realizzazione del sionismo non è ostacolata che dal risentimento degli ebrei all'estero

contro l'orientamento tedesco attuale.

"La propaganda per il boicottaggio attualmente diretta contro la Germania è

essenzialmente non sionista [...]".

Fonte: Lucy Davidowicz, A Holocaust reader, p. 155

Il memorandum aggiungeva: "Nel caso in cui i tedeschi accettassero questa

cooperazione i sionisti si sforzeranno di dissuadere gli ebrei all'estero dal progetto di

boicottaggio antitedesco".


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Fonte: Lucy Davidowicz, The war against jews (1933-1945),

Londra, Penguin, 1977, pp. 231-232

I dirigenti hitleriani accolsero favorevolmente l'orientamento dei capi sionisti che, con

la loro preoccupazione esclusiva di costituire uno Stato in Palestina, non andavano

contro il loro desiderio di sbarazzarsi degli ebrei.

Il principale teorico nazista Alfred Rosenberg scriveva: "Il sionismo deve essere

rigorosamente sostenuto, di modo che un contingente annuale di ebrei tedeschi sia

trasferito in Palestina".

Fonte: A. Rosenberg, Die Spur des juden im Wandel der Zeiten,

Monaco, Lehmann, 1937, p. 153

Reinhardt Heydrich, più tardi Gauleiter in Cecoslovacchia, scriveva nel 1935, quando

era capo dei servizi di sicurezza SS: "Dobbiamo separare gli ebrei in due categorie, i

sionisti e i sostenitori dell'assimilazione. I sionisti professano una concezione

strettamente razziale e sono favorevoli all'emigrazione in Palestina, essi aiutano a

costruire il loro proprio Stato ebraico [...] le nostre buone intenzioni e la nostra buona

volontà ufficiale sono dalla loro parte".

Fonte: H. Höhne, Order of the Death's Head,

New York, Ballantine, 1971, p. 333

"Al Betar tedesco fu assegnato un nuovo nome: Herzlia. Le attività del movimento in

Germania ottennero certamente l'approvazione della Gestapo.

"Un giorno un gruppo di SS attaccò un campo estivo del Betar. Il capo del movimento

si lamentò allora presso la Gestapo e qualche giorno più tardi, la polizia segreta fece

sapere che le SS in questione erano state punite. La Gestapo domandò al Betar quale

poteva essere il risarcimento più adeguato. Il movimento domandò che fosse abolito il

recente divieto di indossare camicie brune: la richiesta fu esaudita".

Fonte: Ben Yeruham, Sefer Betar, Korot u-Mekorot, 1969

Una circolare della Wilhelmstrasse spiega: "Gli obiettivi di questa categoria di ebrei

che si oppongono all'assimilazione e che sono favorevoli a un raggruppamento di loro

correligionari in seno a un focolare nazionale, nelle prime file dei quali si trovano i

sionisti, sono quelli che meno si preoccupano degli scopi che in realtà persegue la

politica tedesca riguardo agli ebrei".

Fonte: Lettera circolare di Bülow-Schwante a tutte l

e missioni diplomatiche del Reich, n. 83, 28 febbraio 1934

"Non c'è alcuna ragione scriveva Bülow-Schwante al ministro degli interni di

ostacolare con misure amministrative l'attività sionista in Germania, poiché il


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sionismo non è in contraddizione con il programma del nazionalsocialismo, il cui

obiettivo è quello di allontanare progressivamente gli ebrei dalla Germania".

Fonte: Lettera n. ZU 83-21.28/8 del 13 aprile 1935

Questa direttiva, che confermava le misure precedenti, era applicata alla lettera.

Sullo sfondo di questa condizione privilegiata del sionismo la Ge-stapo bavarese il 28

gennaio 1935 inviò alla polizia questa circolare: "I membri dell'organizzazione

sionista, in ragione della loro attività orientata verso l'emigrazione in Palestina, non

debbono essere trattati con lo stesso rigore che è necessario per i membri delle

organizzazioni tedesche (assimilazioniste)".

Fonte: Kurt Grossmann, Sionistes et non-sionistes sous la loi nazie

dans les années 30, "American Jewish Yearbook", VI, p. 310

"L'organizzazione sionista degli ebrei tedeschi ebbe esistenza legale fino al 1938,

cinque anni dopo la salita al potere di Hitler [...]. La "Judaische Rundschau" (giornale

dei sionisti tedeschi) pubblicò fino al 1938".

Fonte: Yeshayahou Leibowitz, Israël et Judaïsme: ma part de vérité,

Bruxelles, Desclée de Brouwer, 1993, p. 116

In cambio del loro riconoscimento ufficiale come unici rappresentanti della comunità

ebraica, i dirigenti sionisti offrirono di impedire il boicottaggio tentato da tutti gli

antifascisti del mondo.

A partire dal 1933 cominciò la collaborazione economica: furono create due

compagnie: la Ha'avara Company a Tel Aviv e la Paltreu a Berlino.

Il meccanismo dell'operazione era il seguente: un ebreo che desiderasse emigrare

depositava alla Wasserman Bank di Berlino, o alla Warburg Bank di Amburgo, una

somma minima di 1.000 sterline. Con questa somma gli esportatori ebraici potevano

comprare mercanzie tedesche destinate alla Palestina e pagavano il valore

corrispondente in lire palestinesi, per conto della Ha'avara, alla banca anglo-

palestinese di Tel Aviv. Quando l'emigrante arrivava in Palestina, riceveva la somma

equivalente al suo deposito in Germania.

Numerosi futuri primi ministri israeliani parteciparono all'impresa Numerosi futuri

primi ministri israeliani parteciparono all'impresa della Ha'avara, specialmente Ben

Gurion, Moshe Sharett (che allora si chiamava Moshe Shertok), Golda Meir, che

l'appoggiò da New York, e Levi Eshkol, che ne fu il rappresentante a Berlino.

Fonte: Ben Gourion e Shertok su "Black",

in Tom Segev, op. cit., pp. 30 e 595

L'operazione era vantaggiosa per entrambe le parti: i nazisti riuscivano a spezzare il


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blocco (i sionisti poterono vendere i prodotti tedeschi anche in Inghilterra) e i sionisti

realizzavano l'emigrazione "selettiva" che desideravano. Potevano emigrare soltanto i

milionari (i cui capitali permettevano lo sviluppo della colonizzazione in Palesti-na).

Conformemente agli scopi del sionismo era più importante salvare dalla Germania

nazista i capitali ebraici necessari allo sviluppo della loro impresa che le vite degli

ebrei poveri o non adatti al lavoro o alla guerra, che sarebbero stati un peso.

Questa politica di collaborazione durò fino al 1941 (cioè per 8 anni dopo l'avvento di

Hitler al potere). Eichmann collaborava con Kastner. Il processo Eichmann, scoprì,

almeno in parte, i meccanismi di questa connivenza, di questi "scambi" tra ebrei

sionisti "utili" alla creazione dello Stato ebraico (persone ricche, tecnici, giovani adatti

a rafforzare un esercito, ecc.) e una massa di ebrei meno avvantaggiati, abbandonati

nelle mani di Hitler.

Il presidente della comunità ebraica, Itzak Gruenbaum, dichiarò il 18 gennaio 1943:

"Il sionismo viene prima di tutto [...]. Diranno che sono antisemita, che non voglio

salvare l'Esilio, che non ho "un caldo cuore yiddish" [...]. Lasciamoli dire quello che

vogliono. Non pretenderò che l'Agenzia ebraica conceda la somma di 300.000 né di

100.000 sterline per aiutare l'ebraismo europeo. E io penso che chiunque lo esiga,

compia un'azione antisionista".

Fonte: Itzak Gruenbaum, Jours de destruction, p. 68

Questo era anche il punto di vista di Ben Gurion: "Il compito del sionista non è quello

di salvare il "resto" d'Israele che si trova in Eu-ropa, ma quello di salvare la terra

d'Israele per il popolo ebraico".

Fonte: Tom Segev, op. cit., p. 158

"I dirigenti dell'Agenzia ebraica sono d'accordo sul fatto che la minoranza che potrà

essere salvata dovrà essere scelta in funzione dei bisogni del progetto sionista in

Palestina".

Fonte: Op. cit., p.125

Hannah Arendt, celebre sostenitrice della causa ebraica, assistendo ai dibattiti del

processo Eichmann ha loro consacrato un libro: Eichmann à Jérusalem (Parigi,

Gallimard, 1966)denunciando la passività e anche la complicità dei "consigli ebraici"

(Judenräte), due terzi dei quali erano diretti da sionisti (pp. 134-141).

Nel libro di Isaiah Trunk, Judenrat, New York, Mac Millan, 1972, si legge: "Secondo

i calcoli di Freudiger, il cinquanta per cento degli ebrei avrebbe potuto salvarsi se non

avesse seguito le istruzioni dei Consigli ebraici" (p. 141). È significativo che, in

occasione della celebrazione del 50 o anniversario dell'insurrezione del ghetto di

Varsavia, il capo di Stato israeliano abbia chiesto a Lech Walesa di non dare la parola

a uno dei sopravvissuti, Marek Edelman, vice-comandante dell'insurrezione. In effetti

Marek Edelman, in una intervista del 1993 con Edward Alter per il giornale israeliano

"Haaretz" aveva ricordato quali erano stati i veri promotori ed eroi del Comita-to

ebraico di lotta del ghetto di Varsavia: socialisti antisionisti del Bund, comunisti,


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trotskysti e i Mihal Rosenfeld e i Mala Zimetbaum, con Edelman e una minoranza di

sionisti di sinistra del Poale Zion e dell'Hashomer Hatzair.

Costoro lottarono contro il nazismo armi alla mano, come fecero gli ebrei volontari

delle Brigate internazionali in Spagna: più del 30% degli americani della Brigata

Abraham Lincoln erano ebrei, denunciati dai sionisti perché combattevano in Spagna

invece di andare in Palestina.

Fonte: "Jewish Life" aprile 1938, p. 11

Nella Brigata polacca Dombrowski 2.250 membri su 5.000 erano ebrei.

A questi eroici ebrei che lottarono su tutti i fronti del mondo con le forze antifasciste,

i dirigenti sionisti, in un articolo del loro rappresentante a Londra intitolato Gli ebrei

devono partecipare al movimento antifascista?, rispondevano: "No!" e fissavano

l'obiettivo unico: "La costruzione della terra d'Israele".

Nahum Goldmann, presidente dell'Organizzazione sionista mondiale e poi del

Congresso mondiale ebraico, racconta nella sua Autobio-graphie il suo drammatico

incontro del 1935 con il ministro degli affari esteri della Cecoslovacchia, Edvard

Bene_, che rimproverava ai sionisti di avere impedito il boicottaggio di Hitler

attraverso la Ha'avara (gli accordi di trasferimento) e il rifiuto dell'Organizzazione

sionista mondiale di organizzare la resistenza contro il nazismo.

"Nella mia vita ho dovuto prendere parte a diversi incontri penosi, ma non mi sono

mai sentito così infelice e pieno di vergogna, come durante quelle due ore. Sentivo in

tutte le fibre del mio essere che Bene_ aveva ragione".

Fonte: Nahum Goldmann, Autobiographie,

Parigi, Fayard, 1969, pp. 157-158 e 260

I dirigenti sionisti avevano preso contatto con Mussolini contando sulla sua

opposizione all'Inghilterra. Egli li ricevette il 20 dicembre 1922, dopo la marcia su

Roma.

Fonte: Ruth Bondy, The Emissary: a life of Enzo Sereni, p. 45

Weizmann fu ricevuto il 3 gennaio 1923, e un'altra volta il 17 settembre 1926; Nahum

Goldmann il 26 ottobre 1927 si incontrò con Mussolini che gli disse: "Vi aiuterò a

creare questo Stato ebraico".

Fonte: Nahum Goldmann, Autobiographie, cit., p. 170

Questa collaborazione costituiva già un sabotaggio della lotta antifascista

internazionale, subordinando tutta la politica sionista all'unico disegno di costruire

uno Stato ebraico in Palestina. Continuò anche durante la guerra, nel momento più

atroce della persecuzione di Hitler contro gli ebrei europei.


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Durante la deportazione degli ebrei ungheresi il vicepresidente dell'organizzazione

sionista, Rudolf Kastner, negoziò con Eichmann su questa base: se Eichmann avesse

permesso il trasferimento in Palestina di 1.684 ebrei "utili" alla costruzione del futuro

Stato d'Israele (capitalisti, tecnici, militari, ecc), Kastner avrebbe promesso di far

credere ai 460.000 ebrei ungheresi che non si trattava di una deportazione ad

Auschwitz, ma di un semplice trasferimento.

Il giudice Halevi ricordò, al momento del processo contro Eichmann, che Kastner

intervenne per salvare uno dei suoi interlocutori nazisti: uno degli agenti di Himmler,

lo Standartenführer Kurt Becher. La testimonianza di Kastner al processo di

Norimberga gli evitò la condanna.

Il giudice fu formale: "Non si è avuta né verità né buona fede nella testimonianza di

Kastner [...]. Kastner ha giurato il falso scientemente nella sua testimonianza davanti a

questa corte, quando ha negato di essere intervenuto in favore di Becher. Inoltre egli

ha nascosto questo fatto importante: il suo intervento a favore di Becher avvenne a

nome dell'Agenzia ebraica e del Congresso ebraico mondiale [...]. È chiaro che la

raccomandazione di Kastner non fu fatta a titolo personale, ma anche a nome

dell'agenzia ebraica e del congresso ebraico mondiale [...] e questo è il motivo grazie

al quale Becher fu rilasciato dagli alleati".

Il processo scosse l'opinione pubblica israeliana.

Nel giornale "Haaretz" del 14 luglio 1955 il dott. Moshe Keren scrisse: "Kastner

doveva essere accusato di collusione con i nazisti". Ma il giornale della sera "Yediot

Aharonoth" (23 giugno 1955) spiegò perché non poteva essere così: "Se Kastner viene

giudicato è l'intero governo che rischia il crollo totale davanti alla Nazione in seguito

a ciò che questo processo può mettere in luce".

Ciò che rischiava di essere scoperto era che Kastner non aveva agito da solo, ma con

l'appoggio degli altri dirigenti sionisti che sedevano al governo al momento del

processo. Il solo modo per evitare che Kastner parlasse e che scoppiasse lo scandalo

era che sparisse. Egli infatti morì opportunamente.

Il governo israeliano fece ricorso davanti alla Corte suprema per riabilitarlo. E vi

riuscì.

Questa politica di collaborazione giunse al suo punto culminante nel 1941, quando il

gruppo più estremista dei sionisti, il Lehi (Combattenti per la liberazione d'Israele)

diretto da Abraham Stern e dopo la sua morte da un triumvirato di cui faceva parte

Itzak Shamir, commise "un crimine imperdonabile dal punto di vista morale:

promuovere l'alleanza con Hitler, con la Germania nazista, contro la Gran Bretagna".

Fonte: M. Bar Zohar, Ben Gourion.Le Prophète armé, cit., p. 99

Elizer Halevi, noto sindacalista laburista, membro del kibbutz Gueva, rivela il 19

agosto 1983, sul settimanale "Hotam" di Tel Aviv, l'esistenza di un documento

firmato da Itzak Shamir (che allora si chiamava Jezernitsky) e da Abraham Stern,

consegnato all'ambasciata tedesca ad Ankara quando la guerra in Europa infuriava e le

truppe del maresciallo Rommel erano già in territorio egiziano. Vi era detto


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chiaramente: "In materia di concezione noi ci identifichiamo con voi. Perché, quindi,

non collaborare l'uno con l'altro?". "Haaretz", il 31 gennaio 1983, cita una lettera

contrassegnata dalla parola "secret", inviata nel gennaio 1941 dall'ambasciatore di

Hitler ad Ankara, Franz von Papen, ai suoi superiori. Von Papen raccontava dei

contatti con i membri del gruppo Stern. Vi è allegato un memorandum dell'agente dei

servizi segreti nazisti a Damasco, Werner Otto von Hentig, sulle trattative con gli

emissari di Stern e di Shamir in cui si dice che "la cooperazione tra il movimento di

liberazione d'Israele e il nuovo ordine in Europa sarà conforme a uno dei discorsi del

cancelliere del III Reich, nel quale Hitler sottolinea la necessità di utilizzare tutte le

possibilità di coalizione per isolare e vincere l'Inghilterra". Vi è detto ancora che il

gruppo Stern è "strettamente legato ai movimenti totalitari in Europa, alle loro

ideologie e alle loro strutture".

Questi documenti si trovano presso il Memoriale dell'olocausto (Yad Vashem) a

Gerusalemme, classificati con il numero E 234151-8.

Uno dei capi storici del gruppo Stern, Israel Eldad, in un articolo pubblicato sul

quotidiano di Tel Aviv "Yediot Aharonoth" del 4 febbraio 1983, conferma

l'autenticità di quelle trattative tra il suo movimento e i rappresentanti ufficiali della

Germania nazista.

Egli afferma con chiarezza che i suoi colleghi avevano spiegato ai nazisti che era

probabile una comunanza di interessi tra il nuovo ordine in Europa secondo la

concezione tedesca e le aspirazioni del popolo ebraico in Palestina, rappresentato dal

gruppo Stern.

Ecco i principali passaggi di questo testo intitolato Principi di base

dell'Organizzazione militare nazionale (NMO) in Palestina (Irgun Zvai Leumi) sulla

soluzione della questione ebraica in Europa e sulla partecipazione attiva dell'NMO

alla guerra a fianco della Germania:

"Risulta dai discorsi dei dirigenti dello Stato nazionalsocialista tedesco che una

soluzione radicale della questione ebraica implica un'espulsione delle masse ebraiche

dall'Europa (Judenreines Europa). Questa è la condizione primaria della soluzione del

problema ebraico, ma non è realizzabile se non tramite il trasferimento di queste

masse in Palestina, in uno Stato ebraico dotato di frontiere storiche. Risolve-re il

problema ebraico in modo definitivo e liberare il popolo ebraico è l'obiettivo

dell'attività politica e dei lunghi anni di lotta del Movimento per la libertà d'Israele

(Lehi) e della sua Organizzazione militare nazionale in Palestina (Irgun Zevai Leumi).

L'NMO, conoscendo la posizione benevola del governo del Reich verso l'attività

sionista all'interno della Germania e i piani sionisti riguardanti l'emigrazione, stima

che:

"1) Potrebbero esistere degli interessi comuni tra l'instaurazione in Europa di un

ordine nuovo secondo la concezione tedesca e le reali aspirazioni del popolo ebraico,

così come sono incarnate dal Lehi.

"2) Sarebbe possibile la cooperazione tra la nuova Germania e una rinnovata nazione

ebraica (Volkish Nationalen Hebraertum).


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"3) La fondazione dello Stato storico ebraico su una base nazionale e totalitaria, legato

con un trattato al Reich tedesco, potrebbe contribuire a mantenere e a rinforzare

nell'avvenire la posizione della Germania nel Vicino Oriente.

"A condizione che siano riconosciute, dal governo tedesco, le aspirazioni nazionali

del Movimento per la libertà d'Israele (Lehi), l'Orga-nizzazione militare nazionale

(NMO) offre la sua partecipazione alla guerra a fianco della Germania. La

cooperazione del Movimento per la libertà d'Israele andrebbe nel senso dei recenti

discorsi del Cancel-liere del Reich tedesco, nei quali il signor Hitler sottolinea che

tutti i negoziati e tutte le alleanze devono contribuire a isolare l'Inghilterra e a

sconfiggerla.

"Secondo la sua struttura e la sua concezione del mondo, l'NMO è strettamente legato

ai movimenti totalitari europei".

Fonte: Testo in tedesco, Appendice n. 11, David Ysraeli,

Le problème palestinien dans la politique allemande de 1889 à 1945,

Bar Ilan University, Ramat Gan, Israele, 1974, pp. 315-317

Secondo la stampa israeliana, che ha pubblicato una decina di articoli a questo

proposito, in nessun momento i nazisti hanno preso sul serio le proposte di Stern, di

Shamir e dei loro amici.

Le trattative subirono una battuta d'arresto quando le truppe alleate catturarono, nel

giugno 1941, Naftali Loubentchik, l'emissario di Abraham Stern e Itzak Shamir,

nell'ufficio stesso dei servizi segreti a Damasco.

Altri membri del gruppo mantennero i contatti fino all'arresto di Shamir da parte delle

autorità britanniche nel dicembre 1941, con l'accusa di "terrorismo e collaborazione

col nemico nazista".

Un simile passato non ha impedito a Shamir di diventare primo ministro e di essere

ancora oggi il capo di una potente "opposizione", quella che più si accanisce

nell'occupazione della Cisgiordania. La realtà è che i dirigenti sionisti, nonostante le

loro rivalità interne, perseguono lo stesso obiettivo razzista: cacciare con il terrore,

l'esproprio o l'espulsione tutti gli autoctoni arabi dalla Palestina, per restarvi unici

conquistatori e padroni.

Ben Gurion dichiarava: "Begin appartiene incontestabilmente al tipo hitleriano. È un

razzista disposto a distruggere tutti gli arabi nel suo sogno di unificazione d'Israele,

pronto a usare tutti i mezzi per realizzare questo fine sacro".

Fonte: E. Haber, Menahem Begin, the man and the legend,

New York, Delle, 1979, p. 385

Lo stesso Ben Gurion non ha mai creduto alla possibilità di una coesistenza con gli

arabi. Sarebbe infatti stato preferibile per lui che nei confini del futuro Israele ce ne

fosse il minor numero possibile. Non lo diceva esplicitamente, ma l'impressione che si

ricava dai suoi discorsi e dalle sue puntualizzazioni è chiara: una grande offensiva


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contro gli arabi non solo avrebbe impedito un attacco da parte loro, ma avrebbe

ridotto al minimo la percentuale della popolazione araba nello Stato. "Lo si può

accusare di razzismo, ma allora si dovrà fare il processo a tutto il movimento sionista,

che si fonda sul principio di un'entità puramente ebraica in Palestina".

Fonte: M. Bar Zohar, op. cit., p. 146

Al processo di Gerusalemme contro Eichmann il procuratore generale Haim Cohen

ricordò ai giudici: "Se questo non coincide con la vostra filosofia, voi potete criticare

Kastner [...] ma cosa ha a che fare tutto ciò con la collaborazione? [...] Ha sempre

fatto parte della nostra tradizione sionista selezionare un'élite per organizzare

l'immigrazione in Palestina [...]. Kastner non ha fatto che questo".

Fonte: Resoconto n. 124/53. Corte distrettuale di Gerusalemme

Questo alto magistrato in effetti invocava una dottrina costante del movimento

sionista: esso non aveva come obiettivo salvare degli ebrei, ma costruire un forte Stato

ebraico.

Il 2 maggio 1948 il rabbino Klaussner, incaricato dei profughi, presentò un rapporto

alla Conferenza ebraica americana: "Io sono convinto che è necessario costringere la

gente ad andare in Palestina. Per essa un dollaro americano è il più grande degli

obiettivi. Con la parola "costringere" intendo suggerire un programma. Esso è già

servito, e molto recentemente. È servito nell'espulsione degli ebrei dalla Polonia e

nella storia dell'Esodo. Per applicare questo programma bisogna, invece di dare

conforto ai "profughi", creare loro il massimo della scomodità [...] e, in un secondo

tempo, intervenire con una procedura che faccia appello all'Haganah per logorare gli

ebrei".

Fonte: Alfred H. Lilienthal, What price Israel? Chicago 1953, pp. 194-195

Le varianti di questo metodo d'incitamento e di coercizione furono molteplici. Il 25

dicembre del 1940, per sollevare indignazione contro gli inglesi che avevano deciso di

salvare gli ebrei minacciati da Hitler accogliendoli nelle isole Mauritius, la nave che li

trasportava e che aveva fatto scalo nel porto di Haifa fu fatta esplodere, senza alcuna

esitazione, dai dirigenti sionisti dell'Haganah (tra i quali Ben Gurion), provocando la

morte di 252 ebrei e dei membri inglesi dell'equipaggio.

Fonte: Rivelazione di Herzl Rosenblum, direttore di

"Yediot Aharonoth", "Jewish Newsletter",

New York, novembre 1958

Un altro esempio è l'Iraq: la comunità ebraica (110.000 persone nel 1948) vi era ben

radicata. Il gran rabbino del paese, Kheduri Sas-soon, aveva dichiarato: "Da mille

anni, in questa nazione, gli ebrei e gli arabi hanno goduto degli stessi diritti e privilegi

e non si considerano come elementi contrapposti".

Cominciarono allora, nel 1950, azioni terroristiche israeliane a Baghdad. Di fronte

alle reticenze degli ebrei iracheni a iscriversi sulle liste d'emigrazione verso Israele, i


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servizi segreti israeliani non esitarono a convincere gli ebrei che erano in pericolo,

gettando delle bombe contro di loro. L'attacco contro la sinagoga Shem-Tov uccise tre

persone e ne ferì alcune decine. Così cominciò l'esodo battezzato: "Operazione Ali

Babà".

Fonti: "Ha'olam hazeh", 20 aprile e 1o giugno 1966,

e "Yediot Aharonoth", 8 novembre 1977

La dottrina è la stessa da quando Theodor Herzl diede la definizione di ebreo non più

in base alla religione, ma in base alla razza.

L'articolo 4b della legge fondamentale dello Stato di Israele (che non ha costituzione),

detta Legge del ritorno (n. 5710 del 1950), stipula: "è considerato ebreo un individuo

nato da madre ebrea o convertita" (criterio razziale o criterio confessionale).

Fonte: Klein, L'État juif, Parigi, Dunod, p. 156

Ciò era in linea con la dottrina di Theodor Herzl. Egli vi ritornò sempre nei suoi

Diaries. Nel 1895 specificò a un interlocutore tedesco (Speidel): "Io capisco

l'antisemitismo, noi ebrei siamo restati, anche se non è colpa nostra, dei corpi estranei

nelle diverse nazioni".

Fonte: T. Herzl, Diaries, p. 9

Poche pagine più avanti il testo è ancora più esplicito: "Gli antisemiti diventeranno i

nostri migliori amici, i paesi antisemiti nostri alleati".

Fonte: Op. cit., p. 19

In effetti lo scopo era comune: riunire gli ebrei in un ghetto mondiale.

I fatti hanno dato ragione a Theodor Herzl.

Gli ebrei devoti, come d'altra parte molti cristiani, ripetevano ogni giorno: "L'anno

prossimo a Gerusalemme", facendo di Gerusalemme non un territorio determinato, ma

il simbolo dell'Alleanza di Dio con gli uomini e dello sforzo personale per meritarla.

Ma il "Ritorno" non si produce che sotto l'effetto di minacce antisemitiche da parte

dei paesi stranieri.

Il 31 agosto 1949, rivolgendosi a un gruppo di americani in visita in Israele, Ben

Gurion dichiarò: "Pur avendo realizzato realizzato il nostro sogno di creare uno Stato

ebraico, non siamo che all'inizio. Oggi, in Israele ci sono soltanto 900.000 ebrei,

mentre la maggioranza del popolo ebraico si trova ancora all'estero. Il nostro compito

futuro è riunire tutti gli ebrei in Israele". L'obiettivo di Ben Gurion era quello di

portare in Israele quattro milioni di ebrei tra il 1951 e il 1961. Ve ne andarono

800.000. Nel 1960 non vi furono che trentamila immigrati. Nel 1975-76 l'emigrazione

da Israele superò l'immigrazione.


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Solo le grandi persecuzioni, come quelle avvenute in Romania, avevano dato un certo

impulso al "Ritorno".

Neppure le atrocità hitleriane riuscirono a esaudire il sogno di Ben Gurion. Tra le

vittime ebraiche del nazismo rifugiate all'estero tra il 1935 e il 1943 appena l'8,5% si è

stabilito in Palestina. Gli Stati Uniti limitarono la loro accoglienza a 182.000 ebrei

(meno del 7%), l'In-ghilterra a 67.000 (meno del 2%). L'immensa maggioranza, vale a

dire il 75%, trovò rifugio in Unione Sovietica.

Fonti: Institute for Jewish Affairs, New York,

in Cristopher Sykes, Crossroads to Israel,

Londra, 1965; Nathan Weinstock, Le sionisme contre Israël,

Parigi, Maspero, 1969, p. 146

2.

Il mito della giustizia di Norimberga

"Questo tribunale rappresenta una continuazione degli sforzi di guerra delle nazioni

alleate".

Fonte: Robert H. Jackson, procuratore generale degli Stati Uniti,

dichiarazione alla seduta del 26 luglio 1946 del Tribunale

Militare Internazionale di Norimberga

L'8 agosto 1945 i dirigenti americani, inglesi, francesi e russi si riunirono a Londra

per mettere a punto "l'azione giudiziaria e le condanne contro i grandi criminali di

guerra delle potenze europee appartenenti all'Asse" creando un "Tribunale Militare

Internazionale" (articolo I, a).

I crimini erano definiti al Titolo II, articolo 6.

1 "Crimini contro la pace", concernenti coloro che erano re-sponsabili dello

scatenamento della guerra.

2 "Crimini di guerra", per la violazione delle leggi e dei costumi di guerra.

3 "Crimini contro l'umanità", vale a dire, essenzialmente, contro le popolazioni civili.

Questa definizione dà già adito a qualche osservazione:

a) Non si trattava di un tribunale internazionale, dal momento che era costituito

soltanto dai vincitori e che, di conseguenza, avrebbe considerato solo i crimini

commessi dai vinti... Il procuratore generale degli Stati Uniti, Robert H. Jackson, che

presiedette l'udienza del 26 luglio 1946, riconobbe: "Gli alleati si trovano ancora in

stato di guerra con la Germania da un punto di vista tecnico. In quanto tribunale


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militare, questo tribunale rappresenta una continuazione degli sforzi bellici delle

nazioni alleate".

b) Si trattava, dunque, di un tribunale d'eccezione, che rap-presentava l'ultimo atto di

guerra, escludendo, per suo stesso principio, tutte le responsabilità dei vincitori, in

primo luogo nello scatenamento del conflitto. Si escludeva a priori ogni richiamo su

chi ne fosse stato la causa primaria: a Norimberga non si pose la questione di sapere

se il trattato di Versailles, con tutte le sue conseguenze, in particolare con la

moltiplicazione dei fallimenti e soprattutto con la disoccupazione, non avesse

permesso l'ascesa di un Hitler, grazie al consenso della maggioranza del popolo

tedesco. Per esempio (la sola legge del più forte facendo già figura di "diritto"),

imponendo alla Germania sconfitta del 1918 di pagare, a titolo di risarcimento, 132

miliardi di marchi-oro (l'equivalente di 165 miliardi di franchi-oro), mentre il

patrimonio nazionale del paese stesso era valutato in 260 miliardi di marchi-oro.

L'economia tedesca ne fu rovinata e il popolo tedesco fu ridotto alla disperazione

dalla crisi, dal crollo della moneta e soprattutto dalla disoccupazione, che permisero la

salita al potere di Hitler e gli diedero gli argomenti più facili per sostenere la sua più

importante parola d'ordine: annullare il trattato di Versailles con il relativo strascico di

miserie e di umiliazioni.

La dimostrazione più convincente di ciò è fornita dalla crescita della disoccupazione

parallelamente al successo del Partito nazionalsocialista nelle varie elezioni:

Dal 1924 al 1930

Voti ottenuti

%

Seggi Disoccupati

4 giugno

1924

1.918.000

6,6

32

320.711

7 dicembre

1924

908.000

3,0

14

282.645

20 maggio

1928

810.000

2,6

12

269.443

Dal 1930 al 1933

14 aprile

1930

6.407.000

18,3

107

1.061.570

31 luglio

1932

13.779.000

37,3

230

5.392.248

6 novembre

1932

11.737.000

33,1

196

5.355.428

5 marzo

1933

17.265.000

43,7

288

5.598.855

Dopo che Hitler ebbe ottenuto, con i suoi alleati politici, la maggioranza assoluta al

Reichstag, fu decisivo l'aiuto al riarmo della Germania, da parte degli uomini del

dollaro, della sterlina e del franco. Non solo la Cassa centrale di propaganda del

partito di Hitler fu alimentata dalla banca tedesca Schreider, ma il riarmo stesso della


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Germania fu largamente finanziato dai grandi trusts americani, inglesi e francesi. Fu il

caso del consorzio chimico americano Dupont de Nemours e dell'inglese Imperial

Chemicals Industry, che sovvenzionarono l'IG Farben, con la quale si divisero il

mercato mondiale della polvere da sparo, e quello della banca Dillon di New York,

che sovvenzionò la Vereinigte Stahlwerke, cartello tedesco dell'acciaio. Altre imprese

furono sovvenzionate da Morgan o Rockfeller, ecc.

Così la sterlina e il dollaro parteciparono al complotto che portò Hitler al potere.

Per quanto riguarda la Francia, il ministro dell'economia nazionale, a

un'interrogazione del senatore Paul Laffont sulla quantità di minerali di ferro esportati

in Germania dopo il 1934, rispose così:

"La quantità di minerale di ferro (N. 204 del tariffario doganale) esportata in

Germania nel corso degli anni 1934, 1935, 1936 e 1937 è elencata nella seguente

tabella:

Anno

Quantità

(in quintali metrici)

1934

17.060.916

1935

58.616.111

1936

77.931.756

1937

71.329.234

Fonte: "Journal Officiel", 26 marzo 1938

Ma né i dirigenti dei gruppi Dupont de Nemours, Dillon, Morgan e Rockfeller, né

François de Wendel furono interrogati a Norimberga sui "crimini contro la pace".

Nota: Gli Stati Uniti produssero circa 135.000 tonnellate di agenti chimici tossici

durante il conflitto, la Germania 70.000 tonnellate, il Regno Unito 40.000 tonnellate e

il Giappone 7.500 tonnellate.

* * *

Si citano spesso le imprecazioni di Hitler e dei principali dirigenti nazisti contro i

comunisti e gli ebrei.

In particolare il capitolo XV del secondo volume di Mein Kampf, in cui Hitler ricorda

il passato: quello dell'impiego militare del gas avviato dagli inglesi durante la prima

guerra mondiale. Il capitolo è intitolato Il diritto alla legittima difesa:

"Se all'inizio e durante il conflitto si fossero uccisi con i gas dodici o quindimila di

quei giudei distruttori del popolo, come rimasero uccisi dai gas sui campi di battaglia

centinaia di migliaia di tedeschi di tutte le classi, non sarebbero morte invano milioni


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di persone. Am-mazzando dodicimila criminali finché si era in tempo avrebbero

guadagnato la vita un milione di preziosi tedeschi".

In un discorso al Reichstag del 30 gennaio 1939 egli disse anche:

"Se i circoli giudaici della finanza, all'interno e all'esterno dell'Eu-ropa riusciranno a

precipitare un'altra volta i popoli in un guerra mondiale, il risultato non sarà la

bolscevizzazione della terra come corollario della vittoria dell'ebraismo, ma

l'annientamento (Vernichtung) della razza ebraica in Europa [...]. Perché l'epoca in cui

i popoli non giudaici si consegnavano inermi alla propaganda si è conclusa. La

Germania nazionalsocialista e l'Italia fascista hanno ormai le istituzioni che

permettono, ogni volta che è necessario, di illuminare il mondo sugli annessi e

connessi di una questione che numerosi popoli avvertono istintivamente, senza

potersela spiegare scientificamente.

"Gli ebrei possono continuare la loro campagna di logoramento in alcuni Stati, protetti

come sono dal monopolio che esercitano nella stampa, nel cinema, nella propaganda

radiofonica, nei teatri, nella letteratura e così via. Pertanto, se questo popolo dovrà

riuscire, ancora una volta, a precipitare milioni di uomini in un conflitto totalmente

assurdo per loro, per quanto possa essere vantaggioso per gli interessi dei giudei,

allora si manifesterebbe l'efficacia di un lavoro di spiegazione che ha permesso in

pochi anni, nella sola Germania, di abbattere completamente (restlos erlegen) il

giudaismo".

Fonte: Trial of the Major War Criminals, cit., XXXI, p. 65

Il 30 gennaio 1941 Hitler dichiarò all'insieme degli ebrei d'Europa che essi "avrebbero

finito di fare la loro parte, in caso di guerra generalizzata". Poi, in un discorso del 30

gennaio 1942, egli avrebbe dichiarato che dalla guerra sarebbe risultato

"l'annientamento del giudaismo in Europa"

Il testamento politico di Hitler, pubblicato dal Tribunale Militare Internazionale,

abbonda in questo senso. Vi si legge in modo specifico:

"Non ho lasciato sussistere alcun dubbio sul fatto che, se questi complottatori

internazionali del mondo del denaro e della finanza ricominciano a trattare i popoli

d'Europa come pacchetti di azioni, questo popolo, che è il vero responsabile

dell'attuale conflitto micidiale, dovrà renderne conto: i giudei! (Das Judentum!)

"Non ho lasciato nessuno nell'incertezza della sorte che aspetta coloro a causa dei

quali milioni di bambini dei popoli ariani d'Europa dovrebbero morire di fame,

milioni di uomini adulti dovrebbero perire e centinaia di migliaia di donne e bambini

brucerebbero e soccomberebbero nei bombardamenti delle loro città. Anche se ciò

dovesse avvenire con sistemi più umani, il colpevole dovrà espiare la sua colpa".

Hitler parla di distruggere una "influenza"; Himmler parla direttamente di eliminare

degli individui. Ecco ciò che disse in un discorso ai comandanti delle forze navali a

Weimar il 16 dicembre 1943:


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"Quando, non importa dove, sono stato obbligato a dare, in un villaggio, l'ordine di

marciare contro dei partigiani e contro dei commissari ebraici, allora ho disposto di

fare uccidere anche le donne e i bambini di questi partigiani e di questi commissari".

Più tardi, parlando davanti ad alcuni generali il 5 maggio 1944, a Sonthofen,

aggiunse:

"In questo conflitto con l'Asia dobbiamo prendere l'abitudine di dimenticare le regole

del gioco e i costumi in uso nelle passate guerre europee, per quanto essi ci siano

diventati cari e si adattino meglio alla nostra mentalità".

Questa ferocia, sfortunatamente, non era appannaggio di un solo campo.

Il 4 settembre 1940 Hitler dichiarò allo Sportpalast:

"Se l'aviazione inglese getta tre o quattromila chili di bombe, noi ne getteremo cento,

centocinquanta, duecento, trecento, quattrocentomila chili e più ancora in una sola

notte".

Si tratta di una folle esagerazione delle possibilità di bombarda-mento strategico della

Luftwaffe, ma essa mostra quale grado di odio contro i popoli si raggiunse nei due

campi.

In risposta, Clifton Fadiman, editore del settimanale "New Yorker" e figura di spicco

del Writers War Board, agenzia letteraria semi-ufficiale del governo, domandò nel

1942 agli scrittori "di suscitare un ardente odio contro tutti i tedeschi e non solo

contro i dirigenti nazisti".

Poiché questa sortita aveva sollevato delle proteste, Fadiman proseguì: "Il solo modo

di farsi capire dai tedeschi è ucciderli. E anche così non credo che capiranno".

Nell'aprile dello stesso anno, facendo l'elogio di un libro di De Sales, The making of

tomorrow (Preparando il domani), egli sviluppò il suo concetto razzista e scrisse:

"L'attuale aggressione nazista non è l'opera di un gruppo di gangsters ma piuttosto

l'espressione finale dei più profondi istinti del popolo tedesco.

"Hitler è l'incarnazione di forze più grandi di lui. L'eresia che predica è vecchia di

duemila anni. In che cosa consiste questa eresia? Né più né meno nella ribellione

contro la civiltà occidentale che comincia con Arminio [...] le dimensioni di questa

guerra appaiono allora con grande chiarezza".

Egli approvava il suggerimento di Hemingway: "L'unica soluzione finale (the only

ultimate settlement) sarà quella di sterilizzare i nazisti, nel senso chirurgico del

termine". E ridicolizzava Dorothy Thomson che faceva una distinzione tra i nazisti e

gli altri tedeschi.

Non si trattò di un'opinione isolata. Dopo il discorso di Hitler allo Sportpalast il

"Daily Herald" di Londra pubblicò un articolo del reverendo C.W. Wipp che

dichiarava:


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"La parola d'ordine deve essere: "Spazzarli via", e perciò concentrare la nostra scienza

nella scoperta di nuovi e più terrificanti esplosivi [...]. Un ministro del Vangelo forse

non dovrebbe lasciarsi andare a simili sentimenti, ma io dico francamente che, se

potessi, cancellerei la Germania dalla carta geografica. È una razza diabolica che è

stata la maledizione dell'Europa durante i secoli".

Fortunatamente, in Inghilterra, si levarono delle proteste contro tali aberrazioni,

perché la popolazione, come quella tedesca con la sua grande cultura, non poteva

essere confusa con dirigenti sanguinari, fomentatori di odio e di morte.

Nel gennaio 1934 il dirigente sionista Vladimir Ze'ev Jabotinskij dichiarò al giornale

ebraico "Natsha Retsch":

"I nostri interessi ebraici esigono l'annientamento definitivo della Germania; il popolo

tedesco, nella sua totalità, rappresenta un pericolo per noi".

Quanto a Churchill, egli confidò a Paul Reynaud il 16 maggio 1940: "Affameremo la

Germania. Demoliremo le sue città. Bruceremo i suoi raccolti e le sue foreste".

Fonte: Paul Baudouin, Neuf mois au gouvernement,

Parigi, La Table Ronde, 1948, p. 57

Nel 1942 il ministro britannico Lord Vansittart, vero apostolo dell'odio, allo scopo di

giustificare il terrore provocato dai bombardamenti inglesi, disse: "Gli unici bravi

tedeschi sono i tedeschi morti; dunque che piovano le bombe!".

Nel luglio del 1944 Churchill inviò al suo capo di stato maggiore, generale Hastings

Imay, un memorandum di quattro pagine, in cui propose il seguente progetto:

"Voglio che riflettiate molto seriamente sulla questione dei gas asfissianti [...].

"È assurdo, in questo affare, tenere in conto la moralità, dal momento che tutti li

hanno utilizzati durante l'ultima guerra, senza che ci fossero proteste da parte dei

moralisti e della Chiesa. D'altra parte, allora i bombardamenti di città aperte erano

considerati vietati; oggi tutti li praticano come una cosa che va da sé. Si tratta solo di

una moda, paragonabile al mutamento della lunghezza delle gonne [...].

"Voglio che si esamini freddamente quanto converrebbe utilizzare dei gas asfissianti

[...] non bisogna farsi legare le mani da sciocchi principi [...].

"Potremmo inondare le città della Ruhr, così come altre città tedesche, in modo che la

maggioranza della popolazione abbia bisogno di costanti cure mediche [...]. Forse

bisognerà attendere qualche settimana o anche qualche mese prima che io vi chieda

d'inondare la Germania con i gas asfissianti e, se lo faremo, facciamolo in modo

completo. Nel frattempo, vorrei che la questione fosse esaminata freddamente da

persone sensate e non da persone travestite da cantori di salmi, guastafeste come se ne

trovano qua e là".

Fonte: "American heritage", agosto-settembre 1985


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Né Churchill, né Stalin, né Truman presero posto al banco dei criminali di guerra.

Non più, d'altra parte, di quanto furono chiamati in causa gli autori dei più ignobili

appelli al crimine. Citeremo solo due esempi, tra i più deliranti: l'appello a un

"genocidio", questa volta nel vero senso della parola, lanciato nel 1941 con il libro

dell'ebreo americano Theodor N. Kaufman, Germany must perish (La Germa-nia deve

morire) la cui tesi principale è la seguente: "I tedeschi (quali che siano: antinazisti,

comunisti o anche filosemiti) non meritano di vivere. Di conseguenza dopo la guerra

si mobiliteranno 20.000 medici perché ognuno sterilizzi 25 tedeschi al giorno, di

modo che in tre mesi non ci sarà un solo tedesco capace di riprodursi e in 60 anni la

razza tedesca sarà totalmente eliminata".

Si trattò di una bravata che alimentò l'antisemitismo: Hitler fece leggere dei brani di

questo libro da tutte la stazioni radio.

In secondo luogo, Ilja Erenburg nel suo Appello all'Armata Rossa, pubblicato

nell'ottobre 1944, scrisse:

"Uccidete! Uccidete! Tra i tedeschi non ci sono innocenti, né tra i vivi, né tra chi deve

nascere! Eseguite le istruzioni del compagno Stalin schiacciando per sempre la bestia

fascista nella sua tana. Spezzate con la violenza l'orgoglio delle donne germaniche.

Prende-tele come legittimo bottino. Uccidete, uccidete, valorosi soldati dell'Armata

Rossa, nel vostro irresistibile assalto" (citato dall'ammiraglio Dönitz, Dix ans et 20

jours, pp. 343-344).

Costoro non figurarono tra gli accusati di Norimberga, non più dei capi di Stato che li

avevano protetti. Né vi figurarono i responsabili anglo-americani del bombardamento

su Dresda che fece 200.000 vittime civili e senza alcun interesse militare, giacché

l'esercito sovietico aveva oltrepassato quell'obiettivo.

Né vi prese posto Truman, colpevole dell'apocalisse atomica di Hiroshima e di

Nagasaki che provocò 300.000 vittime civili, anche in questo caso senza necessità

militare, perché la resa del Giappone era già stata decisa dall'imperatore.

Non toccò nemmeno a Berija e a Stalin, che scaricarono sulle spalle dei tedeschi il

massacro di migliaia di ufficiali polacchi a Katyn.

* * *

Questa procedura derivò dagli stessi principi (o meglio dalla stessa assenza di

principi) alla base della scelta degli accusati solo tra i vinti.

Lo statuto del Tribunale di Norimberga fu così definito:

"Articolo 19: Il tribunale non sarà legato dalle regole tecniche relative

all'amministrazione delle prove. Esso adotterà e applicherà, per quanto possibile, una

procedura rapida e non formale e ammetterà ogni metodo che riterrà dotato di valore

probante.


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"Articolo 21: Il tribunale non esigerà che siano prodotte le prove riguardanti fatti di

notorietà pubblica, ma le riterrà acquisite. Allo stesso modo riterrà prove autentiche i

documenti e i rapporti ufficiali dei governi degli alleati".

Tale è il mostro giuridico, le cui decisioni devono essere canonizzate con i criteri di

un'intoccabile verità storica, secondo la legge Gayssot-Fabius del 13 luglio 1990.

Questo testo inserisce infatti nella legge sulla libertà di stampa del 1981 un articolo, il

24 bis, che dice:

"Saranno puniti con le pene previste dal sesto comma dell'articolo 24 coloro che

avranno contestato, con uno dei mezzi elencati all'articolo 23, l'esistenza di uno o più

crimini contro l'umanità così come sono definiti dall'articolo 6 dello statuto del

Tribunale Militare Internazionale allegato all'accordo di Londra dell'8 agosto 1945 e

che siano stati commessi sia dai membri di una organizzazione dichiarata fuorilegge

in base all'articolo 9 del detto statuto, sia da un individuo riconosciuto colpevole di

tali crimini da un tribunale francese o internazionale.

"Il tribunale potrà inoltre ordinare:

"1 L'applicazione della sua decisione nelle condizioni previste dall'articolo 51 del

Codice penale;

"2 la pubblicazione di questa o di un comunicato nelle condizioni previste dall'articolo

51-1 del Codice penale, senza che le spese relative possano superare il massimo

dell'ammenda applicata".

* * *

La prassi del Tribunale di Norimberga sollevò obiezioni anche tra i giuristi americani

di più alto livello: quelli della Corte suprema.

A cominciare dal giudice Jackson che ne fu il presidente. Lo storico inglese David

Irving, che riconobbe di averlo mal giudicato in un primo momento, fornisce questa

testimonianza:

"Dei giudici rinomati, in tutto il mondo, si vergognerebbero della procedura di

Norimberga. Certamente il giudice Robert H. Jackson, presidente americano degli

accusatori, ebbe vergogna di quella procedura; ciò è evidente dal suo diario che io ho

letto.

"Ho avuto il privilegio di accedere alle Memorie (del giudice Jackson) alla Biblioteca

del Congresso [...]. Poco tempo dopo che Robert H. Jackson ebbe ricevuto dal

presidente Truman l'incarico di dirigere i giudici americani al processo di Norimberga

(maggio 1945), egli venne a conoscenza dei piani americani sui bombardamenti

atomici e si trovò a disagio nel compito che gli era stato assegnato: perseguire, a nome

di una nazione, atti che anch'essa avrebbe compiuto, poiché era cosciente che gli Stati

Uniti stavano per commettere un crimine ancora più grande" (33.9392 e 9394).


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Riferendosi al libro Pilier de la loi di Alpheus Thomas Mason dedicato ad Harlan

Fiske Stone (questi era a capo della Corte suprema degli Stati Uniti), l'avvocato

Christie cita le pagine 715-716, dove viene utilizzato uno scritto di Fiske Stone al

direttore della rivista "Fortune" nel quale non solo egli disapprovava il metodo, ma

riteneva che si trattasse di un "linciaggio in grande scala" (high-grade lynching party

in Nuremberg) (5.995-996).

Il giudice Wennerstrum, della Corte Suprema degli Stati Uniti, fu così disgustato dalla

procedura che rifiutò la nomina e tornò in Ame-rica, dove espose sulla "Chicago

Tribune" le sue obiezioni: il 60% dei membri della direzione del processo erano ebrei,

così come gli interpreti (23.5915-5916). "Quanto ai principali accusati: Höss,

Streicher, Pohl, essi sono stati torturati" (23.5919).

In virtù dello statuto di Norimberga, che accettava come prove tutte le dichiarazioni

degli alleati, il rapporto sovietico su Katyn, che accusava i tedeschi del massacro di

11.000 ufficiali polacchi, fu dichiarato "prova autentica" indiscutibile l'8 agosto 1945.

Fonte: Trial of the Major War Criminals, cit., XXXIX, documento URSS 54

Il procuratore generale sovietico, generale Rudenko, poté dire, a norma dell'articolo

21 dello statuto (del Tribunale di Norimberga): "ciò non sarà oggetto di

contestazione" (op. cit., XV, p. 300).

Il 13 aprile 1990 la stampa internazionale ha annunciato che il crimine di Katyn fu

commesso da Berija e dalle autorità sovietiche. Il professor Naville, dell'università di

Ginevra, esaminando i cadaveri, aveva trovato nelle loro tasche dei documenti del

1940 comprovanti che l'esecuzione aveva avuto luogo in quella data. Nel 1940 la

regione di Smolensk era occupata dai sovietici.

* * *

Per attenerci al nostro tema, cominceremo ad esaminare una delle controverità che

ancora oggi, dopo più di mezzo secolo, provoca la maggior parte dei danni, nel

mondo e non solamente nel Vicino-Oriente: "il mito dei 6 milioni di ebrei sterminati",

divenuto un dogma che giustifica e sacralizza (come implica la parola stessa

"olocausto") tutte le prevaricazioni dello Stato d'Israele in Palestina, nel Vicino-

Oriente, negli Stati Uniti e, attraverso gli Stati Uniti, nel complesso della politica

mondiale, mettendo Israele stesso al di sopra di ogni legge internazionale.

Il tribunale di Norimberga ha ufficializzato questa cifra che non ha mai smesso, da

allora, di servire alla manipolazione dell'opinione pubblica attraverso i media,

attraverso la letteratura e il cinema, e perfino attraverso i testi scolastici. Ora, questa

cifra non si basa che su due testimonianze: quella di Höttl e quella di Wisliceny.

Ecco cosa dichiarò ai giudici di Norimberga il primo, l'Obersturm-bannführer dott.

Wilhelm Höttl, capo di una sezione aggiunta del-l'Ufficio centrale di sicurezza del

Reich: "Nell'aprile 1944 l'SS Ober-sturmbannführer Adolf Eichmann, che io

conoscevo dal 1938, ebbe un incontro con me nel mio appartamento a Budapest [...].

Egli sapeva di essere considerato un criminale di guerra dalle nazioni alleate, poiché

aveva sulla coscienza migliaia di vite ebraiche. Gli domandai quante ne avesse e mi


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rispose che, sebbene il numero fosse un grande segreto, me lo avrebbe detto perché

dalle informazioni in suo possesso era arrivato alla seguente conclusione: nei

differenti campi di sterminio erano stati uccisi circa 4 milioni di ebrei, mentre due

milioni avevano trovato la morte in altro modo".

Fonte: Trial of the Major War Criminals, cit., IV, p. 657

Wisliceny, per parte sua, raccontò: "Egli (Eichmann) diceva che sarebbe saltato dalla

gioia nella tomba, perché l'impressione di avere cinque milioni di persone sulla

coscienza sarebbe stata per lui fonte di straordinaria soddisfazione" (op. cit.).

Su queste due testimonianze lo stesso Poliakov ha detto: "Si potrebbe obiettare che

una cifra così imperfettamente stabilita debba considerarsi sospetta".

Fonte: "Revue d'Histoire de la seconde guerre mondiale", ottobre 1956

Il giornale ebraico di New York "Der Aufbau" segnalava il 30 giugno 1965 che in

questa data 3 milioni e 375.000 persone avevano fatto domanda di "riparazione" per i

danni subiti al tempo della dominazione di Hitler. Aggiungiamo che la principale

testimonianza, la più completa e la più precisa è quella di Höttl, agente

dell'Intelligence Service.

Fonte"Week end", 25 gennaio 1961

Questa rivista inglese reca in copertina il ritratto di

Höttl con la didascalia: ""Storia di una spia" più

strana che la fiction: questo amico dei dirigenti

nazisti aveva come boss un uomo dei servizi segreti inglesi"

Confermando le obiezioni dei grandi giuristi della Corte suprema degli Stati Uniti e di

molti altri a proposito delle anomalie giuridiche del Tribunale di Norimberga,

esporremo, a titolo di esempio, solo le violazioni delle regole che sono fondamentali

in ogni vero processo.

1 L'accertamento e la verifica dell'autenticità dei documenti prodotti.

2 L'analisi del valore delle testimonianze e delle condizioni nelle quali furono

ottenute.

3 L'esame scientifico dell'arma del crimine per stabilire il suo funzionamento e i suoi

effetti.

I documenti

I testi fondamentali, decisivi per stabilire in che cosa poteva consistere la "soluzione

finale", sono, in primo luogo, gli ordini di stermino attribuiti ai più importanti

responsabili: Hitler, Göring, Heydrich e Himmler, e le norme impartite per la loro

esecuzione. Innanzi tutto la direttiva di Hitler sullo "sterminio". Malgrado gli sforzi

dei teorici del genocidio e dell'olocausto non ne fu mai trovata traccia.


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Olga Wurmser-Migot scrisse nel 1968: "Come non esiste un ordine chiaramente

scritto per lo sterminio col gas ad Auschwitz, non esiste l'ordine di cessarlo nel

novembre 1944". E precisò: "Né al processo di Norimberga, né ai processi di zona, né

a quello di Höss a Cracovia, o di Eichmann in Israele, né al processo dei comandanti

dei campi, né dal novembre 1966 all'agosto 1975 al processo di Francoforte (accusati

di Auschwitz della II zona), è stato prodotto l'ordine firmato da Himmler, del 22

novembre 1944, sull'interruzione dello sterminio degli ebrei tramite gas, nel quale si

ingiungeva di fermare la "soluzione finale"".

Fonte: Olga Wurmser-Migot, Le système concentrationnaire nazi,

Parigi, PUF, 1968, pp. 544 e 13

Il dottor Kubovy, del Centro di documentazione di Tel Aviv, ammise nel 1960: "Non

esiste alcun documento firmato da Hitler, Himmler o Heydrich che parli di sterminare

gli ebrei [...]. La parola "sterminio" non appare nella lettera di Göring a Heydrich

concernente la soluzione finale della questione ebraica".

Fonte: Lucy Dawidowicz, The War against the Jews,

New York, Holt-Rinehart-Winston, 1975, p. 121

In una conferenza stampa, dopo un colloquio svolto alla Sorbona di Parigi nel

febbraio del 1982 per contrastare i lavori critici dei "revisionisti", Raymond Aron e

François Furet furono costretti a dichiarare: "malgrado le ricerche più erudite, non si è

mai potuto trovare un ordine di Hitler per sterminare gli ebrei".

Del 1981 è l'ammissione di Laqueur: "Fino ad oggi non si è trovato l'ordine scritto di

Hitler mirante alla distruzione della comunità ebraica europea e, con ogni probabilità,

quest'ordine non è mai stato dato".

Fonte: Walter Z. Laqueur, The terrible secret,

Francoforte sul Meno-Berlino-Vienna, 1981, p. 190

Malgrado tutto ciò, su istigazione di Vidal-Naquet e di Léon Polia-kov, altri storici

hanno firmato la seguente dichiarazione:

"Non è necessario domandarsi come, tecnicamente, sia stato possibile un tale

omicidio di massa. È stato possibile tecnicamente perché ha avuto luogo. Questo è il

punto obbligato dal quale partire per tutte le ricerche storiche sull'argomento. È nostro

compito ricordare semplicemente questa verità: non c'è e non può esserci dibattito

sull'esistenza delle camere a gas".

Non è necessario domandarsi...

il punto obbligato dal quale partire...

non può esserci dibattito...

Tre divieti, tre tabù, tre limiti definitivi alla ricerca.


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Questo testo segna una data effettivamente "storica" nella storia della storia: il "fatto"

che si vuole stabilire è posto, al di là di ogni ricerca e di ogni critica, come verità

assoluta e intangibile e vieta, grazie a tre imperativi redibitori, ogni ricerca e ogni

critica verso il giudizio che, all'indomani di una vittoria, è stato espresso dai vincitori.

Tuttavia la storia, se intende rispettare uno statuto scientifico, deve essere una

continua ricerca, che rimetta in causa anche quello che si credeva definitivamente

stabilito, come nel caso del postulato di Eu-clide o delle leggi di Newton.

Ecco un esempio ben noto:

"Il Comitato Internazionale di Auschwitz nel novembre 1990 voleva sostituire la targa

commemorativa di Auschwitz, che indicava "4 milioni di morti" con un'altra, che

menzionava "più di un milione di morti". Il dottor Maurice Goldstein, presidente di

quel comitato, si oppose".

Fonte: "Le Soir", Bruxelles, 19-20 ottobre 1991, p. 16

Di fatto il dottor Goldstein non contestava la necessità di cambiare la vecchia targa,

ma desiderava che la nuova non riportasse un numero, perché sapeva che,

probabilmente, sarebbe stato necessario, entro breve tempo, diminuire la cifra

indicata.

La targa all'entrata del campo di Birkenau presentava, dunque, questa iscrizione fino

al 1994:

"Qui, dal 1940 al 1945, quattro milioni di uomini, di donne e di bambini sono stati

torturati e uccisi dagli assassini hitleriani".

Grazie all'azione del Comitato internazionale del museo di Stato di Auschwitz,

presieduto dallo storico Wladislaw Bartoszewski e comprendente ventisei membri di

tutte le nazionalità, il testo è stato modificato in un senso meno lontano dalla verità:

"Che questo luogo, dove i nazisti hanno assassinato un milione e mezzo di uomini, di

donne e di bambini, in maggioranza ebrei dei vari paesi d'Europa, sia per sempre, per

l'umanità, un grido di disperazione e un avvertimento".

Fonte: Luc Rosenzweig, "Le Monde", 27 gennaio 1995

L'esempio mostra che la storia, per sfuggire al terrorismo intellettuale dei predicatori

dell'odio, esige una continua "revisione". Essa è revisionista oppure non è che

propaganda contraffatta.

Torniamo, dunque, alla storia propriamente detta, critica, "revisionista", vale a dire

fondata sull'analisi dei documenti, sulla verifica delle testimonianze e sulle perizie

relative all'arma del crimine.

Soffermiamoci, in primo luogo, su ciò che concerne gli ebrei nel programma del

partito nazionalsocialista (NSDAP).


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Il problema è affrontato al Punto 4: "Possono avere nazionalità tedesca soltanto coloro

che sono cittadini a pieno diritto e sono cittadini a pieno diritto coloro che hanno

sangue tedesco, senza discriminazione confessionale. Quindi nessun ebreo può essere

cittadino a pieno diritto".

Staatsburger stava per cittadino e Volksgenosse stava per cittadino a pieno diritto in

quanto membro di una comunità omogenea.

Più avanti, al punto 5, troviamo:

"Colui che non possiede la nazionalità tedesca non potrà vivere in Germania che in

qualità di ospite (Gast) e dovrà rispettare la legislazione in vigore riguardante il

soggiorno degli stranieri".

Il punto 7 riguarda il divieto di soggiorno nel Reich, in speciali condizioni, per coloro

che non possiedono la nazionalità tedesca; il punto 8 esige il blocco della nuova

immigrazione di non tedeschi e l'espulsione immediata di tutti i non tedeschi entrati in

Germania dopo il 2 agosto 1914. Questo ultimo punto è chiaramente indirizzato

contro gli ebrei dell'Est, arrivati numerosi nel Reich durante e dopo la prima guerra

mondiale.

Anche il punto 23 affronta questo problema: esso stabilisce che gli ebrei non avranno

il diritto di lavorare nella stampa, mentre il punto 24 afferma che il partito lotta contro

lo "spirito materialista ebraico".

Gli ordini di Hitler sullo sterminio degli ebrei

Nel suo libro La destruction des juifs d'Europe Raul Hilberg, nel 1961, nella prima

edizione, scrisse che vi furono due ordini di sterminio da parte di Hitler: uno nella

primavera del 1941 (aggressione alla Russia) e l'altro qualche mese più tardi.

Ma nel 1985 "nella seconda edizione, riveduta, tutti i riferimenti agli ordini o alle

decisioni di Hitler relativi alla "soluzione finale" sono stati sistematicamente

soppressi".

Fonte: The Revised Hilberg, "Simon Wiesenthal Annal",

III, 1986, p. 294

Nell'edizione del 1961 si leggeva alla pagina 171: "Come si arrivò alla fase in cui si

decretava la morte? Essenzialmente con due decisioni di Hitler. Un ordine fu dato

nella primavera del 1941".

In quali termini sono stati dati questi ordini?

Hilberg: "Secondo il generale Jodl, che scrisse il documento che cito, i termini furono

i seguenti: Hitler ha detto di volere che i commissari bolscevichi ebrei siano liquidati.

Questo è il primo punto [...]. Tale era il contenuto dell'ordine descritto dal generale

Jodl [...]. L'or-dine era orale".


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Così: Hilberg ha detto che il generale Jodl aveva detto che Hitler aveva detto...!

Dalle sue prime diatribe antisemitiche in Mein Kampf Hitler proclama la volontà di

espellere gli ebrei dalla Germania. Terremo in considerazione, d'ora in avanti, solo i

testi tedeschi che usano l'espressione "soluzione finale", allo scopo di ottenerne una

definizione precisa.

Il 24 giugno 1940, dopo la vittoria sulla Francia, Heydrich, in una lettera a

Ribbentrop, ministro delle finanze, parla di "una soluzione finale territoriale" (eine

territoriale Endlösung).

Fonte: Gerald Flemming, Hitler und die Endlösung,

Wiesbaden-Monaco, 1982, p. 56

L'ipotesi è di creare fuori dall'Europa una "riserva" ebraica e Rib-bentrop suggerisce,

allora, il "progetto Madagascar".

Nel luglio 1940 il responsabile degli affari ebraici, Franz Rademacher, riassume così

questa direttiva: "Tutti gli ebrei fuori dall'Europa!"

Fonte: Joseph Billig, La solution finale de la question juive,

Parigi, CDJC, 1977, p. 58

Questa "soluzione finale territoriale" corrispondeva, in effetti, alla nuova situazione

della Germania, che ormai dominava l'Europa: non era più sufficiente espellere gli

ebrei dalla Germania.

Il responsabile del progetto di "soluzione finale" attraverso la deportazione di tutti gli

ebrei europei in Madagascar, Rademacher, fa notare che la realizzazione richiederà

quattro anni e, a proposito della sua copertura finanziaria, specifica: "La realizzazione

della soluzione finale proposta esige mezzi considerevoli".

Fonte: NG 2586

La lettera di Göring a Heydrich del 31 luglio 1941

Heydrich domanda a Göring: "Nel 1939 mi avete dato ordine di prendere delle misure

concernenti la questione ebraica. Devo adesso estendere il compito, che allora mi

avete assegnato, ai nuovi territori di cui ci siamo impadroniti in Russia?".

Anche qui niente sull'assassinio degli ebrei. Si tratta solo del loro trasferimento

geografico, che tenga semplicemente conto delle nuove condizioni (33.9373-9374)

[*].

L'unica "soluzione finale" consisteva, dunque, nello svuotare l'Europa dagli ebrei,

allontanandoli sempre di più, fino a che la guerra (supponendone la vittoria) avesse


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permesso di sistemarli tutti in un ghetto fuori dall'Europa (come suggeriva il progetto

Madagascar).

L'ipotesi del linguaggio in codice è insostenibile, dal momento che, per ciò che

riguarda gli altri crimini, i documenti esistono e sono chiari: l'eutanasia, l'ordine di

uccidere i commandos britannici, di linciare gli aviatori americani e di sterminare la

popolazione maschile di Stalingrado se la si fosse occupata. "Per tutti questi crimini i

documenti ci sono. Allora, come mai solo in questo caso non c'è niente, né gli

originali degli ordini né le copie", né, aggiungiamo, le circolari applicative

necessarie? (33.9375-9376)

"Nel gennaio 1942 Reynhard Heydrich, capo della Gestapo, aveva informato i

dirigenti di Berlino che il Führer aveva deciso l'evacuazione di tutti gli ebrei verso i

territori dell'Est, sostituendo così la deportazione precedentemente progettata"

(34.9544).

In una nota che circolò nel marzo 1942 nell'ufficio di Heydrich i ministri erano

informati del fatto che gli ebrei europei dovevano essere concentrati all'Est "in attesa

di poter essere inviati dopo la guerra in un territorio lontano, come il Madagascar, che

sarebbe diventato la loro sede nazionale" (34.9545-9546).

_______________

[*] I riferimenti ridotti a un numero rinviano al processo di Toronto del 1988,

nell'edizione del resoconto curata da Barbara Kulaszka nell'agosto 1992.

Poliakov nota: "fino al suo abbandono, il "Piano Madagascar" fu alle volte designato

dai dirigenti tedeschi sotto il nome di "soluzione finale" della "questione ebraica"".

Fonte: Léon Poliakov, Le Procès de Jérusalem, Parigi, 1963, p. 152

Per sostenere a tutti costi la tesi dello sterminio fisico è stato necessario, quindi,

trovare un sotterfugio: "Soluzione finale del problema ebraico fu una delle frasi

convenzionali per designare il piano hitleriano di sterminio degli ebrei europei".

Fonte: Gerald Reitlinger, La solution finale, p. 19

Del resto non c'è alcuna giustificazione per l'ipotesi del linguaggio codificato, che

permetterebbe di far dire ciò che si vuole a qualsiasi documento.

Ecco due esempi:

Il primo è la lettera di Göring del 31 luglio 1941 (un mese dopo la lettera di Heydrich

sopra citata il significato delle parole sarebbe bruscamente cambiato!).

Tramite questo scritto Göring completa le sue direttive a Heydrich: "In aggiunta al

compito che vi è stato assegnato col decreto del 24 gennaio 1939, vale a dire ricercare

per la questione ebraica, attraverso l'emigrazione e attraverso l'evacuazione, la

soluzione più vantaggiosa riguardo alle circostanze, vi incarico con la presente, di

procedere a tutti i preparativi necessari [...] per arrivare a una soluzione d'insieme


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(Gesamtlösung) della questione ebraica nella zona d'influenza tedesca in Europa [...].

Vi incarico di sottoporre rapidamente un progetto d'insieme (Gesamtentwurf) basato

sulle misure organizzative e sulle disposizioni concrete e materiali per realizzare la

soluzione finale della questione ebraica (Endlösung der Judenfrage) alla quale

aspiriamo".

Fonti: R. Hilberg, La destruction des juifs d'Europe,

II edizione, Parigi, Fayard, 1988, p. 401;

NG 2586 - EPS 710

È significativo che Reitlinger, citando questa lettera (a p. 108 del suo libro), sopprima

l'inizio riguardante l'emigrazione e l'evacuazione, mentre essa prescrive proprio il

rafforzamento delle misure di espulsione prese nel momento in cui Hitler dominava

solo la Polonia (gennaio 1939) e non ancora la Francia, mentre nel luglio 1941

controllava tutta l'Europa.

Il significato del testo di Göring è, tuttavia, perfettamente chiaro dai primi paragrafi:

la politica per l'emigrazione e per l'evacuazione degli ebrei, praticata fino a quel

momento in Germania, doveva estendersi ormai, in ragione delle recenti conquiste, a

tutte le regioni poste sotto la dominazione tedesca in Europa. La "soluzione

d'insieme" tiene conto della nuova situazione. Essa non potrà essere una "soluzione

finale" se non dopo il termine della guerra, quando, in caso di vittoria in Europa

(Russia compresa), un'evacuazione finale in Africa o altrove permetterà, secondo

l'obiettivo costante di Hitler, "di svuotare l'Europa dai suoi ebrei".

Riassumendo, la direttiva di Göring a Heydrich, a meno che non la si voglia

interpretare arbitrariamente in funzione di uno schema preconcetto, non fa che

applicare all'Europa quello che fino ad allora si era potuto applicare solo alla

Germania. Obiettivo senza alcun dubbio disumano e criminale, ma che non comporta

in alcun momento l'idea di "sterminio" attribuitagli dal procuratore di Norimberga

Robert M.W. Kempner, che dichiarò: "Con queste frasi Heydrich e i suoi collaboratori

erano ufficialmente incaricati dell'assassinio legale [degli ebrei]". Göring, che protestò

contro la traduzione inglese della parola tedesca Gesamtlösung, soluzione d'insieme,

come "soluzione finale" (Endlösung), costrinse il procuratore Jackson ad ammettere la

falsificazione e a ristabilire il vero significato dell'espressione.

Fonte: Trial of the Major War Criminals, cit., IX, p. 575

Fin dal 24 giugno 1940 Heydrich aveva informato Ribbentrop del suo desiderio di

realizzare al più presto la "soluzione finale". Egli scriveva: "Il problema globale,

rappresentato dall'attuale presenza di circa 3.250.000 di ebrei nei territori posti sotto

sovranità tedesca, non può più essere risolto con l'emigrazione: una soluzione finale

territoriale diviene quindi necessaria".

Fonte: Documento n. 464 del processo Eichmann a Gerusalemme

In quello stesso periodo Himmler aveva spedito a Hitler una nota che concludeva:

"Spero di vedere la questione ebraica definitivamente risolta, grazie all'emigrazione di

tutti gli ebrei verso l'Africa o in una colonia".


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Fonte: "Vierteljahreshefte", 1957, p. 197

Hitler seguì questo suggerimento quando il responsabile dell'ufficio Deutschland III al

ministero degli affari esteri, Rademacher, scrisse in una lettera ufficiale del 10

febbraio 1942:

"Nel frattempo la guerra contro l'Unione Sovietica ci ha permesso di disporre di nuovi

territori per la soluzione finale. Di conseguenza il Führer ha deciso di spostare gli

ebrei non in Madagascar, ma verso l'Est. Così non c'è più bisogno di tenere in

considerazione il Mada-gascar per la soluzione finale".

Fonte: Documento NG 3933 del processo della Wilhelmstrasse

Reitlinger The final solution, cit., p. 79

lo interpreta ancora in senso di "fiction" o "mascheramento"

senza darne la minima giustificazione

L'espressione originale è in realtà die Gesamtlösung der Judenfrage o la soluzione

d'insieme sulla quale non si sarebbe più tornati. Ma Göring, che la impiegò per la

prima volta nel primo paragrafo di una lettera datata 31 luglio 1941, con la quale dava

a Heydrich l'ordine di prepararla (Trial of the Major War Criminals, cit., XXVI, PS

710, p. 266), usò nell'ultimo paragrafo l'espressione die Endlösung der Ju-denfrage e

quest'ultima prevalse, ma con lo stesso senso e non con quello di liquidazione del

problema attraverso l'eliminazione di coloro che ne erano l'oggetto. Colto in flagrante

delitto di traduzione tendenziosa dallo stesso Göring, il giudice Jackson dovette

convenirne a Norimberga il 20 marzo 1946 (op. cit., IX, p 552). Ma di questo

incidente, che distruggeva tutta una teoria, la stampa non fece parola.

Il secondo esempio di cambiamento arbitrario del senso delle parole per giustificare

una tesi è quello della conferenza detta di Wannsee tenuta a Berlino il 20 gennaio

1942.

Dall'inizio della riunione Heydrich ricorda che è stato appena nominato "al posto di

responsabile incaricato della preparazione della soluzione finale della questione

ebraica in Europa (Endlösung der europäischen Judenfrage)". Egli sarà ormai il

responsabile del complesso di misure necessarie alla soluzione finale della questione

ebraica "senza considerazione dei limiti geografici" (corsivo mio R.G.).

Heydrich riassume in seguito la politica anti-ebraica seguita fino ad allora:

a) Il raggruppamento degli ebrei fuori dalle sfere vitali del popolo tedesco.

b ) Il raggruppamento degli ebrei fuori dagli spazi vitali del popolo tedesco.

Dopo la folgorante avanzata della Reichswehr sul fronte orientale (Unione Sovietica),

Heydrich prende atto di questa nuova situazione: "Con l'autorizzazione preliminare

del Führer, l'emigrazione ha lasciato il posto a un'altra soluzione possibile:

l'evacuzione degli ebrei verso l'Est" (corsivo mio R.G.).


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"Queste azioni non si potrebbero tuttavia considerare che come dei palliativi, ma le

esperienze pratiche già fatte in questo campo sono molto importanti per la futura

soluzione finale della questione ebraica".

Fonte: NG 2586 G

La soluzione finale, in effetti, non poteva essere messa in atto prima della fine della

guerra e questa soluzione fu sempre cercata nella stessa direzione: l'espulsione di tutti

gli ebrei dall'Europa. Fu ciò che disse espressamente Hitler ad Abetz, ambasciatore a

Parigi, comunicandogli che l'intenzione di evacuare tutti gli ebrei d'Europa dopo il

conflitto.

Fonte: Documents on German Foreign Policy 1918-1945,

Serie D, X, p. 484

Il protocollo di Wannsee (20 gennaio 1942)

Il verbale della conferenza di Wannsee recita:

"Nel corso della soluzione finale gli ebrei saranno instradati, sotto appropriata

sorveglianza, verso l'Est, al fine di utilizzare il loro lavoro. Saranno separati in base al

sesso. Quelli in grado di lavorare saranno condotti in grosse colonne nelle regioni di

grandi lavori per costruire strade, e senza dubbio un grande numero morirà per

selezione naturale. Coloro che resteranno, che certo saranno gli elementi più forti,

dovranno essere trattati di conseguenza, perché rappresentano una selezione naturale,

la cui liberazione dovrà essere considerata come la cellula germinale di un nuovo

sviluppo ebraico (come mostra l'esperienza della storia)" (13.3133).

Irving: "Ho letto i resoconti del processo della Wilhelmstrasse, il secondo dopo quello

di Norimberga. In seguito ve ne sono stati dodici. Nessuno di essi ha provato che alla

conferenza di Wannsee si sia discusso dell'eliminazione degli ebrei" (33.9372-9373).

Il protocollo di Wannsee è il resoconto di una conferenza alla quale parteciparono i

segretari di Stato amministrativamente interessati alla soluzione della questione

ebraica e i capi dei servizi incaricati della sua realizzazione. Si tratta di un testo in cui

non si parla né di camere a gas né di sterminio, ma solo di trasferimento degli ebrei

nell'Est europeo.

Questo resoconto presenta, d'altra parte, tutte le caratteristiche di un documento

apocrifo, se ci si riferisce alla fotocopia che è stata pubblicata nel libro di Robert

N.W. Kempner, Eichmann und Kom-plizen, Francoforte sul Meno, Europa Verlag,

1961, pp. 132 s.: nessun timbro, nessuna data, nessuna firma, caratteri di una normale

macchina da scrivere su carta di formato ridotto, ecc.

In ogni caso non vi si parla di camere a gas.

Nelle versioni francesi che ne sono state date, per esempio, si è tradotta la frase "die

Züruckdrängung der Juden aus dem Lebensraum des deutschen Volkes" con


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"l'eliminazione degli ebrei dallo spazio vitale dei tedeschi", dando, nei commenti, alla

parola "eliminazione" il senso di "sterminio", mentre si tratta di "cacciata degli ebrei

fuori dallo spazio vitale del popolo tedesco". Si è proceduto allo stesso modo nelle

traduzioni in inglese e in russo.

Tuttavia i tedeschi, per esprimere la loro decisione di cacciare gli ebrei fuori da quello

che essi chiamavano il loro spazio vitale, impiegarono più volentieri altre espressioni

con lo stesso senso, come Auschaltung (esclusione, evizione, eliminazione) o,

soprattutto, Aus-rottung (estirpazione, sradicamento). Quest'ultima parola è stata

tradotta con sterminio che in tedesco si dice invece Vernichtung. Esempio: a Posen il

4 ottobre 1943 Himmler disse agli Obergrup-penführer (generali di divisione delle

Waffen SS): "Ich meine jetz die Judenevakuierung, die Ausrottung des jüdischen

Volkes [...]. Das jüdische Volk wird ausgerotten", ecc. Precisando il suo pensiero

nella frase seguente, egli usò la parola Auschaltung (Trial of the Major War

Criminals, cit., XXIX, PS 1919, p. 145). Letteralmente: "Io penso ora all'evacuazione

degli ebrei, all'estirpazione del popolo ebraico". Ma nel Dossier Eichmann Billig

traduce: "Io intendo, con ciò, l'evacuazione degli ebrei, lo sterminio del popolo

ebraico" (p. 55) e "evacuazione degli ebrei, vale a dire sterminio" (p. 47).

Altro esempio:

In una nota del 16 dicembre 1941 Rosenberg, a proposito di uno dei suoi incontri con

Hitler (Trial of the Major War Criminals, cit., XXVII, PS 1517, p. 270) usa

l'espressione "Ausrottung des Judentum". Nell'udienza del 17 aprile 1946 l'avvocato

generale americano Dodd tradusse "sterminio degli ebrei" (op. cit., XI, p. 562).

Rosenberg protestò invano. Ma, nei discorsi dei nazisti, l'espressione "Ausrottung des

Christentums", che appare spesso, è tradotta ogni volta con "estirpazione del

cristianesimo dalla cultura tedesca" (cfr "Revue d'Histoire de la seconde guerre

mondiale", 1 o ottobre 1958, p. 62). La parola Ausrottung significherebbe sterminio

solo quando si tratta di ebraismo (Judentum) o di popolo ebraico (das jüdische Volk).

La conferenza di Wannsee del 20 gennaio 1942, nella quale si è preteso, durante più

di un terzo di secolo, che fosse stata presa la decisione di "sterminare" gli ebrei

europei, sparì a partire dal 1984 anche dalla letteratura dei più feroci nemici dei

"revisionisti". Su questo punto avevano dovuto anch'essi "revisionare" la loro storia:

al congresso di Stoccarda del maggio 1984 questa "interpretazione" fu abbandonata.

Fonte: Eberhard Jackerl e Jurgen Rohwer,

Der Mord an den Juden im Zweiten Weltkrieg,

(La morte degli ebrei durante la seconda guerra mondiale),

DVA, 1985, p. 67

Nel 1992 Yehuda Bauer ha scritto sul "Canadian Jewish News" del 30 gennaio che

questa interpretazione di Wannsee è "stupida" (silly).

Infine il più recente portavoce degli storici ortodossi, antirevisionisti, il farmacista

Jean-Claude Pressac, conferma questa nuova versione dell'ortodossia. Egli scrive a

pagina 35 del suo libro Les crématoires d'Auschwitz. La machinerie du meurtre de

masse, Parigi, CNRS, 1993:


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"Il 20 dicembre si tenne a Berlino la conferenza di Wannsee: se un'azione per

"ricacciare indietro gli ebrei verso Est fu certo prevista, con l'evocazione di una

eliminazione "naturale" attraverso il lavoro, nessuno parlò allora di liquidazione

industriale. Nei giorni e nelle settimane che seguirono, la Bauleitung di Auschwitz

non ricevette né un richiamo, né un telegramma né una lettera che reclamassero lo

studio di una istallazione adatta a questo scopo".

E anche nella sua Chronologie récapitulative egli, alla data del 20 gennaio 1942,

indica: "Conferenza di Wannsee sull'evacuazione e la cacciata degli ebrei verso l'Est"

(p. 114).

Lo "sterminio" è stato revisionato: si tratta di "cacciata".

È ugualmente rimarchevole come, in tutto questo libro, che si propone l'obiettivo di

"provare" la tesi dello sterminio, non si faccia più parola del documento che, oltre a

quello di Wannesee, era, si dice, il più determinante: la lettera di Göring a Heydrich

del 31 luglio 1941, rispetto alla quale si affermava che "soluzione finale" significava

"sterminio" e non trasferimento fuori dall'Europa.

All'epoca del processo di Toronto, nel 1988, ci furono anche delle controversie sul

ruolo delle Einsatzgruppen, sorta di corpi franchi destinati dall'alto comando

hitleriano ad annientare i gruppi di partigiani che si formarono a partire dalla

folgorante avanzata tedesca su Mosca e che avevano il compito di distruggere i

depositi di benzina, i centri di rifornimento, e i mezzi di comunicazione per

disorganizzare le retrovie dell'esercito tedesco. Questa resistenza si rivelò così

efficace che Hitler diede ordini severissimi alle Einsatzgruppen per eliminare i

dirigenti e i commissari politici dei partigiani. Tra questi commissari politici svolsero

un ruolo importante e affrontarono la morte numerosi ebrei.

Al processo di Toronto fu ampiamente evocata la partecipazione di questi eroici ebrei

alla resistenza contro l'hitlerismo.

L'avvocato di Zündel, Christie, tenne a far precisare allo storico Hilberg il senso degli

ordini nazisti a questo proposito:

"Christie: L'ordine dato alle Einsatzgruppen dice: Annientare i commissari

bolscevichi ebrei? E voi interpretate che questo significhi: Annientare il popolo

ebraico e i suoi commissari ebraici? È esatto?

"Hilberg: Esatto.

"Christie: È stato detto dunque, secondo voi, che non si trattava di uccidere gli ebrei

ma i commissari politici giudeo-bolscevichi.

"Hilberg: L'ordine dato a Himmler è di "risolvere il problema" (4-839).

"Christie: Si tratta del problema dei commissari politici giudeo-bolscevichi. Che non

significa problema ebraico... Non c'era una guerra tra il comunismo e il nazismo?

"Hilberg: Sì, e i commissari politici, anima del sistema, dovevano essere fucilati.


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"Christie: Questo non significa uccidere gli ebrei che si trovavano laggiù. Hitler

pensava che il bolscevismo fosse di origine ebraica e che tutti i commissari fossero

ebrei?

"Hilberg: Si trattava di propaganda. Ma era l'intenzione fin dall'inizio, dal 22 giugno

1941.

"Christie: Si tratta dunque di un articolo di fede per voi?

"Hilberg: No. Non è un articolo di fede, è una certezza.

"Christie: Potete mostrarmi il secondo ordine di Hitler?

"Hilberg: Affermo che esiste una direttiva decisiva di Hitler, illustrata da Göring a

Heydrich il 31 luglio 1941... è il testo che prepara la conferenza di Wannsee.

"Christie: Era un ordine o una lettera di Hitler?

"Hilberg: No.

"Christie: Nel vostro libro avete scritto: "Hitler ha dato questo secondo ordine". È

esatto?

"Hilberg: È esatto.

"Christie torna sul significato della parola "resettlement" (trasferimento) all'Est:

"Questo significa un ordine di uccidere tutti gli ebrei?".

"Hilberg: "Trasferimento" era sinonimo di "deportazione degli ebrei nei campi della

morte".

"Christie: Non esisteva un piano di deportazione degli ebrei in Madagascar?" (4.855).

* * *

Lo storico inglese David Irving, al processo di Toronto, fornisce sulla "soluzione

finale" queste notizie attinte alla fonte:

"La soluzione finale del problema ebraico consisteva nel deportare gli ebrei in vari

territori. Una delle ipotesi fu il Madagascar, soprattutto dopo la disfatta della Francia,

ma la potenza delle flotte britanniche, poi di quelle americane, rese impossibile

realizzare questo progetto.

"Il solo documento che possiedo è una conversazione telefonica del primo ministro

Lammers con il Führer, della primavera del 1942, in cui Hitler rispose che la

soluzione finale sarebbe stata decisa solo dopo la conclusione della guerra.

"Heinrich Himmler scrisse ai Gauleiters che il Führer, Adolf Hitler, gli aveva dato

ordine di ripulire l'Europa dai suoi ebrei da Ovest a Est per tappe. Si trattava

evidentemente di deportazione" (33.9351-9352).


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"Ma questo non comportava alcun ordine di sterminio degli ebrei. Nessuna direttiva di

questo genere è stata data, non se ne trova traccia in nessun archivio del mondo,

compresi quelli ebraici che hanno cooperato con me. Devo inoltre sottolineare che

negli archivi britannici, dove abbiamo decifrato i codici tedeschi delle unità SS

operanti sul fronte dell'Est, nemmeno con le macchine inglesi per decifrare i codici

abbiamo trovato qualcosa in cui Hitler impartisce l'ordine di uccidere gli ebrei"

(33.9376). Hanno potuto farlo solo gli storici che hanno preteso di leggere tra le righe

e nel tradurre hanno dato libero sfogo alla loro indignazione.

* * *

L'avvocato Christie cita la pagina 651 del libro di Hilberg dove si legge: "Nel

novembre del 1944 Himmler decise che, per ogni sorta di ragioni pratiche, la

questione ebraica era risolta. Il 25 dello stesso mese egli ordinò lo smantellamento di

tutte le installazioni di morte".

Fonte: Testimonianza di Kurt Becher, 8 marzo 1946, PS 3762

Hilberg riconosce che questo non fu un ordine di Himmler (4.861-864): "Becher,

probabilmente, l'ha riportato a memoria nella sua te-stimonianza. Non c'era quindi

bisogno di riprendere il linguaggio preciso usato da Himmler" (4.867).

Una volta di più Hilberg dice che Becher ha detto che Himmler aveva detto...

Ora, al termine di lunghe ricerche storiche, fatte da studiosi di tutte le origini sotto la

pressione delle critiche revisionistiche, il direttore dell'Istituto di storia contemporanea

del Centro Nazionale della Ricerca scientifica, François Bedarida, riassume questo

lavoro su L'evaluation des victimes d'Auschwitz: "La memoria collettiva si è

appropriata della cifra di quattro milioni la stessa che, stando a un rapporto sovietico,

figurava finora ad Auschwitz sul monumento innalzato in memoria delle vittime del

nazismo , mentre a Gerusa-lemme il museo di Yad Vashem indicava un totale molto

al disopra della realtà. Tuttavia, dalla fine della guerra, la memoria scientifica si era

messa al lavoro. Da queste pazienti e minuziose investigazioni è risultato che la cifra

di quattro milioni non poggiava su alcuna seria base, né poteva essere sostenuta.

"Il tribunale, del resto, si basava su un'affermazione di Eichmann, secondo la quale la

politica di sterminio aveva causato la morte di sei milioni di ebrei, di cui quattro

milioni nei campi.

"Se adesso ci si rapporta ai lavori più recenti e alle più affidabili statistiche è il caso

dell'opera di Raul Hilberg, La Destruction des Juifs d'Europe , si arriva a circa un

milione di morti ad Auschwitz. Un totale corroborato dall'insieme degli specialisti,

giacché oggi essi concordano su un numero di vittime che oscilla tra un minimo di

950.000 e un massimo di 1.200.000".

Fonte: "Le Monde", 23 luglio 1990

Infatti, nell'edizione tedesca del suo libro, Jean-Claude Pressac ridurrà un'altra volta

questa cifra a 600.000 e la serie di revisioni probabilmente non è terminata.


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Tuttavia, dopo che il numero delle vittime di Auschwitz-Birkenau è stato ridotto da 4

milioni a 1.000.000, si continua a ripetere la cifra globale di 6 milioni di ebrei

sterminati, secondo la strana aritmetica: 6 - 3 = 6.

Che la "soluzione finale" del problema ebraico non si sarebbe concretizzata se non

dopo la guerra è testimoniato anche dalla Braun Mappe dell'estate 1941. Il paragrafo

intitolato "Direttive per la soluzione della questione ebraica" precisa: "Tutte le misure

concernenti la questione ebraica nei territori occupati dell'Est saranno prese dopo la

guerra e allora la questione ebraica troverà in Europa una soluzione generale".

Fonti: PS 702; Henri Monneray, La persécution des juifs dans les pays

de l'Est présentée à Nuremberg, CDJC, 1949

Questa messa a punto non comporta alcuna attenuazione dei crimini di Hitler, ma

richiama semplicemente un'evidenza che non può sfuggire neppure ai più accaniti

sostenitori della tesi dello "sterminio": Hitler negli ultimi due anni di guerra, dopo

Stalingrado, è ridotto agli estremi, gli alleati distruggono con i loro bombardamenti i

suoi centri di produzione bellica e disorganizzano i suoi trasporti; egli è costretto a

mobilitare dei nuovi effettivi svuotando le fabbriche e non avrebbe avuto che questa

ossessione, fatale per il suo sforzo bellico, di sterminare i suoi prigionieri e i suoi

ebrei, invece di impiegarli, foss'anche in condizioni disumane, nel lavoro dei cantieri.

Poliakov stesso, nel suo Bréviaire de la Haine (Parigi, Calmann-Levy, 1961 [1951],

p. 3) sottolinea questa assurda contraddizione: "È molto più economico colpirli con i

lavori più duri, ammassandoli per esempio in una riserva".

La Arendt mostra anche il lato demenziale di una simile operazione: "I nazisti

spinsero l'inutile fino al dannoso quando, in piena guerra, e malgrado la penuria di

materiali da costruzione e di rotabili, avviarono enormi e costose imprese di sterminio

e organizzarono il trasporto di milioni di persone. [...] la contraddizione manifesta tra

questo modo di agire e gli imperativi militari dà a tutta la faccenda un'aria folle e

chimerica".

Fonte: Hannah Arendt, Le système totalitaire, Parigi, 1972, p. 182

Quello che è ancora più strano è che spiriti così sottili, come Poliakov o Hannah

Arendt, siano stati obnubilati fino a questo punto dai loro a priori, che non abbiano

messo in causa le loro ipotesi surreali e non siano ricorsi ai documenti e ai fatti. Ad

Auschwitz-Birke-nau si trovavano dei potenti impianti della Farben-Industrie

(chimici), della Siemens (trasporti) e della Portland (costruzioni). A Monovitz (uno

dei campi annessi ad Auschwitz) lavoravano 10.000 detenuti, 100.000 operai civili e

1.000 prigionieri inglesi.

Fonte: Central Commission for Investigation of German

Crimes in Poland, German crimes in Poland, Varsavia, 1946, I, p. 37

Dal 1942 al 1944, sui 39 campi satelliti di Auschwitz 31 utilizzavano i detenuti come

mano d'opera e 19 impiegavano in maggioranza ebrei.


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Il 25 gennaio 1942 Himmler inviò all'ispettore generale dei campi di concentramento

la seguente direttiva: "Preparatevi ad accogliere 100.000 ebrei [...]. Importanti compiti

economici saranno assegnati ai campi di concentramento nelle prossime settimane".

Fonte: NO 020-a

Nel maggio 1944 Hitler ordinò di utilizzare 200.000 ebrei come operai nel

programma delle costruzioni Jager e nell'organizzazione Todt.

Un ordine dell'SSWVHA del 18 novembre 1943 aggiudicava un premio ai detenuti

anche ebrei che si fossero distinti nel lavoro.

Fonte: Centro del Museo di Auschwitz, 6 - 1962, p. 78

Non si tratta, dunque, di una faccenda "folle e chimerica", ma, al contrario, di

realismo implacabile. Soprattutto ciò costituisce una confutazione supplementare

delle tesi "sterminazioniste".

2. (2a parte)

Il mito della giustizia di Norimberga

Le testimonianze

Al processo di Auschwitz, che ebbe luogo a Francoforte dal 20 dicembre 1963 al 20

agosto 1965, in un grande teatro, come si conviene a un'operazione politica molto

spettacolare, la formidabile messa in scena giudiziaria non poté evitare che nel

dispositivo della sentenza la Corte d'assise fosse costretta a riconoscere che aveva

elementi irrisori per emettere il verdetto.

"Sono mancati alla Corte quasi tutti i mezzi d'informazione di cui si dispone in un

normale processo criminale per avere un'immagine fedele dei fatti, così come sono

realmente accaduti al momento dell'omicidio. Sono mancati i cadaveri delle vittime, i

rapporti d'autopsia, le conclusioni degli esperti sulle cause del decesso; sono mancate

le tracce lasciate dai colpevoli, le armi del delitto, ecc. La verifica delle testimonianze

non è stata possibile che in rari casi".

Fonte: Dispositivo della sentenza, p. 109

Pertanto l'arma del crimine era rappresentata, secondo gli accusatori, dalle "camere a

gas" ed ecco che i giudici non ne avevano trovato "traccia"! Era senza dubbio

sufficiente che un fatto fosse di "notorietà pubblica". Come ai tempi dei processi alle

streghe, quando nessuno avrebbe osato mettere in dubbio il loro "commercio carnale"

col diavolo senza rischiare di finire sul rogo.


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Stephen S. Pinter, uno dei giuristi inviati dagli Stati Uniti a Da-chau, divenuto campo

americano e centro di "processi contro i crimini di guerra", scrisse:

"Ho vissuto a Dachau per 17 mesi dopo la guerra come giudice militare degli Stati

Uniti e posso testimoniare che non ci furono camere a gas a Dachau: quella che ai

visitatori è presentata falsamente come una camera a gas è un forno crematorio. Allo

stesso modo non ci fu alcuna camera a gas negli altri campi di concentramento

tedeschi. Ci è stato detto che c'era una camera a gas ad Auschwitz, ma siccome il

campo di Auschwitz si trovava in zona russa, non abbiamo, da parte dei russi, il

permesso di visitarlo [...].

"Si è fatto così uso del vecchio mito propagandistico secondo il quale milioni di ebrei

sono stati uccisi. Posso affermare, dopo 6 anni di dopoguerra passati in Germania e in

Austria, che sono stati uccisi molti ebrei, ma che la cifra di un milione non è stata mai

raggiunta e credo di essere più qualificato a questo riguardo di chiunque altro".

Fonte: Lettera di Stephen S. Pinter

al settimanale cattolico "Our Sunday Visitor", 14 giugno 1959, p. 15

In mancanza di prove scritte, di documenti incontestabili, il tribunale di Norimberga

dovette, come tutta la letteratura romanzesca e le successive opere cinematografiche,

basarsi su "testimonianze".

I superstiti chiamati a testimoniare, che hanno confermato l'esistenza delle camere a

gas, l'hanno fatto non in seguito a ciò che avevano visto, ma in seguito a quello che

avevano "sentito dire".

Un esempio tipico e illustre è quello del dottor Benedict Kautsky, figlio di Karl e

membro della direzione del partito socialdemocratico austriaco. Dopo aver dichiarato

che ad Auschwitz si sopravviva al massimo per tre mesi (mentre lui stesso vi fu

detenuto per tre anni), Kautsky scrisse Teufel und Verdammt (Il diavolo e il dan-nato),

pubblicato in Svizzera nel 1946, nel quale a proposito delle "camere a gas" si legge:

"Io personalmente non le ho mai viste, ma la loro esistenza mi è stata confermata da

molte persone degne di fede".

"Ich will hier noch eine kurze Schilderung der Gaskammern ein-flechten, die ich zwar

selbst nicht gesehen habe, die mir aber von so vielen glaubwürdig dargestellt worden

sind".

Alcune testimonianze, specialmente quelle di Rudolf Höss, di Saukel e di Nyiszli

(Medico ad Auschwitz), furono ritenute fondamentali. Il testimone chiave, che si

rivelò perfetto per "provare" la tesi dei vincitori travestiti da giudici, fu Rudolf Höss,

ex-comandante del campo di Auschwitz.

Il riassunto che fece del suo arresto, fulcro della sua deposizione a Norimberga,

corrispondeva a tutto quello che il tribunale si aspettava da lui.

Ecco la dichiarazione, fatta sotto giuramento e firmata da Rudolf Höss il 5 aprile

1946: "Ho comandato Auschwitz fino al 1 o dicembre 1943 e ritengo che almeno

2.500.000 vittime vi siano state sterminate tramite gassazione e cremazione e che


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almeno un altro mezzo milione sia morto per fame e per malattia, per un totale di

circa 3.000.000. La "soluzione finale" della questione ebraica significava lo sterminio

di tutti gli ebrei d'Europa. Io ricevetti l'ordine di preparare lo sterminio ad Auschwitz

nel giugno 1941. In quell'epoca c'erano già altri tre campi di sterminio nel

governatorato generale: Belzec, Treblinka, Wolzek".

Non si potrebbe immaginare una conferma più perfetta delle tesi rese popolari dai

media durante mezzo secolo. E intanto, in questo stesso testo, si trovano già tre

controverità manifeste.

Il numero di 3 milioni di morti ad Auschwitz, necessario per giustificare il totale delle

vittime ebraiche (6 milioni), ufficialmente proclamato all'inizio del gioco a

Norimberga e che non ha smesso di essere il leitmotiv della storia ufficiale e dei

media da allora, deve essere ridotto almeno di 2/3 come prova la nuova targa

commemorativa di Auschwitz-Birkenau, che ha sostituito la cifra di 4 milioni con: un

po' più di un milione.

I campi di Belzec e di Treblinka nel 1941 non esistevano. Essi non furono aperti che

nel 1942.

Quanto al campo di Wolzek, non è mai esistito.

Come si è potuta registrare questa "testimonianza capitale" senza verifica

preliminare? Höss stesso lo spiega: le prime dichiarazioni furono scritte sotto il

controllo delle autorità polacche che lo avevano arrestato.

Il libro intitolato Commandant d'Auschwitz: l'autobiographie de Rudolf Höss, (Parigi,

Juillard, 1959, e Maspéro, 1979) specifica: "Al momento del mio primo interrogatorio

le confessioni furono ottenute picchiandomi. Non so che cosa c'è in quel rapporto

benché io l'abbia firmato" (5.956).

(Nota a fondo pagina: "Un documento dattilografato di 8 pagine è stato firmato da

Höss alle 2 e 30 del mattino il 14 marzo 1946. Non differisce essenzialmente da ciò

che ha scritto e detto a Norimberga o a Cracovia").

Höss stesso descrive, nelle sue note manoscritte di Cracovia, le circostanze del primo

interrogatorio, cui fu sottoposto dalla polizia britannica: "Sono stato arrestato l'11

marzo 1946 alle ore 23 [...]. La Field Security Police mi ha inflitto trattamenti

durissimi. Mi hanno trascinato fino a Heide, proprio nella caserma in cui otto mesi

prima ero stato rilasciato dagli inglesi. È lì che si è svolto il mio primo interrogatorio,

per il quale si usarono argomenti sorprendenti. Io non conosco il contenuto del

verbale, sebbene l'abbia firmato. Tanto alcool e tanti colpi di frusta sono stati troppo,

anche per me [...]. Qualche giorno dopo sono stato portato a Minden-am-Weser,

centro principale d'interrogatorio della zona britannica. Là mi hanno trattato ancora

peggio, per mano di un procuratore pubblico, di un comandante".

Fonte: Documento NO - 1210

Solo nel 1983 si è avuta la conferma delle torture inflitte a Rudolf Höss per ottenere le

prove dei "2 milioni e mezzo" di ebrei da lui sterminati ad Auschwitz a partire dal


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1943. Il libro è scritto da Ruppert Butler e porta il titolo di Legions of Death (Le

legioni della morte), Hamlyn Paperbacks. Contiene la testimonianza di Bernard

Clarke (che arrestò Höss dopo aver ottenuto da sua moglie, minacciata di morte

insieme con i figli, l'indirizzo della cascina in cui si nascondeva e in cui fu catturato

l'11 marzo 1946). Butler racconta che furono necessari tre giorni di torture per

ottenere una "dichiarazione coerente" (quella che abbiamo appena citato, firmata il 14

marzo 1946 alle 2 e 30 del mattino). Dal momento del suo arresto Höss fu picchiato al

punto che "alla fine l'ufficiale sanitario intervenne con insistenza presso il capitano:

ditegli di fermarsi o riporterete un cadavere".

Bisogna notare che Butler e il suo interlocutore Clarke sembravano molto soddisfatti

di queste torture.

La commissione d'inchiesta americana, composta dai giudici Van Roden e Simpson,

inviata in Germania nel 1948 per svolgere un'inchiesta sulle irregolarità commesse dal

tribunale militare americano di Dachau che aveva giudicato 1.500 prigionieri tedeschi,

condannandone a morte 420 , stabilì che gli accusati erano stati sottoposti a torture

fisiche e psicologiche di ogni tipo al fine di ottenere le "confessioni desiderate".

Così, su 137 dei 139 casi esaminati, i prigionieri tedeschi avevano ricevuto, nel corso

degli interrogatori, dei calci nei testicoli che avevano lasciato loro danni irreversibili.

Fonte: Intervista al giudice Edward L.Van Roden rilasciata

alla rivista "The Progressive" del febbraio 1949

Il processo di Auschwitz

La sorte del principale accusato, l'ultimo comandante di Auschwitz Richard Baer, che

doveva morire prima dell'inizio del processo, è particolarmente degna di interesse.

Egli fu arrestato nel dicembre 1960 nei dintorni di Amburgo, dove viveva facendo

l'operaio forestale. Nel giugno 1963 morì in prigione in circostanze misteriose.

Secondo diverse fonti, che hanno per origine i resoconti della stampa francese, Baer,

nel corso della detenzione preventiva, si era ostinatamente rifiutato di confermare

l'esistenza di camere a gas nel settore posto un tempo sotto la sua responsabilità.

Fonte: Hermann Langbein, Der Auschwitz Prozess,

Europäische Verlagsanstalt, Francoforte, 1965

Il rapporto d'autopsia dell'istituto medico-legale dell'Università di Francoforte stabilì:

"l'ingestione di un veleno inodore e non corrosivo [...] non può essere esclusa".

L'avvocato di Norimberga, Eberhard Engelhardt, cita questo passaggio del rapporto

d'autopsia in una lettera indirizzata alla procura di Francoforte il 12 novembre 1973 e

afferma che Baer è stato avvelenato durante l'inchiesta.

Secondo esempio: il rapporto Gerstein, ufficiale della Waffen SS, così visibilmente

aberrante che fu rifiutato come prova dal Tribunale militare di Norimberga il 30

gennaio 1946, ma fu utilizzato al processo Eichmann a Gerusalemme nel 1961.


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Questa "testimonianza" faceva salire il numero delle vittime (indicato in 60.000 al

giorno in tre campi: Belzec, Treblinka e Sobibor) a 25.000.000!

Fonte: Cote PS 1553

Inoltre si sono viste da 700 a 800 persone ammucchiate in piedi in uno spazio di 25

metri quadrati (più di 28 per metro quadrato!)

Roques redasse una tesi che dimostrava l'inconsistenza del "rapporto Gerstein",

ottenendo la menzione "molto bene". Alain Decaux, nel "Matin de Paris" del 13

dicembre 1986, scrisse che "tutti i ricercatori avrebbero dovuto ormai tenere conto di

questo lavoro", aggiungendo che il professor Roques era "l'uomo [...] meglio

informato sull'affare Gerstein".

Si cercarono quindi dei motivi amministrativi contro di lui.

Dato che aveva preparato la sua tesi a Parigi, sotto la direzione del professor Rougeot

e la discussione della tesi era stata trasferita a Nantes, sotto la direzione del professor

Rivière, in modo perfettamente regolare, egli non aveva pagato la sua iscrizione alla

facoltà di lettere di Nantes! Fu così che Henri Roques si vide ritirare il titolo di

dottore.

Terzo esempio, per limitarci ai "testimoni" più celebri: Miklos Nyiszli, medico

ungherese deportato che scrisse Médecin à Auschwitz (pubblicato, a partire dal 1953,

da Jean Paul Sartre su "Les Temps Modernes" e ristampato da Tibere Kremer, Parigi,

Juillard 1961).

Le camere a gas, ci dice Miklos Nyiszli, erano lunghe 200 metri e, come precisa il

documento prodotto a Norimberga, avevano una superficie di 210, 400 o 580 m2, con

larghezze rispettive di metri 1,05, 2 o 2,90.

Secondo Miklos Nyiszli riuscivano a starvi e a circolarvi facilmente 3.000 persone,

nonostante il fatto che vi fossero della colonne al centro e dei banchi ai lati.

È significativo che l'Encyclopaedia Judaica (1971) e l'Encyclo-paedia of the

Holocaust (1990) non menzionino neppure quest'opera, di cui attestano senza dubbio

il discredito che l'accompagna dopo la critica effettuata da Paul Rassinier.

La prima affermazione di Nyiszli è che, quando arrivò al campo (alla fine del maggio

1944), gli stermini col gas erano in atto da 4 anni. Ora, il documento di Norimberga

(NO 4.401) indica che gli ordinativi per i crematori furono inoltrati solo nel 1942 e il

documento 4.463 che essi furono pronti solo il 20 febbraio 1943.

Nell'agosto 1960 l'Istituto di storia contemporanea (Institut für Zeitgeschichte) di

Monaco comunicava alla stampa:

"Le camere a gas di Dachau non sono mai state terminate né messe in funzione [...].

Gli stermini in massa degli ebrei sono cominciati nel 1941-42 e solamente in alcune

zone della Polonia occupata, all'interno di installazioni tecniche previste a questo

scopo, ma in nessun caso in territorio tedesco".


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Fonte: "Die Zeit", 19 agosto 1960

Altri esempi:

Sauckel (uno dei principali accusati). Seduta del 30 maggio 1946 del Tribunale di

Norimberga:

"Confermo che la mia firma figura in quel documento. Chiedo al tribunale il permesso

di spiegare come fu ottenuta.

"Il documento mi fu presentato nella sua forma finale. Chiesi il permesso di leggerlo e

di studiarlo per decidere se dovevo sottoscriverlo. Ciò mi fu rifiutato... Poi un

poliziotto polacco o russo entrò e chiese: "Dov'è il foglio di Sauckel? Prenderemo

Sauckel con noi, ma la sua famiglia sarà portata in territorio sovietico". Io sono padre

di 10 bambini e firmai, pensando alla mia famiglia".

* * *

Tra le testimonianze dei criminali quella del generale Ohlendorf è particolarmente

rivelatrice. Egli diresse dall'estate 1941 all'estate 1942 le Einsantzgruppen incaricate

di giustiziare i commissari politici dei partigiani nella Russia meridionale. Al processo

del Tribunale Militare Internazionale, nel quale furono giudicati i più alti responsabili

del regime hitleriano, egli dichiarò che aveva ricevuto degli ordini orali per

aggiungere alle sue funzioni quelle di sterminare gli ebrei utilizzando i camion

attrezzati per dare la morte anche alle donne e ai bambini.

Fonti: Trial of the Major War Criminals, cit., IV, pp. 311-355,

e XXII, pp. 478-480, 491-494, 509-510 e 538

La testimonianza del generale Ohlendorf al momento dei processi minori di

Norimberga è del tutto diversa: inizialmente, egli ritrattò le sue dichiarazioni

precedenti sull'ordine orale di sterminio degli ebrei, riconobbe di avere ucciso degli

ebrei e degli zingari, ma nel quadro della lotta contro i partigiani e non secondo un

piano specifico di sterminio. Confessò anche di avere ucciso 40.000 persone e non

90.000 come aveva detto prima.

Fonte: Trials of the Criminals, Washington, DC, 1950, IV, pp. 223-312

Agli storici critici non fu opposta alcuna refutazione, alcuna discussione scientifica

che li contraddicesse: purtroppo, nel migliore dei casi, fu loro opposto il silenzio e,

nel peggiore, la repressione.

Silenzio, per esempio, sull'opera di Paul Rassinier storico ed ex deportato a

Buchenwald e a Dora, quando questo fondatore della storia critica dei crimini

hitleriani pubblicò Le mensonge d'Ulysse, Le drame des juifs européens, Le véritable

procès Eichmann.

Poi silenzio e persecuzioni varie, in America, per l'ingegner Leuchter, specializzato in

gassazioni in alcuni penitenziari americani, che fece una perizia puramente tecnica


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sulle "camere a gas" di Auschwitz nel corso del già citato processo di Ernst Zündel a

Toronto.

Repressione contro il professor Robert Faurisson, cacciato dalla sua cattedra

all'università di Lione, citato in giudizio e infine vittima di un tentativo di omicidio in

cui fu gravemente ferito, per aver messo in discussione l'esistenza delle "camere a

gas".

Nel marzo 1978 assassinio dello storico francese François Duprat da parte di un

commando, per aver pubblicato l'opuscolo di un australiano che metteva in dubbio la

cifra di 6 milioni di morti.

Repressione contro Henri Roques, cui fu anche rifiutato il titolo di dottore nonostante

avesse ottenuto la menzione "molto bene" per la sua tesi, poiché si impegnava in un

esame critico del Rapporto Gerstein.

Repressione contro l'editore Pierre Guillaume, per la pubblicazione delle Annales

d'histoire révisionniste. Egli è stato obbligato a rinunciare alla sua rivista ed è stato

rovinato finanziariamente dalle multe e dalla distruzione delle vetrine della sua

libreria.

Repressione in Germania contro il magistrato Wilhelm Stäglich, che aveva fatto un

esame critico delle testimonianze e dell'arma del crimine nei campi e aveva rilevato

un certo numero di controverità con Le mythe d'Auschwitz (Parigi, La Vieille Taupe,

1978). Lo stesso titolo di dottore in diritto gli fu ritirato, essendo basato sulla legge

hitleriana del 7 giugno 1939 (Codice del Reich, 1, p. 1326).

Repressione in America contro lo storico Arthur Butz, che cercava di situare in una

giusta prospettiva ciò che era reale e ciò che era mitologico con The Hoax of the

Twentieth Century (Torrance, IHR, 1976). La vendita del libro fu vietata in vari paesi

tra cui la Germania e il Canada.

In quest'ultimo paese, processo di Toronto contro Zündel, per la pubblicazione

dell'opera di Richard Harwood Did six millions really die? (Richmond, HRP, 1974 Ne

sono davvero morti sei milioni?), mentre la risposta, anche quella ufficiale, a questa

domanda è diventata negativa come la sua.

Questi silenzi, queste persecuzioni, queste repressioni contro una storia critica dei

crimini hitleriani poggiavano su pretesti assolutamente diffamatori e menzogneri:

sottolineare che gli enormi crimini di Hitler nei confronti degli ebrei, come di tutti i

suoi nemici, comunisti tedeschi o slavi che dovevano sconfiggerlo, non avevano

bisogno di alcuna menzogna per mostrare la loro atrocità era, secondo gli avversari

della storia critica (che essi chiamavano "revisionista") "scagionare Hitler o almeno

attenuare i suoi crimini"!

Mostrare che le scelleratezze dei nazisti non si riducevano a un grande pogrom contro

i soli ebrei, ma che avevano fatto decine di milioni di morti nella lotta contro il

fascismo, significava fare del "razzismo" che incoraggiava la discriminazione e l'odio

razziale!


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È contro una simile orchestrazione d'odio verso i ricercatori critici che noi oggi

compiliamo questo dossier, con la speranza che servirà ad avviare una vera

discussione sulle realtà obiettive di questo passato, senza prestare il fianco a quanti

facciano il processo alle intenzioni, senza condannare a priori alla repressione e al

silenzio i ricercatori critici.

Non è possibile preparare l'avvenire perpetuando gli odi e alimentandoli con la

menzogna.

La critica delle testimonianze storicamente verificate e degli studi scientifici, che

permette di dare all'opinione pubblica la possibilità di riflettere sui crimini di ieri per

prevenire quelli di domani, è un obbligo morale oltre che scientifico.

* * *

Fino ad ora ci sono state propinate cifre arbitrarie e falsità anche da parte di artisti di

grande talento e in perfetta buona fede.

Da tutto ciò scaturirono autentici capolavori, come il romanzo di Robert Merle La

mort est mon métier, che ricostruiva, in prima persona, l'itinerario di Höss,

comandante di Auschwitz. Anche quando cita le cifre arbitrarie del falso testimone,

Robert Merle raggiunge a volte uno stile degno di Stendhal:

"Il procuratore esclamò: Voi avete ucciso tre milioni e mezzo di persone!

Io domandai la parola e dissi: Vi chiedo scusa, non ne ho uccisi che due milioni e

mezzo!

Ci furono allora dei mormorii in sala. Io non avevo fatto altro che rettificare una cifra

inesatta".

Fonte: Robert Merle, La mort est mon métier,

Parigi, Gallimard, 1952, pp. 365-366

In campo cinematografico un film artistico, ammirevole e delicato di Alain Resnais,

Nuit et brouillard, dà un'immagine straziante e indimenticabile della barbarie e del

martirio, ma viene sfigurato e snaturato dall'evocazione della cifra arbitraria di 8

milioni di vittime ebraiche, per di più nella sola Auschwitz!

Ma ben presto tutta una letteratura e soprattutto un'ondata cine-matografica e

televisiva furono consacrate a questa inversione di senso del crimine hitleriano.

Quante volte fu proiettata, dopo la Liberazione, mentre tutta una generazione poteva

testimoniare e giudicare le azioni di coloro che avevano più efficacemente lottato

contro i nazisti, La bataille de l'eau lourde, che ricorda l'impresa decisiva di Joliot-

Curie e della sua équipe per sottrarre, in Norvegia, gli accantonamenti di acqua

pesante che avrebbero permesso a Hitler di costruire e di utilizzare per primo la

bomba atomica? Quante volte La bataille du rail, che mostra il sabotaggio dei

trasporti tedeschi da parte dei ferrovieri per paralizzare i concentramenti di truppe? O


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Paris brûle-t-il?, che mostra, nonostante l'attribuzione di un ruolo esagerato agli stati

maggiori alleati, la rivolta del popolo di Parigi per liberare la città e catturare il

governatore tedesco Von Choltiz costringendolo alla capitolazione?

Al contrario, quante volte ci sono stati propinati ExodusOlocausto, Shoah e tanti

altre storie romanzate, le cui immagini lacrimevoli inondano ogni settimana i nostri

schermi, come se la sofferenza "sacrificale" di qualcuno fosse senza rapporto con la

sofferenza di tutti gli altri e con le loro lotte eroiche?

Shoah di Lanzmann ci affligge per nove ore con immagini pietrificanti, con le visioni

di interminabili convogli ferroviari dal rumore ossessionante e con testimonianze

come quelle del parrucchiere di Treblinka, che sistemava in uno spazio di 16 metri

quadrati 60 donne e 16 parrucchieri!

Per questo Shoah business i committenti sono stati generosi. E primo fra tutti lo Stato

d'Israele. Menahem Begin aveva fatto destinare a Shoah 850.000 dollari,

considerandolo "un progetto d'interesse nazionale".

Fonti: "Agence télégraphique juive", 20 giugno 1986,

e "The jewish journal", New York, 27 giugno 1986, p. 3

Una delle opere che più hanno contribuito alla manipolazione dell'opinione pubblica

mondiale, il telefilm Olocausto, "è un crimine contro la verità storica. Il tema generale

era che un avvenimento così massiccio come lo sterminio di 6 milioni di ebrei non

aveva potuto passare inosservato all'insieme del popolo tedesco. Se quindi i tedeschi

non ne erano venuti a conoscenza era perché non avevano voluto sapere e perciò

erano colpevoli".

Fonte: "Libération", 7 marzo 1979

Ed ecco i frutti velenosi che questi "breviari dell'odio" producono.

"Tutti questi agenti del nemico devono essere espulsi dal territorio metropolitano:

sono due anni che noi chiediamo la possibilità di farlo. Quello che ci serve è molto

semplice e molto chiaro: l'autorizzazione e barche a sufficienza. Il problema

rappresentato dal far affondare queste barche non dipenderebbe più, ahimè, dal

consiglio municipale di Parigi".

Fonte: Bollettino municipale ufficiale di Parigi,

seduta del consiglio municipale del 27 ottobre 1962, p. 637

Si trattava di una proposta meditata. Moscovitch l'avrebbe confermata il 15 gennaio

1963, in occasione di un processo per diffamazione da lui stesso intentato: "Ho

effettivamente rimpianto che i nemici della Francia non siano stati sterminati... e lo

rimpiango ancora!" ("Le Monde", 17 gennaio 1963).

Il romanzo ha partecipato a questa mistificazione.

David Rousset, dopo una prima opera degna e sobria, scritta subito dopo la sua uscita

dal campo di Buchenwald (L'universe concentrationnaire, Parigi, Éd. de Minuit,


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1946), ha espresso, in forma letteraria e sottile, con Les jours de notre mort (Parigi,

La Jeune Parque), la maggior parte dei luoghi comuni che sono andati a formare la

mole della letteratura concentrazionaria. Fino a Au nom de tous les miens di Martin

Gray (red. Max Gallo, Parigi, Laffont, 1971), che utilizza i servizi di un grande

scrittore francese per descrivere un campo in cui non aveva mai messo piede.

Dai falsi archivi del ministero degli ex combattenti "scoperti" da Serge Klarsfeld, fino

ai falsi apocalittici di Élie Wiesel (premio Nobel), che ha anche visto, "visto in prima

persona", delle "fiamme gigantesche" salire da una fossa all'aria aperta "dove

venivano gettati dei bimbi" (fiamme mai avvistate dagli aerei americani che non

smettevano di sorvolare il campo). In un crescendo dell'atroce e del delirante egli

aggiunge: "Più tardi ho saputo da un testimone che per mesi e mesi il suolo non aveva

smesso di tremare e che ogni tanto schizzavano fuori geyser di sangue" (si tratta di

una "testimonianza" su Babiyar).

Fonte: Elie Wiesel, Paroles d'étranger, Parigi, Seuil, 1982, pp. 192 e 86

L'apoteosi di questa letteratura romanzesca è il Diario di Anna Frank, bestseller

mondiale. Il romanzo, meravigliosamente commovente, si sostituisce alla realtà e il

mito si traveste da storia.

Lo storico inglese David Irving, intervenendo al processo di Toronto il 25 e 26 aprile

1988 (33.9399-9400) fece questa dichiarazione riguardo al Diario di Anna Frank: "Il

padre di Anna Frank, col quale mi sono tenuto in corrispondenza per diversi anni, ha

finalmente deciso di dare la sua approvazione affinché si sottoponga il manoscritto del

diario a un esame di laboratorio, cosa che ho sempre ritenuto necessaria quando vi

siano contestazioni a proposito di un documento".

Il laboratorio incaricato di questa perizia fu quello della polizia criminale tedesca, a

Wiesbaden. Esso concluse che una parte del Diario di Anna Frank era stata scritta con

una penna a sfera (questo genere di penne non fu commercializzato che nel 1951,

mentre Anna Frank morì nel 1945).

La dichiarazione di David Irving continua: "La mia personale conclusione sul Diario

di Anna Frank è che esso è scritto in gran parte da una bambina ebrea di una decina

d'anni. I testi sono stati raccolti da suo padre, Otto Frank, dopo la tragica morte per

tifo della figlia in un campo di concentramento: suo padre e altre persone, che non

conosco, hanno corretto questo diario per dargli una forma vendibile, che arricchisse

allo stesso tempo sia il padre sia la Fondazione Anna Frank. Ma come documento

storico l'opera non ha alcun valore, perché il suo contenuto è stato alterato".

Questo Shoah business non utilizza che le "testimonianze" sulle diverse maniere di

"gassare" le vittime, senza che mai ci vengano mostrate le modalità di funzionamento

di una sola "camera a gas" (di cui Leuchter ha dimostrato l'impossibilità fisica e

chimica), né uno solo di quegli innumerevoli camion che sarebbero stati utilizzati

come "camere a gas ambulanti" grazie alle emanazioni del gasolio. Né le tonnellate di

cenere dei cadaveri, nascoste dopo la loro cremazione.

"Non esiste alcuna fotografia delle camere a gas e i cadaveri sono svaniti in fumo.

Restano i testimoni".


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Fonte: "Le Nouvel Observateur", 26 aprile 1985

Il costante leitmotiv di Claude Lanzmann è costruito in questo modo. Lo stesso autore

ci dice: "Bisognava fare questo film con niente, senza documenti d'archivio,

inventando tutto".

Fonte: "Libération", 25 aprile 1985, p. 22

L'arma del crimine

Se ci si fosse posti dal punto di vista dello scopo di un processo criminale, sarebbe

stato di importanza primaria ascoltare qualche esperto che si pronunciasse su svariate

questioni, se non altro per farsi un'idea della credibilità dei numerosi testimoni così

come di qualche "documento". Permetteteci di formulare qui alcune di queste

domande:

Quanto tempo era necessario al gas Zyklon B per agire e come si manifestavano i suoi

effetti?

Per quanto tempo il gas restava attivo in un locale chiuso (sia senza aerazione, sia con

un'aerazione immediatamente consecutiva al suo utilizzo)?

Era possibile, come è stato affermato, entrare senza maschera protettiva nei locali

impregnati di Zyklon B solo mezz'ora dopo l'uso di questo gas?

Era possibile bruciare completamente i cadaveri in 20 minuti dentro un forno

crematorio?

I forni crematori potevano funzionare giorno e notte senza interruzione?

È possibile bruciare dei cadaveri umani dentro fosse profonde diversi metri e, in caso

affermativo, in quanto tempo?

Fino ad ora non è stato presentato nessun "corpo del reato".

Daremo soltanto due esempi:

a) quello delle "camere a gas mobili" ottenute dai camion;

b) quello del sapone fatto col grasso umano (frottola utilizzata già durante la guerra

del 1914-18, come d'altronde la "gassazione" è una versione riciclata delle

"gassazioni" dei serbi da parte dei bulgari nel 1916).

Fonte: "The Daily Telegraph", Londra,

22 marzo 1916, p. 7, e 22 giugno 1946, p. 5

La storia dello sterminio con vere e proprie "camere a gas mobili" costituite da

camion, nei quali migliaia di persone sarebbero state uccise, grazie all'orientamento

verso l'interno del tubo di scappamento, è stata diffusa tra l'opinione pubblica


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occidentale per la prima volta dal "New York Times" del 16 luglio 1943, p. 7 (prima

di allora il tema era stato sviluppato solo sulla stampa sovietica).

Anche in questo caso l'arma del crimine (le centinaia o migliaia di camion attrezzati

per questi omicidi) è scomparsa. Nemmeno uno solo di essi ha potuto essere prodotto

in alcun processo come corpo del reato. Si può anche notare che, se il piano di

"sterminio" doveva restare un "segreto" assoluto, come dice Höss, sarebbe strano che

lo si fosse comunicato a migliaia di autisti e ai loro assistenti funebri i quali dovevano

prendere in consegna le vittime (senza ordine di missione), facendone sparire

magicamente i cadaveri e restando unici depositari del "terribile segreto".

Wiesenthal si è incaricato di promuovere la leggenda del "sapone umano" in alcuni

articoli pubblicati nel 1946 su "Der Neue Weg", giornale della comunità ebraica

austriaca. In un articolo intitolato RIF egli scriveva: "Le terribili parole "trasporto per

sapone" si udirono per la prima volta alla fine del 1942. Fu nel Governatorato

generale (della Polonia) e la fabbrica si trovava in Galizia, a Belzec. Dall'aprile 1942

al maggio 1943 900.000 ebrei furono utilizzati come materia prima in questa

fabbrica".

Dopo la trasformazione dei cadaveri in diverse materie prime, continuava Wiesenthal,

"il resto, lo scarto grasso residuo, veniva impiegato per la produzione di sapone. Dopo

il 1942 le persone all'interno del Governatorato generale sapevano molto bene cosa

significasse il sapone RJF. Il mondo civilizzato non può immaginare la gioia che

questo sapone procurava ai nazisti del Governatorato generale e alle loro donne. In

ogni pezzetto di sapone essi vedevano un ebreo che era stato messo là magicamente e

al quale si era impedito di diventare un secondo Freud, Ehrlich o Einstein".

Il Memoriale di Yad Vashem risponde molto ufficialmente che i nazisti non hanno

fabbricato sapone con i cadaveri degli ebrei. Durante la guerra la Germania aveva

sofferto di una penuria di materie grasse e la produzione di sapone fu supervisionata

dal governo: i pezzi di sapone furono segnati con le iniziali RIF che significavano

"Ufficio del Reich per l'approvvigionamento di grassi". Alcuni lessero per errore RJF:

"puro grasso ebraico". Il clamore si estese rapidamente.

* * *

Esistono tre documenti che permetterebbero, se discussi seriamente e pubblicamente,

di mettere fine alle polemiche sulle "camere a gas": sono il Rapporto Leuchter (5

aprile 1988), la contro-perizia di Cracovia del 24 settembre 1990 e quella di Vienna.

Lo Zyklon B, a base di acido cianidrico, è considerato il prodotto che avrebbe gassato

migliaia di detenuti: da prima della Grande Guerra è stato normalmente impiegato per

la disinfezione di biancheria o di strumenti atti a propagare epidemie, particolarmente

quella del tifo. Cionondimeno l'acido cianidrico fu utilizzato per la prima volta in

Arizona, nel 1920, per l'esecuzione di un condannato. Altri Stati americani come la

California, il Maryland, il Mississippi, il Missouri, il Nevada, il Nuovo Messico e la

Carolina del Nord lo utilizzarono per le esecuzioni.

Fonte: Rapporto Leuchter (9.004)

[trad. it.: Parma, All'insegna del Veltro, 1993]


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L'ingegner Leuchter è stato consulente nel Missouri, in California e nella Carolina del

Nord. Oggi tali Stati hanno per lo più rinunciato al metodo a causa del costo eccessivo

non solo dell'acido cianidrico, ma anche del materiale di fabbricazione e della

manutenzione, che in ragione delle misure di sicurezza richieste dal suo uso, ne fa una

delle più costose tecniche di esecuzione. Inoltre la ventilazione necessaria dopo la

fumigazione con lo Zyklon B esige un minimo di 10 ore, secondo le dimensioni del

fabbricato (6.005). L'impermeabilità della sala necessita di un rivestimento di

epossido o di acciaio inossidabile e le porte devono essere dotate di giunture

d'amianto, di neoprene o di teflon (7.001).

Dopo i sopralluoghi e le analisi del materiale prelevato dalle presunte "camere a gas"

di Auschwitz-Birkenau e di altri campi dell'Est, le conclusioni sono le seguenti:

"L'ispezione sul posto indica che, se queste costruzioni fossero state concepite allo

scopo di servire come camere a gas, sarebbero state molto pericolose e mal fatte.

Nulla vi era previsto" (12.001 a proposito dei crematori I e II di Auschwitz).

"Il Crematorio I è adiacente all'ospedale SS di Auschwitz ed è dotato di tubi di

drenaggio che si gettano nella principale fognatura del campo, cosa che avrebbe

permesso al gas di infiltrarsi in tutti i suoi edifici" (12.002). Quanto a Majdanek:

"L'edificio non poteva essere utilizzato allo scopo che gli si attribuisce e non soddisfa

nemmeno le necessità minime di una camera a gas".

Leuchter ha concluso che non era stata realizzata nessuna delle condizioni richieste

per delle camere a gas omicide. Chiunque vi avesse lavorato avrebbe rischiato la

propria vita e quella di tutti coloro che gli stavano intorno (32.9121). Non c'era alcun

sistema di ventilazione né di distribuzione dell'aria, nessun sistema per aggiungere il

materiale necessario allo Zyklon B (33.145).

"Dopo aver passato in rassegna tutta la documentazione e ispezionato tutti gli impianti

di Auschwitz, Birkenau e Majdanek, l'autore delle perizie considera che le prove sono

schiaccianti: in nessuno di questi posti ci sono state delle camere a gas per le

esecuzioni".

Fonte: Rapporto di Fred Leuchter Jr, ingegnere capo,

depositato a Malden, Massachusetts, il 5 aprile 1988

Al processo di Toronto l'avvocato Christie ha messo in evidenza quanto le

testimonianze contrastassero con le reali possibilità chimiche e tecniche. Ed ecco tre

esempi:

a) Rudolf Höss, in Commandant d'Auschwitz, cit., p. 198, scrive:

"La porta veniva aperta una mezz'ora dopo l'adduzione del gas e dopo che la

ventilazione aveva rinnovato l'aria. Il lavoro di rimozione dei cadaveri cominciava

subito".

"Si eseguiva questo compito con indifferenza, come se esso facesse parte di un lavoro

quotidiano. Trascinando i cadaveri, gli uomini mangiavano o fumavano".

"Dunque non indossavano delle maschere?" domanda l'avvocato Christie (5-1123).


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Non è possibile maneggiare dei cadaveri, che siano stati in contatto con lo Zyklon B,

durante la mezzora seguente e ancora meno mangiare, bere o fumare. Sono necessarie

almeno dieci ore di ventilazione perché non ci sia più pericolo.

b) L'avvocato Christie presentò il documento PS 1553 di Norimberga con molte

fatture in appendice. Hilberg dovette ammettere che la quantità di Ziklon B inviata a

Oranienburg era la stessa inviata ad Auschwitz nello stesso giorno.

Hilberg indica che Oranienburg era un campo di concentramento e un centro

amministrativo dove, a sua conoscenza, "nessuno era stato gassato". I prelievi e la

perizia di Leuchter mostrano anche come le tracce di acido cianidrico dello Zyklon B

siano molto più rilevanti nei locali in cui si è certi che avvenisse la disinfezione,

piuttosto che nelle presunte "camere a gas".

"Ci si sarebbe potuti aspettare la rivelazione di un tasso più elevato di cianuro nei

campioni prelevati dalle prime camere a gas (a causa della maggiore quantità di gas

utilizzato, secondo le fonti, in questi luoghi) che nel campione di controllo. Siccome è

vero il contrario, bisogna concludere che queste installazioni non erano delle camere a

gas per le esecuzioni".

Fonte: Rapporto Leuchter, cit., 14.006

Questa conclusione è confermata dalla contro-perizia effettuata dal-l'Istituto di analisi

medico-legale di Cracovia tra il 20 febbraio e il 18 luglio 1990, i cui risultati sono

stati comunicati al Museo con una lettera datata 24 settembre, nello stesso momento

in cui veniva tolta la targa commemorativa dei "4 milioni".

Fonti: Relazione dell'Istituto, 720.90;

Relazione del Museo 1-8523/51/1860.89

È vero che si mostra ai turisti, se non il funzionamento, almeno la ricostruzione,

eseguita più o meno bene, delle "camere a gas" anche laddove, come a Dachau, è

appurato che non hanno mai funzionato.

c) Leuchter ha esaminato i luoghi che, secondo le mappe ufficiali di Birkenau, erano

stati usati come "fosse di cremazione" per sbarazzarsi dei cadaveri. La maggior parte

della letteratura olocaustica le descrive come fosse di circa 6 piedi di profondità... Il

fatto più notevole al riguardo è che il livello dell'acqua era a un piede o a un piede e

mezzo di profondità dalla superficie: Leuchter ha sottolineato che sarebbe stato

impossibile bruciare dei corpi sott'acqua. E non vi era alcun motivo di pensare che le

cose fossero cambiate dopo la guerra dal momento che la letteratura sull'olocausto

descrive i campi di Auschwitz e Birkenau come costruiti su una palude (32.9100-

9101). Eppure, nell'esposizione, ci sono le foto di queste pretese "fosse di

cremazione".

Per quanto concerne i crematori all'aria aperta, all'interno di "fosse di cremazione":

"Birkenau è costruito su una palude, tutte le installazioni avevavo dell'acqua a circa

60 cm. dalla superficie. L'opinione dell'autore di questo rapporto è che a Birkenau non

ci sono mai state fosse di cremazione" (14.008).


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Una fonte preziosa per lo studio obiettivo a partire da documenti incontestabili del

complesso di Auschwitz-Birkenau e in particolare delle sue famose cremazioni all'aria

aperta, il cui fumo "oscurava tutto il cielo" secondo numerose testimonianze,

sarebbero state le foto aeree scattate dall'aviazione statunitense e pubblicate dagli

americani Dino A. Brugioni e Robert C. Poirier (The Holocaust revisited: A

retrospective analysis of the Auschwitz Birkenau extermination complex. Washington,

DC, CIA, febbraio 1979).

A dispetto del commento degli analisti della CIA, che si vuole ortodosso, su queste

foto non si trova niente che corrisponda a quell'inferno di fuoco in cui le fiamme

divoravano, come hanno osato dirci, fino a a 25.000 cadaveri al giorno tra il maggio e

l'agosto 1944, soprattutto in seguito alla deportazione degli ebrei ungheresi. Le foto

aeree (del 26 giugno e 25 agosto 1944) non rivelano la minima traccia di fumo. Né,

d'altra parte, di concentrazione di folle o di qualche attività particolare.

L'album di Auschwitz, raccolta di 189 fotografie scattate anche nel campo di Birkenau

nello stesso periodo, pubblicato con un'introduzione di Serge Klarsfeld e un

commento di J.-C. Pressac, mostra 189 scene di vita concentrazionaria al momento

dell'arrivo di un convoglio di deportati dall'Ungheria. Anche qui nulla, rigorosamente

nulla, che attesti uno sterminio massiccio e sistematico.

Al contrario, le molteplici fotografie, che permettono una visione d'insieme del posto,

non solo non evidenziano niente che confermi questo sterminio, ma escludono che

esso abbia potuto avere luogo, contemporaneamente, in qualche parte "segreta" del

campo. Mentre il commento di J.-C. Pressac, a causa delle estrapolazioni manifeste

cui egli si lascia andare, rende visibile e palpabile il processo di fabbricazione.

Fonte: L'Album d'Auschwitz, Parigi, Seuil, 1983

Ma il canadese John C. Ball, specializzato nell'interpretazione di foto aeree, sembra

aver riunito la maggior parte dei documenti fotografici originali e condotto con

competenza un'analisi rigorosa. Le sue conclusioni sono in totale disaccordo con la

storia ufficiale.

Fonte: Air Photo Evidence,

Ball Resource Service, 1992,

Il complesso delle questioni tecniche è stato sollevato al momento del processo di

Ernst Zündel a Toronto, nel quale le parti si sono potute esprimere completamente e

liberamente. Il resoconto di questo processo è quindi una fonte eccezionale per ogni

storico onesto, perché consente di venire a conoscenza delle tesi in presenza e di tutti

gli elementi della controversia. Le dichiarazioni degli uni e degli altri sono tanto più

preziose e significative, per il fatto che ognuno parlava sotto il controllo della critica

immediata della parte avversa.

Un dettaglio che sembra di importanza decisiva: il 5 e 6 aprile 1988 Yvan Lagacé,

direttore del crematorio di Calgary (Canada), di tipo molto simile a quelli di Birkenau

costruiti nel 1943, poté esporre l'insieme dei problemi tecnici e di manutenzione di

questa particolare muffola d'incinerazione. Egli parlò della necessità di una pausa di


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raffreddamento tra le cremazioni e il momento dell'introduzione di un corpo, in

mancanza della quale si sarebbero danneggiati i rivestimenti ignifughi dei forni stessi.

Si chiese a Lagacé di esprimere il suo punto di vista su come Raul Hilberg nella

Destruction des juifs européens (seconda edizione, p. 978) valuta il rendimento dei 46

forni nei 4 crematori di Birkenau.

Hilberg afferma: "Il rendimento teorico giornaliero dei 4 crematori di Birkenau era di

più di 4.400 cadaveri, ma, con le interruzioni e i rallentamenti, praticamente il limite

era inferiore".

Lagacé dichiarò che questa affermazione era "assurda" e "irreale". Pretendere che 46

forni potessero bruciare più di 4.400 corpi al giorno è grottesco. Basandosi sulla

propria esperienza Lagacé affermò che a Birkenau era possibile cremare 184 corpi al

giorno.

Fonte: 27- da 736 a 738

Non è certo un libro come quello di Pressac, Les crématoires d'Auschwitz. La

machinerie du meurtre de masse (1993), che alle "camere a gas" consacra solo un

capitolo di 20 pagine (su 147) senza citare nemmeno il Rapporto Leuchter, al quale ha

dedicato nel 1990 (sempre finanziato dalla fondazione Klarsfeld) una "confutazione"

rimasta senza alcuna eco, a poter controbilanciare le analisi di Leuchter.

Fin tanto che non avrà avuto luogo, tra specialisti di uguale competenza, un dibattito

scientifico e pubblico sul rapporto dell'ingegner Leuchter, sulle controperizie di

Cracovia e di Vienna che lo confermano e sull'insieme delle discussioni sulle "camere

a gas", esisteranno il dubbio e lo scetticismo.

Finora i soli argomenti impiegati nei confronti di chi contesta la storia ufficiale sono

stati il rifiuto della discussione, l'attentato, la censura e la repressione.

3. Il mito dell'Olocausto

"Genocidio: distruzione metodica di un gruppo etnico, per mezzo dello sterminio dei

suoi individui".

Fonte: Dizionario Larousse

"Seguendo il metodo della promessa divina contenuta nella Bibbia, il genocidio è un

elemento di giustificazione ideologica per la creazione dello Stato d'Israele".

Fonte: Tom Segev, Le septième million, cit., p. 588


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Tre termini sono spesso impiegati per definire il trattamento inflitto agli ebrei dal

nazismo: genocidio, olocausto, shoah.

Il termine "genocidio" ha un significato preciso, per la sua stessa etimologia:

sterminio di una razza. Supponendo che esista una "razza" ebraica, come pretendeva il

razzismo hitleriano e come sostengono ancora i dirigenti israeliani.

C'è stato, durante la guerra, un "genocidio" degli ebrei?

In tutti i dizionari il termine "genocidio" ha un significato inequivocabile. Il Larousse

dà la definizione sopracitata. Essa non si può applicare alla lettera che nel caso della

conquista di Canaan da parte di Giosuè, quando ci viene detto che in ogni città

conquistata "non resta alcun sopravvissuto" (Numeri, XXI, 35).

Il termine "genocidio" è quindi stato usato a Norimberga in modo del tutto erroneo,

dal momento che non si trattò dell'annientamento di tutto un popolo come nel caso

degli "stermini sacri" degli amaleciti, dei cananei e di altri popoli di cui al Libro di

Giosuè, nel quale si afferma, per esempio, che a Ebron e a Eglon "essi non lasciano

alcun sopravvissuto" (Giosuè, X, 37) o che ad Hagor "passarono tutti gli esseri umani

a fil di spada [...] non lasciarono alcun essere animato" (Giosuè, XI, 14).

Al contrario l'ebraismo (gli ebrei sono indicati come razza solo nel vocabolario

hitleriano) ha conosciuto un grande sviluppo in tutto il mondo dopo il 1945.

Senza dubbio gli ebrei sono stati uno dei bersagli preferiti da Hitler a causa della sua

teoria sulla superiorità della "razza ariana" e anche della sistematica assimilazione tra

gli ebrei e i comunisti, che erano i suoi principali avversari come attestano le

esecuzioni di migliaia di comunisti tedeschi e, nel corso della guerra, il suo

accanimento contro i prigionieri "slavi". Egli usava, per questo amalgama, la parola

"giudeo-bolscevismo".

Dalla creazione del partito "nazionalsocialista" Hitler aveva progettato non solo di

estirpare il comunismo, ma anche di scacciare tutti gli ebrei, prima dalla Germania e

poi da tutta l'Europa, quando ne fosse divenuto il capo. Tutto ciò nel modo più

inumano: con l'emigrazione, con l'espulsione e, durante la guerra, con la prigionia nei

campi di concentramento. In seguito arrivò a ipotizzare la deportazione nel

Madagascar, che avrebbe costituito un vasto ghetto per gli ebrei europei, e quindi

quella all'Est, nei territori occupati, soprattutto in Polonia, dove slavi, ebrei e zingari

furono decimati dal lavoro forzato nella produzione di guerra e dalle terribili epidemie

di tifo, la gravità delle quali è testimoniata dalla moltiplicazione dei forni crematori.

Quale fu il bilancio di questo accanimento di Hitler contro le sue vittime politiche o

razziali? La seconda guerra mondiale fece 50 milioni di morti tra cui 17 milioni di

sovietici e 9 milioni di tedeschi. La Polonia, gli altri paesi europei occupati e anche i

milioni di soldati dell'Africa o dell'Asia mobilitati per questo conflitto, nato come il

primo da rivalità occidentali, pagarono un pesante tributo di morti.

La dominazione hitleriana realizzò dunque ben altro che un vasto pogrom di cui gli

ebrei sarebbero stati, se non le sole, almeno le principali vittime, come una certa

propaganda tende ad accreditare. Si trattò di una catastrofe umana che,


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sfortunatamente, non è senza precedenti, perché Hitler applicò a dei bianchi quello

che i colonialisti europei durante cinque secoli applicarono agli "uomini di colore",

dagli indiani d'Ame-rica, 60 milioni dei quali su 80 furono uccisi (e anche in questo

caso dal lavoro forzato e dalle epidemie più che dalle armi), fino agli africani, dai 10

ai 20 milioni dei quali furono deportati nelle Americhe, mentre, siccome i negrieri

ottenevano uno schiavo per ogni dieci uccisi nella lotta per la cattura, la "tratta" costò

all'Africa dai 100 ai 200 milioni di morti.

Il mito serviva al gioco di tutti: parlare del "più grande genocidio della storia" per i

colonialisti occidentali voleva dire far dimenticare i propri crimini (la decimazione

degli indiani d'America e la tratta degli schiavi africani), mentre per Stalin significava

cancellare le sue selvagge repressioni.

Esso si prestava al gioco dei dirigenti anglo-americani dopo il massacro di Dresda del

13 febbraio 1945, quando, in poche ore, perirono tra le fiamme delle bombe al fosforo

200.000 civili, senza un motivo militare, giacché l'esercito tedesco batteva in ritirata

su tutto il fronte dell'Est davanti alla folgorante offensiva dei sovietici, che in gennaio

si trovavano già sull'Oder.

Ancor più serviva agli Stati Uniti che avevano appena sganciato su Hiroshima e

Nagasaki le bombe atomiche che fecero "più di 200.000 morti e quasi 150.000 feriti,

destinati a morire a scadenza più o meno ravvicinata".

Fonte: Paul-Marie de la Gorce, 1939-1945. Une guerre inconnue,

Parigi, Flammarion, 1995, p. 535

Gli scopi non erano militari, bensì politici. Churchill scriveva già nel 1948, nel suo

libro La deuxième guerre mondiale (volume VI): "Sarebbe falso supporre che la sorte

del Giappone sia stata decisa dalla bomba atomica". L'ammiraglio americano William

A. Leahy, nel suo I was there (Io c'ero) conferma: "A mio avviso, l'uso di questa

barbara arma a Hiroshima e Nagasaki non è stato di grande aiuto nella guerra contro il

Giappone".

In effetti l'imperatore Hirohito, dal 21 maggio 1945, aveva avviato le trattative per la

resa del suo paese con l'Unione Sovietica (che non era ancora entrata in guerra contro

il Giappone) tramite il suo ministro degli esteri e l'ambasciatore sovietico Malik. "Il

principe Kono-ye fu pregato di presentarsi a Mosca per negoziare direttamente con

Molotov".

Fonte: P.-M. de la Gorce, 1939-1945. Une guerre inconnue, cit., p. 532

"A Washington si conoscevano perfettamente le intenzioni giapponesi: "Magic"

informava sulla corrispondenza tra il ministro degli affari esteri e il suo interlocutore a

Mosca".

Fonte: Op. cit., p. 533


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L'obiettivo perseguito, dunque, non era militare ma politico, come confessò il ministro

americano dell'aviazione, Finletter, spiegando che l'impiego delle bombe atomiche

aveva come scopo "di mettere il Giappone knock-out prima dell'entrata in guerra della

Russia".

Fonte: "Saturday review of literature", 5 giugno 1944

L'ammiraglio Leahy scrive (op. cit.): "Utilizzando le prime bombe atomiche noi ci

siamo abbassati al livello morale dei barbari del Medioevo [...] quest'arma nuova e

terribile, che serve a una guerra non civile, è una moderna barbarie indegna dei

cristiani".

Così tutti questi dirigenti, che un autentico tribunale internazionale, composto da

paesi neutrali, avrebbe chiamato alla sbarra come criminali di guerra a fianco di

Göring e della sua banda, trovarono nelle "camere a gas", nei "genocidi" e negli

"olocausti" un alibi insperato per "giustificare", se non per cancellare, i loro stessi

crimini contro l'umanità.

Lo storico americano W.F. Albright, che fu direttore dell'American School of Oriental

Research scrisse nella sua opera maggiore, De l'age de pierre à la chrétienté. Le

monothéisme et son évolution (Parigi, Payot, 1951), dopo aver giustificato gli

"stermini sacri" di Giosuè durante l'invasione di Canaan: "Forse noi americani [...]

abbiamo meno il diritto di giudicare gli israeliani [...] perché abbiamo sterminato [...]

migliaia di indiani in tutti gli angoli del nostro grande paese e abbiamo raccolto quelli

che restavano in grandi campi di concentramento" (p. 205).

Il termine Olocausto, applicato allo stesso dramma dagli anni Settanta, a partire dal

libro di Elie Wiesel La nuit (1958), e reso popolare dal film che lo ha ripreso nel

titolo, segna ancora di più la volontà di trasformare il crimine commesso contro gli

ebrei in un avvenimento eccezionale, senza paragone possibile con gli altri massacri

del nazismo né con alcun altro crimine della storia, perché così le loro sofferenze e i

loro morti assumevano un carattere sacrale: il Larousse universel (2 volumi, Parigi,

1969, p. 772) definisce così la parola "olocausto": "Sacrificio in uso presso gli ebrei,

nel quale la vittima era interamente consumata dal fuoco".

Il martirio degli ebrei diventava così irriconducibile a qualsiasi altro: per il suo

carattere sacrificale esso era stato integrato al progetto divino alla maniera della

crocifissione di Gesù nella teologia cristiana, iniziando in questo modo una nuova

epoca. Ciò permetterà a un rabbino di dire: "La creazione dello Stato d'Israele è la

risposta di Dio all'olocausto".

Per giustificare il carattere sacrale dell'olocausto era necessario che vi fossero stati

sterminio totale cremazione.

Bisognava per questo che fosse prevista una "soluzione finale" del problema ebraico,

rappresentata dallo sterminio.


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Non ha mai potuto essere prodotto alcun documento attestante che la "soluzione

finale" del problema ebraico equivalesse, per i nazisti, allo sterminio. L'antisemitismo

di Hitler è legato, fin dai suoi primi discorsi, alla lotta contro il bolscevismo (egli usa

costantemente l'espressione giudeo-bolscevismo). I primi campi di concentramento

erano destinati ai comunisti tedeschi che vi morirono a migliaia, compreso il loro

dirigente Thälmann.

Quanto agli ebrei, essi furono accusati delle colpe più contraddittorie; inizialmente

erano così sosteneva Hitler gli artefici più attivi della rivoluzione bolscevica (Trotsky,

Zinov'ev, Kamenev, ecc.), così come erano i capitalisti che sfruttavano maggiormente

il popolo tedesco.

Gli importava, dunque, dopo aver liquidato il movimento comunista e preparato

l'espansione della Germania verso l'Est, allo stesso modo dei cavalieri teutonici,

distruggere l'Unione Sovietica, che fu sempre la sua principale ossessione, manifestata

con la ferocia verso i prigionieri slavi (polacchi e russi). Egli creò durante la guerra

contro l'URSS anche delle Einsatzgruppen, vale a dire delle unità incaricate in

particolar modo di contrastare le operazioni dei partigiani sovietici e di abbattere i

loro commissari politici, anche se prigionieri. Tra questi furono massacrati molti

ebrei, eroici come i loro compagni slavi.

La prova dei limiti della propaganda sull'"antisemitismo sovietico" è che non si può

pretendere, allo stesso tempo, che i sovietici allontanassero gli ebrei dalle cariche

importanti e affermare che questi ultimi costituissero la maggioranza dei "commissari

politici" partigiani, che le Einsatzgruppen erano incaricate di abbattere. Perché si fa

fatica ad immaginare che la responsabilità di dirigere l'azione dei partigiani dietro le

linee nemiche (dove la diserzione e il collaborazionismo erano più facili) potesse

essere assegnata a ebrei di cui non ci si poteva fidare.

Quando Hitler divenne padrone del continente una delle idee più mostruose dei nazisti

fu quella di svuotare la Germania e poi l'Europa da tutti gli ebrei.

Hitler procedette per tappe.

La prima fu di organizzare la loro emigrazione in condizioni che gli permisero di

impadronirsi dei beni dei più ricchi (e abbiamo visto che i dirigenti sionisti della

Ha'avara collaborarono efficacemente a questa impresa, promettendo in cambio

d'impedire il boicottaggio della Germania hitleriana e di non partecipare al

movimento antifascista).

La seconda tappa fu l'espulsione pura e semplice, seguendo il piano di inviarli tutti in

un ghetto mondiale. A seguito della capitolazione della Francia tale ghetto fu

individuato nell'isola di Madagascar che doveva passare sotto controllo tedesco, dopo

aver fatto indennizzare dalla Francia stessa i vecchi residenti francesi. Il progetto fu

abbandonato non tanto per le reticenze della Francia, quanto per la quantità di navi

necessarie all'operazione, che in tempo di guerra la Germania non poteva utilizzare

per questo compito.

L'occupazione hitleriana dell'Est dell'Europa, specialmente della Polonia, rese

possibile attuare la "soluzione finale": svuotare l'Euro-pa dai suoi ebrei deportandoli


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massicciamente in campi all'estero. Fu lì che essi patirono le peggiori sofferenze, non

soltanto quelle di tutti i civili in tempo di guerra (bombardamenti aerei, fame e

privazioni di ogni genere, marce forzate, mortali per i più deboli, per evacuare le

città), ma anche il lavoro forzato nelle condizioni più disumane per servire lo sforzo

bellico tedesco (Auschwitz-Birkenau era, per esempio, il centro più attivo delle

industrie chimiche della IG Farben) e infine le epidemie, specialmente quelle di tifo

che colpirono in modo spaventoso una popolazione concentrazionaria sottoalimentata

e sfinita.

È dunque necessario ricorrere ad altri metodi per spiegare la terribile mortalità delle

vittime di un simile trattamento, ed esagerarne smisuratamente il numero, col rischio

di essere obbligati, in seguito, a diminuirlo: cambiando l'iscrizione di Auschwitz-

Birkenau per ridurre il numero da quattro milioni a uno? cambiando l'iscrizione della

"camera a gas" di Dachau per precisare che non ha mai funzionato? o quella del

Velodrome d'Hiver a Parigi indicante che gli ebrei che vi furono rinchiusi erano 8.160

e non 30.000 come diceva la targa originaria, che è stata ritirata?

Fonte: "Le Monde", 18 luglio 1990, p. 7

Per conservare ad ogni costo all'olocausto (sterminio sacrificale col fuoco) il suo

carattere di eccezionalità c'è bisogno di agitare lo spettro delle "camere a gas"?

Nel 1980, per la prima volta, l'unicità del massacro degli ebrei fu messa in discussione

da un celebre giornalista, Boaz Evron:

"Come se fosse ovvio, ogni ospite degno di nota è condotto in visita obbligatoria ad

Yad Vashem [...] perché capisca bene i sentimenti e la colpevolezza che ci si

aspettano da lui. Considerando che il mondo ci odia e ci perseguita, noi ci crediamo

esentati dalla necessità di rendergli conto dei nostri atti".

L'isolamento paranoico rispetto al mondo e alle sue leggi poteva trascinare alcuni

ebrei a trattare i non ebrei come sotto-uomini, rivaleggiando così col razzismo dei

nazisti. Evron mise in guardia contro la tendenza a confondere l'ostilità degli arabi con

l'antisemitismo nazista:

"Non si può distinguere la classe dirigente di un paese dalla sua propaganda politica,

poiché essa costituisce parte della sua realtà. Così i governi agiscono in un mondo

popolato di miti e di mostri che essi stessi hanno creato".

Fonte: Boaz Evron, Le génocide: un danger pour la nation,

"Iton 77", n. 21, maggio-giugno 1980, pp. 12 s.

Per cominciare, benché esista nello spirito di milioni di persone, d'indiscutibile buona

fede, la confusione tra "forno crematorio" e "camera a gas", l'esistenza nei campi

hitleriani di un numero considerevole di forni crematori per tentare di circoscrivere la

diffusione delle epidemie di tifo non è un argomento sufficiente: ne esistono in tutte le

grandi città, a Parigi (al Père Lachaise), a Londra e in tutte le capitali importanti, ed

essi non esprimono evidentemente la volontà di sterminare la popolazione.


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Era necessario quindi aggiungere ai forni crematori delle "camere a gas" per

affermare il dogma dello sterminio "col fuoco".

La prima esigenza, elementare, per dimostrarne l'esistenza era presentare l'ordine che

prescriveva questa misura: ora, negli archivi così minuziosamente organizzati dalle

autorità tedesche e sequestrati dagli alleati al momento della disfatta di Hitler, non

furono trovati documenti sui fondi destinati a questa impresa e sulle direttive

concernenti la costruzione e il funzionamento delle camere a gas, in poche parole non

fu trovato tutto quello che avrebbe permesso l'analisi dell'arma del delitto, come in

qualsiasi inchiesta giudiziaria normale.

È degno di nota che, dopo avere ufficialmente riconosciuto che non vi erano state

gassazioni omicide nel territorio dell'ex Reich, nonostante le innumerevoli

dichiarazioni dei "testimoni oculari", lo stesso criterio della soggettività delle

testimonianze non sia più stato accettato per quanto concerne i campi dell'Est, in

particolare della Polonia. Nemmeno quando queste "testimonianze" sono passibili dei

più legittimi sospetti.

Quello stesso Martin Broszat che aveva pubblicato nel 1958, come un documento

autentico, il diario del comandante di Auschwitz, Rudolf Höss, scrisse su "Die Zeit"

del 19 agosto 1960, p. 16, una lettera in cui diceva che non c'erano state gassazioni

omicide a Dachau, né in generale in tutti i campi della Germania, all'interno delle

frontiere del vecchio Reich.

Broszat, che nel 1972 divenne direttore dell'Istituto di storia contemporanea di

Monaco, dichiarò: "Né a Dachau, né a Bergen-Belsen, né a Buchenwald sono stati

gassati degli ebrei o degli altri detenuti".

La rivelazione era tanto più importante in quanto erano numerosissimi i "testimoni

oculari" dell'esistenza delle camere a gas in questi campi e in quanto il fatto che più

impressionava i visitatori, in particolar modo americani, a Dachau era una

"ricostruzione" della "camera a gas".

Al tribunale di Norimberga sir Harley Shawcross, il 26 luglio 1946, menziona "delle

camere a gas non solo ad Auschwitz e a Treblinka, ma anche a Dachau" (Trial of the

Major War Criminals, cit., XIX, p. 4563).

La messa in scena del museo di Dachau permette di ingannare non solo migliaia di

bambini che vi sono condotti perché apprendano il dogma dell'olocausto, ma anche gli

adulti, come il domenicano Mo-relli, che scrisse in Terre de détresse (Bloud et Gay,

1947, p. 15): "Ho posato occhi pieni di spavento sul sinistro oblò da cui i boia nazisti

potevano vedere le miserabili vittime del gas che si contorcevano".

Tuttavia nemmeno degli ex deportati si lasciarono suggestionare da una leggenda così

accuratamente alimentata. Un grande storico francese, Michel de Boüard, decano

onorario della facoltà di Caen, ex deportato di Mauthausen, dichiarò nel 1986:

"Nella monografia su Mauthausen che ho pubblicato [...] nel '54 parlo a due riprese

delle camere a gas: venuto il tempo della riflessione mi son detto: dove ho acquisito la

convinzione che c'era una camera a gas a Mauthausen? Non è stato durante il mio


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soggiorno al campo, dal momento che né io né alcun altro supponevamo che potesse

esserci; si tratta dunque di un "bagaglio" che ho ricevuto dopo la guerra, era

comunemente ammesso. In seguito ho notato che nel mio testo mentre sostengo la

maggior parte delle mie affermazioni con delle prove non ve ne erano sulla camera a

gas".

Fonte: "Ouest-France", 2-3 agosto 1986, p. 6

Jean Gabriel Cohn-Bendit aveva già scritto: "Battiamoci affinché si distruggano

quelle camere a gas che si mostrano ai turisti nei campi, nei quali, ora si sa, non ne

esistevano affatto, a rischio di non essere più creduti su ciò di cui siamo sicuri".

Fonte: "Libération", 5 marzo 1979, p. 4

Nel film proiettato al processo di Norimberga la sola camera a gas mostrata era stata

quella di Dachau.

Il 26 agosto 1960 Broszat, a nome dell'Istituto di storia contemporanea di Monaco, di

obbedienza sionista, scriveva su "Die Zeit" (p. 14): "La camera a gas di Dachau non è

mai stata attivata e non ha mai funzionato".

Dall'estate del 1973, un cartello, di fronte alle docce, spiega: "questa camera a gas,

camuffata da sala per le docce, non è mai stata messa in funzione". Esso aggiunge che

i prigionieri condannati alla gassazione erano stati trasferiti all'Est.

Ma la camera a gas di Dachau è la sola che sia stata presentata in fotografia agli

accusati di Norimberga come uno dei luoghi dello sterminio di massa e tutti gli

accusati vi hanno creduto, con l'eccezione di Göring e di Streicher.

4. Il mito di una "terra senza popolo per un popolo

senza terra"

"Non c'è un popolo palestinese [...], Non è come se noi fossimo venuti a metterli alla

porta e a prendere il loro paese. Essi non esistono".

Fonte: Golda Meir, dichiarazione al "Sunday Times", 15 giugno 1969

L'ideologia sionista si fonda su un postulato molto semplice. Si legge nella Genesi

(XV, 18-21): "Il Signore concluse un'alleanza con Abramo in questi termini: "Alla tua

progenie io dò questo paese, dal torrente d'Egitto al grande fiume, il fiume Eufrate"".


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A partire da ciò, senza domandarsi in che cosa consista l'Alleanza, a chi sia stata fatta

la promessa, o se l'Elezione fosse incondizionale, i dirigenti sionisti, anche se

agnostici o atei, affermano: la Palestina ci è stata data da Dio.

Le stesse statistiche del governo israeliano mostrano che il 15% degli israeliani sono

religiosi. Questo non impedisce al 90% di essi di affermare che questa terra è stata

data loro da Dio... al quale non credono.

L'immensa maggioranza degli attuali israeliani non condivide né la pratica, né la fede

religiosa, e i diversi "partiti religiosi", che pure svolgono un ruolo decisivo nello Stato

d'Israele, non raccolgono che un'infima minoranza di cittadini.

L'apparente paradosso è spiegato da Nathan Weinstock: "Se l'oscurantismo rabbinico

trionfa in Israele è perché la mistica sionista non ha coerenza che tramite il

riferimento alla legge mosaica. Sopprimete i concetti di "popolo eletto" e di "terra

promessa" e il fondamento del sionismo crolla. Infatti, paradossalmente, i partiti

religiosi poggiano la loro forza sulla complicità dei sionisti agnostici. La coerenza

interna della stuttura sionista d'Israele ha imposto ai suoi dirigenti il rafforzamento

dell'autorità del clero. Ed è stato il partito socialdemocratico Mapai, sotto l'impulso di

Ben Gurion, e non i partiti confessionali, che ha inserito il corso obbligatorio di

religione nel programma delle scuole".

Fonte: Nathan Weinstock, Le sionisme contre Israël,

Parigi, Maspéro, 1969, p. 315

"Questo paese esiste come realizzazione di una promessa fatta da Dio stesso. Sarebbe

ridicolo domandargli conto della sua legittimità. Tale è l'assioma di base formulato da

Golda Meir"

Fonte: "Le Monde", 15 ottobre 1971

"Questa terra ci è stata promessa e noi abbiamo un diritto su di essa" ripete Begin.

Fonte: Menahem Begin, dichiarazione rilasciata a Oslo,

"Davar", 12 dicembre 1978

"Se si possiede la Bibbia, se ci si considera come il popolo della Bibbia, bisogna

possedere tutte le terre bibliche, quelle dei Giudici e quelle dei Patriarchi, di

Gerusalemme, di Ebron, di Gerico e di altri posti ancora".

Fonte: Moshe Dayan, "Jerusalem Post", 10 agosto 1967

Molto significativamente Ben Gurion ricorda il "precedente" del-l'America dove, in

effetti, per un secolo la frontiera rimase mobile fino al Pacifico, in funzione dei

successi della "caccia agli indiani" per impadronirsi delle loro terre.


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Ben Gurion disse molto chiaramente: "Non si tratta di mantenere lo statu quo. Noi

dobbiamo creare uno Stato dinamico, orientato verso l'espansione".

La pratica politica corrisponde a questa singolare teoria: prendere la terra,

cacciandone gli abitanti, come fece Giosuè, successore di Mosè. Menahem Begin, più

profondamente imbevuto della tradizione biblica, proclamò: "Eretz Israel sarà

restituita al popolo d'Israele. Tutta intera e per sempre".

Fonte: Menahem Begin, The revolt: story of the Irgun,

New York, Schuman, 1951, p. 335

Così, improvvisamente, lo Stato d'Israele si pone al di sopra di ogni legge

internazionale.

Imposto all'ONU l'11 maggio 1949 per volontà degli Stati Uniti, lo Stato di Israele

non fu ammesso che a tre condizioni:

1 non toccare lo statuto di Gerusalemme;

2 permettere agli arabi palestinesi di tornare a casa loro;

3 rispettare le frontiere fissate dall'accordo di spartizione.

Parlando di questa risoluzione delle Nazioni Unite sulla "spartizione", votata molto

prima dell'ammissione di Israele, Ben Gurion dichiara: "Lo Stato d'Israele considera

che la risoluzione delle Nazioni Unite del 29 novembre 1947 è nulla e non

sussistente".

Fonte: "New York Times", 6 dicembre 1953

Facendo eco alle tesi dell'americano Albright, citate più sopra, sul parallelismo

dell'espansione americana e sionista, il generale Moshe Dayan scrisse: "Prendete la

dichiarazione d'indipendenza americana. Essa non contiene alcuna menzione di limiti

territoriali. Noi non siamo obbligati a fissare i limiti dello Stato".

Fonte: "Jerusalem Post", 10 agosto 1967

La politica corrisponde esattamente a questa legge della giungla: la "spartizione" della

Palestina, derivante dalla risoluzione delle Nazioni Unite, non fu mai rispettata. Tale

decisione, adottata il 29 novembre 1947 dall'assemblea generale (composta allora da

una schiacciante maggioranza di Stati occidentali), traccia i piani dell'Occidente per

questo suo "avamposto".

In questa data gli ebrei costiuiscono il 32% della popolazione e possiedono il 5,6%

del suolo: essi ricevono il 56% del territorio, con le terre più fertili. Ciò grazie

all'intervento degli Stati Uniti.


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Il presidente Truman esercitò una pressione senza precedenti sul dipartimento di

Stato. Il sottosegretario di Stato Summer Welles scrisse: "Per ordine diretto della Casa

Bianca i funzionari americani devono usare pressioni dirette o indirette [...] al fine di

assicurare la maggioranza necessaria al voto finale".

Fonte: Summer Welles, We need not fail, Boston, 1948, p. 63

James Forrestal, allora ministro della difesa, conferma: "I metodi utilizzati per fare

pressione e per costringere le altre nazioni in seno alle Nazioni Unite rasentavano lo

scandalo".

Fonte: James Forrestal, Memories,

New York, Viking Press, 1951, p. 363

Fu mobilitata tutta la forza dei monopoli privati: sul "Chicago-Daily" del 9 febbraio

1948 Dex Pearson fornisce delle precisazioni, tra le quali la seguente: "Harvey

Firestone, proprietario di piantagioni di caucciù in Liberia, agisce presso il governo

liberiano".

Siccome gli arabi protestavano contro l'ingiustizia della spartizione e la rifiutavano, i

dirigenti israeliani ne approfittarono a partire dal 1948 per impadronirsi di nuovi

territori, in particolare Jaffa e San Giovanni d'Acri, nonostante il fatto che nel 1949

già controllassero l'80% del paese e 770.000 palestinesi fossero stati cacciati.

Il sistema impiegato era quello del terrore:

L'esempio più eclatante fu quello di Deir Yassin.

Il 9 aprile 1948, con un metodo identico a quello dei nazisti a Oradour, i 254 abitanti

di quel villaggio (uomini, donne, vecchi e bambini) furono massacrati dalle truppe

dell'Irgun capeggiate da Menahem Begin.

Nel suo libro The revolt: story of the Irgun Begin scrisse che "lo Stato di Israele non

sarebbe esistito senza la vittoria di Deir Yassin" (p. 200 ) e aggiunse: "La Haganah

effettuava attacchi vittoriosi sugli altri fronti [...]. Presi dal panico, gli arabi fuggivano

gridando: Deir Yassin" (ibidem).

Erano considerati come "assenti" tutti i palestinesi che avevano lasciato il proprio

domicilio entro il 1o agosto 1948.

Così 2/3 delle terre possedute dagli arabi (70.000 ettari su 110.000) furono confiscati.

Quando nel 1953 fu promulgata la legge sulla proprietà fondiaria, l'indennizzo fu

fissato sul valore della terra al 1950, ma nel frattempo la lira israeliana aveva perso 5

volte il suo valore.

Inoltre, dopo l'inizio dell'immigrazione ebraica, per di più in perfetto stile colonialista,

le terre erano vendute da feudatari proprietari non residenti (gli effendi). I contadini

poveri, i fellah, scacciati dal loro territorio a causa di accordi stipulati tra i vecchi


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padroni e i nuovi occupanti, privati delle terre, non potevano, nel migliore dei casi,

fare altro che fuggire.

Le Nazioni Unite avevano nominato un mediatore, il conte Folke Bernadotte. Nel suo

primo rapporto il conte Bernadotte scrisse: "Impedire alle vittime innocenti del

conflitto di tornare alle loro case sarebbe offendere i principi elementari, mentre gli

immigranti ebraici affluiscono in Palestina e per di più minacciano di sostituire in

modo permanente i rifugiati arabi radicati in queste terre da diversi secoli". Egli

descrisse "il saccheggio in grande scala dei sionisti e la distruzione di villaggi senza

apparente necessità militare".

Questo rapporto (UN documento A 648, p. 14) è stato depositato il 16 settembre

1948. Il 17 settembre il conte Bernadotte e il suo assistente francese, il colonnello

Serot, furono assassinati nella zona di Gerusalemme occupata dai sionisti.

Fonti: Rapporto del generale A. Lundstrom alle Nazioni Unite, 17 settembre 1948;

A. Lundstrom, Un tributo alla memoria del conte Folke Bernadotte,

Roma, Fanelli, 1970; Ralph Hewins, Count Bernadotte,

his life and work, Hutchinson, 1948; Confessioni di Baruch

Nadel sul settimanale milanese "Europa", citate da "Le Monde", 4 e 5 luglio 1971

Questo non era il primo crimine del sionismo contro chiunque de-nunciasse le sue

imposture.

Lord Moyne, segretario di Stato inglese al Cairo, dichiarò il 9 giugno 1942 alla

Camera dei Lord che gli ebrei immigrati in Palestina non erano i discendenti di quelli

antichi e che non potevano avanzare "rivendicazioni legittime" sulla Terra Santa.

Sostenitore della regolamentazione dell'immigrazione in Palestina, egli fu allora

accusato di essere "un nemico implacabile dell'indipendenza ebraica".

Fonte: Isaac Zaar, Rescue and liberation: America's part in the birth of Israel,

, New York, Bloc Publishing, 1954, p. 115

Il 6 novembre 1944 Lord Moyne fu ucciso al Cairo da due membri del gruppo Stern

(di Itzac Shamir).

Anni dopo, il 2 luglio 1975, l'"Evening Star" di Auckland rivelò che i corpi dei due

assassini giustiziati erano stati scambiati con 20 prigionieri arabi e sepolti a

Gerusalemme presso il Monumento agli eroi. Il governo inglese deplorò che Israele

onorasse degli assassini e ne facesse degli eroi.

Il 22 luglio 1946 l'ala dell'Hotel King David a Gerusalemme, dove si era installato lo

Stato maggiore militare del governo inglese, esplose causando la morte di circa 100

persone, tra ebrei, inglesi e arabi. L'operazione fu rivendicata dall'Irgun di Menahem

Begin.

Lo Stato di Israele si sostituì, allora, agli ex colonialisti e fece uso degli stessi metodi:

per esempio i finanziamenti all'agricoltura che permettevano l'irrigazione, furono


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distribuiti in modo discriminatorio, favorendo sistematicamente gli occupanti ebrei.

Tra il 1948 e il 1969 la superficie delle terre irrigate passò, per quanto riguardava il

settore ebraico da 20.000 a 164.000 ettari e per il settore arabo da 800 a 4.100 ettari. Il

sistema coloniale è stato così perpetuato e, anzi, peggiorato: il dottor Rosenfeld nel

libro Les travailleurs arabes migrants, pubblicato dall'università ebraica di

Gerusalemme nel 1970, riconosce che l'agricoltura araba era più prospera al tempo del

mandato britannico.

La segregazione si esprime anche nella politica degli alloggi. Il presidente della Lega

israeliana dei diritti dell'uomo, dottor Israel Shahak, professore all'univerità ebraica di

Gerusalemme, nel suo libro Le racisme de l'État d'Israël (Parigi, Authier, 1975, p. 57)

ci fa sapere che in Israele esistono città intere (Carmel, Nazareth, Illith, Hatzor, Arad,

Mitzphen-Ramen e altre) nelle quali la legge vieta formalmente ai non ebrei di

abitare.

A livello di cultura regna lo stesso spirito colonialista.

"Il ministro dell'educazione nazionale propose nel 1970 ai liceali due versioni

differenti della preghiera allo "Yzkar": una dice che i campi della morte erano stati

costruiti dal "diabolico governo nazista e dall'omicida nazione tedesca". La seconda

evoca più globalmente "la nazione tedesca omicida" [...]. Esse comportano entrambe

un paragrafo [...] che chiede a Dio di "vendicare sotto i nostri occhi il sangue delle

vittime"".

Fonte: Cerco i miei fratelli, Ministero dell'educazione e della cultura,

Gerusalemme, 1990

Questa cultura dell'odio razziale ha dato i suoi frutti:

"Al seguito di Kahane, dei soldati sempre più numerosi, compenetrati dalla storia del

genocidio, immaginarono ogni sorta di scenario per sterminare gli arabi" racconta di

ricordare l'ufficiale Ehud Praver, responsabile del corpo insegnanti dell'esercito. "È

molto preoccupante che il genocidio possa legittimare così un razzismo ebraico. Noi

dobbiamo ormai sapere che è indispensabile non solo trattare la questione del

Genocidio, ma anche quella dell'ascesa del fascismo e spiegarne la natura e i pericoli

per la democrazia". Secon-do Praver "troppi soldati si sono messi a credere che il

Genocidio possa giustificare qualsiasi azione disonorevole".

Fonte: Tom Segev, op. cit., p. 473

Il problema è stato posto molto chiaramente ancora prima dell'esistenza dello Stato

d'Israele. Il direttore del Fondo nazionale ebraico, Yossef Weitz, scriveva già nel

1940: "Deve essere chiaro per noi, che non c'è posto per due popoli in questo paese.

Se gli arabi lo lasciano, per noi sarà sufficiente [...] non esiste altro modo che

trasferirli tutti, non bisogna lascire un solo villaggio, una sola tribù [...]. Bisogna

spiegare a Roosevelt, e a tutti i capi degli Stati amici che la terra di Israele non è

troppo piccola se tutti gli arabi se ne vanno e se le frontiere sono un po' spostate verso

nord lungo il Litani e verso est sulle alture del Golan".


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Fonte: Yossef Weitz, Journal, Tel Aviv, 1965

Nell'importante giornale israeliano "Yediot Aharonoth" del 14 luglio 1972 Yoram

Ben Porath ricordava con forza l'obiettivo da raggiungere: "È dovere dei dirigenti

israeliani spiegare chiaramente e coraggiosamente all'opinione pubblica un certo

numero di fatti, che il tempo fa dimenticare. Il primo di questi è che non ci sono

sionismo, colonizzazione, Stato ebraico, senza esclusione degli arabi ed

espropriazione delle loro terre".

Qui siamo ancora nella logica più rigorosa del sistema sionista: come creare una

maggioranza ebraica in un paese popolato da una comunità arabo-palestinese

autoctona?

Il sionismo politico ha proposto un'unica soluzione, derivante dal suo programma

colonialista: realizzare una colonia di popolamento cacciando i palestinesi e

incrementando l'immigrazione ebraica.

Cacciare i palestinesi e impossessarsi delle loro terre fu un'impresa deliberata e

sistematica.

Ai tempi della dichiarazione Balfour i sionisti non possedevano che il 2,5% della terra

e, al momento della "spartizione" della Pale-stina, il 6,5%. Nel 1982 essi ne

possedevano il 93%.

I procedimenti impiegati per togliere agli autoctoni le loro terre sono stati quelli del

più implacabile colonialismo, con toni razzisti ancora più marcati nel caso del

sionismo.

La prima tappa ebbe il carattere di un colonialismo classico. Si trattava di sfruttare la

mano d'opera locale: era il metodo del barone Édouard de Rotschild. Come egli

sfruttava nei suoi vigneti d'Algeria la manodopera a buon mercato dei fellah, estese

semplicemente il suo campo d'azione alla Palestina, sfruttando nelle sue vigne altri

arabi al posto degli algerini.

Si registrò un cambiamento verso il 1905, quando arrivò dalla Russia una nuova

ondata d'immigranti all'indomani della sconfitta della rivoluzione del 1905. Invece di

continuare il combattimento sul posto, a fianco degli altri rivoluzionari russi, i

disertori della rivoluzione sconfitta importarono in Palestina uno strano "socialismo

sionista": essi crearono delle cooperative artigianali e dei kibbutz contadini,

eliminando i fellah palestinesi, per creare un'economia basata su uno strato operaio e

contadino ebraico. Dal colonialismo classico (di tipo inglese o francese) si passò così

a una colonia di popolamento, secondo la logica del sionismo politico, che implicava

un afflusso di immigranti "in favore" dei quali e "contro" nessuno (come disse il

professor Klein) dovevano essere riservati le terre e gli impieghi. Si trattava ormai di

sostituire il popolo palestinese con un altro popolo e naturalmente d'impadronirsi della

terra.

Il punto di partenza della gigantesca operazione fu la creazione, nel 1901, del Kéren

Keyémet (Fondo nazionale ebraico), che presentava un carattere originale, anche in


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rapporto agli altri tipi di colonialismo: la terra acquisita non poteva essere rivenduta,

né affittata a non ebrei.

Negli anni Cinquanta furono approvate due leggi concernenti il Fondo nazionale

ebraico (23 novembre 1953) e il Kéren Hayesod (Fondo di ricostruzione, 10 gennaio

1956). "Queste due leggi, scrive il professor Klein, hanno permesso la trasformazione

di queste imprese che hanno avuto così un certo numero di privilegi". Senza

enumerare tali privilegi, egli richiama in una semplice nota il fatto che le terre

possedute dal Fondo nazionale ebraico sono state dichiarate "terre d'Israele" e una

legge fondamentale ha proclamato la loro inalienabilità. Si tratta di una delle quattro

leggi fondamentali adottate nel 1960 (elementi di una futura costituzione, che ancora

non esiste, a 50 anni dalla creazione di Israele). È spiacevole che il dotto giurista, con

la sua abituale cura per la precisione, non faccia alcun commento su questa

"inalienabilità". Non ne dà neppure la definizione: una terra "redenta" dal Fondo

nazionale ebraico è una terra diventata "ebraica"; essa non potrà mai essere venduta a

un non ebreo, né affittata a un non ebreo, né lavorata da un non ebreo.

Si può negare il carattere di discriminazione razzista di questa legge?

La politica agraria dei dirigenti israeliani è stata quella di una spoliazione metodica

dei contadini arabi.

L'ordinanza fondiaria del 1943, sull'esproprio d'interesse pubblico, è un'eredità del

periodo di mandato inglese. Questa ordinanza perde il suo senso quando viene

applicata in modo discriminatorio, per esempio quando nel 1962 sono stati espropriati

500 ettari a Deir El-arad, Nabel e Be'neh e il cosiddetto interesse pubblico consisteva

nella creazione della città di Carmel, riservata ai soli ebrei.

Altra procedura: l'utilizzazione delle leggi eccezionali decretate nel 1945 dagli inglesi

contro gli ebrei e gli arabi. La legge 124 dà al governo militare, con il pretesto, questa

volta, della "sicurezza", la possibilità di sospendere tutti i diritti dei cittadini e tutti i

loro spostamenti: è sufficiente che l'esercito dichiari vietata una zona, "per ragioni di

sicurezza dello Stato", perché un arabo non possa tornare sulle sue terre senza

autorizzazione governativa. Se l'autorizzazione viene rifiutata, la terra è dichiarata

"incolta" e il ministero dell'agricoltura può "prendere possesso di terre non coltivate al

fine di garantirne la lavorazione".

Quando gli inglesi nel 1945 promulgarono questa legislazione ferocemente

colonialista per lottare contro il terrorismo ebraico, il giurista Bernard (Dov) Joseph,

protestò: "Saremo tutti sottomessi al terrore ufficiale? [...] Nessun cittadino sarà al

riparo dalla prigionia a vita senza processo [...] i poteri dell'amministrazione di

esiliare chiunque sono illimitati [...] non c'è bisogno di commettere una qualche

infrazione, è sufficiente una decisione presa in un qualsiasi ufficio".

Lo stesso Bernard (Dov) Joseph, diventato ministro della giustizia d'Israele, applicò

questa legislazione contro gli arabi.

J. Shapira a proposito delle stesse leggi, in una manifestazione di protesta del 7

febbraio 1946 a Tel Aviv ("Hapraklit", febbraio 1946, pp. 58-64) dichiarò ancor più


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fermamente: "L'ordine imposto da questa legislazione è senza precedenti in un paese

civile: nemmeno nella Germania nazista esistevano simili leggi".

Lo stesso J. Shapira, diventato prima procuratore generale dello Stato d'Israele e poi

ministro della giustizia, applicò queste leggi contro gli arabi. Per giustificare il

mantenimento del regime di terrore antiarabo, lo "stato d'emergenza" in Israele non è

mai stato abrogato dal 1948.

Shimon Peres scriveva sul giornale "Davar" del 25 gennaio 1972:

"L'applicazione della legge 125, sulla quale si fonda il governo militare, è una

continuazione diretta della lotta per l'insediamento e l'immigrazione ebraiche".

L'ordinanza sulla coltura delle terre incolte, emessa nel 1948 ed emendata nel 1949,

va nello stesso senso, ma per una via più diretta: senza neanche cercare il pretesto

della "sicurezza pubblica" o della "sicurezza militare", il ministro dell'agricoltura può

requisire ogni terra abbandonata.

Ora, l'esodo massiccio delle popolazioni arabe sotto il terrore, come nel caso di Deir

Yassin nel 1948, di Kafr Kassem il 29 ottobre 1956 o dei pogrom dell'Unità 101,

creata da Moshe Dayan e a lungo comandata da Ariel Sharon, ha "liberato" vasti

territori, svuotati dei loro proprietari o lavoratori arabi e consegnati agli occupanti

ebrei.

Il meccanismo di esproprio dei fellah è stato completato dall'ordine del 30 giugno

1948, dal decreto d'urgenza del 15 novembre 1948 sulle proprietà degli "assenti",

dalla legge relativa alle terre degli "assenti" del 14 marzo 1950, dalla legge

sull'acquisizione delle terre del 13 marzo 1953 e da tutto un arsenale di misure

tendenti a legalizzare il furto, che hanno costretto gli arabi a lasciare le loro terre dove

sono state installate delle colonie ebraiche, come mostra Le sionisme contre Israël di

Nathan Weinstock.

Per cancellare perfino il ricordo dell'esistenza della popolazione agricola palestinese e

accreditare il mito del "paese deserto", i villaggi arabi furono distrutti con le loro case,

i loro recinti e anche i loro cimiteri.

Il professor Israel Shahak ha distribuito nel 1975 la lista dei 385 villaggi arabi, sui 475

esistenti nel 1948, distrutti e rasi al suolo con i bulldozer.

"Per convincere che, prima di Israele, la Palestina era un "deserto", centinaia di

villaggi sono stati spianati dai bulldozer con le loro case, le loro recinzioni, i loro

cimiteri e le loro tombe".

Fonte: Israel Shahak, Le racisme de l'État d'Israël, cit., pp. 152 e s.

Le colonie israeliane hanno continuato ad impiantarsi con un particolare impatto in

Cisgiordania nel 1979 e, sempre secondo la più classica tradizione colonialista, i loro

membri sono stati armati.


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Il risultato globale è il seguente: dopo aver cacciato un milione e mezzo di palestinesi,

la "terra ebraica", come la chiamano i responsabili del Fondo nazionale ebraico, che

era il 6,5% nel 1947, rappresenta più del 93% della Palestina (per il 75% statale e per

il 14% del Fondo nazionale).

Il bilancio di questa operazione era anticipatamente (e significativamente) sottolineato

nel giornale degli afrikaaners dell'Africa del Sud "Die Transvaler", esperto in materia

di discriminazione razziale (apartheid): "Qual'è la differenza tra il modo con cui il

popolo israeliano si sforza di rimanere se stesso tra le popolazioni non ebraiche e

quello degli afrikaners per cercare di restare ciò che sono?".

Fonte: Henry Katzew, South Africa: a country without friends,

citato in R. Stevens, Zionism, South Africa and Apartheid

Il sistema di apartheid si manifesta nella condizione personale come

nell'appropriazione delle terre. Gli israeliani vogliono concedere ai palestinesi una

"autonomia che è l'equivalente di ciò che sono stati i bantustans per i neri dell'Africa

del Sud.

Analizzando le conseguenze della legge del "Ritorno", Klein, direttore dell'Istituto di

diritto comparato all'università ebraica di Gerusa-lemme, pone la domanda: "Se il

popolo ebraico supera di molto la popolazione dello Stato d'Israele, inversamente si

può dire che non tutta la popolazione dello Stato di Israele è ebraica, perché il paese

conta una importante minoranza non ebraica composta essenzialmente da arabi e

drusi. La questione che si pone è sapere in quale misura l'esistenza di una legge del

ritorno, che favorisca l'immigrazione di una parte della popolazione (definita dalla sua

appartenenza religiosa ed etnica), non possa essere considerata come discriminatoria".

Fonte: Claude Klein, Le caractère juif de l'État d'Israël, Parigi, Cujas, 1977, p. 33

L'autore si domanda in particolare se la convenzione internazionale sull'eliminazione

di tutte le discriminazioni razziali (adottata il 21 dicembre 1965 dall'assemblea

generale delle Nazioni Unite) non si applichi affato alla legge del ritorno: attraverso

una dialettica che lasciamo giudicare al lettore, l'eminente giurista conclude con

questo sottile distinguo: in materia di non-discriminazione "una misura non deve

essere diretta contro un gruppo particolare. La legge del ritorno è concepita in favore

degli ebrei che vogliano stabilirsi in Israele, essa non è diretta contro alcun gruppo o

nazionalità. Non vediamo in quale misura questa legge sarebbe discriminatoria".

Fonte: Op. cit., p. 35

Al lettore, che rischiasse di essere dirottato da questa logica quanto meno audace che

consiste nel dire, secondo una celebre battuta, che tutti i cittadini sono uguali, ma

alcuni sono più uguali di altri , illustriamo concretamente la situazione creata dalla

legge del ritorno. Per coloro che non ne beneficiano è prevista una legge sulla

nazionalità (5712 del 1952): essa riguarda (articolo 3) "tutti gli individui che

immediatamente prima della fondazione dello Stato erano soggetti palestinesi e che


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non diventano israeliani in virtù dell'articolo 2" (quello concernente gli ebrei). I

soggetti designati da questa perifrasi (considerati come "non aventi mai avuto prima

nazionalità", vale a dire come apolidi per eredità), devono provare (e prove

documentali molto spesso sono impossibili, perché i documenti sono spariti nella

guerra e nel terrore che hanno accompagnato l'instaurazione dello Stato sionista) che

abitavano questa terra dal tale al talaltro periodo: in mancanza di ciò, per diventare

cittadino, resta la via della "naturalizzazione", che esige, per esempio, "una certa

conoscenza della lingua ebraica". Dopo di che il ministro degli interni, "se lo giudica

utile", concede (o rifiuta) la nazionalità israeliana. In breve, in virtù della legge

israeliana, un ebreo della Patagonia diviene cittadino israeliano nello stesso istante in

cui mette piede all'aeroporto di Tel Aviv; un palestinese, nato in Palestina da genitori

palestinesi, può essere considerato come apolide: non c'è nessuna discriminazione

razziale contro i palestinesi, si tratta semplicemente di una misura a favore degli

ebrei!

Sembra quindi difficile contestare la risoluzione dell'assemblea generale dell'ONU del

10 novembre 1975 (risoluzione 3379, XXX) che definisce il sionismo una "forma di

razzismo e di discriminazione razziale".

Infatti coloro che si stabiliscono in Israele sono per un'infima minoranza intenzionati a

realizzare la "promessa". La "legge del ritorno" c'entra molto poco. È una fortuna che

sia così, perché in tutti i paesi del mondo gli ebrei hanno svolto un ruolo di primaria

importanza in ogni settore della cultura, della scienza e delle arti e sarebbe desolante

che il sionismo raggiungesse l'obiettivo che si sono prefissati gli antisemiti: strappare

gli ebrei alle loro rispettive patrie, per rinchiuderli in un ghetto mondiale. L'esempio

degli ebrei francesi è significativo: dopo gli accordi di Évian del 1962 e la liberazione

dell'Algeria, su 130.000 ebrei che lasciarono l'Algeria stessa soltanto 20.000 andarono

in Israele e 110.000 in Francia. Questo movimento non fu la conseguenza di una

persecuzione antisemita, perché la proporzione dei coloni francesi non ebrei che se ne

andavano era la stessa. La partenza cioè non era causata dall'antisemitismo ma dal

precedente colonialismo francese e gli ebrei francesi d'Algeria conobbero la stessa

sorte degli altri francesi del paese.

In sintesi, però, la quasi totalità degli immigranti ebrei andò in Israele per sfuggire alle

persecuzioni antisemite, come è evidente da quanto segue.

Nel 1880 in Palestina c'erano 25.000 ebrei su una popolazione di 500.000 abitanti. A

partire dal 1882 cominciarono le immigrazioni massicce in seguito ai grandi pogrom

della russia zarista.

Dal 1882 al 1917 arrivaronono in Plestina 50.000 ebrei. Poi tra le due guerre vi

giunsero gli immigrati polacchi e quelli del Maghreb per sfuggire alle persecuzioni.

Ma la massa più considerevole si mosse dalla Germania a causa dell'ignobile

antisemitismo di Hitler. Circa 400.000 ebrei arrivarono così in Palestina prima del

1945. Nel 1947, alla vigilia della creazione dello Stato d'Israele, c'erano 600.000 ebrei

su una popolazione totale di 1 milione 250 mila abitanti. Fu allora che cominciò lo

sradicamento metodico dei palestinesi. Prima della guerra del 1948 circa 650.000

arabi abitavano nei territori che stavano per diventare lo Stato d'Israele. Nel 1949 ne

restavano 160.000. A causa di una forte natalità i loro discendenti erano 450.000 alla


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fine del 1970: la Lega dei diritti dell'uomo d'Israele rivela che dall'11 giugno 1967 al

15 novembre 1969 più di 20.000 case arabe furono fatte saltare con la dinamite in

Israele e in Cisgiordania.

Secondo il censimento inglese del 31 dicembre 1922 c'erano in Palestina 757.000

abitanti di cui 663.000 arabi (590.000 arabi musulmani e 73.000 arabi cristiani) e

83.000 ebrei (cioè: l'88% di arabi e l'11% di ebrei). Conviene ricordare che questo

preteso "deserto" era esportatore di cereali e di agrumi.

Nel 1891 un sionista della prima ora, Asher Guinsberg, (che scriveva con lo

pseudonimo Ahad Ha'am (Uno del popolo), visitando la Palestina riferì: "All'estero

siamo abituati a credere che Eretz-Israel è oggi semi-desertica, un deserto senza

culture, e che chiunque desideri acquisire delle terre possa venire qui e impossessarsi

di tutte quelle che desidera. Ma in realtà non è vero niente. Su tutta l'estensione del

paese è difficile trovare campi che non siano coltivati. I soli angoli incolti sono i

campi di sabbia e le montagne di pietra, dove non possono crescere che alberi da

frutto e solo dopo una dura fatica e un lungo lavoro di pulizia e di recupero".

Fonte: Ahad Ha'am, Opere complete (in ebraico),

Tel Aviv, Devir Publ. House, ottava edizione, p. 23

In realtà, prima dei sionisti, i "beduini", di fatto coltivatori di cereali, esportavano

30.000 tonnellate di grano all'anno. La superficie dei frutteti arabi triplicò dal 1921 al

1942, quella degli aranceti e degli altri agrumeti risultò moltiplicata per sette tra il

1922 e il 1947, la produzione complessiva decuplicò tra il 1922 e il 1938.

Per non considerare che l'esempio degli agrumi, il Rapporto Peel, presentato al

parlamento inglese dal segretario di Stato per le colonie nel luglio 1937, basandosi sul

rapido incremento degli aranceti in Palestina, stimava che riguardo ai 30 milioni di

cassette di arance invernali con cui sarebbe aumentato il consumo mondiale nei dieci

anni seguenti, i paesi produttori ed esportatori sarebbero stati i seguenti: Palestina: 15

milioni, Stati Uniti: 7 milioni, Spagna: 5 milioni, altri paesi (Cipro, Egitto, Algeria,

ecc.): 3 milioni.

Fonte: Rapporto Peel, capitolo 8, § 19, p. 214

Secondo uno studio del dipartimento di Stato americano, consegnato il 20 marzo a

una commissione del Congresso, "più di duecentomila israeliani sono attualmente

insediati nei territori occupati (Golan e Gerusalemme-Est compresi). Essi

costituiscono "approssimativamente" il 13% della popolazione totale di questi

territori".

Circa 90.000 tra essi risiedono nelle 150 colonie della Cisgiordania, "dove le autorità

israeliane dispongono della quasi metà delle terre".

"A Gerusalemme-Est e nei sobborghi arabi che dipendono dal municipio continua il

dipartimento di Stato quasi 120.000 israeliani sono insediati in circa dodici quartieri.

Nella striscia di Gaza, dove lo Stato ebraico ha confiscato il trenta per cento di un


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territorio già sovrappopolato, 3.000 israeliani risiedono in una quindicina di

insediamenti. Sull'altopiano del Golan ve ne sono 12.000, ripartiti in una trentina di

località".

Fonte: "Le Monde", 18 aprile 1993

Il più diffuso quotidiano israeliano, "Yedioth Aharonoth", scriveva: "Dopo gli anni

Settanta non c'è più stato un simile sviluppo dell'edilizia nei territori. Ariel Sharon (il

ministro degli alloggiamenti) è febbrilmente occupato a stabilire nuovi insediamenti,

ad ampliare quelli già esistenti, a costruire strade e a preparare nuovi terreni

edificabili".

Fonte: "Le Monde", 18 aprile 1991

(Ricordiamo che Ariel Sharon fu il generale che comandò l'invasione del Libano e che

armò le milizie falangiste che eseguirono i pogrom dei campi palestinesi di Sabra e

Chatila: Sharon chiuse un occhio su quelle azioni e ne fu complice, come rivelò anche

la commissione israeliana incaricata dell'inchiesta sui massacri).

Il mantenimento di quelle colonie ebraiche nei territori occupati, la loro protezione da

parte dell'esercito israeliano e l'armamento dei coloni (come d'altra parte quello degli

avventurieri del Far West in America) rende illusoria ogni vera "autonomia" dei

palestinesi e rende impossibile la pace fin tanto che sussista un'occupazione di fatto.

Il principale sforzo di colonizzazione avviene a Gerusalemme, con lo scopo dichiarato

di rendere irreversibile la decisione di annettere la totalità della città, tuttavia

unanimamente condannata dalle Nazio-ni Unite (e anche dagli Stati Uniti!).

Gli insediamenti coloniali nei territori occupati rappresentano una violazione flagrante

delle leggi internazionali e in particolar modo della Convenzione di Ginevra del 12

agosto 1949, che stabilisce: "La potenza occupante non potrà procedere al

trasferimento di una parte della propria popolazione civile nel territorio da essa

occupato". Nemmeno Hitler aveva infranto questa legge internazionale: egli non ha

mai installato colonie civili tedesche su terre da cui fossero stati scacciati i contadini

francesi.

Il pretesto della "sicurezza", come quello del "terrorismo" dell'Inti-fada, è ridicolo. A

questo riguardo le cifre sono eloquenti: "1.116 palestinesi sono stati uccisi dal 9

dicembre 1987, data d'inizio dell'Intifada (la rivolta dei sassi), dai colpi di fucile dei

militari, della polizia e dei coloni. 626 nel 1988-89, 134 nel 1990, 93 nel 1991, 108

nel 1992 e 155 dal primo gennaio all'11 settembre 1993. Tra le vittime figurano 233

ragazzi di età inferiore ai diciassette anni, secondo uno studio condotto dalla

Betselem, l'associazione israeliana dei diritti dell'uomo. Secondo fonti militari sono

circa ventimila i palestinesi feriti, ma l'Ufficio delle Nazioni Unite per l'aiuto ai

rifugiati palestinesi (UNRWA) ritiene che siano novantamila.

"Trentatré soldati israeliani sono stati uccisi dal 9 dicembre 1987, ovvero 4 nel 1988,

4 nel 1989, 1 nel 1990, 2 nel 1991, 11 nel 1992 e 11 nel 1993. Quaranta civili, per la


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maggior parte coloni, sono stati uccisi nei territori occupati, secondo una stima

dell'esercito.

"Le organizzazioni umanitarie sostengono che nel 1993 quindicimila palestinesi si

trovano nelle prigioni dell'amministrazione penitenziaria e nei centri di detenzione

dell'esercito.

"Dodici palestinesi sono morti nelle prigioni israeliane dall'inizio dell'Intifada, alcuni

in circostanze non ancora chiarite, assicura la Betselem. Questa organizzazione

umanitaria rivela inoltre che almeno ventimila detenuti sono torturati ogni anno nei

centri di detenzione militare, nel corso degli interrogatori".

Fonte: "Le Monde", 12 settembre 1993

Tante violazioni della legge internazionale, considerata come carta straccia,

dipendono, come scrive il professor Israel Shahak, dal fatto che: "queste colonie, per

la loro stessa natura, s'inseriscono in un sistema di spoliazione, di discriminazione e di

apartheid".

Fonte: Israel Shahak, Le racisme de l'État d'Israël, p. 263

Ecco la testimonianza di questo autore sull'idolatria che consiste nel sostituire al Dio

di Israele lo Stato di Israele.

"Io sono un ebreo che vive in Israele. Mi considero un cittadino rispettoso della legge.

Presto servizio nell'esercito ogni anno, benché abbia più di quaranta anni. Ma non

sono "devoto" allo Stato di Israele o a qualche altro Stato od organizzazione! Sono

legato ai miei ideali. Credo che bisogna dire la verità e fare ciò che è necessario per

salvare la giustizia e l'eguaglianza per tutti. Sono legato alla lingua e alla poesia

ebraiche e mi piace pensare che rispetto umilmente alcuni dei valori dei nostri antichi

profeti.

"Ma dedicarasi al culto dello Stato! Mi immagino Amos o Isaia se si fosse chiesto

loro di "votarsi" al culto del reame di Israele o di Giudea!

"Gli ebrei credono, e dicono tre volte al giorno, che un ebreo deve essere votato a Dio

e a Dio soltanto: "Tu amerai Jahvè, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta la tua anima,

e con tutte le tue forze" (Deutero-nomio, VI, 5). Una piccola minoranza ci crede

ancora. Ma a me sembra che la maggioranza della popolazione abbia perso il suo Dio

e l'abbia sostituito con un idolo, esattamente come quando gli ebrei adoravano

l'agnello d'oro tanto da dare tutto il loro oro per innalzargli una statua. Il nome del

loro idolo moderno è: Stato d'Israele".

Fonte: Op. cit., p. 93


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III -- L'utilizzazione politica del mito

1. La lobby degli Stati Uniti

"Il primo ministro d'Israele ha molta più influenza sulla politica estera degli Stati

Uniti in Medio Oriente, che nel suo paese".

Fonte: Paul Finley, They dare to speak out,

Chicago, Lawrence Hill, 1989, p. 92

Come è possibile che dei miti abbiano potuto suscitare credenze difficilmente

sradicabili presso milioni di persone in buona fede?

Attraverso la creazione di potenti lobbies capaci di piegare l'azione dei politici e di

condizionare l'opinione pubblica. Le modalità della loro azione variano a seconda dei

paesi.

Negli Stati Uniti, dove vivono 6 milioni di ebrei, il loro voto può essere determinante

perché la maggioranza elettorale (a causa dell'elevato numero di astensioni e

dell'assenza di differenze programmatiche di fondo tra i due partiti) può essere

raggiunta grazie a uno scarto del 3 o 4%.

Inoltre le oscillazioni dell'opinione pubblica, influenzate in buona misura dal look del

candidato o dalle suggestioni delle sue prestazioni televisive, sono in rapporto con i

fondi dei suoi comitati e le possibilità del suo marketing politico. "Nel 1988 le

elezioni americane per il Se-nato richiedevano uno sforzo pubblicitario di 500 milioni

di dollari".

Fonte: Alain Cotta, Le capitalisme dans tous ses Etats,

Parigi, Fayard, 1991, p. 158

La lobby più potente ufficialmente accreditata in Campidoglio è l'AIPAC (American

Israel Public Affairs Commitee).

Tale era già nel 1942 la potenza degli israeliani negli Stati Uniti che all'Hotel

Biltmore, a New York, una convenzione massimalista decise che era necessario

passare dal "focolare ebraico in Palestina (promesso da Balfour, si sarebbe realizzato

con la colonizzazione lenta attraverso l'acquisto di terre, sotto il protettorato

britannico o americano), alla creazione di uno Stato ebraico sovrano.

La doppiezza che caratterizza tutta la storia del sionismo si esprime nelle

"interpretazioni" di quello che fu il risultato finale degli sforzi di Herzl: la


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Dichiarazione Balfour (nel 1917). La formula di "focolare nazionale ebraico" è ripresa

dal Congresso di Basilea. Lord Rothschild aveva preparato un progetto che affermava

"il diritto nazionale del popolo ebraico". La dichiarazione finale non parla più di tutta

la Palestina, ma solo dell'"insediamento in Palestina d'un focolare nazionale per il

popolo ebraico". E infatti tutti dicono focolare come se si trattasse di un centro

spirituale o culturale, mentre pensano, in realtà, a uno Stato. È il caso dello stesso

Herzl. Lloyd George nel suo libro The truth about the Peace treaties (Londra,

Gollancz, 1938, II, pp. 1138-39) scrisse: "Non si possono avere dubbi su ciò che i

membri del gabinetto avevano in mente all'epoca [...]. La Palestina doveva diventare

uno Stato indipendente". È significativo che il generale Smuts, membro del gabinetto

di guerra, il 3 novembre 1915 dichiarò a Johannesburg: "Nel corso delle generazioni

future, voi vedrete sorgere laggiù [in Palestina] una volta di più un grande Stato

ebraico".

Fin dal 26 gennaio 1919 Lord Curzon scriveva: "Mentre Weizmann vi dice qualcosa e

pensate "focolare nazionale ebraico", egli ha in mente tutt'altro. Prevede uno Stato

ebraico e una popolazione araba sottomessa, governata dagli ebrei. Cerca di realizzare

tutto ciò facendosi schermo della protezione e della garanzia britanniche".

Weizmann aveva chiaramente spiegato al governo inglese che obiettivo del sionismo

era creare uno "Stato ebraico" (con quattro o cinque milioni di ebrei). Lloyd Geroge e

Balfour gli assicurarono: "nella Dichiarazione Balfour, usando il termine "focolare

nazionale" noi intendiamo uno Stato ebraico".

Il 14 maggio 1948 Ben Gurion proclama l'indipendenza a Tel Aviv: "Lo Stato ebraico

in Palestina si chiamerà Israele".

Malgrado le divergenze tra coloro che, come Ben Gurion, consideravano doveroso per

ogni ebreo del mondo il trasferimento in quello Stato e coloro che pensavano che

l'attività degli ebrei negli Stati Uniti fosse più importante, nell'interesse stesso del

nuovo Stato, quest'ultima tendenza prevalse: su 35.000 americani o canadesi che

emigrarono in Israele, solamente 5.400 vi si stabilirono.

Fonte: Melvin I. Wrofsky, We are one! American Jewry and Israel,

New York, Ander Press-Doubleday, 1978, pp. 265-266

Lo Stato di Israele fu ammesso alle Nazioni Unite grazie alle sfrontate pressioni della

lobby.

Eisenhower non voleva inimicarsi i paesi arabi produttori di petrolio che considerava

"una prodigiosa fonte di potenza strategica e una delle più grandi ricchezze nella

storia del mondo".

Fonte: Bick, Ethnic linkage and Foreign policy, p. 81

Truman si liberò dei suoi scrupoli per ragioni elettorali così come fecero i suoi

successori.


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Sotto la potenza della lobby sionista e del "voto ebraico" Truman stesso aveva

dichiarato nel 1946, di fronte ad un gruppo di diplomatici: "Mi dispiace signori, ma io

devo rispondere a centinaia di migliaia di persone che si aspettano il successo del

sionismo. Io non ho migliaia di arabi tra i miei elettori".

Fonte: William Eddy, F.D. Roosevelt and Ibn Saud,

New York, American friends of the Middle East, 1954, p. 31

L'ex primo ministro inglese Clement Attlee fece questa dichiarazione: "La politica

degli Stati Uniti in Palestina era modellata dal voto degli ebrei e dalle sovvenzioni

delle più grandi ditte ebraiche".

Fonte: Clement Attlee, A Prime Minister Remember,

Londra, Heinemann, 1961, p. 18.

Eisenhower, in accordo con i sovietici, aveva bloccato nel 1956 l'aggressione

israeliana contro il canale di Suez (appoggiata dai dirigenti inglesi e francesi).

Il senatore J.F. Kennedy non aveva mostrato alcun entusiasmo in questo affare. Nel

1958 la Conferenza dei presidenti delle associazioni ebraiche incaricò il suo

presidente Klutznik di contattare Kennedy, possibile candidato alle elezioni. Klutznik

gli dichiarò cinicamente: "Se direte ciò che dovete dire, potrete contare su di me.

Altrimenti non sarò il solo a voltarvi le spalle". Quello che avrebbe dovuto dire gli fu

riassunto da Klutznik stesso: l'atteggiamento di Eisenhower nell'affare di Suez era

negativo, mentre Truman nel '48 si trovava sulla buona strada... Kennedy seguì questo

"consiglio" nel 1960 quando fu designato come candidato presidenziale dalla

Convenzio-ne democratica. Dopo le sue dichiarazioni a New York davanti a

personalità ebraiche egli ricevette 500.000 dollari per la sua campagna, Klutznik

come consigliere e l'80% dei voti ebraici.

Fonte: Melvin I. Wrofsky, op. cit., pp. 265-266 e 271-280

Nel suo primo incontro con Ben Gurion all'Hotel Waldorf Astoria di New York, nella

primavera del 1961, John F. Kennedy gli disse: "So che sono stato eletto grazie al

voto degli ebrei americani: devo loro la mia elezione. Ditemi che cosa devo fare per il

popolo ebraico".

Fonte: Edward Tivnan, The lobby, p. 56 (che cita M. Bar Zohar, biografo di Ben

Gurion)

Dopo Kennedy, Lyndon Johnson si spinse ancora più lontano. Un diplomatico

israeliano scrisse "abbiamo perso un grande amico. ma ne abbiamo trovato uno

migliore [...]. Johnson è il migliore amico che lo Stato ebraico abbia mai avuto alla

Casa Bianca"

Fonte: I.L. Kenan, Israel's defense line, Buffalo, Prometheus, 1981, pp. 66-67


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In effetti Johnson appoggiò largamente la guerra dei Sei giorni nel 1967. Ormai il

99% degli ebrei americani difendeva il sionismo israeliano: "Essere ebrei oggi

significa essere legati a Israele".

Fonte: Schlomo Avineri, The Making of Modern Sionism,

New York, Basis Book, 1981, p. 219

Nel novembre 1967 la risoluzione 242 delle Nazioni Unite esigeva l'evacuazione dei

territori occupati durante la guerra. De Gaulle, dopo l'aggressione, decretò l'embargo

sulle armi destinate a Israele. Il parlamento americano fece altrettanto. Ma Johnson in

dicembre, pressato dall'AIPAC, consegnò degli aerei Phantom ordinati da Israele.

Fonte: Bick, op. cit., pp. 65-66

In conseguenza di ciò Israele non assunse atteggiamenti critici verso la guerra nel

Vietnam.

Fonte: Abba Eban, Autobiographie, p. 460

Quando nel 1979 Golda Meir andò negli Stati uniti Nixon la paragonò alla "Deborah

biblica" e la coprì di elogi per la prosperità di Israele.

Fonte: Steven L.S. Spiegel, The other arab-israeli conflict,

University of Chicago Press, 1985, p. 185

Il Piano Rogers che riprendeva i punti essenziali della risoluzione 262 dell'ONU fu

respinto da Golda Meir.

Fonte: I. L. Kenan, op. cit., p. 239

Nixon consegnò a Israele 45 Phantom in più e 80 bombardieri Skyhawk.

Nasser morì l'8 settembre 1970 e Sadat propose la pace con Israele. Moshe Dayan,

ministro della difesa, rifiutò l'accordo nonostante la posizione favorevole del ministro

degli affari esteri Abba Eban.

Il 6 ottobre 1973 Sadat lanciò l'offensiva detta guerra dello Yom Kippur e distrusse la

reputazione di Golda Meir, che dovette dare le dimissioni il 10 aprile 1974, insieme

con Moshe Dayan.

Nondimeno la lobby ebraica del Campidoglio riportò un grande successo a

Washington riguardo al rapido riarmo di Israele: 2 miliardi di dollari, con il pretesto

di combattere una lobby araba concorrente.

Fonte: Neff, Warriors of Jerusalem, p. 217

Il denaro delle banche ebraiche di Wall Street si aggiunse all'aiuto governativo.


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Fonti: Bick, op. cit., p. 65, e Abba Eban, op. cit., p. 460

Delle 21 persone che hanno versato più di 100.000 dollari per il senatore Hubert

Humphrey, 15 erano ebree, tra le quali i capi della mafia ebraica di Hollywood, come

Lew Wassermann. Complessiva-mente essi contribuirono a più del 30% del fondo

elettorale del partito democratico.

Fonte: Stephen D. Isaacs, Jews and American politics,

New York, Doubleday, 1974, capitolo 8

L'AIPAC si mobilitò nuovamente e in tre settimane, il 21 maggio 1975, ottenne la

firma di 76 senatori che chiesero al presidente Ford di appoggiare lo Stato israeliano.

Fonte: Shechan, Arabis Israelis and Kissinger, "Reader's digest" press, p. 175

La via di Jimmy Carter era tracciata: alla sinagoga di Elisabeth, nel New Jersey,

rivestito con la toga di velluto blu, egli affermò:

"Onoro lo stesso vostro Dio. Noi (i battisti) studiamo la stessa vostra Bibbia". E

concluse: "la sopravvivenza di Israele non dipende dalla politica. È un dovere morale"

Fonte: "Time", 21 giugno 1976

Era l'epoca in cui Begin e i partiti religiosi avevano tolto il potere ai laburisti: "Begin

si considerava più come un ebreo che come un israeliano", dice la sua biografia.

Fonte: Silver, Begin: The haunted prophet, p. 164

Nel novembre 1976 Nahum Goldmann, presidente del Congresso ebraico mondiale,

andò a Washington per incontrare il presidente e i suoi consiglieri, Vance e

Brzezinski, e diede all'amministrazione Car-ter questo inaspettato consiglio:

"stroncare la lobby sionista degli Stati Uniti".

Fonte: "Stern", New York, 24 aprile 1978

Goldmann, il quale aveva consacrato la sua vita al sionismo e svolto un ruolo di primo

piano nella lobby dall'epoca di Ttruman, sosteneva che la sua creazione, la Conferenza

dei presidenti, era una "forza distruttiva" e un "maggiore ostacolo" alla pace in Medio

Oriente.

Begin era al potere e Goldmann era deciso a minarne la politica anche a costo di

distruggere il suo stesso gruppo di pressione.

Sei anni più tardi Cyrus Vance, uno degli interlocutori di quell'incontro, confermò i

propositi di Goldmann: "Goldmann ci ha suggerito di stroncare la lobby, ma il


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presidente e il segretario di Stato hanno risposto che non ne avevano il potere e che

d'altronde ciò avrebbe aperto la porta all'antisemitismo".

Fonte: Intervista di Cyrus Vance con Edward Tivnan,

The lobby, Simon and Schuster, 1987, p. 123

Begin, che governava con i laburisti, nominò Moshe Dayan ministro degli affari esteri

al posto di Shimon Peres.

Il coordinatore della Conferenza dei presidenti ebraici negli Stati Uniti, Schindler,

fece accettare questa svolta a favore degli estremisti e sottolineò il pragmatismo di

Dayan.

Begin, per qualche tempo, non si preoccupò affatto dei sionisti americani che

considerava come sostenitori dei laburisti.

Ma gli uomini d'affari americani, constatando l'influenza dei rabbini su Begin e

soprattutto il loro attaccamento alla "libera impresa" (contrariamente all'interventismo

statale dei laburisti), giudicarono favorevolmente gli accordi di Camp David

(settembre 1978). Sadat, stipulando una pace separata con Israele, non avanzò pretese

sulla Cisgiordania (Giudea e Samaria), "terra biblica" secondo Begin, e non conservò

che il Sinai, il quale, sempre secondo Begin, non era "terra biblica".

Fonte: S. D. Isaacs, op. cit., p. 122

Nel 1976 Carter aveva raccolto il 68% dei voti degli ebrei; nel 1980 non ne ottenne

che il 45%, avendo ceduto, nel frattempo, degli F15 all'Egitto e degli Awacs

all'Arabia Saudita, assicurando tuttavia che essi non sarebbero mai serviti contro

Israele, dal momento che l'esercito americano li controllava e li dirigeva da terra.

Ciò nondimeno Carter fu battuto nel 1980 da Reagan, che al contrario accordò 600

milioni di dollari di crediti militari a Israele per i due anni seguenti.

Begin, rassicurato, dopo Camp David, che non sarebbe stato attaccato alle spalle

dall'Egitto e tranquillizzato dal fatto che gli Awacs venduti all'Arabia Saudita erano

completamente sotto il controllo statunitense, poté mostrare agli americani il suo

potere dal punto di vista di una guerra preventiva, procedendo (come i giapponesi a

Pearl Harbour e gli israeliani contro l'aviazione egiziana durante la guerra dei Sei

giorni) alla distruzione, senza dichiarazione di belligeranza, della centrale nucleare

irachena di Ozirak, costruita dai francesi. Naturalmente Begin invocava come sempre

il mito sacro: "Non ci sarà mai più un altro olocausto"

Fonte: "Washington Post", 10 giugno 1981

Incoraggiato dalla debolezza della protesta degli Stati Uniti e temendo un

peggioramento della situazione in Medio Oiente, Begin, un mese più tardi, il 17 luglio

1981, bombardò Beirut Ovest per distruggervi, disse, alcune basi dell'OLP.


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Reagan allora annunciò il progetto di vendere per 8 miliardi e mezzo di dollari degli

altri Awacs e dei missili all'Arabia Saudita, sempre alla condizione che non avrebbero

minacciato minimamente Israele, in quanto il controllo americano sarebbe stato totale.

Cosicché una maggioranza al Senato accettò questo buon affare economico e questo

rafforzamento della manomissione americana nel Golfo (i sauditi erano tenuti a non

sorvolare la Siria, la Cisgior-dania e Israele).

Fonte: "Facts and files", 20 settembre 1981, p. 705

Begin, sempre posseduto dalla visione del "grande Israele" della leggenda biblica,

continuò l'insediamento di colonie in Cisgiordania, cominciato dai laburisti, colonie

che Carter aveva dichiarato "illegali" e contrarie alle risoluzioni 242 e 338 delle

Nazioni Unite. Ma Reagan vedeva in Israele un mezzo per bloccare le mire

dell'Unione Sovietica sul petrolio del Golfo. Nel novembre del 1981 Ariel Sharon,

ministro della guerra, incontrò il suo omologo americano Caspar Weinberger ed

elaborò con lui un piano di "cooperazione strategica" per contrastare qualsiasi

minaccia sovietica nella regione.

Fonte: "New York Times", 10 dicembre 1981

Il 14 dicembre Begin formalizzò l'annessione del Golan. Reagan protestò contro

questa nuova violazione della risoluzione 242. Begin insorse: "Siamo forse una

repubblica delle banane? Uno Stato vassallo del vostro?".

Fonte: Steven Emerson, Dutton of Arabia, "New Republic" 16 giugno 1982

L'anno seguente Begin invadeva il Libano.

Il generale Haig, che dirigeva il dipartimento di guerra, diede via libera a questa

invasione destinata a imporre un governo cristiano a Beirut.

Fonte: Ze'ev Shiff ed Ehud Ya'ari, Israel's Lebanon War,

New York, Simon and Schuster, 1984

Pochi americani criticarono l'invasione, come pochi israeliani avevano criticato quella

del Vietnam. Ma i massacri di Sabra e Chatila, sotto gli occhi di Sharon e di Eytan, e

con la loro complicità, e le immagini che ne furono trasmesse dalla televisione,

obbligarono la lobby ebraica a rompere il silenzio.

Il vice presidente del Congresso ebraico mondiale, Hertzberg, e gran parte dei rabbini

criticarono Begin nell'ottobre 1982. Begin rimproverò al rabbino Schindler che aveva

fatto questa critica alla televisione, di essere "più americano che ebreo" e uno dei suoi

aggiunti lo denunciò come "traditore".

Fonte: Michael Kremer, American Jews and IsraelThe schism,

New York, 18 ottobre 1982

Un portavoce dell'AIPAC spiegò la strategia di coloro che approvavano l'invasione:


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"Noi vogliamo rafforzare a destra il nostro sostegno a Israele con le persone che non

si preoccupano di quello che succede nella West Bank ma guardano all'Unione

Sovietica".

Fonte: Intervista con Tivnan, cit., p. 181

In questa occasione i cristiani sionisti sostennero l'aggressione israeliana e il loro capo

Jerry Falwell, che Begin chiamava "l'uomo che rappresenta 60 milioni di cristiani

americani" in un paese con 6 milioni di ebrei, ricevette la più alta onorificenza

sionista: il premio Jabotinsky per i servizi resi a Israele, oltre a 100 milioni di dollari

dallo Stato di Tel Aviv e 140 milioni di dollari dalla donazione Swaggert.

Fonte: "Time", 17 febbraio 1986

La potenza finanziaria e perciò politica, in un mondo in cui tutto si compra e si vende,

diventa sempre più determinante.

Dal 1948 gli Stati Uniti hanno fornito a Israele 28 miliardi di aiuti economici e

militari.

Fonte: "Time Magazine", giugno 1994

* * *

I dirigenti israeliani, confortati dal flusso monetario proveniente dall'estero

"risarcimenti" tedeschi e austriaci, "liberalità" degli Stati Uniti e versamenti della

Diaspora , potevano concepire le mire più ambiziose riguardo a un "grande Israele".

Una precisa testimonianza sui "piani strategici d'Israele per gli anni Ottanta" ci viene

fornita da un articolo della rivista "Kivunim" (Orientamenti) pubblicata a

Gerusalemme dall'Organizzazione sionista mondiale:

"In quanto struttura centralizzata l'Egitto è già un cadavere, soprattutto se si tiene

conto dello scontro sempre più duro tra musulmani e cristiani. La sua divisione in

diverse province geografiche deve essere il nostro obiettivo politico per gli anni

Ottanta sul fronte occidentale.

"Una volta che l'Egitto sia così dislocato e privato di potere centrale, paesi come la

Libia, il Sudan e altri più lontani subiranno lo stesso smembramento. La formazione

di uno Stato copto nell'alto Egitto e quella di piccole entità regionali di scarso peso è

la chiave di uno sviluppo storico che ora è ritardato dall'accordo di pace, ma che è

ineluttabile a lunga scadenza.

"Nonostante le apparenze, il fronte occidentale presenta meno problemi di quello

orienatale. La divisione del Libano in cinque province [...] prefigura quanto accadrà

nell'insieme del mondo arabo. La scomposizione della Siria e dell'Iraq in regioni

organizzate sulla base dei criteri etnici o religiosi dovrà essere a lungo termine lo

scopo prioritario per Israele, la prima tappa verso la distruzione del potere militare di

questi Stati.


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"Le strutture etniche della Siria la espongono a uno smantellamento che potrà portare

alla creazione di uno Stato sciita lungo la costa, di uno Stato sunnita nella regione di

Aleppo, di un altro a Damasco e di una entità drusa, che potrà aspirare alla

costituzione di un proprio Stato forse sul nostro Golan , in tutti i casi con l'Hauran e il

nord della Giordania [...]. Un simile Stato sarebbe, a lungo andare, una garanzia di

pace e di sicurezza per la regione. È un obiettivo che è già alla nostra portata.

"Ricco di petrolio e in preda a lotte intestine, l'Iraq si trova sulla linea di tiro

israeliana. Il suo smembramento sarà per noi più importante di quello della Siria,

perché è l'Iraq che rappresenta, a breve scadenza, la minaccia più seria per Israele".

Fonte: "Kivunim", Gerusalemme, n. 14, febbraio 1982, pp. 49-59

(Il testo integrale è riprodotto nel mio libro Palestine, terre des messages divins,

Parigi, Albatros, 1986, in ebraico alle pp. 377-387 e in traduzione francese a partire da

p. 315).

Per la realizzazione di questo vasto programma i dirigenti israeliani disponevano

dell'aiuto senza limiti degli Stati Uniti. Sui 507 aerei di cui disponevano alla vigilia

dell'invasione del Libano, 457 provenivano dagli Stati Uniti grazie alle donazioni e ai

prestiti di Washington. La lobby americana si incaricò di ottenere i mezzi necessari,

foss'anche andando contro gli interessi nazionali.

Dal momento che gli obiettivi del pregetto israeliano erano troppo lontani e rischiosi,

la lobby sionista riuscì a far realizzare l'operazione dagli Stati Uniti. La guerra contro

l'Iraq ne è l'esempio più lampante.

"Due potenti gruppi di pressione spingono gli Stati Uniti all'apertura del conflitto.

"1 La "lobby ebraica", perché l'eliminazione di Saddam Hussein annullerebbe la

minaccia del più forte paese arabo [...]. Gli ebrei americani svolgono un ruolo

essenziale nel sitema mediatico d'oltre Atlantico. Il compromesso permanente tra il

presidente e il congresso porta la Casa Bianca a tenere in gran conto le loro istanze.

"2 La "lobby degli affari" [...] ha ritenuto che la guerra avrebbe potuto rilanciare

l'economia. Il secondo conflitto mondiale e gli ordinativi enormi che ha procurato agli

Stati Uniti non hanno forse messo fine alla crisi del 1929, dalla quale essi non erano

mai veramente usciti? La guerra di Corea non ha provocato un nuovo boom?

"Beata guerra che porterà la prosperità in America [...]".

Fonte: Alain Peyrefitte, "Le Figaro", 5 novembre 1990

"È difficile sopravvalutare l'influenza politica dell'American Israeli Public Affairs

Committee (AIPAC) che dispone di un budget quadruplicato tra il 1982 e il 1988

(1.600.000 dollari nel 1982, 6.900.000 dollari nel 1988)".

Fonte: "Wall Street Journal", 24 giugno 1987

I dirigenti sionisti non nascondevano il ruolo della loro lobby.


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Ben Gurion dichiarò chiaramente: "Quando un ebreo, in America o in Africa del Sud,

parla ai suoi compagni ebrei del "nostro" governo, intende il governo d'Israele".

Fonte: Rebirth and Destiny of Israel, 1954, p. 489

Al ventitreesimo congresso dell'organizzazione sionista mondiale egli precisò che i

doveri di un ebreo all'estero comportavano "l'obbligo collettivo di tutte le

organizzazioni sioniste delle diverse nazioni di aiutare lo Stato ebraico in ogni

circostanza, incondizionatamente, anche se un simile atteggiamento entra in

contraddizione con le autorità delle loro rispettive nazioni".

Fonti: Ben Gurion, Tasks and character of a modern sionist, "Jerusalem Post", 17

agosto 1951

e "Jewish telegraphic agency", 8 agosto 1951 [*]

Questa confusione dell'ebraismo come religione (rispettabile al pari di tutte le altre)

con il sionismo politico comportante il vassallaggio incondizionato allo Stato

d'Israele, che si sostituisce al Dio d'Israele, non fa che alimentare l'antisemitismo.

Il dipartimento di Stato fu costretto a reagire. In una lettera indirizzata al Consiglio

americano per l'ebraismo, resa pubblica il 7 maggio 1964, il segretario di Stato Talbot,

riferendosi ai principi stessi della Costituzione americana, nei confronti dei quali le

esigenze dei dirigenti sionisti rappresentavano una sfida, ricordava che il suo paese

"riconosce lo Stato d'Israele come Stato sovrano e la cittadinanza dello Stato d'Israele.

Esso non riconosce nessun'altra sovranità o cittadinanza a questo riguardo. Non

riconosce relazioni politico-legali fondate su una identificazione religiosa dei cittadini

americani. Esso non fa alcuna discriminazione tra cittadini americani quanto a

religione, di conseguenza dovrà essere chiaro che il dipartimento di Stato non

considera il concetto di "popolo ebraico" come un concetto di diritto internazionale".

Fonte: Georges Friedmann, Fin du peuple juif, Parigi, Gallimard 1956, p. 292

_______________

[*] Niente è cambiato in questo atteggiamento dopo quasi mezzo secolo. Il gran

rabbino di Francia Joseph Sitruk ha dichiarato al primo ministro israeliano Itzak

Shamir: "Ciascun ebreo francese è un rappresentante di Israele [...]. Siate sicuro che

ogni ebreo in Francia è un difensore di ciò che voi difendete".

Fonte: Radio israeliana, 9 luglio 1990. Cit. da "Le Monde", 12 e 13 luglio 1990, e dal

quotidiano della Comunità ebraica in Francia "Jour J", 12 luglio 1990, che ha

aggiunto: "non c'è nel mio spirito la minima idea di una doppia cittadinanza".

Dichiarazione puramente platonica d'altronde, dal momento che a questo richiamo

giuridico non seguì alcuna misura contro la lobby.

L'affare Pollard ne offre un esempio.


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Nel novembre 1985 un militante sionista americano, Jonathan Pol-lard, analista presso

lo stato maggiore della marina, fu arrestato mentre si portava a casa alcuni documenti

segreti. Interrogato dall'FBI egli ammetteva di aver ricevuto 50.000 dollari dall'inizio

del 1984 per trasmettere documenti a Israele.

"L'affare Pollard non è nato improvvisamente, dal nulla. Esso s'inscrive nell'attuale

sistema sempre più insano delle relazioni americano-israeliane, caratterizzate da una

eccessiva dipendenza, che favorisce atteggiamenti imprudenti.

"Questa situazione è stata creata nel 1981, quando l'amministrazione Reagan ha dato a

Israele ciò che è stato interpretato come "carta bianca" all'avventurismo militare, con

il pretesto dell'autodifesa [...]. Il primo risultato è stato l'invasione del Libano.

"Era prevedibile che una simile accondiscendenza di Washington incoraggiasse

l'arroganza di Gerusalemme [...]. È risaputo che i legami di stretta dipendenza

trasudano risentimento e aggressività [...] da parte di Israele questo risentimento

prende forme sconsiderate, il raid su Tunisi è una di queste, l'affare Pollard ne

rappresenta un'altra".

Fonte: "Washington Post", 5 dicembre 1985

"Da decenni gli ebrei americani si sforzano di convincere l'opinione pubblica

americana che il loro sostegno incondizionato a Israele non attenta alla lealtà verso gli

Stati Uniti. Attualmente sembra difficile creder loro su questo punto, e coloro che

parlano di "doppia cittadinanza" troveranno orecchie compiacenti".

Fonte: "Haaretz", 10 dicembre 1985

Non mancano gli esempi per dimostrare come la lobby israelosionista sia riuscita a

imporre agli Stati Uniti un atteggiamento contrario agli interessi americani, ma utile

alla politica Israeliana.

Eccone alcuni.

Il presidente della Commissione degli affari esteri del Senato, Fullbright, decise di far

comparire i principali dirigenti sionisti di fronte a un Comitato che mettesse in luce le

loro attività nascoste. Egli riassunse i risultati dell'inchiesta in un'intervista Di fronte

alla nazione rilasciata alla CBS il 7 ottobre 1973: "Gli israeliani controllano la

politica del Congresso e del Senato" e aggiunse: "I nostri colleghi del Senato, circa il

70% di essi, prendono le loro decisioni sotto la pressione di una lobby, più che in base

alla propria visione di quelli che considerano come principi di libertà e di diritto".

Nelle successive elezioni Fullbright perse il suo seggio di senatore.

Dopo l'inchiesta di Fullbright la lobby sionista non ha smesso di sviluppare la sua

influenza sulla politica americana. Paul Finley, che fu per ventidue anni deputato al

Congresso degli Stati Uniti, nel libro They dare to speak out (Hanno osato parlare),

pubblicato nel 1985 da Lawrence Hill and Company, ha descritto l'attuale

funzionamento della lobby sionista e il suo potere. Questa vera e propria "succursale


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del governo israeliano" controlla il Congresso e il Senato, la Presi-denza della

repubblica, il dipartimento di Stato e il Pentagono, così come i media, ed esercita la

sua influenza tanto nelle Università quanto nelle Chiese.

Le prove e gli esempi che mostrano come le esigenze degli israeliani prevarichino gli

interessi degli Stati Uniti abbondano: il 3 ottobre 1984 la camera dei rappresentanti,

con una maggioranza superiore al 98% abroga tutte le limitazioni agli scambi tra

Israele e gli Stati Uniti, malgrado il rapporto sfavorevole del ministero del commercio

e di tutti i sindacati (p. 31).

Ogni anno, quali che siano le restrizioni di tutti gli altri capitoli di spesa, i crediti per

Israele aumentano. Lo spionaggio è tale che i più segreti dossier sono nelle mani del

governo israeliano; Adlai Ste-venson (ex candidato alla presidenza degli Stati Uniti)

scrisse nel numero dell'inverno '75-76 di "Foreign Affairs": "Praticamente nessuna

decisione concernente Israele può essere presa, e nemmeno discussa, a livello di

esecutivo, senza che sia subito conosciuta dal governo israeliano" (p. 126).

Malgrado il rifiuto del segretario di Stato alla difesa, basato sulle leggi americane, di

consegnare a Israele, nel pieno dell'aggressione contro il Libano, bombe a

frammentazione, arma diretta contro i civili, gli israeliani le ottennero da Reagan e se

ne servirono a due riprese su Beirut per massacrare la popolazione (p. 143).

Nel 1973 l'ammiraglio Thomas L. Moorer, capo dello stato maggiore interarmi,

testimonia: l'addetto militare israeliano a Washington, Mor-decai Gur (futuro

comandante in capo delle forze israeliane), chiede agli Stati Uniti degli aerei dotati di

un missile molto sofisticato (chiamato Maverick). L'ammiraglio Moorer ricorda di

aver detto a Gur: "Non posso consegnarvi questi aerei. Non ne possediamo che una

sola squadriglia e abbiamo giurato davanti al congresso che ci servono. Gur mi ha

detto: Dateci gli aerei. Quanto al congresso me ne occupo io. È così aggiunge

l'ammiraglio l'unica squadriglia dotata di Mave-ricks è finita in Israele" (p. 161).

L'8 giugno 1967 l'aviazione e la marina da guerra israeliane bombardarono la nave

americana Liberty equipaggiata con rivelatori molto sofisticati, per impedire che

venissero scoperti i piani d'invasione del Golan. Furono uccisi 34 marinai e 171

rimasero feriti. La nave fu sorvolata per 6 ore e bombardata per 70 minuti. Il governo

israeliano si scusò per questo "errore" e l'affare venne archiviato. Fu solo nel 1980 che

uno dei testimoni oculari, Ennes, ufficiale di ponte sulla Liberty, poté ricostruire la

verità, smontando la versione ufficiale relativa a un "errore", ratificata dalla

Commissione d'inchiesta dell'epoca, presieduta dall'ammiraglio Isaac Kid.

Ennes provò che l'attacco era stato deliberato e che si trattava di un assassinio.

L'ammiraglio Moorer, quando lo scalpore provocato dal libro di Finley fu soffocato

dalla lobby sionista, spiegò perché questo crimine era passato sotto silenzio: "Il

Presidente Johnson temeva le reazioni dell'elettorato ebraico", e aggiuse: "Il popolo

americano im-pazzirebbe se sapesse quello che succede" (p. 179).

Nel 1980 Adlai Stevenson, che aveva patrocinato un emendamento per ridurre del

10% l'aiuto militare allo Stato d'Israele e per far sì che questo non continuasse a

installare colonie nei territori occupati, ricordava che il 43% degli aiuti americani


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all'estero era destinato a Israele (3 milioni di abitanti) per il suo armamento, a

discapito dei 3 miliardi di abitanti affamati del pianeta.

Adlai Stevenson concludeva: "Il primo ministro israeliano ha molta più influenza

sulla politica estera degli Stati uniti in Medio Oriente di quanta ne abbia nel suo

paese" (p. 92).

Tutti i mezzi sono buoni per la lobby sionista: dalla pressione economica al ricatto

morale, dal boicottaggio dei media e degli editori alla minaccia di morte.

Paul Finley conclude: "Chiunque critichi la politica israeliana deve aspettarsi dolorose

e incessanti rappresaglie e perfino la perdita dei mezzi di sussistenza a causa delle

pressioni della lobby israeliana. Il presidente ne ha paura. Il Congresso cede a tutte le

sue esigenze. Le più prestigiose università vigilano affinché, nei loro programmi, si

scarti tutto ciò che le si oppone. I giganti mediatici e i capi militari cedono alle sue

pressioni" (p. 315).

Fonte: "Hearings", Parte 9, 23 maggio 1963

2. La lobby in Francia

"In Francia esiste una potente lobby pro-israeliana che esercita la sua influenza

soprattutto sui mezzi d'informazione" (generale de Gaulle).

Fonte: Philippe Alexandre, Le préjugé pro-israélien ,

"Le Parisien Libéré", 29 febbraio 1988

"Questa affermazione all'epoca fece scandalo. Tuttavia essa contiene una parte di

verità che è sempre attuale".

Fonte: Philippe Alexandre, art. cit.

Da allora non c'è alcun candidato alla presidenza della repubblica francese, qualunque

sia il suo partito di appartenenza, da Michel Rocard a Jacques Chirac, passando per

Mitterrand, che non sia andato in Israele per ottenerne l'investitura mediatica.

Il potere della lobby, i cui vertici sono oggi rappresentati dalla LICRA (Lega

internazionale contro il razzismo e l'antisemitismo) è tale che essa può manipolare

l'opinione pubblica a suo piacimento: mentre la popolazione ebraica costituisce circa

il 2% del popolo francese, il sionismo predomina sulla maggioranza dei controllori

politici dei media, alla televisione, alla radio e nella stampa, che si tratti di quotidiani

o di settimanali. Il cinema soprattutto con l'invasione di Hollywood e anche l'editoria

(grazie ai comitati delle case editrici in cui i controllori politici possono imporre il

loro veto) sono nelle loro mani, così come la pubblicità, fonte finanziaria dei media

stessi.


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La prova si ha nell'allineamento quasi generale dei media, quando si tratti di

rovesciare a favore d'Israele il senso degli avvenimenti: si definisce "terrorismo" la

violenza dei deboli e "lotta contro il terrorismo" la violenza dei forti.

Un ebreo malato viene gettato dall'Achille Lauro da un rinnegato dell'OLP. Si tratta,

incontestabilmente, di terrorismo. Ma quando, per rappresaglia, un bombardamento

israeliano su Tunisi causa 50 morti, tra cui numerosi bambini, l'azione viene definita:

"lotta contro il terrorismo", "difesa della legge e dell'ordine".

Come sotto la bacchetta di un direttore d'orchestra clandestino, si ascolta la stessa

musica da tutti i media, si tratti di attentati contro la Sinagoga di rue Copernic o delle

profanazioni del cimitero di Car-pentras, dell'invasione del Libano o della distruzione

dell'Iraq.

Posso testimoniare personalmente quanto segue: fino al 1982 avevo libero accesso

nelle più grandi case editrici, alla televisione, alla radio, nella stampa. Al momento

dell'invasione e dei massacri del Libano ottenni dal direttore di "Le Monde" Jacques

Fauvet la pubblicazione di una pagina intera, a pagamento, nella quale padre Michel

Lelong il pastore Matthiot e io chiarivamo "il senso dell'aggressione israeliana dopo i

massacri in Libano".

Mostrammo che non si trattava di una sbavatura, ma della logica interna del sionismo

politico sul quale si fonda lo Stato d'Israele.

Ricevetti nove minacce di morte, tramite lettere anonime e telefonate.

La LICRA intentò un processo contro di noi accusandoci di "antisemitismo e

provocazione alla discriminazione razziale".

L'avvocato di Jacques Fauvet ricordò che non bisognava confondere la comunità

ebraica e tanto meno la sua fede con lo Stato di Israele, le cui esazioni in Libano sono

state denunciate da importanti personalità ebraiche come Mendés France e Nahum

Goldmann.

La nostra difesa, quella di padre Lelong, del pastore Matthiot e la mia, traspare dal

testo stesso: noi ricordavamo quello che le nostre vite dovevano alla fede dei profeti

ebraici. Ma il sionismo politico ha sostituito il Dio d'Israele con lo Stato d'Israele. Il

suo comportamento in Libano e in Palestina, creando odiosi amalgami, disonora

l'ebraismo agli occhi del mondo. La nostra lotta contro il sionismo politico è quindi

inseparabile dalla nostra lotta contro l'antisemitismo.

Da parte mia ripresi, davanti al tribunale, le analisi degli studi riassunti in La

Palestine, terre des messages divins: il sionismo politico, fondato da Theodor Herzl (e

condannato, allora da tutti i rabbini del mondo come tradimento della religione

ebraica), deriva, non dalla fede ebraica, ma dal nazionalismo e dal colonialismo

europei del XIX secolo. Le ultime tracce esistenti delle colonie di popolamento in

Palestina, come in Sudafrica, a causa del loro razzismo (ufficialmente denunciato

dall'ONU) incontrano la resistenza degli autoctoni. Come in tutti i colonialismi e in

tutti i regimi di occupazione (ne abbiamo fatto esperienza in Francia al tempo di


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Hitler), la repressione si chiama "mantenimento dell'ordine" e la resistenza

"terrorismo".

Ascoltando l'avvocato della LICRA, che cercò di dipingermi addosso un ritratto da

antisemita, io mi rividi nel 1967 a Gerusalemme, accompagnato al Muro del pianto

dal ministro israeliano Barzilai, e poi nella casa di Nahum Goldmann, allora

presidente del Congresso ebraico mondiale. Mi rividi anche al campo di

concentramento con il mio amico Bernard Lecache (fondatore della LICA, che

diventerà LICRA), il quale mi aiutò a preparare i miei corsi sui Profeti di Israele ai

nostri compagni deportati. Rivedevo quel vecchio militante, comunista e ateo, di

Tarn, che ci diceva, dopo le letture di Amos fatte da Bernard e da me: "Questo

rafforza il coraggio!".

Il dominio quasi totale del sionismo israeliano sui media americani e francesi impone

al mondo questo sovvertimento dei significati: un diplomatico israeliano è aggredito a

Londra, è terrorismo (anche se la Thatcher stessa dimostra alla Camera dei Comuni

che l'autore dell'attentato non fa parte dell'OLP). L'esercito israeliano invade il Libano

e causa migliaia di morti: l'operazione si chiama "Pace in Galilea"!

Il 1 o gennaio 1989 ascolto alla televisione il bilancio della Rivolta delle Pietre: 327

morti tra i palestinesi (per lo più bambini che tiravano sassi) e 8 tra gli israeliani (per

lo più soldati che sparavano). Lo stesso giorno un ministro israeliano dichiara: "La

trattativa sarà possibile solo quando i palestinesi rinunceranno alla violenza". Sto

sognando? O, meglio, questa anestesia del senso critico è un incubo collettivo? È il

trionfo del nonsenso!

Già nel 1969 il generale de Gaulle denunciava l'"eccessiva influenza" della lobby

sionista su tutti i media: sulla stampa e la televisione, dal cinema all'editoria. Oggi

questa "eccessiva influenza" è riuscita a realizzare un'inversione totale dei significati,

chiamando "terrorismo" la resistenza artigianale dei deboli e "lotta contro il

terrorismo" la violenza infinitamente più omicida dei forti.

Padre Lelong, il pastore Matthiot e io abbiamo avuto il torto di denunciare la

menzogna di questo ribaltamento.

Il tribunale penale di Parigi, con la sentenza del 24 marzo 1983, "considerando che si

tratta della critica lecita della politica di uno Stato e dell'ideologia che lo ispira, e non

di provocazione razziale [...] respinge tutte le richieste della LICRA e la condanna al

pagamento delle spese processuali".

La LICRA si accanisce e presenta appello. L'11 gennaio 1984, la Corte d'appello di

Parigi pronuncia il suo verdetto.

Questo cita un passaggio del nostro articolo in cui accusiamo lo Stato d'Israele di

razzismo.

La Corte "considerando che l'opinione espressa dai firmatari non concerne che la

definizione restrittiva dell'ebraismo da parte della legislazione israeliana [...] conferma

la sentenza emessa, respinge le richieste della LICRA e la condanna alle spese

processuali".


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La LICRA ricorre in Cassazione. Il verdetto della Corte di Cassa-zione del 4

novembre 1987 toglie ai sionisti ogni speranza di disonorarci legalmente: la Corte

"respinge il ricorso e condanna il richiedente al pagamento delle spese processuali".

L'operazione di soffocamento prosegue al di fuori del'ambito giudiziario. La lobby

sionista ha i mezzi per farlo. Se noi fossimo stati condannati avremmo avuto diritto

alla prima pagina di tutti i giornali e saremmo stati messi alla gogna come antisemiti.

Per contro la condanna della LICRA da parte dei tribunali è passata sistematicamente

sotto silenzio: anche "Le Monde", il cui ex direttore Fauvet è implicato con noi in

questa lotta, si è accontentato di un articoletto incolore.

Invece le mie speranze sono state magistralmente bloccate.

Al momento dell'uscita della pagina di "Le Monde" sulla logica del colonialismo

sionista, io aggiunsi due righe chiedendo ai lettori di fare una sottoscrizione per

consentirne il pagamento. L'inserzione era costata cinque milioni di centesimi. Ne

ricevetti sette, attraverso centinaia di piccoli assegni. Quasi un terzo dei donatori

erano ebrei e, tra questi, due erano rabbini.

Ma da quel momento cominciò l'asfissia mediatica: nessun accesso alla televisione, i

miei articoli rifiutati.

Avevo pubblicato quaranta libri con tutte le più grandi case editrici, da Gallimard a

Seuil, da Plon a Grasset e a Laffont. Erano stati tradotti in ventisette lingue.

Ormai sono chiuse tutte le porte: uno dei miei più grandi editori si sente dire dal suo

consiglio d'amministrazione: "Se lei pubblica un libro di Garaudy, non avrà più la

concessione dei diritti di traduzione delle opere americane". Accettarmi avrebbe

significato far saltare la sua casa editrice. Un altro "grande", riguardo a un'altra opera,

disse alla sua direttrice letteraria, che, appassionata dal libro, aveva lavorato tre mesi

per aiutarmi a metterlo a punto: "Non voglio più niente di Garaudy nella mia casa

editrice".

Così si mura vivo un uomo.

Le nostre reti di resistenza al nonsenso sono condannate alla clandestinità. E io stesso

alla morte letteraria. Per delitto di speranza.

Questo è solo uno degli esempi di cui posso personalmente testimoniare sul

ribaltamento dei significati operato dal sionismo.

Potremmo moltiplicare gli esempi, ma ciascuno di noi ne è testimone tutti i giorni: è il

senso stesso del crimine hitleriano contro l'umanità intera a essere pervertito dalla

propaganda sionista, che riduce questo crimine contro l'umanità a un grande pogrom

in cui gli ebrei sarebbero stati le uniche vittime.

* * *


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Si farà un passo ulteriore solo quando questi ukaze saranno imposti per legge,

trasformando i magistrati in giudici della verità storica, a scapito delle precedenti

disposizioni sulla libertà di stampa.

Il delitto d'opinione ormai è formalizzato dalla scellerata legge Fabius (n. 43) detta

"legge Gayssot" dal nome del deputato comunista che ne ha accettato la paternità nel

maggio 1990. Essa inserisce nella legge sulla libertà di stampa del 1881 un articolo, il

24 bis, che dice: "Saranno puniti con le pene previste dal sesto comma dell'articolo 24

coloro che avranno contestato [...] l'esistenza di uno o più crimini contro l'umanità,

così come sono definiti dall'articolo 6 dello Statuto del Tribunale Militare

Internazionale allegato all'accordo di Londra dell'8 agosto 1945".

Fonte: Proposta di legge adottata dall'Assemblea Nazionale

trasmessa al Presidente del Senato, n. 278, allegata al protocollo

della seduta del 3 marzo 1990

Il rapporto del deputato Asensi precisava: vi viene chiesto di creare una nuova

incriminazione riguardante il "revisionismo" (p. 21). Inol-tre prevedeva di "allargare

le possibilità date alle associazioni di costituirsi parte civile in caso d'infrazione".

Fin dall'introduzione il relatore definiva lo scopo prefissato: "completare l'arsenale

repressivo esistente, fare in modo che la legge penale [...] svolga pienamente il suo

ruolo intimidatorio e repressivo" (p. 5).

Fonte: Rapporto n. 1296, allegato al protocollo

della seduta del 26 aprile 1990

Il Tribunale di Norimberga, come abbiamo dimostrato, merita meno di ogni altro di

fare giurisprudenza.

Un anno dopo fu proposto un emendamento alla legge da parte di Toubon: "È

abrogato l'articolo 24 bis aggiunto alla legge del 29 luglio 1881 sulla libertà di

stampa". L'emendamento annullava la repressione proposta da Gayssot contro gli

storici "revisionisti" e rifiutava di mettere la critica storica sullo stesso piano del

razzismo o dell'apologia di Hitler.

Ecco quale fu l'argomentazione di Toubon:

"Quando ne abbiamo discusso nel 1990, sulla base di una proposta di legge del

gruppo comunista, il cui primo firmatario era Gayssot, io avevo contestato e non ero il

solo il principio di questo testo, che consiste nel fissare per legge la verità storica,

invece di lasciar parlare la storia.

"Alcuni obiettano che, se è la storia che fa la verità, non è compito della legge

imporla. Alcune intenzioni vanno troppo lontano e non c'è bisogno di esprimerle. Ma

significa scivolare insensibilmente verso il delitto politico e verso il delitto d'opinione.

"L'articolo 24 bis rappresenta, a mio avviso, un errore politico e giuridico molto

grave. In realtà rappresenta una legge di circostanza, e me ne dispiaccio. È passato un


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anno. Non siamo più a un mese dagli avvenimenti di Carpentras. Non dobbiamo più

esaminare un testo che la conferenza dei presidenti, aveva, lo ricordo, inserito nel suo

ordine del giorno, in tutta fretta, quarant'otto ore dopo il suo deposito, e che era stato

discusso immediatamente perché il presidente dell'Assemblea, Fabius, lo aveva deciso

personalmente. Un anno dopo, a freddo, possiamo esaminare, come io ho appena

fatto, la validità di questa legge, la validità di questo delitto di revisionismo previsto

dall'articolo 24 bis e concludere, con Simone Weil, che questo delitto è inopportuno".

Fonte: "Journal Officiel", 22 giugno 1991, p. 3571

Dibattito parlamentare, seconda seduta del 21 giugno 1991

In effetti era ormai vietato a tutti gli storici mettere in discussione le conclusioni del

Tribunale di Norimberga, il cui presidente americano aveva tuttavia riconosciuto

lealmente che si trattava "dell'ultimo atto di guerra" e che esso "non era dunque tenuto

alle regole giuridiche dei tribunali ordinari in materia di prove e di condanna".

* * *

Sulla scia di questa legge scellerata, la dichiarazione di Chirac di domenica 16 luglio

1995 segna un momento importante nella nostra storia: quello della rottura dell'unità

della nazione, in favore della collusione delle rinunce. Quando il presidente della

repubblica proclama che "la follia criminale dell'occupante è stata assecondata dai

francesi e dallo Stato francese" commette un doppio crimine contro il paese. Prima di

tutto, parlando di Vichy come di uno Stato francese, gli restituisce legittimità; in

secondo luogo, svilisce il popolo, confondendolo con i dirigenti servili che lavoravano

per l'occupante.

Viene così ufficializzata la concezione sionista difesa da Bernard-Henri Lévy nel suo

libro L'idéologie française: "è tutta la cultura francese [...] sono le nostre più care

tradizioni che testimoniano ciascuna la nostra perseveranza nell'abiezione".

Egli invita a perseguitare questa "vecchia base di purulenza", dissimulata "nel cuore

del pensiero francese", che fa della Francia "la patria del nazionalsocialismo in

generale".

Fonte: Bernard-Henri Lévy, L'idéologie française,

Parigi, Grasset, 1981, pp. 61, 92 e 125

Coronamento dell'affare fu la cerimonia presieduta dal gran rabbino di Francia Sitruk,

il quale dichiarò l'8 luglio 1990 in Israele a Itzak Shamir (lo stesso che aveva offerto i

suoi servigi a Hitler e la cui politica, quella dello Stato che ha presieduto, non ha

smesso di violare la legge internazionale e di non tenere alcun conto delle decisioni

dell'ONU): "Ogni ebreo francese è un rappresentante d'Israele [...]. Siate sicuro che

ogni ebreo, in Francia, è un difensore di ciò che voi difendete". "Senza pertanto

pensare disse al suo ritorno a una "doppia cittadinanza"".

Fonte: "Le Monde", 9 luglio 1990

Simili propositi nei confronti di Shamir, che aveva offerto la propria alleanza a Hitler,

gli avrebbero più legittimamente dato un posto tra i penitenti che tra i presidenti.


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Beninteso questo svilimento del popolo francese fu salutato con entusiasmo dai

dirigenti del CRIF (Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche in Francia),

che espressero "la loro intensa soddisfazione nel vedere riconosciuta, infine, dalla più

alta personalità della Francia, la continuità dello Stato francese tra il 1940 e il 1944".

La vergogna è che i dirigenti di tutti i partiti francesi sugli organi di stampa, dal

"Figaro" a "L'Humanité", abbiano approvato questo rinnegamento di Chirac.

È il rinnegamento di tutta la tradizione di unità della Francia e della resistenza di un

popolo. De Gaulle non ha mai considerato Vichy come uno Stato. "Hitler diceva ha

creato Vichy" (Mémoires, I, 389) e parlava di "comparse di Vichy" (op. cit., p. 130).

"Ho proclamato l'illegittimità di un regime fatto a discrezione del nemico" (op. cit.,

107).

Riferendosi all'accordo del 28 marzo 1940 con l'Inghilterra, che escludeva ogni tregua

d'armi separata (op. cit., p. 74) egli disse chiaramente: "l'organismo installato a Vichy

e che pretende di portare questo nome (Stato) è incostituzionale e subordinato

all'invasore [...]. Questo organismo non può essere e non è in effetti che uno

strumento utilizzato dai nemici della Francia" (op. cit., p. 342).

De Gaulle conservò questo atteggiamento per tutta la guerra. L'ordi-nanza del 23

settembre 1941, che creò il Comitato Nazionale francese, cominciava:

"Viste le nostre ordinanze del 27 ottobre e del 12 novembre 1940, unitamente alla

nostra dichiarazione organica del 16 novembre 1940;

"considerando che la situazione risultante dallo stato di guerra continua ad impedire

ogni riunione e ogni libera espressione della rappresentanza nazionale;

"considerando che la costituzione e le leggi della Repubblica francese sono state e

sono violate su tutto il territorio metropolitano e nell'impero, tanto dall'azione del

nemico quanto dall'usurpazione delle autorità che collaborano con esso;

"considerando che numerose prove stabiliscono che l'immensa maggioranza della

Nazione francese, lungi dall'accettare un regime imposto con la violenza e il

tradimento, vede nell'autorità della Francia libera l'espressione dei propri desideri e

delle proprie volontà [...]".

Fonte: C. de Gaulle, Mémoires, I, p. 394

Egli separava così il popolo francese dal servilismo dei dirigenti collaborazionisti.

"La condanna di Vichy nelle persone dei suoi dirigenti dissocia la Francia da una

politica che è stata quella della rinuncia nazionale" (op. cit., p. 301).

Ricordando la sollevazione del popolo di Parigi scrive:


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"Nessuno ignora, né presso il nemico né presso i nostri alleati, che quattro anni di

oppressione non avevano piegato l'animo della capitale, che il tradimento non era che

una ignobile schiuma sulla superficie di un corpo rimasto sano, che le strade, le case,

le fabbriche, i laboratori, gli uffici e i cantieri di Parigi avevano assistito al

compimento, a costo di fucilazioni, di torture e di prigionia, degli atti eroici della

Resistenza".

Fonte: Op. cit., p. 442

"Neppure nei peggiori momenti il nostro popolo ha rinunciato a se stesso" (op. cit.,

p.494).

Ecco, in breve, ciò che Chirac ha rinnegato per assicurarsi il potere mediatico da parte

dei dirigenti sionisti e con ciò stesso il vassallaggio agli Stati Uniti preda della lobby

sionista, che gli ha già fatto abbandonare la sua opposizione a Maastricht, rovina della

Francia, e confermare la sua sottomissione ai diktat americani del GATT (Accordi

internazionali sul commercio), che distruggono le possibilità d'indipendenza e di

rinnovamento della Francia attraverso il cambiamento radicale dei rapporti con il

Terzo Mondo.

* * *

Il sionismo ha sempre agitato lo spauracchio antisemita per far credere a una minaccia

permanente contro Israele e alla necessità di correre in suo soccorso.

Non mancano provocazioni recenti, destinate a mascherare i soprusi d'Israele.

Il metodo è sempre lo stesso. All'epoca dei massacri di Sabra e Chatila, lo scrittore

Tahar Ben Jelloun scriveva:

"Le coincidenze, a forza di ripetersi, finiscono col divenire una prova maggiore. Ora

si sa a che cosa serve un attentato antisemitico in Europa e chi ne trae vantaggio:

serve a coprire il massacro deliberato delle popolazioni civili palestinesi e libanesi. Si

può constatare che tali attentati hanno preceduto, seguito o accompagnato un bagno di

sangue a Beirut. Queste operazioni terroristiche sono preparate ed eseguite con tale

perfezione, che finora hanno raggiunto, direttamente o indirettamente, l'obiettivo

politico perseguito: deviare l'attenzione tutte le volte che la questione palestinese

ottiene un po' più di comprensione, ovvero di simpatia. Non si tratta del

rovesciamento sistematico della situazione per trasformare le vittime in carnefici e

terroristi?

"Trasformando i palestinesi in "terroristi" li si espelle dalla storia e,

conseguentemente, dal diritto.

"Il massacro di rue des Rosiers, il 9 agosto, non ha preceduto di qualche ora il lancio

di bombe di tutti i generi su Beirut?


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"L'assassinio di Bechir Gemayel non è stato seguito, due ore dopo, dall'entrata a

Beirut Ovest dell'esercito israeliano (cosa che allo stesso tempo eclissò lo storico

incontro tra Yasser Arafat e il Papa)?

"L'esplosione dell'autobomba in rue Cardinet e la sparatoria, il giorno dopo, davanti

alla sinagoga di Bruxelles non hanno coinciso col massacro senza precedenti dei

campi palestinesi di Sabra e Cha-tila?".

Fonte: "Le Monde", 22 settembre 1982, p. 2

Dovremmo imparare la lezione dai precedenti storici: uno sforzo sistematico per

modellare l'opinione pubblica, saturandola con una "informazione" d'ispirazione

etnocentrica, alimenta l'antisemitismo.

"A Berlino il teatro, il giornalismo, ecc. erano affare degli ebrei. Il "Berliner

Tageblatt" era il giornale tedesco più importante, dopo la "Volkische Zeitung". Il

primo apparteneva a Mossé, la seconda a Ulstein, entrambi ebrei. Il direttore del

"Vorwärts", principale giornale socialdemocratico, era ebreo. I tedeschi, che

accusavano la stampa di essere ebraica, "juden Presse", dicevano la pura verità".

Fonte: Y. Leibowitz, Israël et Judaïsme: ma part de verité, cit., p. 113

L'esempio più recente di queste manovre e del loro sfruttamento mediatico è quello di

Carpentras.

Nel maggio 1990 furono profanate alcune tombe del cimitero ebraico di Carpentras. Il

cadavere di uno dei morti fu impalato e trasportato su di un'altra tomba. Il ministro

degli interni, Pierre Joxe, dichiarò subito: "Non c'e bisogno di un'inchiesta della

polizia per sapere chi siano i criminali colpevoli di questo "abominio razzista"".

Tuttavia, cinque anni dopo, e malgrado l'invio di decine di inquirenti, magistrati e

poliziotti, nessuno sa con certezza chi siano stati gli artefici di questa infamia.

Tutto ciò che si sa è che c'è stata la profanazione del cimitero ebraico, che c'è stata

una "montatura", poiché il cadavere del signor Germon non era stato impalato, come

riconobbero gli inquirenti qualche giorno dopo. Ci si può allora domandare: chi aveva

interesse a questa "montatura" per accrescere l'orrore del fatto ed eccitare l'odio

dell'opinione pubblica?

Lo stesso metodo fu praticato a Timisoara, dove si prelevarono dall'obitorio alcuni

cadaveri affinché le fotografie divulgate nel mondo intero scatenassero ancora più

odio e indignazione contro i pretesi massacri di massa.

Jean Marie Domenach (ex direttore della rivista "Esprit") scriveva su "Le Monde" del

31 ottobre 1990, sotto il titolo Silenzio su Car-pentras: "Eccoci a 6 mesi dalla

profanazione del cimitero ebraico di Carpentras [...]. Sei mesi dopo non sappiamo

ancora chi sono i criminali. Cosa ancor più inquietante: i media, che avevano fatto di

questo abominevole avvenimento uno scandalo tale da portare sulla strada centinaia di

migliaia di manifestanti e da offuscare l'immagine della Francia all'estero, non hanno


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cercato di prendere in mano le redini dell'inchiesta e tacciono. Nessun parlamentare,

nessuna autorità morale o intellettuale osa interpellare il governo.

"Carpentras sembra essere entrata definitivamente nella leggenda nera della nazione,

senza che nessuno conosca i colpevoli e senza che si sappia esattamente che cosa è

successo. Nessuno può o nessuno osa ancora dire la verità su Carpentras".

Lo strano silenzio su Carpentras denunciato da Jean Marie Dome-nach contrasta con

la grancassa mediatica dei primi giorni.

Alla manifestazione organizzata il 14 maggio 1990 ottantamila persone secondo la

polizia, 200.000 secondo gli organizzatori, avevano sfilato a Parigi e il campanile di

Notre Dame aveva suonato in loro onore.

In realtà nessuno sapeva chi fossero gli autori dell'infamia di Car-pentras.

Allora contro chi manifestavano? Contro chi? Soltanto l'inchiesta avrebbe potuto

dirlo, ma non l'ha detto.

Ma a favore di chi?

La cosa era evidente: la bandiera d'Israele sventolava in testa alla manifestazione.

Questa strana "Unione Nazionale" nel corso della manifestazione, con Georges

Marchais che stringeva ostentatamente la mano di François Léotard, permetteva di

lanciare un attacco globale contro chiunque mettesse in dubbio i dogmi in base ai

quali Israele sarebbe al di sopra di tutte le leggi internazionali.

Il gran rabbino Sitruk, che pronunciò l'allocuzione definendo il significato della

manifestazione, poteva esclamare: "Non lasciamo che si parli a vanvera. Diamo una

lezione ai professori "revisionisti"e agli uomini politici irresponsabili".

Fonte: "Méridional", 14 maggio 1990

Tuttavia la verità sulla profanazione di Carpentras non è ancora stata stabilita, perché,

tra tutte le piste suggerite agli inquirenti, una sola, la più verosimile, è stata esclusa.

Perchè fu imposto il silenzio a coloro che avrebbero potuto essere i testimoni più

utili?

"Il guardiano della sinagoga di Carpentras e possessore della chiave del cimitero,

Kouhana, che era stato uno dei primi a scoprire il corpo di Félix Germon, rifiuta di

parlarci: "Nemmeno se voi foste il prefetto, ho ricevuto l'ordine di non dire niente".

"Il presidente del Concistoro gli ha vietato di parlare "perchè egli avrebbe potuto dire

chissà che cosa alla televisione", spiega il dottor Freddy Haddad, egli stesso molto

reticente nell'evocare la profanazione, al pari del rabbino Amar".

Fonte: Michel Letereux e Michel Brault, "Var Matin", 15 aprile 1995


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Perché il rabbino di Carpentras, cui si domandava se il luogo sarebbe stato

risantificato, rispondeva: "Non è di mia competenza"? E il presidente del Concistoro:

"Ciò non ha alcuna ragione di essere"? E il sindaco: "Non mi è stato chiesto nulla"?

Fonte: Art. cit.

Perché nessun giornale francese ha ricordato il precedente di una analoga

profanazione avvenuta nel cimitero israeliano di Rishon Letzion, vicino a Tel Aviv,

nella notte del 2 marzo 1984? Il corpo di una donna era stato dissotterrato e gettato

fuori dal cimitero ebraico. "Atto barbaro di antisemitismo" dichiararono subito le

comunità ebraiche del mondo intero.

Qualche giorno più tardi la polizia israeliana, a seguito dell'inchiesta, rivelò il vero

significato di questa abiezione: il cadavere così ver-gognosamente trattato era quello

di Teresa Engelowicz, moglie di un ebreo, ma di origine cristiana. Gli integralisti

ebraici consideravano la sua presenza nel cimitero contraria alla purezza del luogo e il

rabbino di Rishon Letzion ne aveva già reclamato la riesumazione.

Perché nessun giornale francese ha ricordato questo parallellismo? Félix Germon, il

cui cadavere era stato anch'esso dissotterrato e usato per la sinistra "montatura", era

anch'egli colpevole di avere sposato una cristiana e il suo cadavere fu trasportato su

una tomba vicina, quella di Emma Ullma, colpevole di avere sposato un cattolico?

Perchè nessuno ha ricordato che, per sostenere come prima di Israele la Palestina

fosse un deserto, centinaia di villaggi sono stati rasi al suolo dai bulldozer con le loro

case, i loro recinti, i loro cimiteri e le loro tombe?

Fonte: I. Shahak, Le racisme de l'État d'Israël, cit., pp. 152 s.

All'indomani della "Giornata della democrazia" alcuni studenti del-l'Università

ebraica di Gerusalemme hanno posto la vera domanda: "Perché non protestate quando

sapete che la rue Agron di Gerusa-lemme e l'Hotel Hilton di Tel Aviv sono costruiti

su cimiteri musulmani distrutti?".

Fonte: Gli studenti dell'organizzazione socialista Matzpen,

P.O.B. 2234, Gerusalemme


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III

3. Il mito del "miracolo israeliano": i finanziamenti

esteri d'Israele

"La forza del pugno ebraico deriva dal guanto d'acciaio americano che lo ricopre e dai

dollari che lo imbottiscono".

Fonte: Y. Leibowitz, Israël et Judaïsme: ma part de verité, cit., p. 253

Per ciò che riguarda le somme versate dalla Germania allo Stato d'Israele lascio la

parola al principale negoziatore dell'importo dei risarcimenti: Nahum Goldmann. Egli

ha fatto una relazione dettagliata delle trattative nella sua Autobiographie, che mi ha

amichevolmente dedicato il 23 aprile 1971, per ringraziarmi delle missioni che avevo

compiuto su sua richiesta, due anni prima, dopo la guerra dei Sei giorni, presso

Nasser.

"All'inizio del 1951 Israele entrò per la prima volta in scena indirizzando ai quattro

alleati due note nelle quali le rivendicazioni ebraiche concernenti il risarcimento da

parte della nuova Germania ammontavano alla somma di un miliardo e mezzo di

dollari, la metà della quale doveva essere pagata dalla Germania dell'Ovest e l'altra

dalla Germania dell'Est. Questo totale si basava sul seguente calcolo:

"Israele aveva accolto circa cinquecentomila ebrei e la sistemazione economica di un

profugo era costata più o meno tremila dollari. Avendo salvato queste vittime del

nazismo e avendo in prima persona assunto un enorme impegno finanziario, Israele si

riteneva in diritto d'imporre le sue esigenze in nome del popolo ebraico benché senza

base legale, giacché lo Stato ebraico non esisteva durante il regime nazista" (p. 262).

"Fu in queste circostanze che il ministro israeliano degli affari esteri si rivolse a me,

nell'estate 1951, in quanto presidente della Jewish Agency per la Palestina e mi chiese

di convocare una conferenza delle grandi organizzazioni ebraiche degli Stati Uniti, dei

paesi del Commonwealth britannico e della Francia, con lo scopo di appoggiare le

rivendicazioni israeliane e di trovare il modo per farle accettare" (p. 263).

"Le trattative progettate dovevano essere di tipo molto particolare. Non avevano alcun

fondamento giuridico" (p. 268).

"Con molto coraggio e magnanimità il cancelliere federale aveva accettato come base

di discussione la somma di un miliardo di dollari, ma io sapevo che uno schieramento

ostile a una somma così gigantesca si era già formato in seno al governo, tra i capi dei


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partiti politici, negli ambienti bancari e industriali. Mi fu ripetuto da diverse parti che

sarebbe stato inutile contare su un importo del genere".

"Nella prima fase dei negoziati tra i tedeschi e la delegazione della Claim Conference

si giunse ad un accordo generale circa l'indennizzo e la legislazione che lo avrebbe

regolamentato. Si rimandò a un'ulteriore fase il problema della rivendicazione globale

ammontante a più di cinquecento milioni di marchi".

Dopo lunghe discussioni questa parte dell'incontro si concluse con l'accordo della

delegazione tedesca, che si impegnava a raccomandare presso il governo una

rivendicazione israeliana di tre miliardi di marchi (25% in meno di quello che

avevamo domandato)" (p. 272).

"Il 3 luglio dovetti tornare a Bonn dove feci la seguente concessione: il 10% dei

cinquecento milioni sarebbe stato destinato alle vittime non ebraiche del nazismo e

distribuito dallo stesso governo tedesco" (p. 282).

"Gli accordi furono firmati il 10 settembre 1952 a Lussemburgo; il cancelliere

rappresentava la Germania, il ministro degli affari esteri, Moshe Sharett, Israele e io

stesso la Claim Conference" (p. 283).

"I pagamenti tedeschi sono stati un fattore decisivo nello sviluppo economico d'Israele

negli ultimi anni. Non so quale sarebbe stata la sorte dello Stato in certi momenti

critici per la sua economia, se la Germania non avesse tenuto fede ai suoi impegni. Le

ferrovie, i telefoni, le installazioni portuali, i sistemi d'irrigazione, interi settori

dell'industria e dell'agricoltura non sarebbero nella condizione odierna senza i

risarcimenti della Germania. Infine centinaia di migliaia di vittime ebraiche del

nazismo hanno ricevuto in questi anni importanti somme in base alla legge

sull'indennizzo" (p. 286).

"Quando, la mattina del mio arrivo, mi recai presso il primo ministro israeliano,

David Ben Gurion, quest'ultimo mi venne incontro con aria solenne: "Tu e io abbiamo

avuto la fortuna di vivere due miracoli, la creazione dello Stato d'Israele e la firma

dell'accordo con la Ger-mania. Io sono responsabile del primo e tu del secondo"" (p.

284).

Fonte: Nahum Goldmann, Autobiographie, cit.

Goldmann in un altro dei suoi libri, The Jewish Paradox, non racconta solo le

trattative con la Germania, ma anche il modo con cui ottenne i "risarcimenti"

dell'Austria e dal cancelliere Raab. Egli disse al cancelliere: "Dovete pagare degli

indennizzi agli ebrei!".

"Ma noi siamo stati vittime della Germania!" disse Raab.

E Goldmann continuò: "In questo caso affitterò il più grande cinema di Vienna e ogni

giorno trasmetterò il film che mostra l'entrata delle truppe tedesche e di Hitler a

Vienna nel marzo 1938".

Raab disse allora: "D'accordo, avrete i vostri soldi!".


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Era una somma dell'ordine di trenta milioni di dollari. Un po' più tardi Goldmann

riprese: "Ci vogliono 30 milioni in più".

"Ma disse Raab eravamo d'accordo per soli 30 milioni".

"Ora dovete dare di più!" disse Goldmann, e li ottenne. Tornò una terza volta e

ottenne la stessa somma (31.8507).

Ci furono altre due fonti di finanziamento per quello che certuni chiamarono "il

miracolo israeliano" sul piano economico e anche per il gigantesco armamento di

Israele, compreso quello nucleare, che rende ridicola l'immagine tanto spesso

utilizzata di un piccolo Davide con la fionda di fronte al gigante Golia. Nelle attuali

guerre la forza non si misura più dalla quantità di soldati che si possono mobilitare,

ma dall'equipaggiamento tecnico dell'esercito: quello israeliano, grazie al flusso dei

finanziamenti verso il paese, dispone di una forza d'urto infinitamente superiore a

quella di tutti gli Stati arabi riuniti.

Oltre alle "riparazioni" Israele dispone di un approvvigionamento praticamente

illimitato in armi e denaro proveniente essenzialmente dagli Stati Uniti, dove la sua

lobby onnipotente si è rivelata particolarmente efficace, e da donazioni della

Diaspora.

Nel 1967 Pinhas Sapir, allora ministro delle finanze d'Israele, ha rivelato alla

Conferenza dei miliardari ebrei (sic) che dal 1949 al 1966, Tel Aviv ha ricevuto 7

miliardi di dollari.

Fonte: "The Israeli Economist", n. 9, settembre 1967

Il dottor Yaakov Herzog, direttore generale di gabinetto del primo ministro israeliano,

definì così lo scopo di queste riunioni: "Esami-nare come attirare più importanti

investimenti in Israele e coinvolgere strettamente nell'economia israeliana i possessori

di capitali ebraici all'estero, facendo in modo che essi provino un sentimento

immediato di responsabilità e di partecipazione [...]. Noi pianifichiamo attualmente

un'altra cosa: una specie di dialogo grandioso sull'identificazione della Diaspora con

Israele, nel quadro della lotta contro l'assimilazione all'estero".

L'operazione si è rivelata proficua, dal momento che le organizzazioni ebraiche

americane inviano ogni anno, in media, un miliardo di dollari in Israele (questi

contributi, considerati come "caritatevoli", sono deducibili dalla cartella delle tasse

del donatore; ciò significa che ricadono sul contribuente americano, anche se servono

a sostenere lo sforzo bellico d'Israele). Ma l'essenziale proviene tuttavia direttamente

dallo Stato americano, il cui "aiuto" ammonta a più di 3 miliardi di dollari l'anno.

Quasi la metà di questo aiuto ufficiale consiste in donazioni e in "prestiti" molto

rapidamente "dimenticati"... Il resto va ad au-mentare il debito estero israeliano, che è

in rapida crescita e si avvicina oggi a 20 miliardi di dollari ossia a una media senza

precedenti di 5.000 dollari pro capite.

Il ruolo più cospicuo è svolto dalle consegne di armamenti, per le quali il Congresso,

preoccupato di limitarne il carattere spettacolare e di evitare le critiche del pubblico,


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ha previsto un tipo speciale di finanziamento nel suo Arms Export Control Act del

1976.

Per valutare il significato di queste cifre, basti ricordare che l'aiuto del Piano

Marshall, accordato dal 1948 al 1954 all'Europa occidentale, ha raggiunto tredici

miliardi di dollari e che lo Stato di Israele ha ricevuto per meno di due milioni di

abitanti più della metà di ciò che hanno ricevuto duecento milioni di europei. Cioè

cento volte di più pro capite rispetto all'Europa.

Secondo elemento di paragone: la media dell'aiuto annuale ricevuto dai paesi

sottosviluppati durante il periodo 1951-1959 non ha superato i 3.164 miliardi di

dollari, mentre Israele, che in quell'epoca aveva un milione e settecentomila abitanti,

ne ha ricevuti 400 milioni, cioé un decimo del totale con meno di un millesimo della

popolazione sottosviluppata del globo. Due milioni di israeliani hanno ricevuto

proporzionalmente cento volte di più che due miliardi di abitanti del Terzo Mondo.

Sempre per dare chiari punti di riferimento: i sette miliardi di dollari ricevuti da

Israele in diciotto anni come donazione rappresentano una cifra superiore al totale del

reddito nazionale annuo dell'insieme dei paesi arabi vicini (Egitto, Siria, Libano e

Giordania), che nel 1965 era di sei miliardi.

Se si tiene conto del solo contributo americano, ci si accorge del fatto che, dal 1945 al

1967, gli Stati Uniti hanno dato 435 dollari a ogni israeliano e 36 dollari a ogni arabo

o, in altre parole, che hanno fornito al 2,5% della popolazione il 30% dell'aiuto dato al

97,5% restante.

Fonte: Statistiche dell'ONU in Le courant international

des capitaux à long terme et les donations publiques 1951-1959

da Georges Corm, les finances d'Israël, IPS, 1968

Ma i metodi di finanziamento dello Stato di Israele sono ancor più ambiziosi: tendono

a creare in favore di questo Stato una rete finanziaria mondiale di cui esso

orienterebbe gli investimenti (si veda nel 1967 la prima conferenza dei miliardari

ebrei).

Una recente tesi di dottorato, presentata all'università di Parigi II da Jacques Bendélac

e pubblicata con il titolo Les fonds extérieurs d'Israël, fornisce su questi differenti

aspetti delle finanze israeliane cifre precise, tratte da fonti inconfutabili.

Fonte: Jacques Bendélac Les fonds extérieurs d'Israël,

Parigi, Economica, 1982

L'autore studia in modo particolare i rapporti tra i contributi della Diaspora e l'aiuto

diretto del governo americano.

Egli caratterizza l'evoluzione di questi rapporti nel modo seguente: "Se la Diaspora

era, fino a una data recente (gli anni Settanta), il principale fornitore di capitali per

Israele, la tendenza attuale indica che l'aiuto governativo americano (due miliardi di

dollari all'anno circa) supera largamente i contributi finanziari della Diaspora (circa

900.000.000 di dollari all'anno)".


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È stato così che, per l'anno fiscale 1980, è stata autorizzata la vendita di un miliardo di

dollari di armamenti a favore di Israele. Ma, subito dopo queste consegne, la metà

della somma percepita 500 milioni concessi sotto forma di prestiti era annullata... e il

resto andava a ingrossare il debito di Israele nei confronti del governo americano... Un

debito per il rimborso del quale esso ha beneficiato di un dilazionamento di più di

dieci anni.

Inoltre, tenuto conto dell'aggravamento costante della situazione economica di Israele

dopo il 1973, questi rimborsi sono stati fittizi, nella misura in cui i versamenti sono

stati subito compensati da un nuovo aumentato aiuto annuale degli USA.

Fonte: T. Stauffer Christian, "Science Monitor", 20 dicembre 1981

Già al momento dell'aggressione israeliana del 1956 contro l'Egitto il contributo

americano in armamenti era gigantesco; il sionista M. Bar Zohar scrisse: "A partire

dal mese di giugno iniziarono ad affluire in Israele, secondo le clausole di un accordo

ultra segreto, quantità enormi di armi e di queste consegne non giunse notizia né a

Wa-shington, né all'organismo anglo-franco-americano incaricato di controllare

l'equilibrio delle forze in Medio Oriente, né al Quai d'Orsay, particolarmente contrario

ad un accostamento troppo rischioso con Israele, che avrebbe compromesso ciò che

restava dei legami tra la Francia e la sua clientela araba".

Fonte: M. Bar Zohar, Ben Gourion. Le Prophète armé, cit., cap. 27

Una seconda risorsa finanziaria è rappresentata dai titoli di Stato venduti in dollari

all'estero, i cui rimborsi e interessi sono pagati in moneta israeliana.

Questi titoli (venduti negli Stati Uniti per il 99,8% nel 1951 e per l'80% nel 1978)

hanno reso disponibili per l'economia israeliana più di 5 miliardi di dollari.

Fonte: State of Israel Bonds, "American Jewish Yearbook",

Jerusalem-New York, 1972, p. 273; 1978, p. 205; 1980, p. 153

Tra donazioni e titoli lo Stato sionista ha ricevuto dal 1948 al 1982 quasi 11 miliardi e

mezzo di dollari.

Fonti: Statistical Abstract of Israel e Bank of Israel, Annual Reports

Un'efficacia siffatta implica ciò che Bendélac chiama la "collusione tra il potere e il

mondo della finanza" nel movimento sionista. Egli ne fornisce, quanto alla Francia,

una descrizione significativa. Per il 1982: "Guy de Rothschild è presidente del fondo

sociale ebraico unificato e dell'AUJF; David è tesoriere dell'FSJU e membro francese

del Consi-glio d'Amministrazione dell'Agenzia ebraica; Alain è stato presidente del

Consiglio di rappresentanza delle istituzioni ebraiche di Francia e del Concistoro

israelitico centrale; Elie è presidente del Comitato esecutivo dell'AUJF; Edmond è

presidente dell'Organizzazione europea dei titoli d'Israele; infine Alix de Rotschild era

presidente mondiale dell'Aliya dei Giovani".


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Fonte: J. Bendélac, op. cit., p. 76

Ma la dipendenza è ancora maggiore nei confronti del governo americano, soprattutto

dopo gli anni Settanta: "al momento della guerra dei Sei giorni il deficit estero

raggiungeva settecento milioni di dollari e superò il miliardo di dollari agli inizi degli

anni Settanta. L'apporto finanziario dell'ebraismo mondiale non era più sufficiente a

soddisfare le necessità di capitali dell'economia israeliana; si dovette allora fare

appello all'aiuto del governo americano, che fornì innanzitutto crediti militari, prima

di estendere il suo contributo al settore economico dopo la guerra del Kippur. Questo

apporto di capitali da parte del governo americano si tradusse in una crescita

spettacolare dell'indebitamento estero di Israele, che superò i venti miliardi di dollari

nel 1982. Così il diminuito apporto finanziario della Diaspora, dopo l'inizio degli anni

Settanta, si può analizzare in relazione a due aspetti della dipendenza economica di

Israele: l'aiuto governativo americano e il peso del debito estero".

Fonte: Op. cit., p. 79

Dopo il 1948 l'aiuto del governo americano a Israele ha raggiunto quasi 18 miliardi di

dollari, ripartiti in parti uguali tra prestiti e donazioni e per due terzi destinati a fini

militari.

Fonti: Fino al 1977 Trésor, Division des échanges extérieurs;

dal 1978 al 1981, Ambasciata degli Stati Uniti (Tel Aviv)

L'accelerazione di questo aiuto è vertiginosa: in genere inferiore a 100 milioni di

dollari fino al 1975 e a due miliardi di dollari fino al 1981. Nel gennaio 1985 lo Stato

di Israele chiede ancora 12 miliardi di dollari per otto anni.

Quanto al debito estero, esso passa da sei miliardi di dollari nel 1973 a dieci miliardi

nel 1976 e a 17 miliardi il 1 o gennaio 1981, vale a dire alla cifra record di 4.350

dollari per abitante!

L'aiuto aumenta con i contratti di subappalto, particolarmente per l'aviazione (per

esempio l'Israel Aicraft Industries stipula contratti per la fabbricazione di elementi

destinati agli F4 e agli F15).

Da ultimo, i finanziamenti comportano facilitazioni alle esportazioni israeliane negli

Stati Uniti, che beneficiano delle tariffe preferenziali riservate ai paesi "in via di

sviluppo", cosicché il 96% di queste esportazioni (un miliardo di dollari) entrano negli

Stati Uniti libere da qualsiasi imposta.

In breve, una cifra sola basta a definire il carattere dello Stato sionista: il totale

dell'aiuto ufficiale americano che esso riceve corrisponde da solo a più di mille dollari

pro capite, cioè a una specie di mancia aggiunta al suo reddito nazionale, pari a più di

tre volte il reddito nazionale lordo pro capite dell'Egitto e della maggior parte dei

paesi africani.

Il professor Yeshayahu Leibowitz dell'università ebraica di Gerusalemme, che preparò

un'opera sulla Foi de Maïmonide (Parigi, Cerf, 1992) e diresse per venti anni la

compilazione dell'Encyclopé-die hébraique, nel suo libro Israël et Judaïsme,


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pubblicato in ebraico a Gerusalemme nel 1987 (e tradotto in francese nel 1993, poco

prima della sua morte), riassume così, dal punto di vista di un ebreo ferito nella sua

fede di sionista religioso e residente in Palestina dal 1934, ciò che pensa del sionismo

politico:

"Il nostro sistema è marcio alla base" (p. 255). E ciò per due ragioni:

1 "La disgrazia deriva dal fatto che tutto si collega al problema della Nazione e dello

Stato" (p. 182).

Se lo Stato e la Nazione sono considerati come un fine in sé, allora "l'ebraismo è

respinto poiché lo Stato d'Israele è più importante" (ibidem). "Il nazionalismo è la

distruzione dell'essenza dell'uomo" (ibidem). "Lo Stato d'Israele non è uno Stato che

dispone di un esercito, ma un esercito che dispone di uno Stato" (p. 31).

2 La dipendenza di questo Stato dagli Stati Uniti: "Da noi il crollo totale si può

verificare in una notte: conseguenza della totale stupidità che fa dipendere tutta la

nostra esistenza dall'aiuto economico americano" (p. 225). "Gli americani sono

interessati solo all'idea di mantenere qui un esercito di mercenari americani sotto

l'uniforme di Tsahal" (p. 226). "La forza del pugno ebraico deriva dal guanto di

acciaio americano che lo ricopre e dai dollari che lo imbottiscono" (p. 253).


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Conclusioni

Sul buon uso dei miti come pietre miliari dell'umanizzazione dell'uomo

Tutti i popoli, ancora prima della scoperta della scrittura, hanno elaborato tradizioni

orali, talvolta poggianti su avvenimenti reali, ma con la caratteristica comune di dare

una giustificazione il più delle volte poetica alle loro origini, alla loro organizzazione

sociale, alle loro pratiche cultuali, alle matrici del potere dei loro capi o ai progetti

futuri della comunità.

Questi grandi miti punteggiano l'epopea dell'umanizzazione dell'uomo, esprimendo,

attraverso il racconto delle prodezze di un Dio o di un antenato leggendario, i grandi

momenti dell'ascesa dell'uomo che prende coscienza dei suoi poteri e dei suoi doveri,

della vocazione al superamento della sua condizione momentanea, attraverso

immagini concrete, nate dall'esperienza e dalle sue speranze; egli progetta lo Stato

ultimo dell'avvenire dove si realizzeranno tutti i suoi sogni di benessere e di

"salvezza".

Per non citare che alcuni esempi, relativi ai diversi continenti, il Ramayana dell'India

ci fornisce, attraverso il racconto delle imprese dell'eroe Rama e di sua moglie Sita, la

più nobile immgine dell'uomo e della donna, il loro senso dell'onore e della fedeltà

alle esigenze di una vita senza macchia.

Il nome stesso dell'eroe Rama è simile a quello di Dio: Ram. È tale la potenza del

mito, al di là del racconto, che esso ispirerà per millenni la vita dei popoli, i quali

eleveranno una immagine grandiosa dell'uomo sull'orizzonte della loro vita: secoli

dopo la versione di Valmiki, il poeta Tulsidas, raccogliendo attraverso la scrittura le

più belle tradizioni orali, riscriverà nel XV secolo, in funzione di una visione mistica

più profonda, il Ramayana, poema, sempre incompiuto, dell'ascesa umana. E quando,

al momento della sua morte, Gandhi benedisse il suo assassino, l'ultima parola che gli

uscì dalle labbra fu il nome di Ram.

Ciò vale anche per il Mahabaratha, culminante con la Bhagavad Gita, in cui il

principe Arjuna, nel pieno della battaglia di Kurukshe-tra, si pone come ultima

domanda quella sul senso della vita e delle sue lotte.

Presso un'altra civiltà, vale a dire, in un diverso contesto di rapporti dell'uomo con la

natura, con gli altri uomini e con Dio, l'Iliade, attribuita a Omero che avrebbe dato

forma scritta alle tradizioni orali popolari, proietta la migliore immagine dell'uomo

attraverso il personaggio di Ettore, incamminato coraggiosamente verso la morte

predestinata, per il bene del suo popolo.

Allo stesso modo il Prometeo di Eschilo diventerà, più di duemila anni dopo, nel XIX

secolo, con Prometeo liberato di Shelley, il simbolo eterno della grandezza delle lotte

di emancipazione.


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Non meno dell'appello di Antigone a quelle leggi non scritte, la cui eco non ha smesso

di risuonare nella mente e nel cuore di coloro che vogliono "vivere alto", più in alto

delle scritture e delle leggi.

Il discorso vale anche per le grandi epopee iniziatiche dell'Africa, come quelle del

Kaydara, che, trasposte dalla tradizione orale dei cantastorie all'opera scritta, hanno

fatto di Hampate Ba l'Omero o il Valmiki dell'Africa, come per quelle degli autori

anonimi dell'esodo delle tribù azteche, o per il Faust, riassunto di tutte le aspettative

del XIX secolo europeo, maturato in Goethe per tutta la vita, o per il romanzo L'idiota

di Dostoevskij, che attraverso il principe Miskin scrive una nuova versione della vita

di Gesù, infrangendo tutti gli idoli della vita moderna, simile a quella descritta

attraverso le avventure di don Chisciotte, il cavaliere profeta, in lotta, senza

cedimenti, con tutte le istituzioni di un secolo che vede nascere il nuovo regno del

denaro, personaggio condotto inevitabilmente da una generosità senza paura e senza

ripensamenti alla derisione e alla sconfitta.

Questi non sono che esempi della Leggenda dei secoli che annuncia il risveglio degli

uomini con Victor Hugo.

Il loro insieme costituisce la vera "storia santa" dell'umanità, la storia della grandezza

dell'uomo che si afferma, anche attraverso i suoi tentativi mal riusciti per oltrepassare

costumi e poteri.

La storia comunemente intesa è scritta dai vincitori, dai padroni degli imperi, dai

generali devastatori della terra degli uomini, dai saccheggiatori delle ricchezze del

mondo, che assoggettano il genio dei grandi inventori della scienza e della tecnica alla

loro opera di dominio economico e militare.

Di questi ultimi sono rimaste le tracce sui monumenti, nelle fortezze, negli archi di

trionfo, nei palazzi, nelle immagini incise nella pietra che descrivono, come a Karnak,

le efferatezze di Ramsete o nelle memorie apologetiche dei cronisti alla Guibert de

Nogent, cantore delle crociate, o in quelle dei predatori del dominio come nel De

bello gallico di Giulio Cesare e nel Mémorial de Saint-Helene, in cui Napoleone

vantava, con la penna compiacente di Las Cases, le prodezze grazie alle quali aveva

lasciato una Francia più piccola di quella che aveva trovato.

Questa storia non disdegna, di passata, di mettere al suo servizio i miti, incatenandoli

al suo carro di trionfo.

Il mito travestito da storia e il suo uso politico

La lettura del presente libro non deve creare alcuna confusione, né religiosa né

politica.

La critica all'interpretazione sionistica della Torah e dei "libri storici" (specialmente

quelli di Giosuè, di Samuele e dei Re) non implica assolutamente una

sottovalutazione della Bibbia e di quanto ha rivelato sull'epopea dell'umanizzazione e

della divinizzazione dell'uomo. Il sacrificio di Abramo è un modello eterno del

superamento da parte dell'uomo delle sue morali provvisorie e delle sue fragili


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logiche, in nome di valori incondizionali che le relativizzano. Così come l'Esodo è il

simbolo della liberazione da ogni servitù, dell'appello irresistibile di Dio alla libertà.

Quello che rifiutiamo è la lettura sionista, tribale e nazionalista di questi testi, che

sminuisce l'idea dell'alleanza di Dio con l'uomo, con tutti gli uomini, e della sua

presenza in tutti, e ne estrae il concetto più malefico della storia umana: quello del

"popolo eletto" da un Dio unilaterale e di parte (dunque un idolo), che giustifica a

priori tutte le oppressioni, tutte le colonizzazioni e tutti i massacri. Come se, nel

mondo, non ci fosse altra "storia santa" che quella degli ebrei.

Dalla mia dimostrazione, sempre corroborata dalle fonti, non deriva affatto l'idea della

distruzione dello Stato d'Israele, ma semplicemente la sua desacralizzazione: questa

terra non fu mai promessa più di qualsiasi altra, essa fu conquistata come quella della

Francia, della Germania o degli Stati Uniti in funzione dei rapporti di forza storici in

ciascun secolo.

Non si tratta di rifare indefinitamente la storia a colpi di cannone, ma semplicemente

di esigere, per tutti, l'applicazione di una legge internazionale, che non prolunghi oltre

misura quella della giungla attualmente in vigore.

Nel caso particolare del Vicino Oriente si tratta semplicemente di applicare le

decisioni di spartizione prese dall'ONU all'indomani dell'ultima guerra e la risoluzione

242, che escludeva il rosicchiamento delle frontiere dei paesi vicini, il furto delle loro

acque e l'espulsione delle popolazioni dai territori invasi. L'insediamento, nelle zone

illegalmente occupate, di colonie protette dall'esercito israeliano e l'armamento dei

coloni significano la continuazione di fatto di un'occupazione che rende impossibile

una vera pace e una coabitazione durevole dei due popoli, uguali e indipendenti, pace

che sarebbe simboleggiata dal rispetto comune, senza pretese di possesso esclusivo di

Gerusalemme, luogo d'incontro di tre religioni abramiche.

* * *

Similmente, la critica al mito dell'Olocausto non è una macabra contabilità sul numero

delle vittime. Se ci fosse un solo uomo perseguitato per la sua fede o per la sua

appartenenza etnica, si tratterebbe comunque di un crimine contro l'umanità intera.

Ma lo sfruttamento politico, da parte di una nazione inesistente quando furono

commessi i crimini, di cifre arbitrariamente esagerate, per sostenere che la sofferenza

degli uni non è paragonabile a quella degli altri, e la sacralizzazione (secondo lo

stesso vocabolo "Olocau-sto") tendono a fare dimenticare i genocidi più feroci.

Essendone i sionisti i maggiori beneficiari, e considerandosi le uniche vittime di una

guerra che in realtà ha fatto 50.000.000 di morti, essi, sulla scia del mito olocaustico,

hanno creato lo Stato di Israele e lo hanno collocato al di sopra di tutte le leggi per

giustificare le sue angherie all'esterno e all'interno.

* * *

Non si tratta più di accusare di malafede i milioni di onesti individui che hanno

creduto a queste false mitologie, diffuse da tutti i media, e che si sono giustamente


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indignati per il martirio delle camere a gas o si sono convinti, attraverso la lettura

letterale della Bibbia, che ignora totalmente l'esegesi moderna, della veridicità delle

promesse divine fatte a un "popolo eletto". Per più di un millennio (dal IV secolo al

Rinascimento) cristiani devoti hanno creduto alla "donazione" da parte di Costantino

dei territori del potere temporale al pontefice romano. La menzogna ha regnato per

mille anni.

Mia nonna ha visto con i suoi occhi, come migliaia di persone in buona fede, una

croce di sangue sollevarsi nel cielo la notte del 2 agosto 1914. Vi ha creduto fino alla

morte.

Questo libro non ha altro scopo che dare a tutti, gli elementi che permettano di

giudicare i misfatti di una mitologia sionista, che, incondizionatamente sostenuta dagli

Stati Uniti, ha già causato 5 guerre e costituisce una minaccia permanente per l'unità

del mondo e per la pace, a causa dell'influenza che la lobby sionista esercita sulla

potenza americana e, attraverso questa, sull'opinione pubblica mondiale.

I falsari e la storia critica

Infine, indicando la fonte anche per la più piccola informazione e dando la prova di

ciò che noi affermiamo, volevamo separarci radicalmente da tutte le falsità destinate a

gettare discredito su una religione o una comunità e ad attirare su di esse l'odio e la

persecuzione.

Il modello di questo genere d'infamia sono i Protocolli dei savi di Sion, di cui nel mio

libro Palestine terre des messages divins ho lungamente dimostrato (pp. 206-214) i

procedimenti polizieschi di fabbricazione, ispirandomi all'irrefutabile dimostrazione

fatta da Henri Rollin, nel 1939, con L'Apocalypse de notre temps (Parigi, Gallimard,

1939) che Hitler fece distruggere nel 1940, perché annientava uno degli strumenti

favoriti della propaganda antisemita dei nazisti.

Henri Rollin esuma i due plagi a partire dai quali erano stati preparati agli inizi del

secolo i falsi dalla polizia del ministro russo degli interni von Pleve.

1 Un opuscolo scritto in Francia nel 1864 da Maurice Joly contro Napoleone III:

Dialogue aux enfers entre Montesquieu et Ma-chiavel, di cui riproduce, paragrafo per

paragrafo, tutte le critiche rivolte alla dittatura dell'imperatore e che si possono

applicare a qualsiasi politica di dominio.

2 Un saggio di un emigrato russo, Ilya Tsion, contro il ministro delle finanze russo

conte Witte, intitolato: Où la dictature de M. Witte conduit la Russie (1895), che a sua

volta era un plagio dei libelli diretti, prima del 1789, contro de Calonne e che si può

applicare a tutte le relazioni di ministri delle finanze con le banche internazionali. Nel

caso particolare si trattava di un regolamento di conti di Pleve contro Witte, che egli

odiava.

Questo romanzo poliziesco di genere ignobile è stato, per disgrazia, utilizzato

ampiamente (specie da certi paesi arabi che ho personalmente denunciato da molto

tempo). Esso dava così modo ai sionisti e agli israeliani di denunciare come opera di


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falsari ogni critica alla loro politica nel Vicino Oriente e ai loro gruppi di pressione

nel mondo.

Perciò non abbiamo sostenuto nessuna tesi senza indicare le fonti relative, a rischio di

sovraccaricare il testo e di affaticare un lettore troppo desideroso di arrivare alle

conclusioni senza passare attraverso il lavoro, spesso fastidioso, delle dimostrazioni.

* * *

Riassumiamo ciò che la storia critica può dire, senza sacralizzarla con miti asserviti a

una politica.

Hitler, a partire dalla sua ideologia razzista, fin dalle sue prime manifestazioni

politiche, prese gli ebrei come bersaglio, dopo il comunismo, il cui annientamento era

la sua missione principale (cosa che gli valse a lungo l'indulgenza delle "democrazie

occidentali", dalla concessione dei mezzi per il riarmo della Germania da parte degli

industriali fino alla consegna di interi popoli da parte dei loro politici, per esempio a

Monaco). I suoi primi pretesti, nella lotta contro gli ebrei, erano d'altro canto

contraddittori: da un lato egli pretendeva che la rivoluzione d'Ottobre fosse opera

degli ebrei e minacciasse l'Europa di instaurarvi, con la complicità ebraica, il

comunismo, e sviluppava il tema del "giudeo-bolscevismo" come incarnazione del

comunismo mondiale, e dall'altro lato, al tempo stesso, denunciava gli ebrei come

incarnazione del capitalismo mondiale.

Il programma del partito nazionalsocialista proclamava già: "Un ebreo non può essere

un compatriota".

Fonte: PS 1708

Escludendo così dalla nazione tedesca alcuni tra i suoi figli più gloriosi in tutti i

settori della cultura, dalla musica alla scienza, sotto pretesto che erano di confessione

ebraica e confondendo a bella posta religione e razza. A partire da questa mostruosa

esclusione, che rinnegava il poeta Heine e cacciava il gigante Einstein, Hitler definiva

in una lettera del 16 settembre 1919 al suo amico Gemlich ciò che chiamava già lo

"scopo finale" (letztes Ziel): "l'allontanamento degli ebrei".

Questo scopo finale resterà tale fino alla sua morte, come la lotta contro il

bolscevismo, nella quale egli si distrusse.

Questo "allontanamento degli ebrei", una costante della sua politica, prenderà forme

diverse a seconda delle vicissitudini della sua carriera.

Fin dall'arrivo al potere il suo ministro dell'economia firma con l'Agenzia ebraica

(sionista) l'accordo del 28 agosto 1933, che favorisce il "trasferimento" (Ha'avara in

ebraico) degli ebrei tedeschi in Palestina.

Fonte: Broszat, Jacobsen, Krausnick, Anatomie des SS-Staates Monaco, 1982, II, p.

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Due anni dopo, i decreti di Norimberga del 15 settembre 1935 danno valore

legislativo agli articoli 4 e 5 del programma del partito, formulato a Monaco il 24

febbraio 1920, sulla cittadinanza del Reich e la "difesa del sangue" (come avevano

fatto nel XVI secolo i "re cattolici" di Spagna con il pretesto della "limpieza de la

sangre" contro gli ebrei e i mori). Ispirandosi agli esempi di Esdra e Nehemia nella

Bibbia, questi decreti permettevano di escludere gli ebrei dalle funzioni pubbliche e

dai posti di rilievo nella società civile. Essi vietavano i matrimoni misti e assegnavano

agli ebrei lo statuto di stranieri.

La discriminazione doveva presto diventare più selvaggia con la Notte dei cristalli a

partire da un pretesto.

Il 7 novembre 1938 il consigliere d'ambasciata di Parigi von Rath viene assassinato da

un giovane ebreo di nome Grynzpan.

Il fatto, sfruttato dalla stampa nazista, scatena nella notte dal 9 al 10 novembre una

vera caccia agli ebrei, il saccheggio dei loro negozi e la rottura delle loro vetrine (di

qui il nome di Notte dei cristalli).

Il bilancio è sinistro: "Saccheggio e distruzione di 815 negozi, di 171 abitazioni, di

276 sinagoghe, di 14 monumenti della comunità ebraica, arresto di ventumila ebrei, 7

ariani, 3 stranieri, 36 morti e 36 feriti".

Fonte: Rapporto di Heydrich a Göring in data 11 novembre 1938,

Trial of the Major War Criminals, cit., IX, p. 554,

riconosciuto autentico da Göring e da tutti gli accusati di Norimberga

Non si trattava di una reazione passionale del popolo tedesco, ma di un pogrom

organizzato dal partito nazista. Lo attesta il rapporto del giudice supremo del partito

nazionalsocialista, Walter Buk, incaricato dell'inchiesta (doc. PS 3063 datato 13

febbraio 1939, Trial of the Major War Criminals, cit., XXXII, p. 29), che doveva

giudicare i 174 membri del partito arrestati su ordine di Heydrich dopo l'11 novembre

per aver organizzato questo pogrom e avervi partecipato.

Ma, tra i 174, non figurano che quadri subalterni.

Il governo (con l'eccezione di Goebbels che approvava il crimine) e il Führer stesso li

sconfessarono. Ma ciò non esclude l'ipotesi di direttive provenienti dall'alto. Tanto più

che Göring emise subito tre decreti che aggravarono la discriminazione:

il primo doveva colpire gli ebrei tedeschi con un'ammenda collettiva di un miliardo di

marchi (PS 1412, "Reichsgesetzblatt" 1938, parte I, p. 1579);

il secondo doveva escludere gli ebrei dalla vita economica tedesca (PS 2875,

"Reichgesetzblatt" 1938, parte I, p. 1580);

l'ultimo decideva che le compagnie di assicurazione dovevano versare allo Stato, e

non agli interessati ebrei, il rimborso per i danni a essi causati nel corso della Notte

dei cristalli (PS 2694, "Reichsge-setzblatt" 1938, parte I, p. 1581).


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La similitudine dei pretesti e dei metodi per colpire in Germania gli ebrei e in

Palestina gli arabi è sorprendente: nel 1982 si verifica un attentato a Londra contro un

diplomatico israeliano.

I dirigenti israeliani lo attribuiscono subito all'OLP e invadono il Libano per

distruggervi le basi di questa organizzazione, facendo 20.000 morti. Begin e Ariel

Sharon, come un tempo Goebbels, hanno avuto la loro Notte dei cristalli con un

numero molto maggiore di vittime innocenti. La differenza sta nel pretesto per lo

scatenamento dell'invasione del Libano, progettata da tempo dai dirigenti israeliani.

Già il 21 maggio 1948 Ben Gurion scriveva infatti nel suo Diario:

"Il tallone d'Achille della coalizione è il Libano. La supremazia musulmana in questo

paese è artificiale e può facilmente essere capovolta; in questo paese deve essere

instaurato uno Stato cristiano. La sua frontiera meridionale sarà il fiume Litani".

Fonte: M. Bar Zohar, Ben Gourion. Le prophète armé, cit., p. 139

Il 16 giugno il generale Moshe Dayan precisava il metodo:

"Tutto ciò che ci rimane da trovare è un ufficiale, anche un semplice capitano.

Bisognerà portarlo dalla nostra parte, comprarlo, affinché accetti di dichiararsi

salvatore della popolazione maronita. Allora l'esercito israeliano potrebbe entrare in

Libano, occupare i territori dove stabilirebbe un regime cristiano alleato con Israele e

tutto scorrerebbe come su delle ruote. Il territorio meridionale del Libano deve essere

totalmente annesso ad Israele".

Fonte: Diario dell'ex primo ministro di Israele Moshe Sharett,

pubblicato in ebraico nel 1979

Ciò che rende ancor più odioso il crimine verso il Libano, nel suo stesso principio (al

di là dei massacri perpetrati sotto gli occhi di Sharon e organizzati grazie a lui), è il

fatto che il pretesto stesso non poteva essere imputato all'OLP.

Margaret Thatcher ha dato, di fronte alla Camera dei comuni, la prova che questo

crimine era opera di nemici dichiarati dell'OLP. Subito dopo l'arresto dei criminali e

l'inchiesta della polizia ha dichiarato: "Nell'elenco delle personalità da colpire, trovato

indosso agli autori dell'attentato, figurava il nome del responsabile dell'OLP a Londra

[...]. Ciò proverebbe che gli assalitori non avevano, come ha preteso Israele, il

sostegno dell'OLP [...]. Non credo che l'attacco Israeliano in Libano sia un'azione di

rappresaglia determinata da questo attentato: gli israeliani hanno trovato in esso un

pretesto per riaprire le ostilità".

Fonte: "International Herald Tribune", 8 giugno 1982

Questa smentita alla propaganda israeliana è passata quasi inosservata in Francia,

mentre distruggeva proprio la leggenda della "legittima difesa", servita da pretesto

alla nuova aggressione.


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Infatti questa guerra si iscriveva, come tutte le aggressioni e le angherie compiute

dallo Stato di Israele, nella logica interna della dottrina sionista, come la Notte dei

cristalli si inseriva nella logica interna del razzismo hitleriano.

La situazione degli ebrei dopo la Notte dei cristalli diventò ancora più drammatica. Le

"democrazie occidentali" riunirono nel 1938 la Conferenza di Évian, che raccolse 33

paesi (non vi erano rappresentate l'URSS e la Cecoslovacchia; quanto all'Ungheria,

alla Ro-mania e alla Polonia, esse vi parteciparono solo con osservatori che chiesero

che le si liberasse dai loro ebrei).

Il presidente Roosevelt fornì un esempio di egoismo dicendo, nella conferenza stampa

di Warm Springs, che "non era prevista nessuna revisione, né un aumento delle quote

di immigrazione negli Stati Uniti".

Fonte: Mazor, Il y a trente ans, la Conférence d'Evian,

"Le monde juif" n. 50, aprile-giugno 1968, pp. 23 e 25

A Evian nessuno si curò di "farsi carico dei perseguitati e di preoccuparsi seriamente

della loro sorte".

Fonte: Dix leçons sur le nazisme, sotto la direzione

di Alfred Grosser, Parigi, 1976, p. 216

Nel marzo 1943, Goebbels poteva ancora ironizzare:

"Quale sarà la soluzione della questione ebraica? Sarà creato uno Stato ebraico in un

territorio qualsiasi? Lo sapremo più tardi.

"Ma è curioso constatare che i paesi nei quali l'opinione pubblica si leva in favore

degli ebrei rifiutano sempre di accoglierli".

Fonte: Léon Poliakov, Bréviaire de la Haine, cit., p. 41

Dopo la disfatta della Polonia sembrò possibile un'altra soluzione provvisoria della

questione ebraica: il 21 settembre Heydrich, ricordando lo "scopo finale" ordinò ai

capi dei servizi di sicurezza di creare, alla nuova frontiera con l'URSS, una sorta di

"riserva ebraica".

Fonte: Op. cit.

La sconfitta della Francia apriva ai nazisti nuove prospettive. Essi potevano utilizzare

l'impero coloniale francese per la questione ebraica e la sua "soluzione finale".

A partire dall'armistizio del giugno 1940 fu lanciata l'idea di inviare tutti gli ebrei in

Madagascar. Nel maggio 1940 Himmler, in una nota intitolata Alcune riflessioni sul

trattamento degli stranieri al-l'Est, scriveva: "Spero di veder scomparire

definitivamente la nozione di ebreo grazie all'evacuazione di tutti gli ebrei verso

l'Africa o in una colonia".


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Fonte: "Vierteljahreshefte für Zeitgeschichte", 1957, p. 197

Il 24 giugno 1940 Heydrich scriveva al ministro degli affari esteri Ribbentrop che

ormai era possibile concepire "una soluzione finale territoriale" ("eine territoriale

Endlösung") del problema ebraico.

Fonte: Gerald Flemming, Hitler und die Endlösung, cit., p. 56

Allora fu elaborato tecnicamente il "progetto del Madagascar ": il 3 luglio 1940 Franz

Rademacher, responsabile degli affari ebraici presso il ministero degli esteri, presentò

un rapporto in cui diceva:

"La vittoria imminente offre alla Germania la possibilità e, a mio avviso, anche il

dovere di risolvere la questione ebraica in Europa. La soluzione auspicabile è: tutti gli

ebrei fuori dall'Europa ("Alle Juden aus Europa").

"Il Referat DIII propone come soluzione della questione ebraica che la Francia, nel

trattato di pace, debba rendere disponibile l'isola del Madagascar per la soluzione

della questione ebraica e debba trasferire e indennizzare i circa 25.000 francesi che vi

risiedono. L'isola passerà sotto mandato tedesco".

Fonti: NG 2586 B; Document on German Foreign Policy

(1918-1945), Serie D, X, Londra, 1957, pp. 111-113

Il 25 luglio 1940 Hans Frank, governatore della Polonia, confermò che il Führer era

d'accordo a proposito di questa evacuazione, ma che trasporti oltre mare di tale

rilevanza non erano realizzabili finché la marina inglese aveva il controllo dei mari.

Fonte: Der Prozess gegen die Hauptkriegsverbrecher

vor dem Internationalen Militärgerichtshof Nürnberg,

Norimberga, 1947, XXIX, PS 22.33, p. 405

Bisognava trovare una soluzione provvisoria di ricambio. Nel protocollo si legge:

"Sarà responsabile dell'insieme delle misure necessarie alla soluzione finale

(Endlösung der Judensfrage), senza considerazione di limiti geografici, il

Reichsführer SS e capo della polizia tedesca".

Fonte: NG 2586 G

La questione ebraica si poneva ormai alla scala dell'Europa occupata dai nazisti. Dopo

la sospensione provvisoria del progetto del Madagascar "la guerra contro l'Unione

Sovietica ci ha permesso di disporre di nuovi territori per la soluzione finale (für die

Endlösung). Di conseguenza il Führer ha deciso di espellere gli ebrei non verso il

Madagascar, ma verso l'Est".

Fonte: NG 5570


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Il Führer aveva infatti dichiarato il 2 gennaio 1942: "L'ebreo deve lasciare l'Europa. È

meglio che se ne vadano in Russia"

Fonte: A. Hitler, Monologe im Führerhauptquartier

1941-1944, Amburgo, Krauss, 1980, p. 241

Col riflusso delle truppe sotto la pressione dell'esercito sovietico la soluzione della

questione ebraica richiese "un rigore spietato".

Fonte: H. Monneray, La persécution des juifs dans

les pays de l'Est, pp. 91-92

Nel maggio 1944 Hitler diede ordine di utilizzare 200.000 ebrei, inquadrati da 10.000

Waffen SS, nelle fabriche di armi o nei campi di concentramento in condizioni cosi

orribili che le epidemie di tifo fecero decine di migliaia di vittime, imponendo la

moltiplicazione dei forni crematori.

In seguito i deportati furono destinati a costruire strade, in condizioni di spossatezza e

di fame tali che la maggior parte di loro, decine di migliaia, morirono.

Il martirio dei deportati ebraici e slavi derivo dalla ferocia dei padroni hitleriani che li

trattavano come schiavi, ritenendoli perfino sprovvisti di valore come lavoratori.

Questi crimini di Hitler non possono essere sottovalutati, come non possono esserlo le

sofferenze indicibili delle sue vittime. Percio non c'e alcun bisogno di aggiungere

all'orribile quadro dei lampi d'incendio tratti dall'lnferno di Dante, ne di dargli la

cauzione teologica e sacrificale dell'Olocausto per testimoniarne la profonda

inumanita.

La storia meno enfatica e, da sola, piu accusatrice del mito. E soprattutto essa non

riduce l'ampiezza di un vero crimine contro l'umanita, che e costato 50.000.000 di

morti, alle dimensioni di un pogrom nei confronti di una sola categoria di vittime

innocenti, mentre sono morti a milioni con le armi in mano per far fronte a questa

barbarie.

* * *

Il bilancio storico, ripetiamo, ha ancora carattere provvisorio. Come per ogni storia

critica e come per qualsiasi scienza, esso e rivedibile e sara rivisto in funzione della

scoperta di nuovi elementi: enormi archivi tedeschi sono stati sottratti e trasferiti negli

Stati Uniti e non sono stati ancora completamente esaminati. Altri archivi, in Russia,

cui a lungo i ricercatori non hanno potuto accedere, hanno cominciato ad aprirsi.

Resta dunque da compiere un grande lavoro, a condizione di non confondere il mito

con la storia e di non pretendere di mettere le conclusioni prima della ricerca, come ha

voluto imporre finora un certo terrorismo intellettuale: la canonizzazione dei testi di

Norimberga si e rivelata ben fragile.


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La storia, come le scienze, non puo partire da un a priori intoccabile.

Norimberga aveva diffuso delle cifre, le piu importanti delle quali si sono rivelate

false: i "4 milioni" di morti di Auschwitz sono stati ridotti a "un po' piu di un

milione". Anche le autorita hanno dovuto accettare questa revisione e sostituire le

targhe commemorative del crimine.

Il dogma dei "sei milioni", gia messo in dubbio dai difensori piu intransigenti del

genocidio come Reitlinger, che arrivo nel suo libro La solution finale a quattro milioni

e mezzo, e ormai abbandonato da tutta la comunita scientifica, anche se resta un tema

di propaganda mediatica nei confronti dell'opinione pubblica e delle scolaresche.

Mostrare la vanita di questi a priori aritmetici, non vuol dire impegnarsi in una

verifica contabile, che sarebbe macabra, ma significa sottolineare come la volonta

deliberata di perpetuare una menzogna abbia costretto a falsificare sistematicamente e

arbitrariamente la storia.

Per trasformare in mito il martirio reale degli ebrei, col pretesto di non banalizzarlo, e

stato necessario non solo far passare in secondo piano tutti gli altri, come la morte di

17 milioni di sovietici e di 9 milioni di tedeschi, ma anche conferire alle sofferenze

reali degli ebrei un carattere sacrale (sotto il nome di Olocausto) rifiutato a tutte le

altre vittime.

Per raggiungere questo obiettivo e stato necessario violare tutte le regole elementari

della giustizia e della ricerca della verita.

Occorreva, per esempio, che "soluzione finale" significasse "sterminio" o "genocidio",

mentre nessun testo permette questa interpretazione, trattandosi sempre di espulsione

di tutti gli ebrei europei, all'Est dapprima e poi in una qualsivoglia riserva africana. Il

che e gia sufficientemente mostruoso.

E stato necessario falsificare tutti i documenti: tradurre "trasferimento" con

"sterminio". Cosi che questo "metodo" di interpretazione permettesse di far dire

qualsiasi cosa a qualsiasi documento. Quello che era un orribile massacro diventava

"genocidio".

Per non citare che un caso di questa manipolazione tendenziosa dei testi, Jean-Claude

Pressac, nel suo libro su Les Crématoires d'Aushwitz (1993)e talmente preoccupato

di aggiungere un orrore supplementare alla spaventosa mortalita nei campi di

concentramento, che ogni volta che incontra la parola tedesca Leichenkeller, "deposito

di cadaveri", cioe "obitorio", traduce "camera a gas", come a p. 65. Inoltre egli

introduce la nozione di "linguaggio cifrato", dicendo che il boia (Messing) "non ebbe

il coraggio di scrivere che il ''deposito dei cadaveri'' era una ''camera a gas''" (p. 74).

Ora l'ipotesi del linguaggio cifrato, costantemente utilizzata per far dire ai documenti

cia che si vorrebbe che dicessero, non ha alcun fondamento, innanzitutto perche Hitler

e i suoi complici, come abbiamo dimostrato, non hanno mai cercato di dissimulare gli

altri loro crimini e se ne sono vantati cinicamente con un linguaggio chiaro, in

secondo luogo perche gli inglesi avevano sviluppato molto le tecniche e le

attrezzature per l'interpretazione dei codici e disponevano dei messaggi in chiaro,


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messaggi che, per realizzare un'impresa tecnica tanto gigantesca come lo sterminio

industriale di milioni di uomini, avrebbero dovuto essere numerosi.

Il rifiuto sistematico di tener conto dell'espressione, cosi frequente nei testi hitleriani,

di "soluzione finale territoriale" e anche rivelatore della volonta di rifiutare qualsiasi

analisi che non giustificasse le conclusioni a prbori: i "sei milioni" e il "genocidio".

Con lo stesso criterio arbitrario, quando e stato provato che, malgrado un numero

considerovole di dichiarazioni di "testimoni oculari" sull'esistenza di "camere a gas",

queste ultime non erano mai esistite in territorio tedesco, e stato necessario continuare

a ritenere incontestabili le testimonianze identiche sulla loro esistenza nei campi

dell'Est.

Infine, il rifiuto di discutere le perizie tecniche in un modo che sia allo stesso tempo

scientifico e pubblico, e rispondere piuttosto con la repressione e il silenzio non

possono che mantenere il dubbio.

Non esiste una requisitoria piu efficace contro l'hitlerismo dell'affermazione della

verita storica.

E a cio che abbiamo voluto contribuire con questo dossier.

Fonte http://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:QF0uSqzpzHIJ:www.vho.org/aaargh/fran/livres/RGmiti.pdf+&cd=1&hl=it&ct=clnk&gl=it


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Author(s): Olodogma
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Published: 2015-04-25
First posted on CODOH: Jan. 12, 2019, 2:36 p.m.
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