Jürgen Graf, Thomas Kues,Carlo Mattogno: risposta agli olocausto sterminazionisti bloggers Jonathan Harrison, Roberto Muehlenkamp, Jason Myers, Sergey Romanov e Nick Terry

Published: 2013-01-29

Anteprima mondiale

Introduzione e tre capitoli del lavoro di Jürgen Graf, Thomas Kues, Carlo Mattogno in risposta agli pseudo argomenti della propaganda sterminazionista. L'opera completa verrà pubblicata tra qualche tempo. Olodogma

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Antefatto

Nel dicembre 2011, cinque bloggers antirevisionisti  - Jonathan Harrison, Roberto Muehlenkamp, Jason Myers, Sergey Romanov e Nick Terry - hanno pubblicato in rete un saggio in PDF  dal titolo Belzec, Sobibor, Treblinka. Holocaust Denial and Operation Reinhard. A critique of the Falsehoods of Mattogno, Graf and Kues. Ad eccezione di Myers, questi personaggi  sono notoriamente legati al famigerato blog  Holocaust Controversies. Di due,  Sergey Romanov e Roberto Muehlenkamp, mi ero già occupato in precedenza, in particolare in due studi (Bełżec e le controversie olocaustiche di Roberto Muehlenkamp e Il comitato di soccorso Zimmerman o gli olo-bloggers in (denigr)azione nel web), mettendo in evidenza la loro crassa ignoranza storica, la loro piatta inettitudine, la loro aperta  malafede e la loro profonda disonestà. Il nuovo saggio non si discosta da queste caratteristiche essenziali, anzi, vi aggiunge il plagio metodico e sfrontato. Esso vorrebbe essere una confutazione di tre studi revisionistici sui cosiddetti “campi di sterminio” dell' “Azione Reinhardt” redatti dagli autori della risposta che segue, vale a dire: Bełżec in Propaganda, Testimonies, Archeological Research, and History. Theses & Dissertations Press, Chicago 2004 (edizione italiana: Bełżec nella propaganda, nelle testimonianze, nelle indagini archeologiche e nella storia. Effepi, Genova, 2006), di C. Mattogno; –  Treblinka. Extermination Camp or Transit Camp? Theses & Dissertations Press, Chicago, 2004, di J. Graf e C. Mattogno; –  Sobibór. Holocaust Propaganda end Reality, di J. Graf,  T. Kues e C. Mattogno. Si tratta di un testo di oltre 500 pagine, con una vasta bibliografia e una quantità enorme di note, che però ha soltanto la sbiadita parvenza di un'opera scientifica, già per il fatto che è frutto di un saccheggio sistematico e pervicace di fonti altrui. Nella mia analisi, ne ho invividuate ed elencate ben oltre 400, il che è già più che sufficiente per qualificare i suddetti autori come volgari cialtroni plagiari. Un'altra peculiarità della loro opera “scientifica” è che, in questo plagio metodico, essi - tranne rarissime eccezioni -,  hanno presentato, in traduzione inglese,  semplici frasi o spezzoni di frasi o parole estrapolate (ad opera di svariati storici olocaustici, vittime dei loro plagi) da documenti tedeschi di cui i plagiari ignorano  persino il testo originale. La fatica più cospicua che abbiamo dovuto affrontare nella nostra replica,  e che ha comportato anche la maggior perdita di tempo, non  riguarda la confutazione della struttura argomentativa di questi olo-cialtroni, puerile e inconsistente, ma, appunto, l'individuazione e la verifica delle loro innumerevoli citazioni. Ogni volta che ci è stato possibile, cioè nella maggior parte dei casi, abbiamo riportato la citazione al suo reale significato, inserendola nel suo contesto e pubblicando l'intero brano relativo - nel caso dei documenti -, in testo tedesco. Sebbene la loro critica sia chiaramente rozza e raccogliticcia,  non potevamo permetterci di  ignorarla  senza mettere a rischio la nostra credibilità. All'inizio avevamo pensato di accontentarci di una risposta relativamente breve, sottolineando le fallacie più evidenti degli olo-cialtroni, ma poi abbiamo deciso di scegliere il metodo del rullo compressore,  esaminando e demolendo praticamente ogni singolo argomento addotto dai cinque bloggers. I capitoli da me redatti - i soli ad avere, al momento, questa struttura - si articolano complessivamente in  oltre 800 punti, ciascuno dei quali discute in genere più obiezioni. Come viene adeguatamente spiegato nel capito 2, questo studio non è soltanto una risposta a tutte le  “critiche” possibili e immaginabili, spesso sciocche e insensate, che gli olo-cialtroni hanno diligentemente raccolto, ma soprattutto un riesame e una ridiscussione - in gran parte basata su nuove fonti e che si risolve alla fine in una demolizione radicale -  di tutte le  “prove” relative all'esistenza di  “camere a gas” nei campi summenzionati -  “prove” che  essi hanno setacciato e spigolato dalla relativa letteratura, presentandone una sorta di Summa Holocaustica. Bisogna ringraziare sinceramente questi olo-cialtroni  per il loro contributo decisivo a questa demolizione. Che siano in realtà dei criptorevisionisti che lavorano occultamente per il fine opposto a quello che affermano di perseguire? Un ringraziamento speciale spetta a Roberto Muehlenkamp: con le enormi corbellerie e le stupefacenti balordaggini che ha scritto sul tema “fosse comuni” e “cremazione” nei campi dell' “Azione Reinhardt”, egli ha magistralmente messo in risalto tutta l'assurdità tecnica del presunto sterminio ebraico con annessi e connessi. La stesura definitiva di questa replica, che è lunga più o meno il doppio della “critica” degli olo-cialtroni, richiederà ancora un certo tempo e sarà pubblicata in formato PDF anzitutto in inglese. Ma poiché gli autori non vogliono esimersi dall'onorare adeguatamente la “Giornata della Memoria”,  ne pubblichino in anteprima la parte iniziale, che comunque potrà poi essere soggetta a modifiche.

Carlo Mattogno

(26.01.2013)

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INTRODUZIONE

I  PATETICI  UCCISORI  DEL DRAGO

(Jürgen Graf)

1) L'imbarazzo del dott. James Smith Il 7 ottobre 2010, The Jewish Chronicle Online riferì quanto segue: «La negazione dell'Olocausto sta diventando lentamente una cosa del passato, stando ad un autorevole esperto,  il quale asserisce che  restano soltanto tre o quattro “puri esperti negazionisti”. Il dott.  Nicholas Terry, fondatore del blog antinegazionista HC [Holocaust Controversies], in una conferenza alla Leicester University ha dichiarato  che la negazione ha attualmente “grande notorietà di marchio, ma zero venditori. Il dott.  Nicholas Terry, storico presso l'Exeter University, ha detto: “A mio avviso, dagli anni Quaranta, ci sono stati circa 100 autori che hanno scritto libri o opuscoli che si possono considerare puramente negazionisti. Attualmente la maggior parte di questi esperti sono morti o inattivi. Essi sono scesi a solo tre o quattro autori che siano capaci di scrivere tali libri. Egli ha aggiunto che ci sono altri 100 sostenitori o propagandisti che chiacchierano di Olocausto, ma senza apportare idee originali. Questa cifra include il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad  e 500  “fanti” che sono attivi nel web”. [...].  Ma il dott. James Smith, presidente  del Beth Shalom Holocaust Centre, ha messo in guardia contro il pericolo perdurante e ha aggiunto: “Il problema è che, perfino dopo che negatori professionisti dell'Olocausto sono morti, il materiale da loro pubblicato resta in circolazione, è disponibile in Internet e rimane dannoso e pericoloso come prima». La stima del  dott. Nicholas Terry che dagli anni Quaranta ci sono stati all'incirca cento autori che hanno scritto libri o opuscoli revisionisti è molto realistica; io sono giunto ad una cifra molto simile un paio di anni fa. Però questi circa 100 scrittori revisionisti evidentemente erano, e sono, così pericolosi, non soltanto per la storiografia ufficiale, ma per l'intero sistema “democratico” del “mondo libero”, che molti paesi occidentali hanno adottato leggi contro la libertà di opinione che rendono il revisionismo un'offesa criminale e soffocano qualunque libero dibattito sull'entità della persecuzione ebraica durante la seconda guerra mondiale. Non c'è bisogno di dire che queste leggi totalitarie violano in modo flagrante le costituzioni dei rispettivi paesi e smascherano come spudorati ipocriti  i loro capi politici, che declamano senza cessa su “libertà” e “diritti umani”. La repressione antirevisionistica è particolarmente feroce in Austria e nella Repubblica Federale Tedesca, dove parecchi revisionisti sono stati condannati a molti anni di prigione. Non si potrebbe trovare prova migliore per dimostrare che la versione ufficiale della sorte degli Ebrei durante la seconda guerra mondiale è marcia fino al midollo. I sostenitori dell'ortodossia storica olocaustica paragonano comunemente i revisionisti a  persone che pensano che la terra sia piatta. Tali persone esistono davvero e hanno perfino una loro organizzazione, la  Flat Earth Society, e il loro sito web[1]. Ma è molto degno di nota il fatto che nessuno infastidisce i loro sostenitori. La classe dirigente politica e scientifica rifiuta di prestar loro qualunque attenzione; neppure nei loro sogni più folli i nostri politici immaginerebbero di promulgare leggi anticostituzionali per metterli a tacere. Nessun dott. James Smith di nessun Beth Shalom Holocaust Centre addita il materiale da essi pubblicato come «dannoso e pericoloso». In fin dei conti, i fautori della terra piatta non hanno alcuna possibilità di vittoria: qualsiasi astronomo competente può sgominarli facilmente in un pubblico dibattito. Di contro gli storici olocaustici ortodossi sono mortalmente terrorizzati da un dibattito con ricercatori revisionisti qualificati. Per dimostrare questa asserzione, non dobbiamo far altro che volgerci al volume collettivo Neue Studien zu nationalsozialistischen Massentötungen durch Giftgas (Nuovi studi su uccisioni in  massa nazionalsocialistiche mediante gas tossico)[2], che è apparso  nel 2011, nell' Introduzione a questo, volume Thomas Krüger  scrive: «Questo volume collettivo [...] spiega le intenzioni e le strutture della propaganda revisionistica e presenta stimoli e concetti per trattare la negazione dell'Olocausto»[3]. Non essendo possibile «trattare la negazione dell'Olocausto» su base scientifica senza compendiare ed analizzare le affermazioni e gli argomenti revisionistici, ci si aspetterebbe ovviamente che gli autori di  Neue Studien zu nationalsozialistischen Massentötungen durch Giftgas abbiano fatto precisamente ciò, ma in realtà essi rifiutano categoricamente il dibattito. Günter Morsch e Bertrand Perz, due degli editori del volume, spiegano perché sono contrari a discutere gli argomenti dei loro avversari: «Non si devono però riprendere  argomenti psudoscientifici per confutarli, perché ciò significherebbe una rivalutazione dei loro rappresentanti e delle loro astruse teorie»[4]. Conformemente a questa strategia, G. Morsch, nel suo articolo sulle presunte gasazioni omicide nel  campo di concentramento di Sachsenhausen[5], decide di ignorare l'unico studio revisionistico dettagliato su questo campo, un articolo di Carlo Mattogno pubblicato nel 2003[6].  Allo stesso modo, Dieter Pohl, l'autore di un articolo sui campi dell' “Azione Reinhardt” [7], non menziona le monografie revisionistiche su Treblinka[8] e Bełżec[9]. Uno degli autori di Neue Studien zu nationalsozialistischen Massentötungen durch Giftgas si discosta però dalla strategia delineata da G. Morsch e B. Perz, discutendo e tentando di confutare vari argomenti revisionistici nel suo articolo “Die todbringenden Gase” (I gas letali)[10], attribuendo ai «negatori pseudoscientifici» una “rivalutazione”, secondo le parole di  Morsch e Perz. Sfortunatamente per Trunk, la sua “confutazione” fallisce miseramente, perché nella sua risposta  al volume collettivo, Carlo Mattogno demolisce con grande facilità le obiezioni di Trunk[11]. L'unico argomento revisionistico che Trunk riesca a confutare è l'affermazione di Fred Leuchter che l'esplosività dell'acido cianidrico avrebbe impedito alle SS di installare camere a gas nella stessa costruzione in cui si trovavano i forni crematori. Quest'argomento è in effetti sbagliato, perché il pericolo di esplosione sussisterebbe soltanto se fossero state impiegate quantità esorbitanti di Zyklon B, in modo da superare il limite inferiore di esplosività dell'acido cianidrico. Ma, giacché Carlo Mattogno ha sottolineato questo fatto 15 anni prima della pubblicazione di questo volume collettivo[12], e poiché l'errore di Leuchter fu corretto nell'edizione rivista del suo rapporto di cui Germar Rudolf e Robert Faurisson sono coautori[13], Trunk sfonda soltanto una porta aperta. In estrema sintesi, gli storici olocaustici ortodossi si trovano di fronte al dilemma: o scelgono di non rispondere ai revisionisti, il che equivale a una resa incondizionata, oppure tentano di confutarli, iniziando così un dibattito che sono destinati a perdere. Comprendiamo dunque perfettamente l'imbarazzo del povero dott. James Smith, presidente  del Beth Shalom Holocaust Centre, la cui idea che «perfino dopo che negatori professionisti dell'Olocausto sono morti, il materiale da loro pubblicato resta in circolazione, è disponibile in Internet e rimane dannoso e pericoloso come prima» lo tormenta giorno e notte. Bisogna avere un cuore di pietra per non sentire un profondo dolore per quest'uomo sfortunato! 2. Quattro intrepidi uccisori del  drago Il dott. Smith non ha più di che preoccuparsi: i salvatori si appropinquano. Quattro intrepidi uccisori del drago si sono fatti avanti per liberare il mondo dal pericolo revisionistico. E, guarda caso, uno di essi non è altri che lo stesso dott. Nicholas Terry citato da The Jewish Chronicle  all'inizio dell'articolo summenzionato. Insieme ad altri tre eroici combattenti contro il “negazionismo” - Roberto Muehlenkamp, Jonathan Harrison e Sergey Romanov, Nicholas Terry gestisce il blog Holocaust Controversies che, a differenza di altri sostenitori dell'ortodossia storica olocacaustica, non solo menzionano i libri e gli argomenti revisionistici, ma li discutono e «li fanno a pezzettini», come dice  Sergey Romanov: «Mattogno e Graf non sono davvero nient'altro che nani intellettuali. Perfino un dilettante  come Roberto [Muehlenkamp] o me, basandoci su fonti accessibili a tutti, possiamo farli a pezzettini»[14]. Ascolta la buona novella, dott. Smith! Holocaust Controversies può fare a pezzettini i revisionisti! Questi geni sono stati mandati senza dubbio da Jahveh stesso per salvare la sua tribù eletta dall'orribile drago revisionista? Gli articoli che questi geni hanno pubblicato sul loro blog  appaiono senza dubbio tutti a stampa in una serie ognora crescente di volumi collettivi che sono il vanto di ogni biblioteca universitaria del Mondo Libero? Gli storici olocaustici, riconoscenti, fanno senza dubbio ampio uso delle inestimabili intuizioni di questi geni? Tutt'altro. Sebbene Terry, Muehlenkamp, Harrison e Romanov abbiano redatto centinaia di articoli dalla creazione del loro blog nel 2006, non hanno mai pubblicato nulla a stampa. Gli storici olocaustici li ignorano persistentemente. L'opera collettiva Neue Studien zu nationalsozialistischen Massentötungen durch Giftgas non li nomina neppure in una nota. Invece il sito web Aktion Reinhard Camps (ARC) li nomina, ma soltanto per lanciare un veemente attacco contro di loro: «Links non autorizzati al nostro sito web da  postings  del blog dell'odio polemico e grossolanamente impreciso delle seguenti persone: Roberto Muehlenkamp - Sergey Romanov - Dr. Nick Terry non sono tollerati dall'ARC. Noi non abbiamo alcuna relazione con i blog dell'odio e vogliamo mettere in guardia tutti per evitare di essere ingannati da questi individui»[15]. Perché questa crudele ingratitudine? Perché questi indefessi combattenti contro il “negazionismo” sono ignorati o vituperati dai loro colleghi anti-“negazionisti”? Perché i gretti storici olocaustici rifiutano caparbiamente di riconoscere il loro sforzo titatico? La soluzione di questo apparente enigma è molto facile. Anzitutto, alcuni dei “Controversial Bloggers” hanno usato ripetutamente un linguaggio disgustoso o osceno, che è ampiamente sufficiente a screditarli. In special modo Muehlenkamp, che è il più primitivo della compagnia (seguito immediatamente da Terry), cosparge i suoi articoli e i suoi messaggi privati di parole volgari di quattro lettere [in italiano di dieci], mostrando così quanto deplorevolmente basso sia il suo livello intellettuale e morale. Peggio ancora, egli a volte scrive cose che lo rendono lo zimbello di ogni persona che abbia un quoziente di intelligenza superiore a zero. A titolo di esempio: nella sua discussione del rapporto Gerstein e delle presunte camere a gas di Bełżec, Muehlenkamp cita un tal Charles Provan secondo il quale «703 persone, la metà delle quali bambini, può entrare in un'area di 25 metri quadrati» e continua: «Il numero era probabilmente più alto nelle camere a gas di Belzec, considerando che gli Ebrei quivi uccisi erano emaciati a causa della mancanza di cibo nei ghetti della Polonia orientale nel 1942 e della statura relativamente piccola, come ha sottolineato Provan»[16]. Ora, a qualcuno l'idea che gli Ebrei pretesamente gasati a  Bełżec fossero tutti bambini o lillipuziani e che nelle camere a gas stavano gli uni sulle spalle degli altri (perché ciò è esattamente ciò che implica la pretesa di Muehlenkamp), può sembrare comico, ma gli Ebrei certamente non apprezzano questo genere di umorismo. Essi non vogliono che il loro sacro Olocausto sia difeso da pagliacci. A pagina 35 del loro saggio Belzec, Sobibor, Treblinka. Holocaust Denial and Operation Reinhard, che costituisce l'oggetto della presente confutazione, gli autori dichiarano: «Questa critica è stata redatta in modo non retribuito durante il nostro tempo libero serale, fine settimanale e feriale. Nessuno di noi è mai stato pagato per le nostre attività». Se c'è un solo passo in tutto il saggio al quale io creda parola per parola, è certamente questo! Nessuno sano di mente sborserebbe un centesimo per la “ricerca” ad opera di persone che pretendono che in un'area di 25 metri quadrati si possano ficcare 703 persone o più. Per gli Ebrei, gente come Muehlenkamp  è imbarazzante, fastidiosa; è un alleato di cui gli Ebrei possono fare a meno. Gli Ebrei hanno bisogno di alleati - o di shabbat goijm, per essere più esatti - di un genere completamente differente. Hanno bisogno di politici che promulghino leggi contro il revisionismo. Hanno bisogno di giudici che applichino queste leggi e mandino i revisionisti in galera, o li rovinino con pesanti multe. Hanno bisogno di giornalisti che insultino i revisionisti senza aver mai letto nessuno dei loro scritti. Hanno bisogno di storici di corte che rimpastino la scienza tradizionale olocaustica senza mai considerare la questione se i presunti eventi furono fisicamente possibili. Ma certamente non hanno bisogno di “aiutanti” che li gettino nello scompiglio esponendo inavvertitamente l'assurdità travolgente della concezione olocaustica. 3) Perché i membri di Holocaust Controversies sono detestati da storici e propagandisti olocaustici Muehlenkamp, dicevo, crede che si possano stipare 703 o più persone in un'area di 25 metri quadrati. Ma i giudici tedeschi del primo processo Treblinka di Düsseldorf (1964-1965) ebbero in grazia una dotazione mentale solo appena più grande di questi lillipuziani intellettuali. Nella loro sentenza essi descrissero il “vecchio edificio delle camere a gas” come segue: «L'edificio di mattoni  solidamente costruito su un basamento di cemento conteneva tre camere a gas,  che misuravano circa 4 x 4 metri ed erano alte all'incirca 2,60 metri. [...] Una capienza presunta di 250-300 persone in ogni camera a gas nella vecchia casa [...] potrebbe essere in fin dei conti la più verosimile»[17]. Perciò, secondo questi esimi giuristi, nelle tre camere a gas del vecchio edificio si potevano ammucchiare fino a 22 persone per metro quadrato! (A proposito, nessuno storico olocaustico è mai riuscito a spiegare perché sarebbe stata una buona idea suddividere l'edificio di gasazione in tre locali, riducendo così lo sapzio disponibile e complicando il procedimento di gasazione). Per quanto queste pretese siano dissennate, esse sono la logica conseguenza del quadro ufficiale dell'Olocausto. Se non meno di 491.000 Ebrei furono gasati a Treblinka tra il 23 luglio e il 30 settembre 1942, come vuole farci credere lo storico olocaustico isareliano Yitzhak Arad nella sua “opera classica” sui campi dell' “Azione Reinhardt”[18], e se le camere a gas del vecchio edificio avevano effettivamente una superficie di appena 48 metri quadrati, la capacità di queste camere dev'essere stata davvero sbalorditiva, proprio come il motore Diesel presuntamente usato per effettuare le gasazioni deve aver funzionato continuativamente e impeccabilmente durante l'intero periodo di 70 giorni. A ragione gli storici olocaustici non hanno interesse a rivolgere l'attenzione del pubblico sull'inanità della versione kosher degli eventi. Appunto per questo si oppongono a qualsiasi discussione sulla attuabilità tecnica dell'Olocausto. Essi si attaccano al famoso aforisma dei 32 storici francesi che, nel 1979, dichiararono: «non bisogna chiedersi se lo sterminio ebraico è stato possibile: esso è stato possibile perché ha avuto luogo»[19]. Se Kurt Gerstein, che è il testimone chiave delle presunte gasazioni a Bełżec, aveva dichiarato che in una camera a gas di 25 metri quadrati erano state ammassate 700-800 vittime, qualunque storico e propagandista olocaustico mediamente intelligente capisce che chiunque tenti di giustificare questa ridicola asserzione, come fa Muehlenkamp, non solo fa la figura dell'idiota, ma mette in luce anche la totale inattendibilità del rapporto Gerstein, infliggendo così un colpo devastante alla credibilità della versione ufficiale su  Bełżec. Quando lo storico israeliano Yitzhak Arad citò un passo di questo rapporto nella ben nota opera collettiva Nationalsozialistische Massentötungen durch Giftgas [Uccisioni in massa nazionalsocialiste mediante gas tossico], ebbe il buon senso di eliminare qualunque riferimento alla presunta capacità delle “camere a gas”[20]. Raul Hilberg, che fu indubbiamente lo storico olocaustico più brillante, lo aveva compreso perfettamente. Proprio per questo nella sua opera di riferimento The Destruction of the European Jews[21] non accennò mai all'esistenza dei revisionisti. Contrariamente a Hilberg,  Jean-Claude Pressac non si attenne mai all'ingiunzione dei 32 storici francesi. In due libri[22] egli cercò di mostrare che il preteso assassinio in massa nelle “camere a gas di Auschwitz” era stato in effetti tecnicamente possibile, consentendo in tal modo ai ricercatori revisionisti di mettere in rilievo numerosi errori nel suo ragionamento e aprendo una breccia nel muro  del bastione olocaustico[23]. L'epilogo della storia è ben noto: Pressac fece le più ampie concessioni ai revisionisti e ridusse drasticamente il tasso di morti per i cosiddetti “campi di sterminio”[24]. A causa di questa imperdonabile eresia, egli cadde in disgrazia presso i potenti del mondo. Quando morì, nel 2003, all'età di 59 anni, i mezzi di informazione che, dopo la pubblicazione del suo secondo libro nel 1993, lo avevano acclamato come la nemesi dei revisionisti, reagirono con un gelido silenzio; ironicamente, gli unici necrologi che lo commemorarono furono scritti da Robert Countess, da Carlo Mattogno da me stesso[25]. I propagandisti che gestiscono il sito web Aktion Reinhard Camps possono essere disonesti, ma non sono dei semplici pazzi. Esattamente come Ytzhak Arad, Raul Hilberg o gli autori dell'opera collettiva Neue Studien zu nationalsozialistischen Massentötungen durch Giftgas, essi non mettono in evidenza le assurdità tecniche e logiche della storia olocaustica, ma le tacciono. Essi rifuggono da qualsivoglia discussione sull'accuratezza storica della versione ufficiale degli eventi, perché sanno esattamente che una simile discussione aprirebbe il proverbiale vaso di Pandora[26]. Questa, non certo l'odioso linguaggio di  Nicholas Terry o le oscenità di Roberto Muehlenkamp, è la vera ragione per cui essi aborriscono il blog Holocaust Controversies e mettono «in guardia tutti per evitare di essere ingannati da questi individui». 4) Le tattiche dei “Controversial Bloggers” Quasi tutti i libri storici contengono probabilemnte alcuni errori. Se l'autore se ne accorge, o se gli vengono segnalati da amici o avversari, egli di norma li corregge nell'edizione successiva, se ce n'è una. È ovvio  che  i libri revisionistici non costituiscono un'eccezione a questa regola. Le tattiche messe in atto dai “Controversial Bloggers” sono fondamentalmente semplici: vanno alla ricerca di errori nei libri dei loro avversari - un errore a p. 82, un secondo a p. 175, un terzo a p. 243 - e poi cercano di usare questi errori per gettare discredito sull'intero libro. Per illustrare questo metodo basterà un solo esempio. Nella mia cririca a Hilberg[27],  ho asserito erroneamente che questi non ha addotto alcun riferimento  per la sua affermazione che il 12 ottobre 1941 i Tedeschi fucilarono 10.000 Ebrei nel cimitero di Stanisławów, in Polonia. In realtà Hilberg aveva effettivamente menzionato una fonte (del tutto inattendibile), le dichiarazioni di alcuni sedicenti “testimoni oculari”. Il mio errore, ovviamente dovuto a negligenza, indusse Nicholas Terry  a scrivere: «Graf ha scelto di omettere il contenuto della nota nella stessa pagina e di pretendere che non è stata addotta alcuna prova. Perciò Graf è autentico mentitore»[28]. Ma per quale ragione al mondo avrei «scelto di omettere il contenuto della nota»? La questione della presunta fucilazione di Stanisławów non è di particolare importanza; se non l'avessi menzionata affatto, la mia critica di Hilberg non avrebbe perduto nulla della sua forza. Di fatto, l'imbarazzo che mi poteva derivare dal fatto che un tale errore elementare potesse essere messo in rilievo da un avversario, conta chiaramente più di qualunque beneficio che  potessi sperare di ricevere da un inganno intenzionale. Per ironia della sorte, Terry commette simili errori due volte allorché mi attacca nel saggio antirevisionistico Belzec, Sobibor, Treblinka. Holocaust Denial and Operation Reinhard, di cui è coautore. Il primo errore riguarda la persona di Erich Bauer, il presunto “Gasmeister” (capo del gas) di Sobibór. Nel libro su questo campo scritto da Thomas Kues, Carlo Mattogno e me[29], ho asserito: «Qual è la base di questa asserzione [che Bauer era il “Gasmeister”]? Nei primi racconti dei testimoni su Sobibór, Erich Bauer o non viene menzionato affatto, oppure è menzionato solo marginalmente. Il suo nome non appare nei due rapporti di  Pechersky  e neppure nella testimonianza di Leon Feldhendler - che, in fin dei conti, elenca per nome 10 SS. Zelda Metz riporta un totale di diciassette SS che stazionavano a Sobibór [i cui nomi sono enumerati nella mia nota 494, Bauer è il quindicesimo della lista] ma non gli ascrive alcun crimine specifico» (p. 172, 173). Ciò non impedisce a Terry di scrivere: «Tipicamente, Graf accentua l'assenza di Bauer nella testimonianza di un testimone [Feldhendler], mentre omette la sua presenza nella dichiarazione successiva della sua fonte [Metz]»(p. 76). In base ai suoi stessi criteri, io sono pertanto autorizzato a definire Terry un «autentico mentitore»! A pagina 150, Terry scrive: «In The Giant with Feet of Clay, Graf non riesce a menzionare una sola volta la parola “ghetto”». Se questo splendido ricercatore si fosse preso la briga di leggere The Giant with Feet of Clay con maggiore attenzione, si sarebbe accorto che la parola “ghetto” appare non meno di undici pagine di questo libro (p. 16, 17, 18, 38, 39, 40, 42, 107, 108, 109, 113). Lo stesso Nicholas Terry, per il quale banali errori diventano automaticamente “autentiche menzogne” quando sono commessi dai revisionisti, quantunque egli si renda personalmente colpevole di errori più seri, non rifugge dal lanciare una vera e propria calunnia. Due volte, nel giugno 2009 e nel maggio 2011, Terry accusò il revisionsita tedesco Udo Walendy di essere uno spudorato falsario. Nella sua rivista Historische Tatsachen (Fatti storici) Walendy aveva riprodotto in facsimile un ritaglio del giornale polacco con sede a Londra  Dziennik Polski  (Gazzetta polacca)datato 11 luglio 1942, insieme alla traduzione tedesca dei passi più importanti[30]. Stando a questo giornale, i Tedeschi avevano gasato un gran numero di Ebrei a Treblinka. Ma poiché gli storici olocaustici concordano nell'affermare che i primi trasporti arrivarono a Treblinka il 23 luglio 1942, dodici giorni dopo la pubblicazione dell'articolo, l'informazione comunicata dal Dziennik Polski  era necessariamente falsa - un classico caso di propaganda basata su atrocità che getta luce sulle origini del mito di Treblinka[31]. Il 19 giugno 2009 Terry scrisse: «Non vedo l'ora di consultare quando sarà, in futuro, una copia del Dziennik Polski della data in questione e mostrare che questo è un esempio inequivocabile di falsificazione»[32]. Quasi due anni dopo, il 31 maggio 2011, Terry non aveva ancora consultato «una copia del Dziennik Polski della data in questione» - il che non impedì a questo nobile ricercatore di ripetere i suoi attacchi contro Walendy. Alcuni mesi dopo, Thomas Kues inflisse a Terry la giusta punizione; egli venne in possesso di una copia del giornale polacco e mostrò che non c'era stata alcuna falsificazione: il Dziennik Polski aveva in effetti parlato di gasazioni a Treblinka circa due settimane prima che il campo fosse operativo[33].

Accusare un ricercatore di falsificare le sue fonti è  il rimprovero forse più grave che gli si possa rivolgere. Il fatto che Terry abbia avuto la sfrontatezza di definire Walendy falsario senza alcuna prova per corroborare quest'accusa, lo smaschera come disonesto calunniatore. Il suo “errore” è immensamente peggiore di quello che ho commesso io nel caso della presunta fucilazione di  Stanisławów, perché non ho accusato Hilberg di aver falsificato alcunché; ho soltanto affermato (erroneamente) che non aveva fornito alcun riferimento specifico per la sua asserzione.      

CAPITOLO 1

LA FOLLE SFIDA

(Jürgen Graf)

1) “Le menzogne di Mattogno, Graf e Kues” Dal momento che ero curioso di vedere come i mebri di Holocaust Controversies  avrebbero reagito quando fossero stati sfidati a scrivere una critica esaustiva di un libro revisionistico, per due volte lanciai il guanto di sfida a Muehlenkamp, la prima volta nell'ottobre 2010, la seconda nel giugno 2011, dandogli la scelta tra vari libri revisionistici. Non avendo da lui ricevuto alcuna risposta fino al 5 dicembre 2011, dichiarai in un mio articolo che egli aveva «gettato la spugna»[34]. Ciò era un po' prematuro, perché solo tre settimane dopo Muehlenkamp  (o uno dei suoi accoliti) mi inviò un lungo testo intitolato Belzec, Sobibor, Treblinka. Holocaust Denial and Operation Reinhard. A Critique of the Falsehoods of Mattogno, Graf and Kues[35]. Ne  sono autori Jonathan Harrison, Roberto Muehlenkamp, Jason Myers (evidentemente Jahveh, nella sua infinita sapienza, ha reclutato un quinto genio per assistere gli altri quattro nel loro sforzo), Sergey Romanov e Nicholas Terry. L'oggetto della loro critica sono i tre libri che seguono: −  Carlo Mattogno, Jürgen Graf, Treblinka: Extermination Camp or Transit Camp? Theses & Dissertation Press, Chicago, 2004 (d'ora in poi: Treblinka). − Carlo Mattogno, Bełżec in Propaganda, Testimonies, Archeological Research and History. Theses & Dissertation Press, Chicago, 2004 (d'ora in poi: Bełżec). − Jürgen Graf,  Thomas Kues e Carlo Mattogno, Sobibór. Holocaust Propaganda and Reality. The Barnes Review, Washington, 2010 (d'ora in poi: Sobibór). Confesso che fui molto sbalordito della follia di questa gente. Alla fin fine, confutare la nostra trilogia sui campi dell' “Azione Reinhadt” equivale a dimostrare che Bełżec, Sobibór e Treblinka erano dei veri e propri campi di sterminio, in cui un numero enorme di Ebrei furono assassinati in camere a gas. Ma Raul Hilberg,  che aveva una conoscenza dei documenti del periodo bellico immensamente maggiore dei cinque “Controversial Bloggers”, non era riuscito a dimostrare che un solo Ebreo era stato gasato in qualsivoglia di questi tre campi: come è dunque possibile che nullità come Harrison, Muehlenkamp, Myers, Romanov e Terry  sperino di  avere successo laddove gli storici olocaustici più informati hanno fallito? Credono seriamente di essere migliori di Hilberg? 2) Tre errori nei miei scritti È facile immaginare con quanta frenesia i “Controversial Bloggers” siano andati alla ricerca di errori nei nostri libri ed era immaginabile fin dall'inizio che qualcuno l'avrebbero trovato. Nei miei scritti, essi hanno potuto individuare tre errori; uno in Sobibór, uno in The Giant with Feet of Clay e uno nel mio articolo “David Irving and the Aktion Reinhardt Camps”. Il primo di questi tre errori fu rilevato da Nick Terry a p. 76. In Sobibór avevo commentato il processo di Hubert Gomerski e Johann Klier, che si svolse a Francoforte nel 1950, asserendo che i procedimenti furono «accompagnati da una massiccia campagna nei mezzi di informazione ancora sotto controllo alleato»[36]. Al che Terry obietta: «Per sostenere la sua asserzione, egli [Graf] cita precisamente un articolo di giornale del  Frankfurter Rundschau, un quotidiano che aveva sede nella stessa città in cui fu celebrato il processo. Questa “massiccia campagna nei mezzi di informazione” evidentemente non incluse Die Zeit o Der Spiegel, nessuno dei quali pubblicò un solo articolo sul processo».  Ne prendo atto. Prima di parlare di “una campagna massiccia”, avrei dovuto in effetti verificare se sui processi avevano riferito altri mezzi di informazione tedeschi. Il mio secondo errore fu sottolineato da Jonathan Harrison nelle pagine 106-107. A pagina 40 di The Giant with Feet of Clay avevo scritto che, secondo Raul Hilberg, l' Einsatzgruppe A aveva ucciso 125.000 Ebrei fino al 15 ottobre 1942, la stragrande maggioranza dei quali tra agosto e ottobre. Poiché l' Einsatzgruppe A  contava soltanto 990 membri, di cui 240 non combattenti, conclusi che, per ragioini logistiche, quest'unità non avrebbe potuto uccidere 120.000 Ebrei in due mesi e mezzo. Ma Hilberg dice esplicitamente che l' Einsatzgruppe A era appoggiata da altre unità tedesche, inoltre da ausiliari locali. Alla luce di questi fatti, devo concedere che le presunte uccisioni in massa sarebbero state possibili dal punto di vista logistico − il che non significa naturalmente che avvennero davvero. Il mio terzo errore fu messo in risalto da Nick Terry alle pagine 221-222. Nel mio articolo “David Irving and the Aktion Reinhardt Camps[37] (che Terry definisce erroneamente «una lettera aperta a David Irving»), avevo sostenuto che il trasporto a Minsk di 1.000 Ebrei di Varsavia doveva essere passato necessariamente per Treblinka, «giacché la deportazione di Ebrei dal ghetto di Varsavia era cominciata otto giorni prima e tutti concordano sul fatto che all'epoca tutti gli Ebrei di Varsavia furono deportati a Treblinka». Dacché circa 11.000 Ebrei deportati da Varsavia non andarono a Treblinka, quest'argomento non era fondato. Come Terry nota a p. 221, successivamente ho riconosciuto il mio errore in un messaggio privato in svedese a un corrispondente in Svezia. Così i membri di  Holocaust Controversies hanno dimostrato ancora una volta di essere certamente capaci di individuare un paio di errori isolati disseminati in svariati libri e articoli revisionistici − cosa di cui in via di principio nessuno mai ha dubitato. Ma il loro scopo è di gran lunga più ambizioso. Essi vogliono dimostrare che Bełżec, Sobibór e Treblinka furono realmente centri di sterminio, confutando in tal modo le tesi revisionistiche, secondo le quali furono campi di transito. Diamo dunque uno sguardo alle fonti che utilizzano per conseguire il loro obiettivo. 3) Le fonti dei nostri avversari A prima vista, il saggio presentato dai nostri avversari − 533 pagine copiosamente annotate − sembra impressionante, ma già una prima scorsa mostra che contiene una quantità di ciarpame inutile. Invece di concentrarsi sul loro scopo dichiarato − la confutazione di Mattogno, Graf e Kues −, i cinque autori presentano un riassunto complessivo della versione ortodossa circa il destino degli Ebrei in Polonia  e nei territori occupati. Al fine di mostrare la loro erudizione e dare al loro scritto polemico una parvenza di cultura accademica, essi adducono una pletora di note, citando miriadi di libri, la maggior parte dei quali - ne sono sicurissimo -, non hanno letto. Pur essendo il linguaggio dei nostri avversari più pacato rispetto a quello del loro blog (essi si astengono dall'uso di linguaggio osceno, sebbene a p. 52 Terry dimostri il suo livello intellettuale sventuratamente basso adoperando il termine “bullshit” [cazzate]), il loro stile è arrogante e insolente. Per questa ragione non possono aspettarsi da noi di essere trattati coi guanti bianchi. L'analisi delle prove addotte dagli autori per dimostrare il preteso sterminio sistematico degli Ebrei rivela una spaventosa mancanza di senso critico. Essendo dei fondamentalisti olocaustici, i nostri avversari accettano incondizionatamente persino le fonti più spurie fin tanto che avvalorano le loro affermazioni. Neppure in un milione di anni sarebbero disposti ad ammettere la possibilità che certi documenti siano stati manipolati o falsificati, che certe confessioni di certi “esecutori nazisti” siano state ottenute sotto coercizione, che certi testimoni abbiano mentito. Se le dichiarazioni di sedicenti testimoni oculari sono tanto folli che perfino i “Controversial Bloggers”  non possono far finta che siano vere, essi arguiscono che il testimone ha soltanto commesso un errore scusabile. In riferimento a testimoni che avevano asserito due o tre milioni di vittime per ciascuno dei tre campi Reinhardt, i nostri avversari hanno l'audacia di parlare di «sovrastime di superstiti disorientati»! (p. 17). Ripetutamente i membri di Holocaust Controversies fanno assegnamento su prove dimostrabilmente ciarlatanesche. Potrei addurre una moltitudine di esempi, ma per ragioni di spazio mi limiterò a due: il rapporto Gerstein e l'immaginaria fucilazione in massa denominata  Erntefest (festa del raccolto). Il rapporto Gerstein Siccome la strana “confessione” dell'ufficiale SS mentalmente disturbato Kurt Gerstein è sempre stata il fondamento del mito del campo di sterminio di  Bełżec, Nick Terry, autore del primo capitolo del libro (“The Hoax That Dare Not Speak Its Name”,  “L'impostura che non osa manifestarsi in pubblico”), non ha alcuna possibilità di dipingere Gerstein come un testimone attendibile, argomentando che è «difficile per i negatori spiegare» perché Gerstein abbia fornito  «una descrizione dettagliata delle camere a gas di Belzec» (p. 70). Ora Terry può non aver letto il libro di Mattogno sul rapporto Gerstein[38], dato che non è riuscito a trovarlo in una biblioteca inglese (p. 53), ma egli conosce certamente l'analisi delle sei diverse versioni di questo rapporto effettuata da  Henri Roques[39], che è ampiamente sufficiente a «fare a pezzettini» questo testimone, come direbbe il compagno di merende di Terry, Sergey Romanov. Non contento dell'affermazione che a  Bełżec in una camera a gas di 25 metri quadrati c'erano 700-800 persone, Gerstein asserì che erano state gasate 20 milioni di persone! E queste sono soltanto due tra le assurdità più salienti di queste “confessioni”. Il fatto che Terry sia costretto a citare come fonte attendibile questo rapporto − che è credibile come le confessioni delle streghe medievali sulle loro orge selvagge col diavolo −, mostra tutta la sua disperazione. Chi, se non il disinformato, spera di prendere in giro questo storico di terza categoria? L' immaginario massacro “ Erntefest”[40] Il 24 luglio 1944 il campo di concentramento di Majdanek fu liberato dall'Armata Rossa. Tre settimane dopo, una commissione polacco-sovietica “accertò” che in questo campo erano stati uccisi non meno di 1.500.000 detenuti. Successivamente, la storiografia polacca ridusse questa cifra a 360.000 nel 1948 e a 235.000 nel 1992[41]. Nel 2005  Thomas Kranz, direttore del settore storico del Museo di Stato di Majdanek,  suscitò una minore sensazione fissando la cifra a 78.000[42]. Come ho mostrato in un articolo, la cifra di Kranz è ancora troppo alta di almeno 28.000 decessi[43].  Carlo Mattogno, nel libro su Majdanek, di cui è coautore con me e che apparve per la prima volta in tedesco nel 1998, giunse alla conclusione che a Majdanek perirono circa 42.200 detenuti[44], cifra che potrebbe essere più bassa di qualche migliaio[45]. Perciò gli storici ortodossi, che ebbero a loro disposizione tutti i documenti fin dall'inizio, mentirono impudentemente e tenacemente per molte decadi, metre due “negatori” che avevano trascorso insieme un paio di giorni negli archivi di Majdanek, arrivarono molto vicino alla verità! Non c'è bisogno di dire che i nostri cinque oppositori preferirebbero azzannarsi la lingua piuttosto che ammettere questo fatto imbarazzante. Dato che la sua sorprendente revisione intaccava la credibilità della storia ufficiale del campo (ammesso e non concesso che sia mai stata credibile), Tomasz Kranz, che ovviamente voleva limitare i danni, cercò di salvare i due pilastri centrali della leggenda del “campo di sterminio”: la menzogna che a Majdanek vi erano state gasazioni omicide (in un articolo successivo, Kranz asserì che vi furono gasati 11.000-12.000 detenuti[46]) e la menzogna che 17.000 Ebrei, che erano stati in precedenza impiegati in siti per la produzione di armamenti, erano stati fucilati a Majdanek il 3 novembre 1943. Lo stesso giorno, altri 25.000 lavoratori ebrei furono presuntamente fucilati in due campi ausiliari, Poniatowa e Trawniki. Inesplicabilmente, questo massacro inventato entrò a far parte della mitologia olocaustica come “Operazione  Erntefest”. Com'era prevedibile, Nicholas Terry  abbraccia totalmente questa storia (pp. 233-234). Una settimana prima della pretesa gasazione, Oswald Pohl, capo dell'Uffico Centrale Economia e Amministrazione delle SS [SS-WVHA],  inviò una direttiva ai comandanti di tutti i campi di concentramento, incluso Majdanek. Egli rilevò: «Dal nulla abbiamo creato fabbriche di armamenti che non hanno pari. Ora dobbiamo fare in modo con tutte le forze che i risultati già raggiunti siano non soltanto mantenuti, ma anche costantemente accresciuti in futuro. Poiché le officine e le fabbriche in sostanza restano quelle, ciò per noi è possibile solo conservando la forza lavorativa dei detenuti e accrescendola ulteriormente»[47]. Questa direttiva mostra quanto disperato bisogno di lavoratori avesse l'industria militare  tedesca, perciò come potrebbe, una persona sensata, credere seriamente che i Tedeschi ne assassinarono senza alcuna necessità 42.000 appena una settimana dopo? Inutile dire che non esiste neppure un briciolo di prova documentaria o materiale che confermi che un tale massacro sia mai avvenuto; come spesso accade, tutta la storia è basata esclusivamente su “rapporti di testimoni oculari”. Ironicamente, la storiografia ufficiale polacca non nasconde il fatto che anche prima del presunto massacro “Erntefest” dei detenuti malati furono trasferiti a Majdanek da Auschwitz. Sotto la data del 3 giugno 1943 Danuta Czech dice: «542 detenuti e 302 detenute provenienti da Majdanek furono trasferiti ad Auschwitz dal campo di concentramento di Lublino-Majdanek»[48]. La medesima fonte, il 25 novembre 1943, registra: «Si ordina che all'ospedale dei detenuti e nei blocchi di convalescenza tutti i detenuti malati di malaria debbano essere registrati. I detenuti malati di malaria vengono trasferiti nel KL Lublino (Majdanek)»[49]. Perché le SS di Auschwitz non uccisero queste “bocche inutili” mediante gasazione o iniezione letale, ma decisero invece di mandarle a Majdanek, dove essi non furono sterminati neppure lì? Tra il 12 dicembre 1943 e il marzo 1944 trasporti di detenuti malati giunsero a Majdanek da vari campi del Reich[50]. Di nuovo, nessuno asserisce che essi furono sterminati a Majdanek. A quanto pare, le cose andarono al contrario:  invece di uccidere Ebrei malati e risparmiare quelli sani, le SS risparmiarono gli invalidi e fucilarono i robusti! Un acume veramente rivoluzionario, non è vero, Terry? Nel capitolo nono del nostro libro su Majdanek, Mattogno cita le “confessioni” di Erich Mußfeldt[51], già capo del crematorio di Majdanek, che descrisse nella prigionia polacca come gli Ebrei furono fucilati nelle tre fosse presso il crematorio[52] . Mattogno poi riassume la dichiarazione come segue: «Secondo Erich Mußfeldt, l’azione iniziò alle 6 o alle 7 del mattino e terminò alle 5 del pomeriggio, sicché durò  non più di 11 ore. Gli Ebrei furono uccisi a gruppi di 10, perciò, supponendo che le fucilazioni si svolgessero contemporaneamente nelle tre fosse, le circa 17.000 vittime furono uccise in (17.000 : 30 =)  567 azioni. Ogni azione  si svolse in ([11 x 3.600] : 567 =) circa 70  secondi. In questo tempo le 10 persone di ciascuno dei tre gruppi dovevano  scendere nella rispettiva fossa, percorrere in media 50 metri, sdraiarsi sui corpi delle vittime  precedenti ed essere fucilate a loro volta; dopo le prime esecuzioni, le vittime  dovevano arrampicarsi sui corpi delle vittime precedenti...»[53]. Sarebbe stato possibile? Forse, ma solo se fosse andato tutto liscio. Che peccato che  Mußfeldt non abbia detto a coloro che lo interrogarono per quanto tempo le SS e gli Ebrei si erano esercitati in questa procedura, vero, Terry? Naturalmente l'intera storia è insensata: gli Ebrei avrebbero capito che non avevano più nulla da perdere e avrebbero tentato di fuggire o di opporre resistenza. Terry, che ha letto il nostro libro su Majdanek, ne è pienamente consapevole. Essendo suo malgrado incapace di controbattere gli argomenti di Mattogno, lo storico britannico ricorre a un sotterfugio: «Il tentativo di Mattogno di “smascherare” i massacri nella sua brossura [sic!] del 1998 su Majdanek è piuttosto debole nella sua considerazione delle fonti disponibili. [...]. Per di più, la sua totale ignoranza/omissione dei massacri paralleli a Trawniki e a Poniatowa significa che noi lo rimanderemo semplicemente  alla biblioteca [bibliografia] e agli archivi per trattare tutte le prove piuttosto che selezionarle a proprio piacimento»(p. 234). Se Mattogno ed io avessimo scritto un libro sull' “Operazione Erntefest”, avremmo indubbiamente studiato anche le prove dei “massacri paralleli”, ma il nostro tema era Majdanek, e solo uno dei suoi capitoli tratta dell' “Erntefest”. Giacché l'idea stessa che i Tedeschi avrebbero dovuto uccidere un gran numero di operai di cui avevano una disperata necessità è risibile già in via di principio, e poiché le prove citate dagli storici olocaustici in relazione alla presunta uccisione a Majdanek sono francamente assurde, né Mattogno né io ci siamo sentiti obbligati ad occuparci di Trawniki e di Poniatowa. Se la parte centrale di una storia è strampalata e inattendibile, non c'è ragione di presumere che le parti secondarie siano migliori. Il fatto che la più grande fucilazione pretesamente perpetrata dai Tedeschi nella seconda guerra mondiale appartenga al dominio della fantasia, non significa certo che non ebbe luogo alcuna fucilazione di Ebrei o non Ebrei (nessun revisionista serio ha mai fatto un'affermazione così stravagante), ma dovrebbe far riflettere un “revisionista moderato” come Samuel Crowell, che nel suo interessante libro The Gas Chamber of Sherlock Holmes  respinge la menzogna delle camere a gas, ma accetta acriticamente la pretesa che la “Germania nazista” massacrò (cioè fucilò) “milioni” di Ebrei[54]. 4) Il ruolo di Auschwitz e dei campi Reinhardt nella storiografia ortodossa e in quella revisionistica È stato detto che l'inizio di un libro è il biglietto da visita del suo autore/o dei suoi autori. Diamo dunque un'occhiata al biglietto da visita dei cinque autori di Belzec, Sobibor, Treblinka. Operation Reinhard and Holocaust Denial. La loro “confutazione” di Mattogno, Graf e Kues comincia così: «Dai primissimi giorni  del loro movimento, i negatori dell'olocausto hanno largamente incentrato i loro argomenti sul campo della morte di Auschwitz. Esaminando la letteratura che elabora il cosiddetto revisionismo olocaustico, l'ossessione [sic!] di Auschwitz è senza dubbio una delle caratteristiche che lo definiscono. Dall'inizio degli anni Novanta, coll'avvento del moderno web diffuso inn tutto il mondo, i negatori dell'Olocausto si sono affidati a internet per mettere alla prova e sostenere la loro tesi .Fino al non molto tempo fa, i dibattiti in rete che ne sono conseguiti tra gli avvocati della negazione dell'Olocausto e i loro critici sono stati parimenti incentrati su Auschwitz. Nel 2005 ci fu anche un dibattito formale su Auschwitz tra vari importanti revisionisti e i loro critici, ospitato al Real Open Debate nel forum sull'Olocausto. All'incirca nello stesso periodo, tuttavia, cominciò a farsi sentire un evidente cambiamento nel discorso revisionistico. Dopo aver discusso per tanto tempo su Auschwitz e dopo aver perduto i loro argomenti in pubbliche udienze durante il processo per diffamazione Irving contro Lipstadt nel 2000, i negatori cominciarono a rivolgere la loro attenzione ai campi della cosiddetta  Azione Reinhard di Belzec, Sobibor e Treblinka. Sebbene questi campi fossero stati discussi marginalmente in varie vecchie opere revisionistiche, fu solo  dal 2005 che divennero una vera fissazione per i negatori dell'Olocausto» (p. 6). L'affermazione che i “negatori” cominciarono a rivolgere la loro attenzione ai campi Reinhardt «dopo aver discusso per tanto tempo su Auschwitz e dopo aver perduto i loro argomenti in pubbliche udienze durante il processo per diffamazione Irving contro Lipstadt nel 2000» è ridicola e non merita alcun commento[55]. Si consideri quanto segue: David Irving  è un brillante storico della seconda guerra mondiale, ma non è decisamente un esperto sull'Olocausto. Infatti egli non ha mai scritto un articolo scientifico sull' argomento, meno che mai un libro. Come ho mostrato nel mio articolo summenzionato “David Irving and the Aktion Reinhardt Camps”, Irving non è, e non è mai stato, un vero e proprio revisionista. L'unico aspetto della storia olocaustica ufficiale che egli contesta, sono le presunte gasazioni nei crematori di Auschwitz I e Birkenau. Al processo Irving contro Lipstadt del 2000, il giudice Charles Gray non doveva decidere se l'Olocausto è un fatto storico o no. Ciò avrebbe ecceduto le sue competenze. Egli doveva decidere soltanto se Lipstadt e la casa editrice  Penguin books avevano diffamato Irving definendolo “negatore dell'Olocausto”, ed egli decise che avevano ragione. Sebbene il giudice Gray fosse chiaramente prevenuto contro Irving e avesse fatto osservazioni poco lusinghiere sul suo conto, egli ammise onestamente: «Devo confessare che, come − immagino − la maggior parte della gente, avevo supposto che le prove dello sterminio in massa di Ebrei nelle camere a gas di Auschwitz fossero convincenti. Tuttavia, quando ho valutato le prove addotte dalle parti in questa causa, ho messo da parte questo pregiudizio»[56]. Così già nella settima affermazione del loro saggio, i “Controversial Bloggers” mostrano la loro sfacciata disonestà. È innegabilmente vero che i revisionisti all'inizio concentrarono la loro attenzione quasi esclusivamente su Auschwitz, ma ciò si spiega facilmente col fatto che gli storici olocaustici avevano fin dall'inizio incentrato la loro propaganda su questo stesso campo, costringendo così i loro avversari a scontrarsi sul campo di battaglia  scelto da questi stessi storici. Che Auschwitz fosse destinato a diventare il pilastro del mito olocaustico era logico per varie ragioni. Alla fine della seconda guerra mondiale, l'Europa pullulava letteralmente di ex detenuti di Auschwitz. Molti di essi descrissero poi la loro miracolosa sopravvivenza, dando così ai mezzi di informazione l'opportunità di inondare il mondo di un profluvio di insulsa propaganda su Auschwitz. Quando i Sovietici si impadronirono del campo, sequestrarono montagne di documenti lasciati dall'amministrazione tedesca. In questa enorme massa di documenti essi trovarono alcune carte che si potevano interpretare come conferma delle camere a gas e delle pretese di sterminio; gli esempi più famosi sono la lettera di  Karl Bischoff del 29 gennaio 1943, nella quale viene menzionata un “Vergasungskeller” (scantinato di gasazione)[57] e altri documenti nei quali Jean-Claude Pressac ravvisò poi i suoi “indizi criminali”. Il campo di Auschwitz cadde nelle mani dei Sovietici quasi intatto, permettendo così ai coministi polacchi di insediarvi un memoriale dove  si potessero mostrare a visitatori inorriditi un cancello coll'iscrizione “Arbeit macht frei” (Il lavoro rende liberi), barattoli vuoti di disinfestante, mucchi di scarpe e altre “prove irrefutabili” di un gigantesco massacro in mattatoi chimici. Quanto a  Bełżec, Sobibór e Treblinka, la situazione era radicalmente diversa. C'erano relativamente pochi “rapporti di testimoni oculari”; i documenti sopravvissuti erano appena una manciata; i Tedeschi avevano distrutto i campi prima di ritirarsi. In queste circostanze, i tre campi Reinhardt non si prestavano a fini propagandistici così bene come Auschwitz, benché il surrealistico rapporto Gerstein fosse divenuto un pilastro importante della nascente storia olocaustica subito dopo la fine della guerra e nonostante il fatto che successivamente  i mezzi di informazione avessero fatto del loro meglio per promuovere le sensazionali fantasie di lestofanti come Jean-François Steiner, Martin Gray, Richard Glazar e Toivi Blatt. La menzogna di Auschwitz aveva i giorni contati fin dall'inizio. Gli stessi fattori che erano risultati utili ai beneficiari della leggenda, permisero poi ai revisionisti di smascherarla. Molti testimoni, come Rudolf Höss e i membri del “Sonderkommando”, avevano descritto le presunte gasazioni in modo molto dettagliato. Prima o poi doveva emergere un ricercatore scettico che studiasse la letteratura tecnica sullo Zyklon B e la confrontasse con i “rapporti dei testimoni oculari”. Questo ricercatore scettico fu  Robert Faurisson, che a fine anni Settanta fu il primo a mettere in rilievo le impossibilità della presunta procedura di gasazione. Lungi dal confermare una politica tedesca di sterminio, i documenti di Auschwitz, che divennero gradualmente accessibili agli  storici revisionisti, dimostrano che una tale politica non c'era mai stata. Gli Sterbebücher (registri dei decessi) di Auschwitz, che i Russi consegnarono alla Croce Rossa nel 1990 e i cui dati furono pubblicati a stampa cinque anni dopo[58], mostrano che bambini e vecchi ebrei non furono “gasati immediatamente all'arrivo senza immatricolazione”, come pretende la storiografia ufficiale, ma regolarmente registrati. La grande quantità di documenti sulle cure mediche ad Auschwitz[59] esclude categoricamente la possibilità che fosse un “campo di sterminio”. Preziose informazioni su quest'aspetto della storia del campo si possono racimolare perfino nella letteratura olocaustica ortodossa. Come ci informa lo storico polacco Henry Świebocki, ad Auschwitz soltanto tra il 10 settembre 1942 e il 23 febbraio 1944 non meno di 11.246 detenuti furono sottoposti ad interventi chirurgici[60]. Le forniture di coke al campo di concentramento di Auschwitz sono pienamente documentate per il  periodo che va dal febbraio 1942 all'ottobre 1943: esse ammontano a  1.032,5 tonnellate[61]. In media la cremazione di un corpo umano richiedeva 20 kg di coke, il che significa che ad Auschwitz nel periodo suddetto si poterono cremare 51.625 corpi. Come risulta dagli  Sterbebücher, questa cifra corrisponde quasi esattamente al  numero dei detenuti periti tra il febbraio 1942 e l'ottobre 1943. L'unica conclusione possibile è che le SS non prevedevano di cremare i corpi delle vittime di ipotetiche gasazioni[62]. Due documenti del periodo bellico citati da Mattogno in uno dei suoi articoli[63], dimostra che i cadaveri dei detenuti deceduti al campo potevano essere portati ai crematori in qualunque momento. Donde la conclusione inevitabile che le camere mortuarie dei crematori non potevano essere impiegate in alcun modo come camere a gas omicide. Secondo la storia olocaustica, il Leichenkeller (camera mortuaria) 1 del crematorio II di Birkenau fu l'epicentro del genocidio. Robert J. van Pelt  ci ritiene tanto stupidi da credere che in questo locale, che aveva esattamente una superficie di 210 metri quadrati, furono gasati mezzo milione di Ebrei[64]. (A titolo di confronto: durante la seconda guerra mondiale furono uccisi in azione su tutti i fronti 291.557 soldati americani[65]). Poiché il Leichenkeller 1 è sopravvissuto alla sua demolizione relativamente bene, Fred Leuchter e Germar Rudolf  poterono prelevare dalle sue pareti campioni di mattoni che sarebbero stati successivamente analizzati in laboratori e mostrare che contenevano quantitativi irrilevanti di cianuri. Come hanno dimostrato Germar Rudolf[66], Brian Renk[67] e Carlo Mattogno[68],  le aperture sulla copetura del Leichenkeller 1 attraverso le quali i granuli di Zyklon B venivano presuntamente introdotti nella camera a gas, non sono mai esistite. In pratica, il mito della gasazione asd Auschwitz era completamente smascherato già nel 1994, grazie alla pubblicazione del volume collettivo importantissimo Grundlagen zur Zeitgeschichte[69]. Ciò non significa evidentemente che non fosse più necessaria alcuna ricerca su Auschwitz, ma che permise ad alcuni ricercatori revisionisti di dedicare parte del loro tempo e delle loro forze allo studio di altri “campi di sterminio”. Alla fine del 1995, durante la nostra seconda visita a Mosca, Mattogno ed io decidemmo di scrivere un libro su Treblinka. In seguito modificammo i nostri piani e intraprendemmo anzitutto lo studio su Majdanek perché era un argomento molto più facile[70]; Treblinka doveva essere il successivo, seguito da  Bełżec e Chełmno (studiati da  Mattogno da solo) e Sobibór (studiato da noi due e da Thomas Kues,  che aveva precedentemente scritto vari articoli accuratamente documentati su questo campo). Nella mia Introduzione a Treblinka dichiarai: «Lo storico che voglia esaminare con metodi scientifici il quadro dei quattro “campi di sterminio puri” [i tre campi Reinhardt e Chełmno] si trova di fronte a un compito più difficile rispetto a un ricercatore che si sia assunto lo stesso obiettivo in relazione ad Auschwitz e Majdanek. Questi può studiare i documenti dell'amministrazione del campo, che sono disponibili in grande quantità; può esaminare i locali − alcuni dei quali sono preservati intatti, altri sono in rovina − che, secondo la concezione prevalente, servivano da camere a gas per uccidere esseri umani, per vedere se la loro struttura era  adatta allo scopo e se i crematori erano in grado di ridurre in cenere il numero di corpi asserito. Tutte queste possibilità sono negate allo storico dei “campi di sterminio puri”»[71]. Per queste ovvie ragioni i membri di Holocaust Controversies hanno scelto di contestare i revisionisti sui campi Reinhardt, non su Auschwitz o Majdanek. In effetti, qualunque tentativo di confutare Le camere a gas di Auschwitz di Mattogno o  Concentration Camp Majdanek. A historical and technical study di Graf e Mattogno sarebbe stato per loro l'apice della follia. Per quanto riguarda Auschwitz e Majdanek, la posizione olocaustica è disperata fin dall'inizio e gli autori di Holocaust Controversies sono perfettamente consapevoli di questo fatto. 5) La presunta “teoria della cospirazione” revisionistica All'esordio del suo capitolo “ The Hoax that dare not speak its Name”, Terry scrive: «Dal suo inizio, il revisionismo olocaustico ha ripetutamente asserito che siamo stati ingannati sulla sorte degli Ebrei d'Europa nelle mani dei nazisti. Per quanto ciò possa essere ricusato da alcuni negazionisti contemporanei, la negazione dell'Olocausto è inconcepibile  senza una forma di teoria della cospirazione» (p. 38) Con la sua solita disonestà, Terry presenta qui una versione caricaturale della tesi revisionistica. Naturalmente nessuno che sia in possesso delle sue facoltà mentali asserirebbe seriamente che una combriccola di Savi di Sion, barbuti, col naso adunco, fabbricò la menzogna olocaustica in qualche ufficio di New York durante la seconda guerra mondiale. Per confutare l'insensata insinuazione di Terry, riassumerò brevemente come nacque la leggenda. È un fatto ben noto che la prima vittima della guerra è la verità. Durante prima guerra mondiale, trafficanti di atrocità britannici accusarono la Germania di tagliare le mani a bambini belgi, di crocifiggere i soldati nemici sui portoni delle chiese e di distillare glicerina dai corpi dei loro propri morti[72]. Dopo la fine della guerra, questa primitiva propaganda contro gli “Unni” fu abbandonata. Non era più necessaria. Nel 2002 e all'inizio del 2003 il regime di Washington e i suoi lacché britannici diffusero la menzogna che Saddam Hussein possedeva armi di distruzione di massa, tentando in tal modo di giustificare la loro imminente aggressione contro un paese che non poteva in alcun modo minacciarli. Alcuni mesi dopo l'occupazione dell'Iraq, le “armi di distruzione di massa” di Saddam erano dimenticate. Nel settembre 1939 i Tedeschi conquistarono la metà occidentale della Polonia, dove vivevano grandi comunità ebraiche. Nell'estate del 1941 invasero la metà orientale precedentemente occupata dai Sovietici. Poiché i Tedeschi erano armati fino ai denti, gli Ebrei, che ne avevano pochissime, non furono in grado di resistere alle misure sempre più dure che resero la loro vita miserabile e ne provocarono la morte in gran numero. Allo scopo di mobilitare il mondo contro i tormentatori del loro popolo, i movimenti di resistenza ebraici cominciarono a diffondere storie strabilianti di ogni genere sullo sterminio dei loro correligionari, che i Tedeschi uccidevano, si presumeva, con elettricità, vapore, gas o altri mezzi. I membri di Holocaust Controversies tentano vanamente di spiegare i rapporti imbarazzanti su impianti di folgorazione e camere a vapore come semplici «inesattezze», «dicerie del periodo bellico» e «sussurri cinesi» (p. 16), ma questa patetica spiegazione non sta in piedi un istante. Per «fare a pezzettini» questa teoria (per usare l'elegante espressione di Romanov), basta ricordare il lungo rapporto sulle “camere a vapore” di Treblinka pubblicato dal movimento di resistenza del ghetto di Varsavia il 15 novembre 1942. Ne cito un brano: «Ora viene l'atto finale della tragedia di Treblinka. La massa terrorizzata di uomini, donne e bambini comincia il suo ultimo cammino verso la morte. Davanti un gruppo di donne e bambini viene spinto, picchiato da accompagnatori tedeschi con le fruste nelle mani. Quanto più rapidamente viene spinto, tanto più intensi sono i colpi che cadono sulle teste delle donne folli di paura e di sofferenza. [...]. Il pavimento delle camere è scivoloso. Le vittime scivolano e cadono, ma non possono rialzarsi perché nuove masse di vittime spinte a forza cadono su di loro. Il capo getta i bambini piccoli nella camera sopra la  testa delle donne. Quando le camere di esecuzione sono piene, le porte vengono chiuse ermeticamente e comincia la lenta asfissia delle persone prodotta dal vapore che esce da numerosi fori nei tubi.  All'inizio dall'interno giungono grida smorzate, che gradualmente si affievoliscono, e dopo 15 minuti l'esecuzione è terminata»[73]. Secondo lo stesso rapporto, nelle camere a vapore di Treblinka erano già stati uccisi due milioni (!) di Ebrei e i Tedeschi si apprestavano a sterminare l'intera popolazione polacca in queste stesse camere! Nel 1944 il rabbino Adolf Abraham Silberschein, che risiedeva a Ginevra, pubblicò un altro lungo rapporto su Treblinka, che decise di ribattezzare “Tremblinki”[74]. Dato che il pio rabbino non era evidentemente troppo sicuro sul metodo di uccisione impiegato a  “Tremblinki”, optò per una sintesi creativa: da un lato parlò di “camere a gas”, dall'altro disse  che i corpi «sotto l'azione del vapore acqueo» si attaccavano gli uni agli altri. Ora voglio citare qualche passo del suo capolavoro: «Ogni giorno gruppi di mille persone  ciascuno venivano portati alle camere a gas e dei forni [“Öfenkammern”: Tutti gli storici concordano sul fatto che a Treblinka non ci furono forni crematori] . Dapprima, al loro arrivo, venivano condotti dai Kapos nel bagno. Ognuno doveva togliersi i vestiti e le scarpe e restava nudo. Per ingannare ulteriormente le vittime, si  consegnava a ciascuno un pezzetto di sapone. [...]. Lo Hauptmann Sauer li accoglieva nella sala di ricevimento dell'impianto di sterminio. [...]. Egli non si lascia sfuggire l'occasione di frustare ogni singola persona [Se ogni giorno venivano portati a “Tremblinki” gruppi di mille persone, e se  Sauer  frustava ogni singola vittima, avrebbe dovuto essere in una forma fisica invidiabile; sarebbe stato l'orgoglio di ogni club di  fitness]. [...]. Le celle di sterminio si riempiono. Quando sono piene, vengono chiuse ermeticamente, da ogni parte si aprono tubi dai quali esce il gas. La morte per asfissia miete un rapido raccolto. In un quarto d'ora è tutto finito. Poi i Kapos si devono mettere all'opera. Le guardie li costringono a lavorare con colpi spietati. Le porte della morte si aprono − ma non si possono estrarre  i corpi morti singolarmente: infatti sotto l'azione del vapore acqueo sono appiccicati gli uni agli altri e irrigiditi. [...].  Ma il campo di Tremblinki ha anche un'altra “specialità”. Vi fu infatti concentrata l'orchestra ebraica Arthur Gold ed era obbligata a suonare per coloro che venivano portati alla morte!!! Nello stesso momento in cui migliaia di Ebrei morivano nelle camere a gas, i musicisti dovevano suonare arie allegre. Chi di loro si rifiutava, veniva appeso per i piedi a testa in giù »[75]. Pretendendo che gli autori di simili ridicoli rapporti, che Mattogno ed io abbiamo ampiamente citato nel nostro libro su Treblinka, abbiano agito in buona fede e che abbiano semplicemente commesso un errore scusabile riferendo «dicerie del periodo bellico», i nostri avversari si coprono di ridicolo da soli. In realtà, i rapporti erano classici esempi di propaganda basata su atrocità; erano evidenti imposture. La teoria dei «sussurri cinesi» non spiega neppure essa perché la commissione sovietica che ispezionò Treblinka alla fine di agosto del 1944 e interrogò venti ex detenuti del campo, “accertò” che “tre milioni di persone”(!) vi erano state uccise pompando via l'aria dalle camere (!)[76]. A partire dal dicembre 1941, i rapporti inventati da vari movimenti di resistenza ebraici furono inoltrati a organizzazioni ebraiche in tutto il mondo e ad essi fu data grande pubblicità da giornali controllati da Ebrei come il New York Times. Fino a che punto i dirigenti ebrei dei paesi alleati e neutrali credessero a queste fandonie grottesche, resta una questione senza risposta, ma io sospetto che essi erano troppo intelligenti per prenderle alla lettera. Per quanti difetti possano avere, gli Ebrei non sono certo stupidi. Dopo la guerra, i vincitori decisero di continuare la propaganda di sterminio perché, a differenza delle orride storie della prima guerra mondiale e delle menzogne sulle armi di distruzione di massa irachene, era ancora utilissima. Gli Ebrei compresero immediatamente che la fandonia olocaustica avrebbe attribuito loro la condizione di nazione martire che era stata vittima di crimini di un'ampiezza senza precedenti. Da allora in poi, qualunque critico dell'ebraismo, dei suoi fini e dei suoi metodi, sarebbe stato automaticamente castigato come bieco “antisemita”, ansioso di perpetrare un nuovo Olocausto. In altre parole: la storia dell'Olocausto rese gli Ebrei praticamente intoccabili. Rese inoltre possibile  anacronistica creazione dello stato di Israele nel 1948. All'epoca i Britannici avevano appena concesso l'indipendenza all'India; decine di territori asiatici e africani cercavano sempre più decisamente di liberarsi del ruolo dell'uomo bianco. Eppure proprio in un momento di decolonizzazione fu permesso ai sionisti di lanciarsi in un'avventura coloniale nel Vicino Oriente, con terribili conseguenze per il popolo palestinese. Abba Eban, ex ministro israeliano alle Nazioni Unite, non fece mistero del fatto che l'Olocausto era stato  determinante per la fondazione dell'entità sionista: «Una ragione di questa vittoria davvero stupenda fu senza il minimo dubbio la Shoah. La memoria del genocidio era ancora viva»[77]. Malgrado la leggendaria ostilità che aveva sempre caratterizzato le relazioni polacco-ebraiche, i Polacchi trassero grandi benefici dall'impostura dell'Olocausto ebraico. In fin dei conti, la Polonia si era appena annessa vasti territori tedeschi e aveva brutalmente espulso la schiacciante maggioranza della loro popolazione. Per giustificare questo crimine contro l'umanità, essi avevano bisogno di un crimine tedesco ancora più atroce − l'Olocausto. Tuttavia, se la storia dell'Olocausto doveva risultare credibile su vasta scala, doveva ricevere un minimo di coerenza. Poiché non si poteva  proprio credere che i Tedeschi, nei loro “campi di sterminio”, avessero usato una vasta serie di bizzarri metodi di uccisione,  le camere a vapore, le installazioni di folgorazione sotterranee, ecc. vennero relegate nel dimenticatoio e sostituite da camere a gas omicide. Per gli Alleati occidentali, ma anche per l'Unione Sovietica, la favola dello sterminio ebraico fu di cruciale importanza per insabbiare i propri crimini, come il bombardamento di città tedesche con bombe incendiarie e il massacro di Katyn. Grazie alla storia dell'Olocausto, Stalin poté svolgere il ruolo del salvatore che aveva liberato l'Europa da una tirannia  ancora  più crudele della sua. Ciò che più importa, è che le potenze vincitrici poterono usare efficacemente il mito dell'Olocausto per impedire qualunque rinascita del nazionalismo tedesco. Esso permise loro di avvelenare i Tedeschi con un complesso di colpa collettivo che li rese incapaci di difendere i loro interessi nazionali. Come si vede, non c'è bisogno di alcuna «teoria della cospirazione» per spiegare la nascita del mito dell'Olocausto e della sua sopravvivenza dopo il 1945, mentre il termine di “impostura” usato da  Arthur Butz nel suo studio germinale The Hoax of the Twentieth Century[78] colpisce nel segno. Nel suo eccellente articolo “La compartecipazione non ebraica nella mitologia olocaustica[79], Paul Grubach menziona una quantità di ragioni per cui l'impostura è tenacemente difesa ancora sei decadi e mezzo dopo la fine della seconda guerra mondiale. 6) L'inequivocabile assurdità della versione ufficiale degli eventi La versione ufficiale di ciò che accadde nei campi Reinhadt si può riassumere in poche frasi: Bełżec, Sobibór e Treblinka erano “campi di sterminio puri”. Ad eccezione di un manipolo di Arbeitsjuden (Ebrei destinati al lavoro) necessari per il funzionamento del campo e alcuni gruppetti di Ebrei trasferiti a Majdanek o in campi di lavoro del distretto di Lublino, tutti gli Ebrei deportati in questi tre campi furono immediatamente gasati con gas di scarico di motori senza essere previamente registrati, indipendentemente dal fatto che fossero robusti [abili al lavoro] o no. Siccome nei campi Reinhardt non esistevano crematori, i corpi dei gasati dovettero essere bruciati all'aperto, molti di essi dopo una inumazione provvisoria. A cose di tal fatta si dovrebbe rispondere con una risata sprezzante. Si considerino questi due punti: Il presunto sterminio di Ebrei robusti Numerosi documenti, un certo numero dei quali sono stati citati da Mattogno e da me nei nostri libri, dimostrano che i Tedeschi erano in costante e disperato bisogno di manodopera. Qui sarà sufficiente un solo esempio. Il 28 dicembre 1942,  Richard Glücks, ispettore dei campi di concentramento, inviò una circolare a tutti i comandanti dei campi di concentramento rendendoli personalmente responsabili del mantenimento della capacità lavorativa dei detenuti.  Glücks continuava: «I medici primari dei campi si devono impegnare con ogni mezzo a loro disposizione affinché il tasso di mortalità diminuisca considerevolmente. [...] Il Reichsführer-SS ha ordinato che la mortalità debba assolutamente diminuire»[80]. Perciò come può una persona ragionevole credere che i Tedeschi fossero così stupidi da uccidere centinaia di migliaia di preziosi lavoratori? In tale contesto, bisognerebbe ricordare che perfino secondo la versione ortodossa degli eventi gli Ebrei robusti non furono sterminati ad Auschwitz. Nessuno storico olocaustico è mai stato in grado di spiegare questa lampante contraddizione. La mancanza di crematori Campi di concentramento “normali” come Buchenwald e Dachau, ai quali non viene imputata alcuna uccisione in massa, erano equipaggiati con crematori per eliminare i corpi dei detenuti morti nei campi, ma inesplicabilmente le SS dimenticarono di installare crematori nei “campi di sterminio” puri, dove sarebbero stati cento volte più necessari. Di conseguenza, un milione e mezzo di cadaveri  dovettero essere bruciati all'aperto con mezzi manuali primitivi, all'incirca mezzo milione d'inverno![81] Piuttosto che respingere questo insulto alla ragione, i membri di  Holocaust Controversies avallano completamente queste follie. 7) La genesi delle presunte camere a gas Comunque l'aspetto più demente della versione kosher degli eventi è la genesi delle presunte camere a gas. Per illustrare questo punto, non posso far di meglio che citare ciò che Mattogno ha scritto su questo tema in  Sobibór: «Come abbiamo visto sopra, secondo l’Enciclopedia dell'Olocausto, le SS, nel quadro dell’ “Azione Reinhardt”, dovevano provvedere alla «uccisione dei 2.284.000 Ebrei che vivevano all'epoca nei cinque distretti del Governatorato generale». Per realizzare questo obiettivo, i pianificatori SS del massacro costruirono un solo campo di sterminio – Bełżec – con un impianto di gasazione assolutamente irrisorio rispetto al compito: 3 camere a gas per complessivi 96 metri quadrati... A Sobibór, costruito per sopperire alle deficienze di Bełżec, le SS installarono parimenti 3 camere a gas, ma ancora più piccole: 36 metri quadrati in tutto, o, secondo la sentenza del processo Sobibór di Hagen, 3 camere a gas di metri 4 x 4 = 16 metri quadrati, 48 metri quadrati in tutto! Solo a fatica gli stupidi progettisti SS si resero conto che «le camere a gas risultarono troppo piccole, la “produzione” del campo di Sobibór era troppo esigua», e allora ne costruirono altre 6, parimenti di m 4 x 4, in totale 96  metri quadrati. A Treblinka, l’ultimo dei presunti campi di sterminio orientali, costruito in base all’esperienza acquisita a Bełżec e a Sobibór, inizialmente furono installate ancora 3 camere a gas, di m 4 x 4[82] = 16 metri quadrati, in totale 48 metri quadrati, esattamente come quelle di Sobibor che si erano rivelate troppo piccole! E anche in questo campo le prime camere a gas furono sostituite con 6 o 10 (!) nuove camere a gas di metri 8 x 4 ciascuna. Inoltre, culmine dell’assurdo, in tutti e tre i campi summenzionati le vecchie camere a gas furono demolite, invece di essere lasciate intatte, eventualmente riparate, in modo da avere una capacità di sterminio superiore. [...]. Perciò l’SS-Obersturmführer Richard Thomalla, che avrebbe costruito uno dopo l’altro tutti e tre i presunti campi di sterminio dell’ “Azione Reinhadt”, secondo la storiografia olocaustica doveva essere un perfetto imbecille, e ancora più di lui Wirth e Globocnik che gli avevano affidato l’incarico. In realtà è la storia olocaustica ad essere insensata»[83]. Infatti! Se i nazionalsocialisti avessero realmente tentato di realizzare i loro presunti obiettivi genocidi nel modo riassunto da Mattogno, sarebbero stati i più grandi cretini dall'estinzione dell'uomo di Neanderthal. Ma allora avrebbero certamente perso la guerra nei primissimi  giorni. Oltre alla scarsità di documenti e all’assurdità dei rapporti dei testimoni oculari, la vacuità della pretesa genesi delle camere a gas nei campi Reinhardt è senza dubbio la ragione per cui pochissimi storici olocaustici si sono occupati dettagliatamente di questi campi. All'inizio di Treblinka e Sobibór ho proposto un esame della letteratura esistente su questi campi, mostrando che le poche opere con una qualche pretesa scientifica sono tutte basate su fonti fasulle e che le balordaggini di sfacciati mentitori sono accettate come classici della letteratura su  Treblinka e Sobibór. Com'era prevedibile, i “Controversial Bloggers” non fanno alcun tentativo per confutare questo giudizio, a meno che non si consideri come una “confutazione” l'unica frase che essi dedicano al mio esame di questa letteratura: «Graf, presumendo che scrivere commenti presi a casaccio e stizzosi contro memorialisti e storici del campo costituisca una rassegna appropriata, si sbaglia  penosamente» (p. 13). In realtà, pretendere che le opere di questi “memorialisti” e “storici” abbiano un qualunque pregio, sarebbe stato un boccone troppo amaro anche per i nostri cinque geni. Come si potrebbe asserire di discernere un briciolo di veridicità nei libri di un Vasili Grossman  o di uno Stanisław Szmajzner? Come si potrebbe giustificare  uno spudorato falsario come Yitzhak Arad, che nella sua “opera classica”,  riguardo a  Treblinka falsifica impudentemente il rapporto del movimento di resistenza ebraico del 15 novembre 1942, sostituendo con “camere a gas” le imbarazzanti “camere a vapore”?[84] Come ho evidenziato in  Sobibór, l'unico storico ortodosso di qualsivoglia campo Reinhardt che meriti qualche rispetto, è Jules Schelvis, ma neppure lui è in grado di dimostrare che un solo Ebreo fu gasato a  Sobibór. Ma i nostri cinque autori credono di essere migliori di Schelvis, Hilberg e compagnia bella. Dal momento che “confutare Mattogno, Graf e Kues” è quanto dire difendere la versione ufficiale dei tre campi Reinhardt, essi si assumono un compito non propriamente invidiabile. Non c’è via di mezzo tra la versione ortodossa e quella revisionistica. Dato che i tre campi Reinhardt erano tanto piccoli da non poter accogliere se non una esigua frazione dei circa 1.500.000 Ebrei ivi deportati, questi dovevano essere necessariamente o campi di sterminio, o campi di transito, come asseriscono i revisionisti: tertium non datur. Ma se erano campi di sterminio, i “Controversial Bloggers” sono costretti ad accettare tutte le balordaggini della storiografia ortodossa, inclusa la ridicola storia della genesi delle camere a gas. Vediamo ora come Jonathan Harrison, Roberto Muehlenkamp, Jason Myers, Sergey Romanov e Nick Terry svolgono questo compito. I risultati del loro tentativo mostrerà senz’altro se Jahveh ha realmente inviato i suoi beneamati cinque redentori o se invece li ha traviati, mandando cinque pagliacci.  

CAPITOLO 2

 SCOPO E SIGNIFICATO DI QUESTO STUDIO

 (Carlo Mattogno)

  1) I contendenti e le loro credenziali Jürgen Graf ha aderito al revisionismo all'inizio degli anni Novanta. È autore di molti studi, i più importanti dei quali, che superano abbondantemente le 900 pagine, sono: – Der Holocaust auf dem Prüfstand. Augenzeugenberichte versus Naturgesetze. Guideon Burg Verlag, Basilea, 1992; –  Auschwitz. Tätergeständnisse und Augenzeugen des Holocaust. Neue Visionen GmbH, Verlag, Würenlos, 1994; –  Riese auf tönernen Füssen. Raul Hilberg und sein Standartwerk über den „Holocaust“. Castle Hill Publishers, Hastings, 1999; - Krach mirowogo porjadka (Il crollo dell' ordine mondiale), Mosca, 2008; Egli ha redatto inoltre numerosi articoli, i più importanti dei quali si trovano nel sito http://juergen-graf.vho.org/. Thomas Kues si è dedicato al revisionismo dal 2007. Egli è autore di molti articoli, tra i quali: - Evidence for the Presence of “Gassed” Jews in the Occupied Eastern Territories (serie di articoli in corso di pubblicazione nella rivista on line Inconvenient History); - The Maly Trostenets “Extermination Camp” — A Preliminary Historiographical Survey, Inconvenient History, vol. 3 (2011), n. 1 e 2; - Tree-felling at Treblinka, Inconvenient History, vol. 1 (2009) n. 2. - The Alleged First Gas Chamber Building at Sobibór; - On Rudolf Höss’ alleged visit to Treblinka. La sua linea principale di ricerca è tutt'altro che “negazionista, in quanto mira a ricostruire, nei limiti in cui le fonti lo consentono, il destino degli Ebrei deportati all'Est. Graf ed io, insieme o singolarmente, abbiamo visitato i seguenti ex campi di concentramento tedeschi: – Auschwitz-Birkenau, – Buchenwald, – Dachau, – Gusen, –  Mauthausen, – Gross-Rosen, – Lublino-Majdanek, – Stutthof, – Płaszów, – Bełżec, – Sobibór, – Treblinka – l'ex ghetto di Terezín e il Forte IX di Kaunas. Insieme o singolarmente abbiamo avuto accesso a questi archivi: –  Archivio del campo di concentramento di Dachau –  Archivio Federale di Coblenza –  Archivio di Stato di Weimar – Archivio municipale di Erfurt – Archivio del Museo di Stutthof – Archivio del Museo statale di Gross-Rosen, Wałbrzych –  Archivio di Stato di Katowice –  Archivio del Museo di Stato di Majdanek –  Archivio di Stato provinciale di Lublino – Archivio del Museo di Stato di Auschwitz-Birkenau – Archivio della Commissione centrale di inchiesta sui crimini contro il popolo polacco - Memoriale nazionale, Varsavia –  Archivio di Stato della Federazione Russa, Mosca –  Archivio russo di Stato della guerra, Mosca –  Ufficio Federale della Sicurezza della Federazione Russa, Mosca. –  Istituto statale di documentazione sulla guerra, Amsterdam –  Archivio storico militare, Praga –  Archivio del Ministero degli Interni della Repubblica Ceca, Praga –  Archivio del Museo di Stato ebraico, Praga –  Archivio del Monumento di Terezín –  Archivio centrale dello Stato della Repubblica Slovacca, Bratislava – Archivio Nazionale Slovacco –  Archivio Nazionale della Repubblica Bielorussa, Minsk –  Archivio centrale di Stato della Lituania, Vilnius –  Archivio Nazionale d'Ungheria, Budapest –  Archivio di Stato di Łódź – Archivio di Stato del distretto di Lviv. Abbiamo ricevuto documenti da vari istituti, tra i quali: –  Deutsches Patentamt, Berlino –  Zentrale Stelle der Landesjustizverwaltungen, Ludwigsburg –  Institut für Zeitgeschichte, Monaco –  Staatsarchiv Nürnberg, Norimberga –  Centre de Documentation Juive Contemporaine, Parigi –  Archivio Federale svizzero, Berna –  National Archives, Washington D.C. –  Yivo Institute for Jewish Research, New York –  Franklin D. Roosevelt Library, New York –  Public Record Office, Richmond –  The Jewish Museum, Londra –  Wiener Library, Londra –  Studium Polski Podziemnej, Londra –  Imperial War Museum, Londra –  Yad Vashem, Gerusalemme –  Archivio di Stato di Israele, Gerusalemme –  Archivio Friedman, Haifa –  Riksarkivet, Stoccolma. Fin dall'inizio il nostro interesse si concentrò su Auschwitz, non certo per una sorta di «ossessione» per questo campo, bensì, sia per il fatto ovvio che all'epoca (ora molto meno) questo campo era considerato il “centro” dell'Olocausto, sia, ancor più, perché era noto che su di esso esisteva una documentazione enorme. Sulla base del cospicuo materiale documentario raccolto, redassi una serie di studi sistematici su aspetti essenziali della storia di Auschwitz che coprono circa 3.300 pagine: –  La “Zentralbauleitung der Waffen-SS und Polizei Auschwitz”, Edizioni di Ar, Padova 1998 (trad.ingl.: The Central Construction Office of the Waffen-SS and Police Auschwitz. Theses & Dissertations Press, Chicago, 2005); –  Auschwitz: la prima gasazione. Edizioni di Ar, Padova, 1992 (trad.ingl.: Auschwitz: The First Gassing. Rumor and Reality. Theses & Dissertations Press, Chicago, 2005); Auschwitz: Crematorium I and the Alleged Homicidal Gassing. Theses & Dissertations Press, Chicago, 2005; The Bunkers of Auschwitz. Black Propaganda versus History. Theses & Dissertations Press, Chicago, 2004; – “Sonderbehandlung” ad Auschwitz. Genesi e significato. Edizioni di Ar, Padova, 2001 (trad.ingl.: Special Treatment in Auschwitz. Origin and Meaning of a Term. Theses & Dissertations Press, Chicago, 2004); Auschwitz: Open Air Incinerations. Theses & Dissertations Press, Chicago, 2005; – Le camere a gas di Auschwitz. Studio storico-tecnico sugli “indizi criminali” di Jean-Claude Pressac e sulla “convergenza di prove” di Robert Jan van Pelt. Effepi, Genova,2009, 715 pagine, con 51 documenti  (trad.ingl.: Auschwitz: The Case for Sanity. A historical & technical study of Jean-Claude Pressac's Criminal Traces and Robert Jan van Pelt's Convergence of Evidence, 2 vol. The Barnes Review, 2010); –  Auschwitz: assistenza sanitaria, “selezione”e “Sonderbehandlung” dei detenuti immatricolati. Effepi, Genova, 2010, 235 pagine, con 60 documenti; – I forni crematori di Auschwitz. Studio storico-tecnico con la collaborazione del dott. ing. Franco Deana. 2 vol. Effepi, Genova, 2012, 1211 pagine, con 300 documenti e 370 fotografie Nel corso delle ricerche, condotte sempre con risorse limitate e con grandi sacrifici personali, Graf ed io raccogliemmo una ricca documentazione anche sugli ex KL (campi di concentramento) di Lublino-Majdanek e Stutthof, corroborata da un'accurata ispezione delle installazioni di questi campi. Da questa documentazione nacquero gli studi: Concentration Camp Majdanek. A Historical and Technical Study. Theses & Dissertations Press, Chicago, 2003, e Concentration Camp Stutthof and its Function in National Socialist Jewish Policy. Theses & Dissertations Press, Chicago, 2003 (edizione italiana: KL Stutthof. Il campo di concentramento di Stutthof e la sua funzione nella politica ebraica nationalsocialista. Effepi, Genova, 2003). Tutti i libri menzionati sopra offrono una abbondante messe di materiale (documenti, testimonianze, fotografie, riscontri materiali) precedentemente ignoti o ignorati, sicché non ha senso qualificarli sbrigativamente “negazionisti”. In una prospettiva strettamente revisionistica, cioè - come spiegherò sotto - critica, la ricerca di documenti era dettata dalla constatazione che, per quanto riguarda la questione delle “camere a gas”, il valore probatorio della storiografia olocaustica è inversamente proporzionale alla documentazione; ossia, più è ricca la documentazione, più è difficile per essa dimostrare i suoi assunti, più è facile per il revisionismo confutarne le relative argomentazioni; ma ciò vale anche per la critica olocaustica al revisionismo: tanto più è grande la documentazione, tanto più insignificanti sono le critiche olocaustiche. I casi di Auschwitz, Majdanek e Stutthof ne costituiscono la dimostrazione più evidente. La ragione di ciò sta nel fatto che è arduo travisare sistematicamente una vasta mole di documenti, che, appunto per la loro abbondanza, il più delle volte, permettono di conseguire una comprensione effettiva degli eventi; d'altra parte è altrettanto arduo confutare una reale convergenza di prove documentarie. Dove invece la documentazione è pressoché inesistente, come riguardo ai campi dell' “Azione Reinhardt”, la “ricostruzione” storica olocaustica è necessariamente congetturale e lacunosa, essendo basata quasi esclusivamente su testimonianze, anche se si fingono ulteriori “prove” che sono in realtà solo fumo negli occhi. Nel corso delle nostre ricerche, Graf ed io non tralasciammo di esaminare, dove presente, materiale su questi campi, e trovammo anche testimonianze, rapporti ed elementi vari prima ignoti o ignorati. Da queste ricerche scaturirono tre libri sui tre campi principali (il quarto è Lublino-Majdanek) dell' “Azione Reinhardt”; Bełżec in Propaganda, Testimonies, Archeological Research, and History. Theses & Dissertations Press, Chicago 2004 (edizione italiana: Bełżec nella propaganda, nelle testimonianze, nelle indagini archeologiche e nella storia. Effepi, Genova, 2006) –  Treblinka. Extermination Camp or Transit Camp? Theses & Dissertations Press, Chicago, 2004; –  Sobibór. Holocaust Propaganda end Reality, redatto anche con la collaborazione di Thomas Kues. Queste tre opere contano complessivamente oltre 900 pagine. I nostri critici ci accusano senza mezzi termini di essere dei falsari; essi pretendono infatti di smascherare le «falsità di  Mattogno, Graf e Kues», come recita il sottotitolo del loro libro. Ma si può credere seriamente che Graf ed io ci siamo sobbarcati nell'arco di un quinquennio a viaggi estenuanti, a sacrifici personali (che a Graf, come è noto, hanno sconvolto la vita), che abbiamo scritto migliaia di pagine soltanto per “falsificare” la storia? Nell'ambito di quella ragionevolezza che essi invocano, non è almeno più probabile che le nostre intenzioni fossero rette? Che fossimo animati dal desiderio di accertare la verità, o di avvicinarci il più possibile ad essa, o, come direbbe Robert Faurisson, dal desiderio di akribéia? Se proprio avessimo voluto falsificare la storia, non avremmo fatto faticosi viaggi alla ricerca di documenti, ma avremmo semplicemente copiato le fonti della letteratura esistente, come hanno fatto sistematicamente i “Controversial Bloggers”, espressione  che bisognerebbe tradurre con “bloggers polemisti”,  o, meglio ancora, “contro-versi”  nel senso di  fomentatori di odio afflitti da spirito  polemico contro tutti. Ora è la volta dei nostri critici: Jonathan Harrison, Roberto Muehlenkamp, Jason Myers, Sergey Romanov, Nicholas Terry. Chi sono costoro? Essi si presentano in modo alquanto vago: «Due di noi vivono negli Stati Uniti (uno vi è nato, l'altro è un immigrato dal Regno Unito); uno di noi vive in Inghilterra, uno in Portogallo e uno in Russia» (p. 35). Essi hanno in effetti tutti i motivi per essere circospetti, perché sono quasi tutti affiliati al famigerato sito Holocaust Controversies, i cui membri sono stati notoriamente e vergognosamente banditi dal sito ARC (Aktion Reinhard Camps): «Nel quadro del nostro sforzo in corso di ripristinare il sito web Action Reinhard Camps nel suo stato originario, [prima di essere vandalizzato a suo tempo nel 2006], abbiamo identificato questa pagina come uno dei vari documenti  olocaustici inventati/falsificati creati dal gruppo Holocaust Controversies e maliziosamente inserito nelle nostre pagine da Michael Peters. Abbiamo eliminato la pagina -  e la sostituiremo con dati storici accurati -, insieme a qualunque altra informazione erronea, che siano infettate da questi “controversial bloggers” i quali non cercano altro che  diffondere i semi della discordia e del malcontento nella comunità storica». Si tratta dunque di azioni gravissime da codice penale. Il sito ARC aggiunge (vedi Figura 1): «“Holocaust Controversies” è un blog polemico il cui unico scopo dichiarato è una dissennata predilezione a creare dispute e a coltivare un alterco basato su internet con i negatori dell'Olocausto e i sostenitori del revisionismo. Comunque essi non hanno limitato la loro contesa ai negatori, e sono famosi per aver attaccato studiosi olocaustici e anche siti web. I membri di Holocaust Controversies sono collegati all'attacco all'ARC, nonché alla produzione di documenti e fotografie falsi. Tutti i suoi membri sono stati banditi da questo sito web e rammentiamo a tutti che il sito web Action Reinhard Camps non ha alcuna relazione con i mebri di questo blog indecente. Membri di Holocaust Controversies: Nicholas Terry Sergey Romanov Roberto Muehlenkamp Andrew Mathis Michael Peters»[85]. Figura 1 figura 1_ 27-01-2013 In un altra comunicazione l' ARC team informa che esso «ha unanimamente concordato di escludere a tempo indeterminato i seguenti individui: Sergey Romanov e Nick Terry», precisando quanto segue (vedi Figura 2): «l' ARC non ha ALCUN contatto con questi individui e, pur apprezzando le migliaia di rapporti per email  che abbiamo ricevuto in relazione alle loro azioni riprovevoli, vi dobbiamo chiedere di inviare queste informazioni alle autorità preposte» (corsivo mio)[86]. Figura 2 figura 2_ 27-01-2013 Infine l'ARC team ha diffidato espressamente Muehlenkamp, Romanov e Terry dal fare collegamenti  al loro sito (vedi Figura 3): «Links non autorizzati al nostro sito web da  postings  del blog dell'odio polemico e grossolanamente impreciso delle seguenti persone: Roberto Muehlenkamp - Sergey Romanov - Dr. Nick Terry non sono tollerati dall'ARC. Noi non abbiamo alcuna relazione con i blog dell'odio e vogliamo mettere in guardia tutti per evitare di essere ingannati da questi individui»[87]. Figura 3 figura 3_ 27-01-2013 Nonostante ciò, con la loro tipica sfrontatezza, i nostri critici hanno effettuato almeno sei links al sito ARC (p. 338, nota 293; p. 396, note 36, 40; p. 424, note 60 e 61), il che, stante la summenzionata diffida ufficiale, potrebbe essere perseguibile anche penalmente. I nostri detrattori, a detta del sito ARC, sono dunque fomentatori di odio, vandali e falsari, autori di «azioni riprovevoli» e di «postings del blog dell'odio polemico e grossolanamente impreciso»: con tali credenziali, il loro attacco alla nostra credibilità, così formulato: «[Ciò] non significa che noi consideriamo i negatori come controparte che dibatte sul nostro piano a livello intellettuale o etico [sic!]; tutt'altro, noi abbiamo agito nella conoscenza che i negatori operano con ignoranza e in malafede» (p. 8), appare pateticamente grottesco: da quale pulpito ci viene una lezione di onestà intellettuale e di morale! Ulteriori informazioni sulle nefande attività di questi delinquenti informatici si possono reperire nel sito http://hateblogwatch.yuku.com e in altri ancora. Non stupisce affatto, dunque, che il gruppo  Holocaust Controversies, sebbene si atteggi ad avanguardia dell'antirevisionismo, non sia mai stato preso sul serio dagli storici olocaustici, né per l'aspetto propriamente critico, né per il loro contributo (peraltro irrisorio) alla storiografia olocaustica. Come è noto, nel 2008 si è tenuto a Oranienburg, in Germania, un convegno storico internazionale i cui atti sono stati pubblicati solo nel 2011, in un volume di oltre 400 pagine intitolato “Neue Studien zu nationalsozialistischen Massentötungen durch Giftgas. Historische Bedeutung, technische Entwicklung, revisionistische Leugnung” (Nuovi studi sulle uccisioni in massa nazionalsocialiste mediante gas tossico. Significato storico, sviluppo tecnico, negazione revisionistica)[88]. Lo scopo del convegno era da un lato di descrivere i risultati della più recente ricerca olocaustica sul tema delle “camere a gas”, dall'altro di esporre una critica del revisionismo. I congressisti si occuparono direttamente e indirettamente anche dei campi dell' “Azione Reinhardt”. In particolare, Dieter Pohl presentò un contributo sul tema Massentötungen durch Giftgas im Rahmen der “Aktion Reinhard” (Uccisioni di massa mediante gas tossico nel quadro dell’“Azione Reinhardt”)[89], nel quale spiegò che in questo ambito «le ricerche sono limitate soprattutto dalla mancanza di fonti significative. Contrariamente ai campi di concentramento, per i campi dell' “Azione Reinhard” non  ci è pervenuto quasi nessun atto dell’epoca»[90], donde la conseguenza che la “scienza storica” si basa «quasi completamente su interrogatori dei colpevoli, dei pochi superstiti e di testimoni oculari polacchi»[91]. In tale contesto Pohl dichiara: «Una buona sintesi si può trovare nella pagina  web deathcamps.org»[92]. Questo è lunico sito web sull'argomento considerato serio e degno di menzione. In tutto il libro, che conta oltre 400 pagine, non appare alcun accenno al sito Holocaust Controversies  né ai loro membri. Il fatto che esso, nella sterminata mole della letteratura olocaustica, sia stato citato esclusivamente in alcuni articoli dall'Emory University’s Holocaust Denial on Trial website e in un libro di Pavel Polian e Alfred Kokh (p. 11), dimostra appunto che gli storici olocaustici autorevoli non attribuiscono alcun valore alle affermazioni di Muehlenkamp e soci. Il riferimento al libro è patetico, perché, in quasi 400 pagine, appare un'unica scarna menzione di tre righe a Jonathan Harrison in relazione a una sua critica al libro di Walter Sanning The Dissolution of Eastern European Jewry[93]. Per quanto riguarda il sito della Emory University, gli articoli che menzionano  Holocaust Controversies sono redatti da poveri disperati disposti ad attaccarsi a tutto pur di “confutare” le tesi revisionistiche. La competenza e l'onestà intellettuale di questa gente risultano, tra l'altro, da come presentano il mio articolo The Crematoria Ovens of Auschwitz and Birkenau[94]: «Carlo Mattogno,un negazionista italiano, in una monografia del 1994ha costruito i suoi argomenti sulle speculazioni dilettantesche di Leuchter. Per dimostrare che i forni non avrebbero potuto cremare abbastanza corpi, egli ha messo a confronto il funzionamento di moderni forni civili con la situazione di Auschwitz-Birkenau»[95]. Entrambe le affermazioni sono false e riduttive: da un lato ho precisato che la capacità di cremazione addotta da Leuchter «è in realtà di gran lunga inferiore alla capacità effettiva», dall'altro ho descritto la struttura e il funzionamento dei forni civili per far comprendere quella dei forni di Auschwitz-Birkenau, che ho poi esaminato in base ai documenti della Zentralbauleitung e di forni Topf dello stesso modello a 2 e a 3 muffole installati in altri campi, esame cui ho successivamente dedicato un volume di oltre 500 pagine[96]. Queste due menzioni di  Holocaust Controversies, oltre ad essere irrisorie, sono dunque tutt'altro che onorifiche. I nostri critici assicurano di aver ricevuto «l'apprezzamento» da molti storici e accademici, tramite «emails e di persona», ma non ne nominano neppure uno. Se ciò è vero, è chiaro che queste persone o non sono storici e accademici, oppure si vergognano di far conoscere pubblicamente le loro relazioni con i fomentatori di odio e li hanno diffidati dal rendere pubblici i loro nomi. A tale riguardo costoro  mi oppongono che «senza nominare tutti gli storici che hanno espresso il loro apprezzamento, siamo del tutto certi che essi superano qualunque elogio Mattogno stesso possa aver mai ricevuto da qualunque accademico» (p. 11). Ovviamente c'è una certa differenza tra il fatto che sedicenti “storici” olocaustici non siano tenuti in nessun conto dai loro “colleghi” e che non lo siano gli storici revisionisti da quelli accademici; nel primo caso la ragione non può essere che l'insipienza storiografica, nel secondo la pregiudiziale ideologica, dopo decenni di demonizzazioni (vedi soprattutto P. Vidal-Naquet e D. Lipstadt) a colpi di accuse di antisemitismo, nazismo, razzismo, ecc. ecc. Nonostante ciò, posso addurre qualche eccezione. Il prof. Ernst Nolte mi annovera tra gli «scienziati seri»[97]. Inoltre, la prestigiosa raccolta documentaria “Standort- und Kommandanturbefehle des Konzentrationslagers Auschwitz 1940-1945” (Ordini della guarnigione e del comando del campo di concentramento di Auschwitz 1940-1945), edita dall' Istituto di Storia Contemporanea (Institut für Zeitgesschichte) di Monaco, nella bibliografia riporta il mio studio La “Zentralbauleitung der Waffen-SS Auscwhitz[98]. Tomasz Kranz ha ritenuto il nostro studio su Majdanek degno di menzione in un suo libretto, senza elogio, ma anche senza rimproveri[99]. Poca cosa, certo, ma sempre più di ciò che, sulla carta stampata, hanno ottenuto i nostri aspiranti storici: nulla. In tale contesto è facilmente intuibile perché, dopo alcune risposte iniziali, io abbia deciso di non replicare più alle affermazioni dei fomentatori di odio, a meno che non le mettessero per iscritto, cosa che, nella loro tipica distorsione mentale, essi interpretano come «disperazione» da parte mia (p. 11). Questa clausola mirava anzitutto a fissare nella realtà ciò che nel web è solo virtuale. Come è chiaro perfino ad essi,  «i links di internet sono effimeri e tendono a “decadere” col passar del tempo» (p. 1). Ciò significa che nei blogs si possono scrivere le assurdità più palesi, ma dopo alcuni anni esse svaniranno, a profitto della credibilità degli autori. Un testo scritto, invece, resta, e inchioda il suo autore alle sue responsabilità per un periodo immensamente più lungo. In secondo luogo, non sono minimamente interessato ad un alterco senza fine e inconcludente in virtù dei suoi stessi presupposti. In terzo luogo, non ho nessuna voglia di dibattere con fomentatori di odio chiaramente in malafede, che non si arrestano davanti alle assurdità più palesi pur di contrastare in qualche modo il revisionismo. Come si può discutere seriamente, ad esempio, con chi dice di credere che in un metro quadrato si possano ammassare 20 persone? Nella comunità scientifica olocaustica, tutti sono concordi nel ritenerlo un'assurdità: solo i “Bloggers Polemisti” fanno questa professione di fede[100]. E che pensare di uno che pretende di calcolare il valore combustibile di un corpo umano sulla base del biogas prodotto dalla decomposizione di «rifiuti di animali» e precisamente  «letame bovino»?[101]. Un vero “argomento di letame” - per non usare un termine più appropriato. Se Muhlenkamp avesse scritto una tale balordaggine in un libro, sarebbe stato lo zimbello di ogni persona competente per tutta la vita. Un documento in PDF, nel web, è ciò che è meno lontano da un libro cartaceo, se non altro perché, una volta postato, non può più essere modificato e inoltre può essere stampato come libro. Da parte nostra, siamo ben lieti che i “Bloggers Polemisti”  si siano finalmente decisi ad adottare una forma di comunicazione che li inchioderà, speriamo per anni, alle loro affermazioni, senza la speranza di un troppo rapido “decadimento”. Un'altra accusa che è stata mossa ai nostri critici è il plagio. Il PDF dei “bloggers polemisti” è stato postato il 24 dicembre del 2011. Nell'arco di pochissimi giorni esso è stato ribattezzato da chi conosce bene i loro autori “Cut and paste” Manifesto,  il Manifesto del  “taglia e incolla”, ma, bisogna aggiungere, anche, e soprattutto, del “copia e incolla” (copy and paste) Quattro giorni dopo il blogger Blogbuster, del RODOH-FORUM, ha scritto quanto segue nel CODOH Forum: «La mia opinione sul manifesto HC [Holocaust Controversies]: Non sono stato granché impressionato dalla ricerca ingarbugliata di “taglia e incolla” compilata Nick Terry, Sergey Romanov, Roberto Muehlenkamp e altri. Avendola letta attentamente, ho trovato una quantità di informazioni che erano state originariamente postate  in altri siti web e tagliati su misura nel manifesto per essere adattati agli argomenti di HC. L'ho trovato inutile come ausilio per discutere il revisionismo in un modo o nell'altro. Il punto focale è su una struttura ideata più per emulare un Libro Bianco che per fornire una critica essenziale delle convinzioni  revisionistiche. Qualunque studente liceale potrebbe benissimo mettere insieme una raccolta presa dalla ricerca altrui, adattarla al tema desiderato proprio come questo manifesto è stato diretto specificamente contro Mattogno, Graf e Kues. Il problema è che la ricerca originale di cui questa discussione elettronica è costituita non era destinata a tale scopo e il modo in cui Terry e Romanov hanno tentato di  quadrare il cerchio  è quantomeno superficiale»[102]. Ciò spiega il vasto apparato pseudoscientifico che ostentano i “Bloggers Polemisti”, evidentemente frutto di giornate intere di “copia e incolla”. Nei capitoli successivi mostrerò che il plagio storico, documentario e bibliografico di costoro è tanto ampio che essi meritano a pieno titolo l'appellativo di “Bloggers Plagiari” o semplicemente di Plagiari. Nell'Appendice presento un elenco dei loro oltre 400 plagi che, pur essendo incompleto, resta comunque impressionante. Invito il lettore a visionarlo prima di continuare la lettura di questa risposta, in modo che possa farsi fin da subito un'idea precisa della sconfinata cialtroneria di questi seminatori di odio e di menzogne. Le “nuove” fonti da essi addotte sulla «nostra conoscenza di Belzec, Sobibor e Treblinka» (pp. 20-24) sono infatti praticamente le stesse elencate sinteticamente da Pohl nell'opera Massentötungen durch Giftgas im Rahmen der “Aktion Reinhard. Per quanto riguarda le nostre fonti, l'analisi esposta dai fomentatori di odio, come sempre completamente privi del senso della misura, è ridicolmente  riduttiva: «Difatti, dei documenti non giudiziari citati nella “trilogia”, 11 si riferiscono ad Auschwitz, mentre 7 si riferiscono ad altri campi di concentramento, e ne restano solo 7 che si riferiscono  a Belzec o a Treblinka insieme a 18 ai distretti della  Galizia e di Lublino e 4 al ghetto di Lodz. Altri 11 documenti degli archivi di Mosca sono citati in relazione all'Olocausto nell'Unione Sovietica, mentre un documento presumibilmente citato dall'Arvhivio Nazionale della Bielorussia è evidentemente plagiato da fonti secondarie». Indi concludono: «Confrontate con gli sforzi di ricerca di storici seri, tutte queste cifre sono risibili» (p. 28). In realtà, nella nostra “trilogia” abbiamo addotto materiale  precedentemente ignoto e presentato analisi critiche prima non effettuate. Senza entrare troppo nei dettagli, il libro su Bełżec riunisce per la prima volta una vasta raccolta di fonti propagandistiche del periodo bellico e post-bellico relative alla genesi e allo sviluppo dei presunti metodi di uccisione e mostra come e perché da tali favole scaturì la storia delle “camere a gas”[103]. Raccolte di fonti simili sono state effettuate sia per Treblinka[104], sia per Sobibór[105]. In tutti e tre i casi è stato fatto largo uso di fonti polacche all'epoca non considerate dalla storiografia occidentale. Il libro offre inoltre un dettagliato resoconto critico delle ricerche archeologiche di Andrzej Kola nel terreno dell'ex campo, che si può discutere quanto si vuole, ma che resta comunque il primo di tale ampiezza nella letteratura cartacea. Lo studio su Treblinka presenta una documentazione non irrilevante all'epoca completamente ignota anche agli specialisti olocaustici. Si tratta soprattutto di materiale da noi reperito nell'Archivio di Stato della federazione Russa (GARF) di Mosca, ad esempio le testimonianze di A. Kon e di K. Skarzyńki, lo scritto di S. Rajzman Kombinat Smerti v Treblinke e il suo interrogatorio del 26 settembre 1944, il rapporto sovietico sulle fosse comuni di Treblinka del 15-23 agosto 1944, quelli immediatamente successivi della TASS dell'11 e 12 settembre 1944, il rapporto dell'indagine preliminare di Z. Łukaszkiewicz del 29 dicembre 1945, la pianta sovietica di Treblinka del 24 settembre 1944 (da noi pubblicata come documento 11), le piante delle presunte camere a gas del campo disegnate dal tenente Jurowski (documenti 18 e 19) e altro materiale. Come si vedrà nei capitoli successivi, Muehlenkamp e soci hanno plagiato perfino queste nostre fonti! L'opera su Sobibór presenta e analizza per la prima volta i risultati delle ricerche archeologiche effettuate da A. Kola nell'ex campo di Sobibór, descritti, in particolare, nell'articolo Badania archeologiczne terenu byłego obozu zagłady Żydów w Sobibórze w 2001 r. (Ricerche archeologiche nel terreno dell’ex campo di sterminio per Ebrei di Sobibór), in: Przeszłość i Pamięć, n. 4, ottobre-dicembre 2001. Tutti e tre i libri sono inoltre corredati di fotografie scattate da me personalmente nelle aree degli ex campi. Il libro su Bełżec contiene circa 90 riferimenti bibliografici, quello su Treblinka circa 210, quello su Sobibór circa 310. Contrariamente a ciò che insinuano i fomentatori di odio, le fonti sono tutte di prima mano e verificate[106]. Il valore delle nostre ricerche è stato riconosciuto - sia pure con grande stizza e una punta di invidia - da Michael Thad Allen, che, in relazione agli interrogatori degli ingegneri tedeschi della ditta Topf da parte di funzionari dello Smersh (il servizio di controspionaggio sovietico) ha scritto: «Il dott. Schule mi informa che alcuni degli interrogatori [degli ingegneri della] Topf  che non sono accessibili agli storici hanno trovato la loro via nei siti web dei “negatori” dell'Olocausto. Così a qualcuno viene accordato accesso a questi documenti.  È quantomeno irritante che vi abbiano avuto pieno accesso i negatori invece degli storici di professione»[107]. Il riferimento è all'articolo di Jürgen Graf “Anatomia dell'escussione sovietica degli ingegneri della Topf. Gli interrogatori di Fritz Sander, Kurt Prüfer, Karl Schultze e Gustav Braun da parte di ufficiali  dell'organizzazione sovietica di controspionaggio Smersch  (1946/1948)”[108]. L'arroganza di questo “storico di professione” è pari soltanto alla sua ignoranza, come ho mostrato nell'articolo Le camere a gas di Birkenau nell'ottobre 1941: Le fantasie storico-tecniche di un “tecnologo”[109]. I plagiari cominciano dunque la loro “critica” con una distorsione sistematica del valore delle nostre opere al fine evidente di screditarle. En passant, dato che essi si atteggiano a “storici”, perché non hanno presentato loro, prima di noi,  l'enorme mole di materiale che abbiamo versato nel  dibattito storiografico sulla questione delle camere a gas? Essi affermano: «Mattogno ha dichiarato anche che nessuno dei membri del blog ha mai visitato un archivio, una biblioteca, ha mai visto un documento originale o è al corrente della documentazione dei campi. Ciò è decisamente falso, come vedremo nelle pagine seguenti» (p. 11). Alcune pagine dopo aggiungono: «La nostra ricerca nei materiali di archivi orientali includono viaggi di ricerca in alcuni degli archivi importanti» (p. 29). I plagiari ricamano ciò che ho scritto nel luglio 2010 in un breve saggio diretto principalmente contro Sergey Romanov, rivolgendomi, oltre che a lui, a Muehlenkamp, a un tale “Hans”, a David Thompson e a Joachim Neander, definendoli «critici di carta che non hanno mai abbandonato la loro scrivania, che non hanno mai visto un documento originale, che non hanno mai messo piede in un archivio, né in una biblioteca, che non hanno mai visitato un campo di concentramento tedesco, che, della documentazione, hanno una conoscenza parziale, superficiale e raccogliticcia, che amano nascondersi dietro pseudonimi, non avendo neppure il coraggio delle proprie opinioni»[110]. Le fumose assicurazioni dei plagiari non fanno luce sulle questioni fondamentali:  chi di loro ha visitato quali archivi? Quando? Quale materiale nuovo hanno trovato? Chi di loro ha visitato quali ex “campi di sterminio”? E se hanno realmente effettuato ricerche così profonde come asseriscono, perché hanno perso tempo a “confutare” dei pretesi “falsari” invece di fornire le loro preziose conoscenze al mondo accademico, pubblicando una monografia specialistica sui tre campi principali dell' “Azione Reinhardt”? Quale occasione perduta per scolpire i loro nomi nei prestigiosi annali della storiografia olocaustica! La tragica realtà è che essi non sono neppure “storici di carta” (come R. Faurisson definì giustamente Pierre Vidal-Naquet), ma semplici  bloggers  “copia e incolla”. Il discredito che essi tentano di gettare sulle nostre opere appare tanto più malevolo e ingiustificato in quanto la stessa storiografia olocaustica, nonostante un dispiegamento immenso di persone e di risorse, finora ha prodotto ben poco di significativo sui tre campi dell' “Azione Reinhardt”, come ammette Pohl stesso. Ovviamente siamo ben consapevoli che la nostra “trilogia” avrebbe potuto avere una documentazione ancora più ricca. Chi ci rivolge questo rimprovero dovrebbe considerare che, da oltre un decennio, noi non abbiamo più accesso ad archivi pubblici in quanto “famigerati” revisionisti, sicché ci è ormai preclusa ogni ulteriore ricerca archivistica in tal senso. Senza considerare le nostre risorse finanziarie, assolutamente irrisorie rispetto a quelle dei cultori della storiografia olocaustica. In tale contesto a dir poco sfavorevole, la nostra intenzione è stata di offrire degli studi pionieristici che, speriamo, possano costituire la base di approfondimenti futuri. I plagiari insistono ripetutamente e ossessivamente sul fatto che la bibliografia da noi consultata per la redazione di questi studi è datata e incompleta. Ciò è vero. Si è trattato in parte  di un passo obbligato, in parte di  una scelta voluta. Poiché era nostra intenzione presentare il più presto possibile studi di orientamento sui campi dell' “Azione Reinhardt”, abbiamo rinunciato ad un esame sistematico della ricca letteratura olocaustica che avrebbe procrastinato a date indefinite la pubblicazione dei nostri studi. Ci siamo pertanto soffermati sulle posizioni “classiche” della storiografia olocaustica, le quali sono sì datate, ma non superate. E qui interviene la nostra scelta volontaria: Fino a che punto, infatti, gli sviluppi recenti della storiografia olocaustica sono realmente indispensabili per la comprensione e la dimostrazione delle “camere a gas”? Morsch e Perz hanno sottolineato che dal 1983 al 2010 sono apparsi almeno 60 scritti sul tema «uccisione in massa mediante camere a gas», ma ciò non ha portato grandi progressi su questo argomento: «Molte delle limitazioni della ricerca allora determinate dalla difficile situazione delle fonti, in considerazione delle fonti mancanti, non possono però essere facilmente superate neppure dopo quasi 30 anni. Ciò vale soprattutto per i campi dell' Azione Reinhard”, per i quali, contrariamente ai campi di concentramento, sono stati trasmessi solo pochissimi documenti»[111]. Pohl, un autore molto citato dai Plagiari, lo asserisce ancora più esplicitamente: «La ricerca sui campi di sterminio della cosiddetta azione Reinhard, tra la fine degli anni Settanta e la metà degli anni Novanta, ha fatto grossi passi in avanti, non da ultimo grazie all’opera collettiva “Nationalsozialistiche Massentötungen durch Giftgas”. Da allora si sono potute ottenere certamente nuove conoscenze sullo sgombero dei ghetti e sulle deportazioni, ma poche sui campi di sterminio veri e propri, cioè su Bełżec, Sobibór e Treblinka»[112]. Egli elenca  diligentemente le “nuove fonti”, ma poi  deve ammettere che «tuttavia siamo ancora lontani da una sintesi comprensiva di tutte queste conoscenze; nel complesso, lo stato della ricerca non è mutata in modo rilevante dagli anni Ottanta»[113] (corsivo mio). Infatti Pohl constata sconsolatamente: «Certo, mancano ancora studi più approfonditi soprattutto su Treblinka, il più grosso dei tre campi, e su Bełżec»[114]. Dato che a noi interessava essenzialmente il problema dei “campi di sterminio” e delle “camere a gas”, non considerando questa nuova letteratura, che - come afferma esplicitamente Pohl e come come vedremo nei capitoli che seguono -  su di esso non ha addotto nulla di nuovo,  i rimproveri dei nostri detrattori ci toccano molto marginalmente. D'altro canto, il loro maniacale ricorso a innumerevoli fonti, in massima parte plagiate, non mira affatto a colmare i vuoti incolmabili della storiografia olocaustica, né a presentarne una sintesi, ma ad irretire il lettore, con puerile ostentazione, in una fittissima rete di riferimenti inconcludenti. 2) La genesi della storiografia olocaustica e la metodologia revisionistica Ogni volta che si dibatte sul revisionismo riaffiora invariabilmente la “teoria della cospirazione”. I Plagiari, come si è visto, pretendono che «la negazione dell'Olocausto è inconcepibile  senza una forma di teoria della cospirazione» (p. 38). Parallelamente essi pretendono di impartirci una lezione di metodologia storiografica: «È impressionante che in tutte le loro opere, MGK si comportino regolarmente come se l'unica fonte che possa essere considerata un “documento” sia un rapporto tedesco.  Ma una tale attitudine è molto francamente un discorso senza senso quando venga commisurato a tutte le pratiche note normali della cultura storica sin da quando fu codificata nel XIX secolo. Il rankenismo [la dottrina storica di Leopold von Ranke] ha una sola regola, cioè di preferire dove possibile una fonte che sia più vicina agli eventi, sia in termini cronologici sia di prossimità [spaziale]. I mediovalisti, dopo tutto, sono spesso costretti a fare assegnamento su  fonti molto posteriori ai fatti, redatte da commentatori che non erano per niente vicini agli eventi che descrivono. Gli storici militari non si fanno scrupolo di adoperare i documenti di entrambe le parti in una guerra o in un conflitto. Molti storici dell'Olocausto fin dagli anni Quaranta hanno fatto buon uso di documenti contemporanei non tedeschi, soprattutto la documentazione scritta dei consigli ebraici e della resistenza polacca. Tali fonti sono incontestabilmente documenti e noi ne abbiamo fatto uso in ciò che segue» (pp. 29-30). Queste sono a nostro avviso semplici fonti, il cui valore dipende da molti fattori. La nostra posizione è inevece precisamente che, in campo olocaustico, un documento  scritto è soltanto  «un rapporto tedesco». Nel novero dei documenti comprendiamo ovviamente anche le fotografie e i reperti materiali. Tutto il resto, a cominciare dalle testimonianze, ha un valore molto subordinato o nullo nel caso molto frequente in cui le testimonianze non siano suffragate da alcun documento. Ciò è del resto ammesso anche da storici olocaustici, come Mathias Beer: «Tuttavia allo storico non è permesso adottare le sentenze dei tribunali senza averle esaminate, perché la giustizia e la storiografia perseguono fini differenti. Per lui le testimonianze sono importanti anzitutto perché lo aiutano a colmare le lacune delle fonti. Ma le testimonianze, per la loro peculiarità, possono essere trattate sullo stesso piano [delle fonti], ad esempio come documenti, ed essere utilizzate proficuamente dalla ricerca storica, soltanto se vengono rispettati determinati princìpi. Il presupposto fondamentale è di non rinunciare, per quanto è possibile, al confronto tra le dichiarazioni e i documenti di cui siano state esaminate criticamente le fonti, cioè a collegare sempre il fatto probabile con quello certo. [Ma] anche così non si può rispondere in modo soddisfacente a ogni domanda»[115]. Per spiegare questa posizione bisogna esaminare come e perché è nata la storiografia olocaustica. I Plagiari hanno descritto la sua genesi senza neppure rendersi conto  di affossare così da sé stessi le loro critiche. Essi delineano infatti la storia dei “campi di sterminio” dell' “Azione Reinhard” a cominciare dalla sua origine, la propaganda nera dei vari centri di resistenza ebraici e polacchi: «Un  numero crescente di rapporti che giungevano alla Stato polacco clandestino, la Delegatura, nonché a organizzazioni ebraiche come l'archivio dell'Oneg Shabes  [Shabbat] a Varsavia, indusse praticamente tutti all'interno della Polonia a dedurre rapidamente che Belzec, Sobibor e  Treblinka erano siti di sterminio» (p. 15). Come ho accennato sopra, noi ci eravamo già soffermati con dovizia di fonti su questa propaganda. Essi poi precisano «Voci per sentito dire sull'uso di elettricità e vapore circolavano tra la popolazione polacca ed ebraica della Polonia nonché tra gli ufficiali e le truppe di occupazione tedesche, ma la maggioranza dei rapporti in Polonia convergevano sull'uso di camere a gas» (p. 15). Il caso di Bełżec è emblematico. Michael Tregenza ha messo in risalto «l'amicizia stretta tra il personale del campo e gli abitanti ucraini del villaggio»: abitanti di Be³¿ec lavoravano nella cucina del comando SS e nella lavanderia SS, «quattro uomini operarono all'interno dell'area del campo» e uno di essi, un elettricista, «installò cavi e luce nel secondo edificio di sterminio» e, si dice, assistette occasionalmente a gasazioni; inoltre due fotografi del villaggio furono autorizzati a scattare fotografie all'interno del campo, perciò  «non ci si deve meravigliare che, sia il campo, sia i segreti del campo, fossero noti fin dall'inizio alla popolazione locale»[116]. Ma allora perché la presunta  “verità” delle camere a gas funzionanti con gas di scarico di motori non si impose  «fin dall'inizio»? La nascita di «voci per sentito dire», soprattutto su fantastici impianti di folgorazione, su treni della morte  e su fabbriche di sapone umano, nonostante un intero villaggio di testimoni oculari, si può spiegare soltanto come intenzionale Gruelpropaganda (propaganda basatasu storie di atrocità). Ciò vale anche per Treblinka. Il rapporto del 15 novembre 1942 sulle “camere a vapore” di questo campo, sul quale ritornerò in seguito, è talmente dettagliato che poteva essere soltanto frutto di un travisamento voluto di impianti realmente esistenti, che non erano certamente delle “camere a gas”: a che scopo, infatti, descriverle come “camere a vapore”? E perché a Sobibór furono inizialmente attribuiti i metodi di sterminio più improbabili, a cominciare dall'asfissia mediante cloro? Che Bełżec, Sobibór e Treblinka fossero “campi di sterminio” risulterebbe dal fatto che «durante la guerra, nell'arco di un mese dall'apertura di Belzec cominciarono ad apparire rapporti in base ai quali un gran numero di Ebrei entravano nel campo e non ne uscivano» (p. 15). Ma questa non era altro che la premessa indispensabile della propaganda nera: i propagandisti prima  lanciarono l'idea dei “campi di sterminio” e poi (anch'essi, come i nostri detrattori, completamente sprovvisti del senso del ridicolo) cercarono di sostanziarla con le fantasie più assurde. Tra queste fantasie, è vero, c'erano anche le camere a gas, ma è falso, come scrivono i nostri critici che «la maggioranza dei rapporti in Polonia convergevano sull'uso di camere a gas»; inoltre le poche fonti che le menzionavano, non le mettevano in correlazione con i gas di scarico di motori. Alla fine del 1945, nonostante le varie testimonianze, anzi proprio a causa di queste, diversi metodi di uccisione si contendevano il primato della “verità” ufficiale: vapore, estrazione dell'aria mediante pompa aspirante, folgorazione, camere a gas. Gli impianti di folgorazione per Bełżec e le “camere a vapore” per Treblinka valevano notoriamente come verità ufficiali ancora al processo di Norimberga[117]. Solo grazie alla testimonianza di Rudolf Reder e al “rapporto Gerstein” (peraltro inconciliabili su questo punto), nel 1947, gli inquirenti polacchi scelsero il metodo del gas di scarico di un motore, come abbiamo documentato nei paragrafi “From Steam Chamber to Carbon Monoxide Chambers”, “Origins of the Version of Carbon Monoxide Gas Chambers” e “Triumph of the Version of Carbon Monoxide Gas Chambers” del nostro libro su Treblinka e “La lotta letteraria tra le versioni dello sterminio con corrente elettrica e con gas di scarico di un motore” di quello su Bełżec. La soluzione così escogitata fu attribuita poi, per analogia,  anche a Sobibór. Prima di procedere, devo rispondere ad una critica che verte proprio sulla “propaganda nera”. I  “Bloggers Polemisti”  scrivono che per me  «[il concetto di]propaganda” implica necessariamente la sua falsità» e in tal senso intendo la «propaganda nera [black propaganda]», mentre invece, obiettano, «il termine “propaganda nera” ha un significato molto preciso», essa è una semplice «propaganda che pretende di provenire dalla parte del nemico» (p. 43). Se è solo questione di terminologia, si può parlare di “menzogne propagandistiche”, ma il nocciolo della questione non cambia: la “propaganda nera” è una propaganda fallace, come riconosce la storiografia olocaustica attuale. Come altrimenti bisognerebbe definire le favole della folgorazione, delle camere a vapore, del sapone umano, ecc.? In tale contesto i nostri critici menzionano il  «corriere clandestino polacco   Jan Karski “impegnato in propaganda nera”tra i soldati tedeschi, stampando e distribuendo volantini in tedesco” (p. 43). Questo è un ottimo caso per stabilire il significato reale di “black propaganda”. A p. 15 Karski viene presentato così: «Un altro rapporto cruciale, che combinava informazioni compilate dall' Oneg Shabes con le fonti clandestine polacche, fu portato fuori dal corriere clandestino polacco Jan Karski nel novembre 1942». I Plagiari però si guardano ben dal riferire che cosa diceva questo «rapporto cruciale». Karski pretendeva infatti di essere entrato nel campo di Bełżec, ma non vi aveva trovato nessuna installazione di gasazione. Gli Ebrei deportati vi venivano uccisi in “treni della morte” cosparsi di calce viva che venivano caricati al campo e condotti a ottanta miglia di distanza, dove venivano lasciati fermi per giorni fino alla morte di tutte le vittime. Ho descritto le varie “testimonianze oculari” di Karski nel paragrafo Dalla folgorazione ai “treni della morte”  del mio libro su Bełżec. Questa storia, dal punto di vista olocaustico, è palesemente falsa (dal punto di vista revisionistico potrebbe essere il travisamento di trasporti che uscivano dal campo per ulteriore destinazione) e ciò spiega l'imbarazzato silenzio dei nostri critici, i quali dunque sanno bene che la “propaganda nera”, a cominciare da quella propalata da Karski, era appunto diffusione intenzionale di menzogne. Riprendendo il filo del discorso, i Plagiari tracciano poi le fasi attraverso le quali questa propaganda menzognera, previamente filtrata e rinvigorita dalle varie “commissioni di inchiesta” sovietiche, polacco-sovietiche e polacche e dagli “accertamenti” di giudici istruttori, entrò nelle aule dei Tribunali Militari, uscendone con la nuova  veste di “verità giudiziaria”. In questo processo, l'elemento decisivo fu  senza dubbio la “Dichiarazione delle Nazioni Unite” del 17 dicembre 1942, che da un lato promosse  la  propaganda a verità ufficiale, dall'altro, sancì il criterio della punizione, ponendo le  basi per la costituzione dei futuri Tribunali Militari: «Da tutti i paesi occupati gli Ebrei vengono trasportati in condizioni di atroce orrore e brutalità nell'Europa dell'est. In Polonia, che è diventato il principale mattatoio nazista, i ghetti istituiti dagli invasori nazisti vengono sistematicamente svuotati di tutti gli Ebrei, ad accezione di pochi operai altamente qualificati necessari per le industrie di guerra. Nessuno di quelli deportati si è mai rifatto vivo. I robusti  vengono fatti lavorare fino  a una morte lenta in campi di lavoro. I malati sono lasciati morire di freddo e di fame o vengono deliberatamente massacrati in esecuzioni in massa. Il numero delle vittime di queste crudeltà sanguinose è calcolato a molte centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini del tutto innocenti». La dichiarazione si concludeva con la minaccia che le Nazioni Unite «ribadiscono la loro solenne decisione di garantire che coloro che sono responsabili dei crimini non sfuggiranno al castigo e di proseguire verso questo scopo con le necessarie misure pratiche[118]. Il progetto della dichiarazione era stato discusso al Foreign Office, a Londra, fin dall'inizio di dicembre, dopo l'arrivo di molti rapporti propagandistici, l'ultimo dei quali,  quello di Jan Karski, era giunto  il 25 novembre[119]. Una nota del 1° dicembre informa: «Sterminio di Ebrei in Europa. Il sig. Law[120] riporta una conversazione col sig. Silverman[121] e col sig. Easterman[122]  riguardo allo sterminio di Ebrei in Europa. Il sig. Silverman ha insistito perché il Governo di Sua Maestà intraprenda qualche azione per alleviare queste atrocità e ha suggerito che sia presentata dalle Nazioni Unite una dichiarazione delle Quattro Potenze la quale proclami che gli esecutori saranno debitamente puniti e anche che bisognerebbe fare trasmissioni radio per incoraggiare i non Ebrei ad aiutare gli Ebrei perseguitati»[123]. In una nota manoscritta, David Allen, un funzionario della Direzione centrale del Ministero degli Esteri, consigliava che la dichiarazione «in mancanza di prove più chiare, [dovrebbe] evitare un riferimento troppo specifico al piano[124]  di sterminio», ma doveva limitarsi a condannare la «politica tedesca» nei confronti degli Ebrei[125]. Un altro funzionario del Foreign Office, Frank Roberts, rilevò al riguardo: «Una dichiarazione secondo le direttive summenzionate dovrebbe essere piuttosto vaga, perché non abbiamo nessuna prova reale  di queste atrocità (since we have no actual proof of these atrocities), sebbene, penso, la loro probabilità è sufficientemente grande da giustificare un'azione secondo le direttive summenzionate, se ciò è considerato essenziale al fine di soddisfare l'opinione parlamentare qui. I propagandisti potrebbero poi fare dichiarazioni  secondo le direttive summenzionate come di loro iniziativa. Senza una tale dichiarazione, a mio avviso, sarebbe pericoloso imbarcarsi in una campagna propagandistica senza il fondamento di fatti citabili e comprovati»[126]. L'atto che istituiva i futuri Tribunali Militari alleati non si fondava dunque su alcuna «prova reale», ma su una mera  «probabilità» delle «atrocità» tedesche. Ma ormai le  Nazioni Unite si erano impegnate davanti al mondo intero, sicché i loro Tribunali dovevano “dimostrare” in qualunque modo i crimini tedeschi. Quale fosse l'amore di giustizia e di verità di questi Tribunali, lo disse esplicitamente il procuratore capo americano Justice Jackson alla seduta del 26 luglio 1946 del processo di Norimberga: «Interpretando la Carta, non dovremmo comunque trascurare il carattere unico ed emergente di questo istituto come Tribunale Militare Internazionale. Esso non è parte del meccanismo costituzionale giudiziario interno di nessuna delle Nazioni firmatarie. La Germania si è arresa senza condizioni, ma non è stato firmato o concordato alcun trattato di pace. Gli Alleati si trovano tecnicamente ancora in stato di guerra con la Germania, sebbene le istituzioni politiche e militari del nemico siano crollate. Come tribunale militare, questo tribunale costituisce  la continuazione dello sforzo bellico delle Nazioni Alleate. Come Tribunale Internazionale, esso non è legato alle raffinatezze dei nostri rispettivi sistemi giudiziari o costituzionali, e le sue decisioni non introdurranno precedenti nel sistema giudiziario civile interno  di alcun paese»[127] (corsivo mio).    Lo Statuto (Charter) del Tribunale Militare Internazionale menzionato sopra diceva esplicitamente che esso veniva costituito non allo scopo di accertare la verità o per fare giustizia, ma «per il giusto e tempestivo processo e per la punizione dei maggiori criminali di guerra dell'Asse in Europa»[128] (corsivo mio). Al fine di ottenere questo risultato, i vincitori della guerra crearono strumenti giuridici appropriati. L'articolo 19 dello statuto del Tribunale sanciva: «Il Tribunale non sarà vincolato alle regole tecniche di prova. Esso adotterà e applicherà nel modo più ampio possibile una procedura rapida e non tecnica e ammetterà qualunque prova che ritenga avere valore probativo»[129]. E l'articolo 21 affermava: «Il Tribunale non richiederà la prova di fatti di comune conoscenza ma ne prenderà conoscenza giudiziale  (judicial notice). Esso prenderà conoscenza giudiziale di documenti e rapporti governativi ufficiali delle Nazioni Unite, inclusi gli atti e i documenti di comitati istituiti nei vari Paesi alleati per indagare sui crimini di guerra e la documentazione e i reperti di Tribunali militari o di altro tipo di qualsiasi delle Nazioni Unite»[130]. Per completare l'opera, i documenti per i processi erano stati previamente selezionati in funzione dell'accusa, sicché, in pratica, non esistono documenti della difesa. Alan J.P. Taylor descrisse mirabilmente questa situazione per spiegare  «l'accordo pressoché unanime degli storici» sulle origini della seconda guerra mondiale, ma ciò vale anche per le origini della storiografia olocaustica: «Se la documentazione storica fosse stata sufficientemente contrastante, gli studiosi si  sarebbero presto trovati a discutere il verdetto popolare, per quanto generalmente accettato. Ciò non è stato, e per due ragioni apparentemente contraddittorie: perché c'è nello stesso tempo troppa e troppo poca documentazione. La documentazione in eccesso è quella che fu raccolta per i processi contro i criminali di guerra a Norimberga. Si tratta di documenti che, per imponenti che sembrino nei loro innumerevoli tomi, costituiscono un materiale pericoloso a usarsi da parte dello storico. Furono raccolti, in fretta e quasi a casaccio, come base per le arringhe degli avvocati. Lo storico non lavora in quel modo. L'avvocato mira a vincere la causa; lo storico vuol capire una situazione. La prova che convince gli avvocati spesso non soddisfa gli storici; e agli avvocati i nostri metodi paiono singolarmente imprecisi. Ma anche gli avvocati oggi debbono avere qualche scrupolo circa le prove di Norimberga. I documenti furono scelti non soltanto per dimostrare la colpevolezza degli uomini allora sotto processo, ma anche per nascondere la colpevolezza delle potenze accusatrici. Se una delle quattro potenze che istituirono il tribunale di Norimberga avesse potuto procedere da sola, certo avrebbe schizzato molto più fango: gli occidentali avrebbero portato in causa il patto nazi-sovietico; l'Unione Sovietica avrebbe replicato con la conferenza di Monaco e con altri più oscuri compromessi. Ma essendo quello il tribunale delle quattro potenze, non si poteva far altro che presupporre la colpevolezza della sola Germania. Il verdetto precedette il processo; e i documenti furono addotti per sostenere una conclusione già stabilita. Si tratta di documenti autentici, certo; ma sono “caricati”, e chiunque se ne fidi troverà quasi impossibile sottrarsi al peso di cui sono carichi»[131]. Raginald T. Paget, che difese il Feldmarschall Erich von Manstein, descrisse in quale situazione si trovavano i difensori degli imputati tedeschi. Nel luglio 1945 fu costituita una sezione speciale dell'esercito americano col compito di raccogliere, analizzare e ordinare il materiale di prova tedesco per l'accusa nell'ambito dei processi militari. I documenti selezionati furono mandati a Washington per essere vagliati di nuovo al fine di accertare se contenessero materiale di prova utilizzabile dall'accusa. I documenti così riselezionati furono fotocopiati e messi a disposizione dei tribunali. La difesa doveva scegliere i propri documenti tra questi[132]. Il 20 novembre 1945 Robert G. Storey, consigliere amministrativo degli Stati Uniti al processo di Norimberga, presentò al Tribunale un affidavit del maggiore William H. Coogan, capo della Sezione Documentazione dell' Ufficio del Procuratore degli Stati Uniti,  nel quale espose le procedure di raccolta e elaborazione dei documenti tedeschi: « A partire dallo scorso giugno, il sig. Justice Jackson mi ha chiesto di dirigere la raccolta di materiale di prova nel Continente per il processo degli Stati Uniti. Dal nostro ufficio furono organizzati gruppi mobili sotto la direzione del maggiore  William H. Coogan, che ha istituito nei centri principali di documenti dell'Esercito ufficiali di collegamento statunitensi che parlavano tedesco. Questi ufficiali avevano l'ordine di vagliare e analizzare la massa di documenti catturati e di selezionare quelli che avessero valore probatorio per il nostro processo. Sono state vagliate e analizzate letteralmente centinaia di tonnellate di documenti e atti nemici e quelli selezionati sono stati inoltrati a Norimberga per l'elaborazione. Presento come prova un affidavit del maggiore  Coogan datato 19 novembre 1945, qui allegato, che descrive il metodo di cattura, cernita e consegna di tali documenti a Norimberga. Dopo che i documenti, selezionati grazie alla summenzionata procedura di cernita, hanno raggiunto il nostro ufficio, sono stati riesaminati, rivagliati e tradotti da personale esperto  statunitense, molti  membri del quale sono nati in Germania e sono perciò in possesso di qualificazioni linguistiche e culturali eccellenti. Alla fine, sono stati selezionati e presentati qui  al palazzo di Giustizia più di 2.500 documenti. Almeno diverse centinaia sono addotti come prova. Essi sono stati fotografati, tradotti in inglese, archiviati, forniti di indici e sistemati. L'affidavit del maggiore  Coogan descrive parimenti questa procedura»[133] (corsivo mio). Il maggiore Coogan  confermò: « La squadra mobile della Sezione Documentazione è  costituita da personale che conosce a fondo la lingua tedesca. Il loro compito era la ricerca e la selezione di documenti nemici catturati nel Teatro europeo che rivelassero informazioni relative all'accusa contro i maggiori criminali di guerra dell'Asse»[134] (corsivo mio). Nelle aule dei tribunali il presunto sterminio ebraico, soprattutto riguardo a “campi di sterminio” e “camere a gas”,  divenne subito un «fatto di comune conoscenza» di cui bisognava semplicemente prendere «conoscenza giudiziale», vale a dire un dogma indiscutibile. La strategia difensiva degli imputati vi si adattò senza bisogno di pressioni. In tale contesto, la “confessione” era molto più remunerativa di una “negazione”, che avrebbe solo inasprito la pena per il malcapitato, perché sarebbe stato inevitabilmente giudicato un nazista incallito e impenitente. I testimoni dell'accusa, comprensibilmente esacerbati per le sofferenze che avevano patito a causa dei nazionalsocialisti, si precipitarono a reclamare la loro vendetta. I Tribunali si mostrarono estremamente comprensivi nei loro confronti, garantendo loro di fatto la totale impunità. Tra le migliaia di testimoni che deposero in decine di processi, non risulta infatti che uno solo sia stato incriminato per falsa testimonianza, sebbene molti avessero fatto dichiarazioni palesemente false e assurde. Il caso del processo Belsen è emblematico a questo riguardo. Fu il primo processo importante del dopoguerra e fu celebrato dai Britannici dal 17 settembre al 17 novembre 1945. Il maggiore imputato, l'SS-Hauptsturmführer Josef Kramer, era stato comandante del KL Auschwitz-II, Bireknau, dall'ottobre 1942 al maggio 1944, poi comandante del campo di Bergen-Belsen. Per questo motivo il processo si occupò anche di Auschwitz. Nella sua prima dichiarazione, Kramer aveva dichiarato ingenuamente la verità: «Ho sentito parlare  di accuse di ex prigionieri di Auschwitz relative a una camera a gas lì, di esecuzioni in massa e di frustate, di crudeltà delle guardie impiegate, e che tutto ciò avvenne o in mia presenza o a mia conoscenza. Tutto ciò che posso dire al riguardo, è che è tutto falso dall'inizio alla fine»[135]. Ma ben presto egli si rese conto della funzione ideologica e politica del processo. L'unica strategia difensiva ammissibile era la piena adesione al dogma delle “camere a gas”, e anche  il suo avvocato non poté fare altro che accettarlo: «Le camere a gas sono esistite, non c'è alcun dubbio su ciò»[136]. «Era chiaro che migliaia di persone erano state uccise nelle camere a gas di Auschwitz...»[137]. Perciò nel corso del dibattimento Kramer dovette ritrattare. Qui fece la sua apparizione la strategia che divenne poi una regola della difesa: l'imputato “sapeva”, ma non era direttamente  “responsabile”. Nel caso specifico, Kramer dichiarò: «Ricevetti un ordine scritto da lui [Rudolf Höss] secondo il quale non avevo nulla a che fare né con le camere a gas, né con i trasporti che arrivavano»[138]. Il processo Belsen è emblematico anche per quanto riguarda le testimonianze di ex detenuti. Sebbene il corpo della difesa fosse costituito da undici ufficiali britannici e uno polacco, essi non poterono fare a meno di sottolineare più volte l'inattendibilità dei testimoni: «Sto sostenendo che l'intero incidente è immaginario» (su A. Bimko)[139]. «Affermo che il vostro racconto, qui, oggi, è esagerato e falso.  [...]. Suggerisco che la stessa cosa vale per il resto della vostra testimonianza e che siete una testimone del tutto inaffidabile» (su S. Liwinska)[140]. «Io vi dico che questo incidente avvenne soltanto nella vostra immaginazione e che tutta la cosa è un tessuto di menzogne» (su D. Szafran)[141]. «Noi ci opponiamo a tutti questi affidavit che sono contenuti in questo libro e altrove, che vengono presentati alla Corte come prove.  A nostro giudizio tutte le deposizioni contenute in questo libro sono completamente inattendibili e invitiamo la Corte, dopo aver considerato le dichiarazioni, che si trovano nel libro, di quei testimoni che hanno già fatto la deposizione, di giudicare da esse e dire che le restanti non dovrebbero essere accettate dalla Corte perché sono del tutto inconsistenti e di valore così esiguo che la Corte non dovrebbe allontanarsi in modo così enorme da ciò che è la normale pratica delle Corti penali e delle Corti marziali generali»[142]. «L'avvocato ha chiesto alla Corte di considerare la storia di Bimko e  Hammermasch con riferimento all'uccisione dei quattro Russi come pura invenzione delle due testimoni che sono apparse in rapida successione in aula al solo scopo di aggredire verbalmente Kramer, il loro ex comandante, e che inoltre proprio per questo motivo queste due testimoni lo hanno accusato di aver preso  attivamente parte alle selezioni ad Auschwitz»[143]. «L'avvocato ha affermato che questo testimone è venuto in aula e ha fatto quest'accusa furibonda contro Kramer senza alcun riguardo per la verità [...]. L'avvocato ha chiesto alla Corte di accettare la storia di Kraft in toto e di rigettare la descrizione di  Sompolinski del campo n. 2, che non può essere sensatamente considerata una  descrizione veritiera»[144]. «Il maggiore Munro ha asserito che l'intera storia è pura assurdità...» (su H. Klein)[145]. «L'intera storia è fantastica» (su C.S. Bendel)[146]. «Ciò che Litwinska ha detto è inconcepibile quando venga confrontata con la deposizione del dott. Bendel. A giudizio dell'avvocato, ella ha anzitutto sentito dalla sua amica Bimko ciò che lei, Bimko, ha visto quando ha esaminato la camera a gas; poi ha udito la storia della ragazza che era stata salvata dalla camera a gas da  Hoessler e ha messo insieme le due cose creando questa storia stupida e irreale»[147]. Non era difficile individuare la radice di tutte queste menzogne: l'odio e il desiderio di vendetta. «I nazisti hanno suscitato una passione razziale in tutto il mondo ed io non credo che sia anormale o sorprendente che queste giovani ebree siano vendicative verso i loro ex guardiani o che cerchino di vendicarsi di loro»[148]. Mi sono soffermato a lungo sul processo Belsen perché illustra perfettamemte il clima che regnava all'epoca, i dogmi della corte, le strategie della difesa, le motivazioni dei testimoni. Attraverso una poderosa mobilitazione dei mezzi di informazione, i dogmi giudiziari divennero presto un'atmosfera mediatica che permeava e alimentava tutte le parti in causa, giudici e testimoni, ex detenuti ed ex SS, giornalisti e “opinione pubblica”. Ciò che gli avversari del revisionismo chiamano  “teoria della cospirazione” è in realtà quest'atmosfera onnipervadente: tutte le parti in causa si trovarono a sostenere, per ragioni diverse, il dogma delle “camere a gas”, non già in virtù di un complotto, ma perché questa era ormai la “verità” giudiziaria e mediatica indiscutibile. Per quanto riguarda i testimoni, non c'è affatto bisogno di presupporre che fossero tutti dei mentitori intenzionali; la cerchia di questi è numericamente insignificante. La stragrande maggioranza dei testimoni si limitò semplicemente a ripetere e abbellire ciò che aveva ascoltato da altre fonti, in un processo che David Irving ha chiamato “impollinazione incrociata”. Altri interpretarono eventi di cui ignoravano il significato alla luce delle “conoscenze” successive, in una sorta di autoillusione ben descritta da  Valentina Pisanty: «Spesso gli scrittori [cioè i testimoni: C.M.] intrecciano le proprie osservazioni dirette con frammenti di “sentito dire” la cui diffusione nel lager era capillare. La maggior parte delle inesattezze riscontrabili in questi testi è attribuibile alla confusione che i testimoni fanno tra ciò che hanno visto con i propri occhi e ciò di cui hanno sentito parlare durante il periodo dell’internamento. Con il passare degli anni, poi, alla memoria degli eventi vissuti si aggiunge la lettura di altre opere sull’argomento, con il risultato che le autobiografie stese in tempi più recenti perdono l’immediatezza del ricordo in favore di una visione più coerente e completa del processo di sterminio»[149] (corsivo mio). A partire dall'inizio degli anni Cinquanta,  la nascente storiografia olocaustica, grazie  a personaggi come Léon Poliakov, Gerald Reitlinger, Lord Russell of Liverpool, Artur Eisenbach ed altri, fece uscire dai tribunali la “verità giudiziaria” e cominciò a trasformarla gradualmente in “verità storica”. I processi precedenti alimentarono quelli successivi  in una  perversa spirale che ad ogni nuova sentenza consolidava la “verità giudiziaria” che era già presupposta fin dall'inizio. E la nuova “verità giudiziaria” consolidava a sua volta la “verità storica”. I numerosi processi celebrati nella ex Repubblica Federale Tedesca, più che ad amministrare la giustizia, mirarono soprattutto a puntellare la storiografia olocaustica. Alcuni imputati, come Wilhelm Pfannenstiel, ne furono consapevoli sponsor e furono adeguatamente retribuiti con un non luogo a procedere. Un libro come “NS-Verbrechen vor Gericht” (Crimini nazionalsocialisti davanti al tribunale) di Adalbert Rückerl[150] mostra visivamente la dipendenza della storiografia olocaustica dalla “storiografia giudiziaria” inaugurata dai Tribunali Militari alleati, che è come il terreno sul quale essa è germogliata[151]. Morsch e Perz dichiarano candidamente: «Senza l'attività investigativa di istituzioni giuridiche come la Commissione centrale polacca di Varsavia o la Zentrale Stelle der Landersjustizverwaltungen di Ludwigsburg, la ricerca storica sulle uccisioni in massa mediante gas tossico oggi diventerebbe molto difficile»[152]. Si aggiunga che, di norma, questi processi non giunsero a stabilire neppure una “verità giudiziaria”. Il caso del processo Auschwitz di Francoforte (20 dicembre 1963-20 agosto 1965) è rappresentativo a questo riguardo. Nella motivazione della sentenza i giudici stabilirono quanto segue: «Oltre a pochi documenti e non molto utili, a disposizione del Tribunale, per la ricostruzione delle azioni degli imputati, c'erano quasi esclusivamente testimonianze. La criminologia insegna che le testimonianze non appartengono al novero dei mezzi di prova migliori. Ciò tanto più  se la dichiarazione dei testimoni si riferisce a fatti che sono stati osservati dai testimoni venti o più anni prima  in uno stato indicibile di pena e di sofferenza. Perfino il testimone ideale, che vuole dire soltanto la pura verità e si sforza di vagliare i suoi ricordi, è soggetto dopo vent'anni ad alcune lacune di memoria. Egli incorre nel pericolo di proiettare su altre persone cose che ha realmente sperimentato e di interpretare come propria  esperienza cose che gli sono state raccontate molto drasticamente in quest'ambiente. Per questa via egli corre però il rischio di scambiare tempo e luogo nei suoi ricordi. [...]. Al contrario, bisogna tenere presente quale immenso lavoro minuzioso viene effettuato in un processo per omicidio dei nostri giorni, come sulla base di piccole tessere di mosaico si ricomponga il quadro di ciò che è realmente accaduto al momento dell'omicidio. Il Tribunale ha a disposizione  anzitutto il cadavere, il protocollo di autopsia, la perizia del perito sulle cause della morte e sul giorno nel quale essa dev'essere avvenuta, l'azione che ha portato alla morte della persona in questione. Esso ha a disposizione  l'arma del delitto, le impronte digitali che identificano il colpevole, ha a disposizione le impronte delle scarpe che egli ha lasciato quando è entrato nella casa della vittima e ci sono ancora molti particolari che danno al Tribunale l'indispensabile certezza che quest'uomo è stato assassinato da un ben determinato colpevole. Tutto ciò manca in questo processo»[153]. Già da questo quadro sommario risulta evidente che la storiografia olocaustica non ha nulla a che vedere con la normale storiografia. La storia medievale, per riprendere l'esempio dei “controversial bloggers” (p. 29), non è scaturita dalle aule di tribunali militari per punire un colpevole, e ciò vale per tutte le altre branche della storiografia. Solo quella olocaustica rappresenta un'anomalia palese. L“unicità” dell'Olocausto è perfettamente vera, ma solo con riferimento alla relativa storiografia. È la storiografia olocaustica che è “unica”, e ciò è dimostrato dal fatto che essa è l'unica considerata in molti Stati, per legge, intangibile, una sorta di Verità metafisica che nessuno può toccare, pena la galera. I politici che hanno approvato le leggi antirevisionistiche hanno confermato in tal modo che la storiografia olocaustica ha una natura essenzialmente ideologica e politica che va protetta per legge. Ma nessuno ha mai chiesto leggi contro i “negatori”, ad esempio, di questo o quell'aspetto della storia medievale. Jürgen Graf ha notoriamente sperimentato sulla propria pelle il potere di questa intangibilità. Nel quadro di questa storiografia ideologica, dove ogni fonte extra-documentaria è inficiata fin dall'origine dagli scopi e dalle procedure dei Tribunali Militari, stupisce molto che, per noi, «l'unica fonte che può essere considerata un “documento” è un rapporto tedesco»? Ma perfino su ciò ci sarebbe da discutere.  La raccolta e la cernita dei documenti tedeschi effettuata dai vincitori della seconda guerra mondiale rappresentarono  anch'esse «una continuazione dello sforzo bellico delle Nazioni alleate»; fu infatti eseguita al solo scopo di individuare materiale per la «punizione» di crimini la cui realtà era presupposta a priori. Anche per questo verso la storiografia olocaustica è unica. Tutti i documenti preselezionati ed esibiti nei vari processi sono documenti dell'accusa; la difesa avrebbe dovuto cercare i propri documenti tra di essi, sicché, in via di principio, non esistono documenti della difesa. Più in generale, l'intero materiale d'archivio attualmente disponibile è solo una documentazione d'accusa. I Plagiari a suo tempo ironizzarono sul fatto che Graf ed io, negli archivi orientali, non trovammo documenti sulla destinazione degli Ebrei che, a nostro avviso, furono trasferiti all'Est dai presunti “campi di sterminio”. Se si considera che questi archivi constano di documentazioni raccolte dai Sovietici, si può sperare seriamente di trovarvi documenti di tal fatta? Questo punto fondamentale della questione è ormai documentariamente insolubile qualunque sia la prospettiva da cui si esamina: se i “campi di sterminio” sono esistiti, i nazionalsocialisti hanno distrutto la relativa documentazione sulle “camere a gas” e gli stermini; se i “campi di sterminio” non sono esistiti, i Sovietici hanno distrutto la relativa documentazione su trasferimenti e reinsediamenti. In questo dilemma, la prospettiva olocaustica ha lo svantaggio di dover dimostrare la realtà di “camere a gas” e stermini senza documenti, ricorrendo esclusivamente  a “testimonianze” e “confessioni”, le quali, come ho spiegato sopra, senza un valido riscontro documentario, dal punto di vista di questa storiografia anomala,  non valgono nulla. Tuttavia, sebbene questo dilemma sia reale, la posizione revisionistica è più ragionevole. È noto infatti che i Tedeschi hanno lasciato un quantitativo cospicuo di documenti relativi alle fucilazioni di Ebrei soprattutto nei territori orientali, documenti che parlano un linguaggio schietto e crudo. Perché allora avrebbero dovuto distruggere sistematicamente tutti i documenti relativi ai “campi di sterminio” dell' “Azione Reinhardt” e a Chełmno? Questa distruzione “settoriale” di documenti  non ha senso. Né si può credere seriamente che i documenti sulle fucilazioni si siano salvati per un caso fortuito (ma in tale eventualità si tratterebbe di una vera moltitudine di casi fortuiti), come ipotizzò insensatamente Jean-Claude Pressac per gli archivi della Zentralbauleitung di Auschwitz, che furono lasciati dalle SS praticamente intatti  ai Sovietici[154]. Si sa con certezza che i nazionalsocialisti avevano direttive ben precise per la distruzione di documenti per loro importanti, come risulta da numerosi dossier che  si trovano nell'Archivio Storico Militare di Praga. I documenti classificati  “segreto di Stato” (geheime Sache) e “affare segreto del Reich” (geheime Reichssache) appartenenti all'Einsatzgruppe VII dell'Organizzazione Todt furono distrutti fin dal gennaio 1945 per ordine superiore e fu redatto un “protocollo di distruzione” (Vernichtungsprotokoll)con elenco dettagliato di tutti i documenti distrutti[155]. Ma riguardo ai campi dell' “Azione Reinhardt” non sono stati trovati neppure questi protocolli. La conclusione è che, in pratica, non si sa affatto quale materiale documentario i Tedeschi abbiano realmente distrutto e quale i Sovietici abbiano realmente trovato. Il compito e la funzione essenziale del revisionismo non è di “negare” presunte installazioni o eventi, ma di vagliare e verificare questa storiografia ideologica. Da un punto di vista strettamente metodologico, il problema fondamentale non è se le “camere a gas” sono esistite o non sono esistite, ma se le prove addotte dalla storiografia olocaustica sono fondate o infondate. Dal punto di vista storico ci interessa, positivamente, ciò che accadde realmente, e questo è il senso principale delle nostre ricerche. Siamo anche inclini a credere che la propaganda di guerra sublimata prima in “verità” giudiziaria e divenuta poi universale atmosfera di “verità” storica e mediatica, influenzi pesantemente la maggior parte degli storici olocaustici, che pertanto consideriamo in generale in buona fede, per lo meno riguardo alla loro visione storica complessiva, anche se a volte essi creano, come Raul Hilberg, un evidente tessuto di menzogne intenzionali[156]. Tuttavia, al suo sorgere, questa storiografia fu  animata da opportunismo e malafede.  Nonostante le «centinaia di tonnellate di documenti e atti nemici» esaminati soltanto dagli Americani in vista dei  grandi processi del dopoguerra,  nei 72 volumi delle tre raccolte processuali più importanti[157], come ha osservato giustamente Samuel Crowell, sulle presunte camere a gas fisse vi erano appena tre documenti, due su Auschwitz e uno su Gross-Rosen: NO-4473, NO-4465 e NO-4345. Uno, la ben nota lettera di Bischoff del 29 gennaio 1943, conteneva un errore di traduzione, in quanto il termine “Vergasungskeller” (scantinato di gasazione) veniva reso con “camera a gas”[158]; il secondo, la lettera della Zentralbauleitung di Auschwitz del 31 marzo 1943, un errore ancora più grave, perché il termine “Türme” (torri), errore di battitura per “Türen” (porte), veniva tradotto con “camere a tenuta di gas” (gas-tight chambers)[159]; l'ultimo recava una grossolana falsificazione, perché  nella lettera della ditta Tesch und Stabenow del 25 agosto 1941 al campo di Gross-Rosen faceva diventare “due camere di sterminio” (two extermination chambers) le due camere di disinfestazione con sistema Degesch-Kreislauf che erano state ordinate a questa ditta dalla locale Bauleitung[160]. La successiva lettera di questo ufficio allo Hauptamt Haushalt und Bauten del 28 agosto, che si richiama alla lettera summenzionata, ha come oggetto, appunto, “impianto di disinfestazione” (delousing plant)![161] Su Bełżec si fantasticava di  impianti di folgorazione e su Treblinka di “camere a vapore”[162]. Su Chełmno e Sobibór  non si sapeva praticamente nulla. Nonostante ciò, nessuno storico fu mai sfiorato dal minimo dubbio che la storia delle “camere a gas” potesse essere infondata. Al pari dei Tribunali, essi la assunsero aprioristicamente come  un «fatto di comune conoscenza», un fatto certo  che non bisognava discutere, ma solo dimostrare. E dopo quasi settant'anni non ci sono ancora riusciti, ma persistono ossessivamente in questa loro vana impresa. Quanto ai Plagiari, essi costituiscono una sorta di precipitato di questa storiografia, una feccia melmosa che raccoglie tutti i suoi aspetti peggiori. La loro metodologia (se si può usare questo termine) è grossolanamente semplicistica, perché non è il risultato di un atteggiamento critico, ma fideistico e fondamentalista. Essi credono che i campi Reinhardt fossero “campi di sterminio”, di conseguenza per loro tutti i testimoni sono veritieri a priori; ciò comporta  una distorsione sistematica da un lato delle testimonianze, consistente in una penosa e ridicola sequela di tentativi di “spiegare” o giustificare le innumerevoli contraddizioni che presentano, dall'altro della documentazione nazionalsocialista, travisata in funzione dello “sterminio” con dovizia di menzogne e imposture. Noi invece partiamo da  certezze basate su altrettanti dati di fatto, che descrivo sotto. 3) Auschwitz: il primo esempio di schizofrenia olocaustica I “controversial bloggers” dimostrano la loro cialtroneria fin dall'inizio della loro “critica”: «Dai primissimi giorni  del loro movimento, i negatori dell'olocausto hanno largamente incentrato i loro argomenti sul campo della morte di Auschwitz. Esaminando la letteratura che elabora il cosiddetto revisionismo olocaustico, l'ossessione di Auschwitz è senza dubbio una delle caratteristiche che lo definiscono» (p. 6). Qui essi con la loro tipica sfrontatezza capovolgono semplicemente la realtà. Una bibliografia stilata da Museo di Auschwitz su questo campo  relativa agli anni 1942-1980 contiene 1950 titoli (di cui appena una decina revisionisti)[163]: questa è la prova che chi aveva ed ha una vera e propria «ossessione su Auschwitz» sono gli storici e i memorialisti olocaustici. Tra il 1989 e il 1993 Jean-Claude Pressac focalizzò l'attenzione degli storici e dei mezzi di informazione su Auschwitz con i suoi due studi fondamentali su tale campo[164]. Nel 1994 Michael Berenbaum, nella prefazione ad un altro classico della letteratura olocaustica, scrisse: «Auschwitz fu il più grande e letale dei campi della morte nazisti»[165]. Due anni dopo apparve un voluminoso studio di Debórah Dwork e Robert Jan van Pelt[166] e nel 1999 il Museo di Auschwitz pubblicò la sua storia del campo in cinque volumi[167]; infine, nel 2002 vide la luce l'opera massima di Robert Jan van Pelt[168], per citare solo i libri più importanti. Gli studiosi revisionisti non fecero altro che rispondere a questa letteratura olocaustica, compito tanto più doveroso in quanto la documentazione esistente su questo campo è notoriamente enorme. Per quanto riguarda i “Bloggers Polemisti”, è fin troppo facile poi rilevare che sono proprio loro a mostrare  una vera e propria “ossessione” nei nostri confronti, come risulta dai contenuti del loro blog. Subito dopo essi aggiungono: «Dopo aver discusso per tanto tempo su Auschwitz e dopo aver perduto i loro argomenti in pubbliche udienze durante il processo per diffamazione Irving contro Lipstadt nel 2000, i negatori cominciarono a rivolgere la loro attenzione ai campi della cosiddetta Azione Reinhard di Belzec, Sobibor e Treblinka» (p. 6). Mi sembra evidente che i nostri fomentatori di odio soffrono di una grave forma di schizofrenia olocaustica che li separa dalla realtà, la quale, per quanto mi riguarda, è questa: dopo la sentenza del processo in questione (11 aprile 2000) ho pubblicato gli otto studi fondamentali su Auschwitz che ho elencato sopra, tra cui una demolizione sistematica della perizia (e della successiva opera) di van Pelt che determinò la vittoria processuale di D. Lipstadt. I tre studi più voluminosi e più importanti, che da soli coprono oltre 2.100 pagine, sono di   5-7 anni posteriori alla fatidica data del 2005, anno in cui ci sarebbe stato «evidente cambiamento nel discorso revisionistico».  4) Scopo e significato della nostra risposta Nella loro puerile arroganza, i Plagiari azzardano questa ridicola previsione: «Dato che i negatori sembrano incapaci di leggere un libro dall'inizio alla fine[169], anticipiamo che molti lettori negazionisti cominceranno dal capitolo sulle camere a gas e risponderanno con incredulità personale. Ignoreranno le lunghe sezioni sull'accertamento e sulla conoscenza durante la guerra (capitolo 1), le prove schiaccianti [!] delle decisioni di sterminio (capitolo 2) e la contorta via verso Belzec (capitolo 3). Rifiuteranno di accettare ogni onere della prova per mostrare che ci fu un'impostura (capitolo 1) o per mostrare prove sistematiche del reinsediamento, non le stupidaggini per sentito dire prese qua e là che Kues ipocritamente sfoggia come prove (capitolo 4). Tutte queste cose sarebbero errori. La critica vuole essere letta per intero e gli argomenti proposti in ogni capitolo non devono essere prospettati indipendentemente l'uno dall'altro» (p. 36). La cosa più incredibile è che essi credono davvero di aver prodotto un'opera storica inattaccabile, il che conferma pienamente la loro schizofrenia olocaustica. In realtà essi hanno costruito un castello di sabbia che si dissolve e scompare alla prima ondata di critica revisionistica. E la nostra critica, che presentiamo qui, è totale e radicale: essa non elude nessuno dei capitoli del  Manifesto “copia e incolla” e risponde a tutti gli argomenti dei “Bloggers Polemisti”, compresi quelli particolarmente idioti (che sono molti). Lo scopo della nostra risposta non è tanto quello di confutare la loro fallace “ricostruzione storica”, mettendone in evidenza le falsità, le imposture e le farneticazioni visionarie: gente di tal fatta - fomentatori di odio, vandali e falsari - non meritano alcun rispetto e neppure una replica. Con i loro plagi inauditi, essi hanno comunque elaborato una specia di Summa Holocaustica, ammucchiando alla meglio tutti gli argomenti possibili e immaginabili a favore della tesi delle “camere a gas” e tutte le critiche possibili e immaginabili contro la nostra tesi. La nostra risposta mira dunque soprattutto a dimostrare la totale vacuità della pretesa olocaustica che Bełżec, Sobibór e Treblinka furono “campi di sterminio” dotati di “camere a gas” omicide. A ciò i Plagiari hanno fornito un contributo decisivo, da un lato mettendo in risalto la totale inconsistenza storica di tale pretesa, dall'altro stimolandoci ad approfondimenti estramemente proficui. Ciò riguarda anzitutto l'accesso a una cospicua mole di nuovi documenti, che si è concretizzato nella presentazione di moltissimi nuovi argomenti ancora più solidi di quelli da noi precedentemente esposti. Il risultato è la fine della leggenda dei “campi di sterminio” dell' “Azione Reinhardt”. A questo riguardo l'apporto di Roberto Muehlenkamp è stato fondamentale. Nei suoi due capitoli sulle  «prove forensi e archeologiche sulle fosse comuni» (p. 35) e su «fabbisogni di combustibile, tempo di cremazione ed eliminazione dei resti della cremazione» egli ha sciorinato una sequela di vaneggiamenti e corbellerie talmente enormi che dimostrano da soli tutta l'assurdità dello scenario olocaustico. In virtù di un effetto boomerang che i fomemtatori di odio, nella loro tronfia arroganza, non hanno neppure immaginato, la loro “critica” ci ha indotto a creare i presupposti per un nuovo studio  generale sui campi dell' “Azione Reinhardt” che apparirà dopo che avremo espletato i nostri impegni più urgenti, che abbiamo dovuto accantonare temporaneamente per redigere questa risposta. Il tempo che vi abbiamo dedicato e l'impegno che vi abbiamo profuso non sono dunque  andati sprecati, perché culmineranno nella redazione di un nuovo libro in formato cartaceo molto più documentato dei tre precedenti, e questo è lo scopo principale della nostra risposta. Nel Manifesto “copia e incolla”  i Plagiari  presentano una “ricostruzione storica”  basata su una marea di spezzoni di documenti travisati, di frasi in inglese estrapolate da documenti di cui ignorano perfino il testo tedesco, di pseudoargomentazioni e  chiacchiere futili. Per rendersi conto della sua totale inconsistenza storiografica e per meglio comprendere il significato e il valore delle nostre risposte, bisogna partire dai dati di fatto sui  campi dell' “Azione Reinhardt” che vengono documentati in questo studio, ma che è necessario anticipare qui: 1) Non esiste alcun documento sulla gasazione di Ebrei nei campi dell' “Azione Reinhardt”. 2) Non esiste alcun ordine tedesco di  sterminio ebraico in questi campi. 3) Non esiste alcun ordine tedesco di costruzione di questi campi come “campi di sterminio”. 4) Le indagini archeologiche polacche condotte a Bełżec e a Sobibór non hanno reperito alcuna traccia delle “camere a gas”. 5) A Bełżec e a Treblinka sarebbe stato impossibile seppellire i corpi delle presunte vittime, ma ne sarebbero rimasti insepolti rispettivamente 281.200 e 654.800. L'uccisione e l'inumazione di 434.508 persone nell'uno e di 758.400 nell'altro non può dunque essere reale. 6) Per questi due campi il volume delle ceneri avrebbe superato del 109% e del 305% il volume delle fosse comuni ufficialmente “accertate”, mentre a Sobibór avrebbe occupato più del 50% del volume delle fosse. Dati che non trovano conferma archeologica, dunque non possono essere  reali. 7) In nessuno dei tre campi sarebbe stato possibile procurare nei termini asseriti il quantitativo di legna necessario per la cremazione dei corpi; per rifornire tutti e tre i campi  i detenuti addetti a questo lavoro avrebbero impiegato 9.716 giorni, oltre 26 anni e mezzo! La fornitura di un tale quantitativo di legna non può dunque essere reale. 8) Anche la cremazione dei presunti cadaveri sarebbe stata impossibile nei limiti cronologici asseriti e si sarebbe prolungata di altri 592 giorni. Perciò la cremazione dei corpi dei presunti gasati non può essere reale. Di fronte a queste evidenze, i patetici tentativi dei Plagiari di accreditare la tesi dello sterminio svaniscono come nebbia olocaustica al sole revisionistico.

 CAPITOLO 3

 NICK TERRY E LA GENESI PROPAGANDISTICA DEI CAMPI DELL' “AZIONE REINHARDT”

 (Carlo Mattogno)

 [1] A p. 38 Nick Terry comincia il capitolo 3, intotolato “L'impostura che non osa manifestarsi in pubblico” esponendo la “teoria della cospirazione”, di cui si è già discusso. In tale contesto,  egli assevera con grande sicumera: «Peraltro, è praticamente impossibile trovare un autore revisionista importante che in qualche punto non avanzi una pretesa di invenzione, manipolazione, coercizione o altre forme di manovre disoneste». Nel capitolo 2  ho  mostrato che questa teoria, per ciò che ci riguarda, è completamente infondata. La pretesa di Terry che il revisionismo abbia esclusivamente un carattere negativo, “negazionistico”, è smentita dai fatti. Per limitarci alle opere menzionate sopra, chi può credere seriamente che le oltre 3.800 pagine dedicate ad Auschwitz, le oltre 900 consacrate ai campi dell' “Azione Reinhardt”, le oltre 400 relative ai campi di Majdanek e Stutthof contengano semplici “negazioni”? Sul significato reale di “propaganda nera” (p. 43) mi sono già soffermato prima. Terry aggiunge che i rapporti della Delegatura (la rappresentanza in Polonia del Governo polacco in esilio a Londra)e di organizzazioni clandestine ebraiche «non si possono chiamare “propaganda”». Di nuovo una sofistica distinzione terminologica. Nel 1945 il Governo polacco stilò un lungo rapporto ufficiale per il processo di Norimberga, che fu presentato dai Sovietici come documento URSS-93. Un paragrafo riguardava i “Campi di sterminio”. Riguardo a Bełżec, la relativa commissione era giunta a questi “accertamenti”: «All'inizio del 1942 i primi rapporti indicavano che in questo campo venivano usate speciali installazioni elettriche per uccidere in massa rapidamente gli Ebrei. Col pretesto di portarli a fare il bagno, gli Ebrei venivano spogliati completamente e condotti in un edificio il cui pavimento era elettrificato ad alta tensione». Su Treblinka il rapporto dice che gli Ebrei «venivano messi a morte in camere a gas, mediante vapore e corrente elettrica». Per Sobibór afferma laconicamente che «essi erano uccisi in camere a gas», senza alcun accenno ai gas di scarico di motori. Ad Auschwitz il rapporto attribuiva «milioni» di vittime, e  asseriva che «a Majdanek furono assassinati 1.700.000 esseri umani». La storia delle “camere a vapore” di Treblinka fu oggetto di un altro  rapporto ufficiale del Governo polacco. Esso descriveva come segue l' “Accusa n. 6” contro Hans Frank: «Le autorità tedesche, che agivano sotto la responsabilità del governatore generale dott. Hans Frank, istituirono nel marzo 1942 il campo di sterminio di Treblinka, destinato all'uccisione in massa di Ebrei per mezzo del soffocamento in camere piene di vapore». Le credenziali del rapporto, redatto il 5 dicembre 1945, sono presentate così: «Certificato. Si certifica che il documento intitolato “Accusa n. 6, Campo di Treblinka”, riguardante lo sterminio di Ebrei in questo campo, viene con la presente presentato ufficialmente dal Governo polacco al Tribunale Militare Internazionale dal sottoscritto secondo le clausole stabilite nell'articolo 21 dello Statuto. Dott. Tadeusz Cyprian, vicerappresentante polacco alla Commissione dei Crimini di Guerra delle Nazioni Unite a Londra»[170]. Terry può definire questi rapporti come gli pare, ma resta il fatto che le affermazioni in essi riportate sono false e, dunque, come intendiamo noi, puramente propagandistiche. Poiché esse furono presentate in rapporti ufficiali, si deve presupporre che il Governo polacco avesse vagliato tutte le fonti disponibili, in particolare quelle della Delegatura e dei vari movimenti di resistenza ebraici, sicché i rimproveri che Terry rivolge a noi si ritorcono anzitutto contro il Governo polacco dell'epoca. [2] Egli cita poi un lungo rapporto su Bełżec dell'Armia Krajowa (“esercito nazionale”, il più importante movimento di resistenza clandestino polacco) risalente all'aprile 1942, «che Mattogno ritiene opportuno ignorare completamente nel suo libro su Belzec» (pp.  47-48). Questo rimprovero potrebbe valere per l'edizione americana del libro, ma non per quella italiana, dove ho discusso i tre metodi di sterminio in esso elencati[171]. Ecco il relativo testo presentato da Terry: «Non si sa con quali mezzi gli Ebrei vengano liquidati nel campo. Ci sono tre congetture: (1) elettricità; (2) gas; (3) estrazione dell'aria mediante pompaggio. Riguardo a (1): non c'è una fonte visibile di elettricità; riguardo a (2): non fu osservata alcuna consegna di gas  né alcun residuo del gas dopo la ventilazione della camera a gas;  riguardo a (3): non ci sono fattori per negarlo. Fu anche accertato che durante la costruzione di una delle baracche, le pareti e il pavimento furono rivestite di lastre metalliche (per qualche scopo)» (p. 48). Nella nota 46 egli scrive: «Zygmunt Marikowski, Zwiazek Walki Zbrojnej, I, Armia Krajowa w Okregu Lubelskim, London. 1973. Book Two, Documents, pp.34-35, anche tradotto e citato in Arad, Belzec, Sobibor Treblinka, pp.350-1». Il testo è ovviamente tratto dal libro di Arad, che ne offre una traduzione alquanto approssimativa, in qualche punto errata. Ecco la traduzione corretta secondo il testo di Caban e Mańkowski citato sotto: «Non si sa in quale modo [letteralmente: di quale morte] gli Ebrei periscano al campo. Ci sono tre ipotesi: 1)  elettricità, 2) gas [gazami, plurale], 3) aria rarefatta coll'aiuto di una pompa aspirante. Riguardo a 1) - mancanza di un efficiente[172]  fonte di corrente, riguardo a 2) - non fu osservata la consegna dei gas [gazów, plurale], né l'azione di resti di gas [gazu, singolare] dopo la ventilazione, riguardo a 3) - L'ipotesi non ha elementi  [letteralmente: momenti] che la possano negare. C'è invece la conferma che durante la costruzione le pareti e il pavimento di una delle baracche furono rivestiti di spessa lamiera (a quanto sembra, appositamente)». Terry offre subito un bell'esempio della sua attività di ridicolo plagiario. Dico ridicolo perché ha inventato un libro inesistente. Il testo in questione  è stato infatti scritto da Ireneusz Caban e Zygmunt Mańkowski e reca il titolo “Związek Walki Zbrojnej i Armia Krajowa w Okręgu Lubelskim” (Unione della Lotta Armata ed Esercito Nazionale nel distretto di Lublino)[173]. Nel titolo di Terry la congiunzione “i”, “e”, diventa “I”, che designa un tomo o un volume o una sezione. Questo assurdo titolo viene ripetuto identico nella nota 359 a p. 218: «Zygmunt Marikowski, Zwiazek Walki Zbrojnej, I, Armia Krajowa w Okregu Lubelskim, London. 1973. Book Two, Documents, pp.34-35». Terry cerca faticosamente di giustificare le assurdità contenute nel documento - che non avevano in realtà ragion d'essere, perché, come ho spiegato nel capitolo 2 «sia il campo sia i segreti del campo» erano noti «fin dall'inizio alla popolazione locale» - e attira l'attenzione sui trasporti ebraici: ne arrivarono 52, «mentre “nessun Ebreo lasciò il campo durante il giorno o la notte”». Da ciò sarebbe derivata «la conclusione che “c'era una uccisione in massa di Ebrei all'interno del campo”». Qui non ravviso neppure malizia, ma la puerile ingenuità di colui che crede a priori alla veridicità di qualunque fonte olocaustica. La pretesa che dal campo non uscisse nessun trasporto carico di Ebrei, per Terry e i suoi consimili può anche essere una “osservazione”; per noi è una semplice affermazione indimostrata, per di più smentita dal testimone Karski. Di tali pretese “osservazioni” la letteratura olocaustica è piena. Per addurre l'esempio più eclatante: la favola dei 4 milioni di vittime di Auschwitz non veniva anch'essa presentata dai testimoni come frutto di “osservazioni” di “testimoni oculari”? Invertendo i fattori, si può asserire che gli autori del rapporto inventarono o ripresero da altre fonti la storia dei treni che entravano carichi nel campo di Bełżec e non ne uscivano mai pieni, neppure di notte[174]; creato così il “campo di sterminio”, non restava che dare adito alla fantasia per descrivere il sistema di uccisione. Se, come è probabile, le fonti erano ebraiche, la spiegazione è ancora più chiara. Gerald Reitlinger descrisse così tali fonti: «Questo materiale va usato con una certa cautela, specie per quanto riguarda l'ultimo gruppo [i racconti dei superstiti]. La più gran parte delle documentazioni sui campi di morte in Polonia, ad esempio, è stata raccolta dalle Commissioni d'inchiesta del Governo Polacco e  dalla Commissione Centrale di Storia Ebraica della  Polonia interrogando i superstiti fisicamente validi, i quali erano ben di rado uomini di qualche cultura. Inoltre l'ebreo dell'Europa orientale è retorico per natura, ama esprimersi con similitudini fiorite. [...]. Talvolta la fantasia superava ogni credibilità ... Anche i lettori che non soffrono di pregiudizi razziali possono trovare un poco troppo pesanti, per poterli digerire, i particolari di questi assassinii mostruosi, ed essere indotti a gridare Credat Judaeus Apella e a relegare questi racconti tra le favole. In fondo i lettori hanno il diritto di pensare che si tratta di testimoni “orientali”, per i quali i numeri non sono che elementi retorici. Perfino i loro nomi -  Sunschein, Zylberdukaten, Rothbalsam, Salamander: Raggio di Sole, Ducati d'Argento, Balsamo Rosso, Salamandra - sembrano parti di fantasia»[175]. Il compito dello storico è quello di «liberare i fatti dalla fantasia»[176], ma non certo quello di trasformare la fantasia in fatti. [3] Terry mi muove poi quest'accusa: «Il commento di Mattogno sui rapporti, che non specificano “camere a gas impieganti il gas di scarico di un motore Diesel”, è un esempio particolarmente odioso della fallacia di precisione fuori luogo e di classica istanza di fuorviamento negazionistico» (p. 49). Qui la «fallacia» è di Terry, perché nessun rapporto noto su Bełżec menziona «camere a gas impieganti il gas di scarico», indipendentemente dal tipo di motore. L'unica eccezione nota riguarda Treblinka ed è stata citata proprio da noi[177].  Per il resto non ho mai taciuto rapporti che menzionano anche “gas”, tanto è vero che il primo che adduco nel mio libro, risalente all'8 aprile 1942, parla appunto di Ebrei  «uccisi con la corrente elettrica [prądem elektrycznym] o avvelenati con i gas [gazami[178].  Nei rapporti in discussione il termine polacco “gaz” è estremamente generico; usato al plurale, significava che non si aveva proprio nessuna idea  sulla loro natura. E non bisogna dimenticare che anche  le “camere a vapore” erano considerate “camere a gas”. Il fatto che i rapporti su Bełżec parlino a volte anche di “gas”, cosa che non ho mai taciuto, fu considerato dal Governo polacco tanto irrilevante da non essere neppure degno di menzione. Il rapporto dell'8 aprile 1942 menzionato sopra è tratto dal “Diario degli anni dell'occupazione” di Zygmunt Klukowski. Terry lo cita a sua volta all'inizio di  p. 49, ma il relativo testo è tratto parola per parola dall'edizione americana del mio libro. Nella relativa nota egli ha inserito il mio riferimento, «Zygmunt Klukowski, Dziennik z lat okupacji, Lublin, 1959, p. 254», senza il minimo accenno alla vera fonte. Un “copia e incolla” sfrontato! Aggiungo che il rapporto summenzionato asserisce anche che «poi i cadaveri vengono bruciati [zwłoki palą[179].  A Bełżec la cremazione dei cadaveri delle presunte vittime era pertanto già in corso all'inizio di aprile del 1942, oltre quattro mesi prima di quanto i Plagiari siano disposti surrettiziamente ad ammettere e oltre otto mesi prima della datazione “ufficiale” olocaustica. Naturalmente  anche questa menzogna derivò da adeguate “osservazioni”. [4]  Nella nota 49 a p. 49, come ha già rilevato Jürgen Graf, Terry, costretto dall'evidenza, fa un piccolo atto di contrizione: «Il presente autore in precedenza ha espresso il sospetto che Udo Walendy avesse alterato il giornale originale [Dziennik Polski] per ottenere un “goal” revisionistico ed è felice di accettare che ha agito proprio come un ... revisionista, vedi Thomas Kues, “A Premature News Report on a ‘Death Camp’ for Jews”, Inconvenient History». Ciò mostra la tipica ipocrisia dei “Bloggers Polemisti”: mentre da un lato accusano noi di non aver consultato varie fonti, dall'altro lanciano accuse infondate senza verificare le fonti. Terry dice anche il falso, perché egli non  ha «espresso il sospetto», ma, pur non conoscendo il testo originale  del giornale in questione, il Dziennik Polski,  ha dichiarato apoditticamente che la riproduzione di Walendy era «in effetti un falso negazionista piuttosto rozzo, più specificamente un'alterazione del testo originale»[180]. Per dimostrare l'inconsistenza di tale accusa, Kues ha dovuto pubblicare la pagina del rapporto polacco originale, cosa che, secondo logica ed onestà, avrebbe dovuto fare Terry. Sulla questione ritornerò successivamente, per confutare le ulteriori falsità di Terry al riguardo. [5] Egli liquida la storia della folgorazione a Bełżec come semplice «distorsione basata su dicerie» e per spiegare la genesi di queste «dicerie» non trova di meglio che ricorrere a un proverbio: «non c'è fumo senza arrosto» (p. 51). Qui l' «arrosto» era il fatto indiscutibile che i deportati non tornavano più indietro, il che però non esclude che andassero avanti, all'Est. Gli Ebrei sparivano dai ghetti, “dunque” venivano assassinati da qualche parte, “dunque” esistevano “campi di sterminio”. Tutte le  elucubrazioni di Terry sono smentite da due semplici fatti: 1) dato che la popolazione di Bełżec sapeva tutto fin dall'inizio, la “verità” attuale si sarebbe dovuta imporre fin dall'inizio; che senso ha la «distorsione basata su dicerie» se c'era un intero villaggio di testimoni oculari, molti dei quali  avevano persino accesso al campo? 2) il Governo polacco scelse come verità ufficiale per il processo di Norimberga la folgorazione. [6] Terry afferma poi che i rapporti non sono tutti polacchi o ebraici, il che confuterebbe la mia «tesi sulla propaganda». Egli ne cita uno del 20 agosto, «stilato dal console svedese a Stettino, Vendel, dopo un incontro con un ufficiale dell'esercito tedesco, molto probabilmente in contatto col circolo resistenziale attorno a Henning von Tresckow». Vi si dice che «nelle città tutti gli Ebrei vengono raccolti; sono informati ufficialmente che ciò è a scopo di “spidocchiamento”. All'ingresso devono lasciare i loro vestiti, che vengono mandati immediatamente ad un “magazzino centrale di materiali tessili”. Lo spidocchiamento è in pratica la gasazione, dopo la quale tutti sono  ammassati in fosse comuni già preparate» (p. 52, sottolineatura mia). Un'ottima conferma della tesi di Samuel Crowell! Le pratiche di spidocchiamento  «nelle città» venivano assimilate alla gasazione omicida. Per quanto riguarda la fonte, riaffiora di nuovo la puerile ingenuità di Terry. Poiché il documento fu redatto a Stettino, a suo avviso la fonte non può essere polacca o ebraica. E da che cosa si desume ciò? Il rapporto dice soltanto che  la fonte «è tale che non ci può essere ombra di dubbio che la sua descrizione sia vera» (p. 52). Sebbene risalga al 20 agosto 1942, questo rapporto[181] ignora completamente i presunti “campi di sterminio” di Bełżec, Sobibór e Treblinka e perfino le deportazioni ebraiche; la pretesa gasazione omicida avveniva «nelle città» e appunto per questo esso espone questa ridicola menzogna propagandistica: «Il numero di Ebrei assassinati a Lublino è stimato a 40.000». Questo rapporto costituisce pertanto una ulteriore conferma del carattere grossolanamente propagandistico delle prime notizie sui “campi di sterminio” orientali. [7] Nel novero di questi rapporti non polacchi o ebraici, Terry adduce il «rapporto Ubbinkt»: «Mattogno tace completamente sul rapporto Ubbink a Belzec [sic], e per la verità ha pochissimo da dire su Gerstein in quell'opuscolo [sic]. Egli potrebbe certo replicare rinviando alla sua discussione su Gerstein a Treblinka (!) e al suo libro su Gerstein degli anni Ottanta - sfortunatamente nessuna copia di quest'ultimo appare nella disponibilità di nessuna biblioteca della patria del presente autore, perciò per tutti gli scopi pratici potrebbe anche valere come inesistente. La confusione e l'incoerenza prodotte dal suo rifiuto di discutere il rapporto Ubbink nel suo proprio contesto - i rapporti del tempo di guerra su Belzec - e il rifiuto più generale di analizzare i tre campi insieme, è ai nostri occhi un tipico esempio della disonestà e della insulsaggine intellettuale di Mattogno». Qui è Terry che ostenta invece un'altra prova della sua profonda «disonestà e della sua insulsaggine intellettuale». Premetto che il termine che impiega, «rifiuto», è scioccamente inappropriato, perché, eventualmente, bisognerebbe parlare di “omissione”. Ma neanche ciò è vero. Se egli non è riuscito a procurarsi il mio libro “Il rapporto Gerstein. Anatomia di un falso[182] è solo una sua mancanza ed è assurdo dire che il libro  «per tutti gli scopi pratici potrebbe anche valere come inesistente». In quest'opera di 243 pagine ho analizzato «nel suo proprio contesto - i rapporti del tempo di guerra su Belzec», non solo lo scritto che Terry chiama erroneamente «rapporto Ubbink», ma anche altre fonti prima poco note, ignote o ignorate, come i rapporti pervenuti alla Santa Sede, le dichiarazioni del barone von Otter (inclusa la sua lettera in svedese al barone Lagerfelt del 23 luglio 1945), la testimonianza di Rudolf Reder. Un capitolo intero, il quinto, “Tötungsanstalten in Polen” (Impianti di uccisione in Polonia), prende il titolo del preteso «rapporto Ubbink». Si tratta di un manoscritto anonimo in olandese di  tre pagine e sei righe, complessivamente 91 righe, datato 25 marzo 1943, con molti germanismi, a cominciare dal titolo, che ottenni a suo tempo dal Rijksinstituut voor Oorlogsdocumentatie (Istituto statale di documentazione sulla guerra) di Amsterdam. Nel libro in questione ne presentai una traduzione con relativa discussione. Quindici anni dopo, Florent Brayard,  scrisse che esso veniva pubblicato da lui «per la prima volta in una lingua diversa dall'olandese»[183]. Terry lo presenta, secondo l'erronea opinione comune, come un «rapporto dell'amico di Gerstein in Olanda, J.H. Ubbink, redatto in olandese dopo un incontro a Berlino con Gerstein nel 1943» (p. 53), seguendo evidentemente la sua fonte Brayard, che scrive: «Diversi giorni dopo, il 25 marzo 1943, Van der Hooft si incontrò con membri della sua rete di resistenza, Jo Satter e suo padre, nella periferia di Doesburg. In loro presenza, Van der Hooft scrisse un rapporto in olandese di quattro pagine intitolato “Tötunsanstalten in Polen” – quello riprodotto qui sarà analizzato nella seconda parte di quest'articolo»[184]. È incredibile che Brayard sostenga questa tesi, che è confutata già in partenza dal semplice fatto che, com'egli sapeva bene, il rapporto è redatto «in prima persona»[185]. Bisogna allora credere che anche Ubbink avesse personalmente visitato il campo di  Bełżec (chiamato nel rapporto “Belsjek”)? L'unica alternativa è che Ubbink può essere considerato il traduttore, non il redattore del rapporto. Qui è proprio il caso di parlare di  «rifiuto di discutere il rapporto Ubbink » da parte dei Plagiari: la citazione che ho riportato sopra è infatti tutto ciò che hanno da dire su questo documento. Il motivo di questo imbarazzato silenzio è evidentemente il fatto che il rapporto in questione contiene numerose contraddizioni gravi e inesplicabili rispetto ai rapporti redatti da Gerstein nel 1945, nonostante le false assicurazioni contrarie di Brayard[186]. Riassumo le principali: 1) Le circostanze della visita di Gerstein ai “Tötungsanstalten” di Bełżec e Treblinka sono in totale contrasto con quelle descritte nel 1945. Gerstein non viene prescelto inopinatamente dal RSHA per la nota missione segretissima, ma prende egli stesso l'iniziativa: cerca di mettersi in contatto con ufficiali SS in Polonia, si guadagna la loro fiducia e riesce ad «ottenere il consenso» (toestemming te krijgen) a visitare due dei quattro “Tötungsanstalten”. 2) il nome del campo viene deformato in “Belsjek”. 3) Treblinka viene situato «circa a 80 km a nord di Varsavia». Nelle versioni del 1945 esso è posto a 120 km a NNE di Varsavia. 4) Gerstein non riuscì ad entrare negli altri due “Tötungsanstalten”, cioè a Majdanek e a Sobibór. Però nel 1945 Gerstein dichiarò contraddittoriamente di aver visitato Bełżec, Sobibór e Treblinka, ma non Majdanek[187] e Bełżec, Treblinka e Majdanek, ma non Sobibór[188]. 5) I trasporti erano formati da carri bestiame con 120 persone in ognuno. Nelle versioni del 1945 si parla di un treno di 45 vagoni con 6700 persone, in media 148 persone per vagone. 6) Appena arrivate, le vittime furono riunchiuse in apposite baracche. Nelle versioni del 1945 esse vengono lasciate all'aperto. 7) La “gasazione” avvenne «il giorno dopo o alcuni giorni dopo» (de andere dag of enkele dagen later); nelle versioni del 1945 essa ha luogo il giorno stesso dell'arrivo del trasporto. 8) 700-800 persone vengono ammassate nell'edificio (gebouw) dell'uccisione. Nelle versioni del 1945 700-800 persone vengono stipate in una sola “camera a gas” (riempiendone 4 di 6). 9) «Criminali ucraini» e non Ebrei dell'Arbeitskommando, come si dice nelle versioni del 1945, tagliano i capelli alle vittime, non solo alle donne, ma anche agli uomini, il che costituisce una ulteriore contraddizione. 10) La “gasazione” avviene mediante «un grosso trattore» (een groote tractor). Nelle versioni del 1945 si parla soltanto di un vecchio motore Diesel. Ironicamente, Brayard cita una lettera del dopoguerra di  Ubbink a Erika Aras, datata 14 settembnre 1949, la quale dichiara che Gerstein nel 1943 parlò specificamente di Diesel: «Con grande indignazione mi raccontò come avvenivano le gasazioni usando il gas di scarico di motori Diesel»[189]. 11) Le vittime muoiono tutte «nel giro di un'ora» (binnen het uur). Nelle versioni del 1945 sono sufficienti 32 minuti. 12) I cadaveri vengono gettati in «fosse di calce» (kalkputten). Nelle versioni del 1945 si parla soltanto di uno strato di sabbia gettato sui cadaveri nelle fosse. 13) «In ogni stabilimento il numero delle uccisioni viene tenuto statisticamente». Ciò è in contraddizione col rapporto in francese del 26 aprile 1945: «A Belcek [sic] et à tréblinka [sic], on n'est pas se donné la peine de compter d'une manière quelquement exacte le nombre des hommes tués» (A Bełżec e a Treblinka non ci si è curati di contare in un modo come che sia esatto il numero degli uomini uccisi)[190]. 14) «Vengono effettuate da 3 a 4 uccisioni al giorno, cioè in 24 ore. Ciò fa dunque per i 4 stabilimenti complessivamente 8-9000 morti al giorno». Nelle versioni del 1945 i tre campi di Bełżec, Treblinka e Sobibór hanno una capacità di sterminio complessiva di 60.000 persone al giorno[191]. 15) «In totale in questo modo sono già periti 6 milioni e mezzo di uomini, di cui 4 milioni di Ebrei e 2 milioni e mezzo di pazzi e di cosiddetti nemici dei Tedeschi». La cifra, evidentemente falsa, è in contraddizione con quelle, a loro volta reciprocamente contraddittorie e assurde, dei rapporti del 1945: 25 milioni[192], 20 milioni[193]. Brayard non si cura affatto di queste contraddizioni; solo di sfuggita egli menziona quella da me esposta al punto 14: «Tuttavia i rapporti che Gerstein stesso scrisse nel 1945 danno cifre di un ordine di grandezza molto più alto (tra 15.000 e 25.000) e, inoltre, queste cifre non si riferiscono al complesso di sterminio nella sua totalità, ma a ciascuno dei campi di sterminio separatamente»[194]. Egli aggiunge che «la cifra di 9.000 vittime al giorno nel 1943 era un'alterazione delle cifre fornite da Gerstein»[195]. Argomenti degni dei “Bloggers Polemisti”. La pretesa che la cifra di 9.000 vittime al giorno fosse «un' alterazione» è una semplice congettura senza alcun fondamento; che tale cifra si riferisse a ciascun campo,  è una congettura parimenti infondata, ma che per di più non elimina la contraddizione: una capacità massima di 9.000 morti per quattro “Tötungsanstalten” fa 36.000 in tutto, ma nel 1945 Gerstein parlò di 60.000 soltanto per tre: Bełżec, Sobibór e Treblinka. Il rapporto del marzo 1943 fu redatto a mente fresca, solo 7 mesi dopo la visita di Gerstein a Bełżec, perciò dovrebbe costituire il modello del complesso di relazioni note  come “rapporto Gerstein”, che risalgono alla fine di aprile-inizio maggio 1945. Tornando al nostro plagiario, «il suo rifiuto»  di spiegare  perché, in questi poco più di due anni, Gerstein distorse in maniera così evidente il suo modello iniziale «è ai nostri occhi un tipico esempio della disonestà e della insulsaggine intellettuale di Terry». [8] Per quanto riguarda la genesi del “rapporto Gerstein”, Terry si limita a citare fugacemente il barone von Otter: «Praticamente nello stesso tempo preciso, come è ben noto, Kurt Gerstein visitò Belzec e al suo ritorno informò il diplomatico svedese barone von Otter di ciò che vi aveva visto. Sebbene Otter [sic] avesse confermato nel 1945 l'affermazione di Gerstein che gli aveva trasmesso le informazioni, negli archivi del Ministero degli Esteri svedese non ne sovravvisse alcuna traccia documentaria» (p. 52). Le presunte “conferme” delle dichiarazioni di Gerstein asserite da von Otter e da altre personalità, più che chiarire la vicenda, la complicano ancora di più, perché vi introducono ulteriori contraddizioni. Sintetizzo ciò che ho scritto al riguardo nel mio studio su Gerstein[196]. La prima dichiarazione scritta di von Otter sul suo incontro con Gerstein è una lettera «strettamente confidenziale» (strängt förtroligt) al barone Lagerfedt, primo segretario dell'ambasciata svedese a Londra, che reca l'intestazione “Helsingfors den 23 juli 1945”. Egli vi scrisse che durante un suo viaggio di ritorno da una visita a Varsavia, che aveva effettuato «gli ultimi giorni di agosto del 1942» (sista dagarna i augusti 1942), fu avvicinato da un Tedesco appartenente alle SS, l'ingegnere Kurt Gerstein, nato nel 1907 e originario di Braunschweig. Questi gli disse che aveva qualcosa di estremamente importante da riferirgli. L'uomo gli rivelò che veniva da un permesso di studio di alcuni giorni «presso una fabbrica di cadaveri a Belzec» (vid en likfabrik i Belzec). Poi gli descrisse «tutto il procedimento di gasazione» (hela gasningsförfarandet) e gli diede «tutti i particolari» (hela detaljer) riguardo alle condizioni di trasporto, al procedimento tecnico, alla reazione delle vittime, del personale SS di sorveglianza e degli esecutori ucraini, al trattamento delle vittime prima e dopo l'esecuzione, alla raccolta di gioielli, denti d'oro e valuta, alla tecnica di inumazione. L'uomo gli mostrò «documenti, ordinazioni di acido cianidrico, carta di identità e altro» (dokument, cyanvätebeställningar, identitetskort m.m.)[197]. Sorprendentemente, nonostante l'evidente importanza di queste terribili informazioni, von Otter non si curò minimamente di fare un rapporto scritto ai suoi superiori; anzi, dalla lettera in questione si desume che non prese neppure  appunti, in quanto data e luogo di nascita di Gerstein sono errati (egli nacque nel 1905 a Münster), errore inspiegabile, dato che l'ufficiale SS gli aveva mostrato la sua carta di identità. La relazione sulla «fabbrica di cadaveri a Belzec» è vaga e generica e non raggiunge le sei righe; non vi si parla degli Ebrei né degli altri “campi di sterminio”. Quale versione del suo racconto Gerstein riferì a von Otter? Quella del 1943 o quella del 1945 o un'altra ancora? Solo nel 1964 il diplomatico svedese si decise finalmente a  rivelare «tutti i particolari» che gli erano stati confidati da Gerstein, ossia che«più di 6.000 persone»erano giunte a «Belsec» ed erano state pigiate in 700-800 «in ognuna delle quattro camere a gas di 93 metri quadrati ciascuna [198]. Ma questi ed altri particolari erano semplicemente tratti dall'articolo “Le Dossier Kurt Gerstein”, in cui Léon Poliakov aveva presentato una versione fortemente manipolata del rapporto in francese del 26 aprile 1945[199], giungendo fino a falsificare la superficie delle “camere a gas”: da 25 a 93 metri quadrati[200]. Persino la grafia “Belsec” proviene dal testo di Poliakov. Le fonti disponibili mostrano che Gerstein raccontò ad ogni suo contatto una versione diversa del presunto accaduto. Nel giugno 1944 il diplomatico svizzero Paul Hochstrasser incontrò a Berlino Gerstein. Egli riferì successivamente ciò che aveva saputo dall'ufficiale SS in un dattiloscritto intitolato “Notizen betreffend Vernichtungsmassnahmen unter der Herrschaft des Nationalsozialismus. Für Herrn Prof. Dr. Carl Ludwig in Basel” (Annotazioni riguardanti le misure di sterminio sotto il dominio del nazionalsocialismo. Per il sig. prof. dott. Carl Ludwig  a Basilea), datato “Hamburg, 25. Juli 1955” (Amburgo, 25 luglio 1955)[201]. Nel “Rapporto” sulle dichiarazioni di Gerstein,  pagine 3-4, Hochstrasser scrisse: «G.[erstein] fu ripetutamente in campi di sterminio a scopo di controllo della disinfestazione. Poco prima del colloquio del giugno 1944 era stato nel campo di Berblenka [evidentemente Treblinka] e nell'incontro a tre (Gerstein, un uomo di collegamento ed io) durato tre ore, egli si trovava ancora visibilmente sotto l'impressione di queste esperienze. [...]. In un salone chiuso essi furono pigiati così strettamente che nessuno più poteva cadere. Poi furono immessi i gas di scarico di un motore Diesel. Il processo di uccisione durò un'ora-un'ora e mezza, perché l'afflusso del gas era irregolare. [...]. Un problema difficile era l'eliminazione dei cadaveri: fosse comuni, distruzione chimica o cremazione. Furono sperimentati tutti e tre i sistemi. A causa del grosso quantitativo [di cadaveri] alla fine vi fu impiegata principalmente la seguente procedura: I cadaveri (molti si dovevano ancora muovere) furono accatastati a strati in grosse fosse a centinaia (vedi l'osservazione precedente relativa ad autocarri con dispositivo di ribaltamento a Dachau), innaffiati di benzina o simili e per quanto possibile bruciati, per guadagnare spazio per la consegna successiva. Della sperimentazione di un procedimento  di distruzione radicale dei cadaveri era incaricato tra gli altri  un professore di una università della Germania occidentale. Però non si trovò alcun procedimento abbastanza efficace». [«G.[erstein] war wiederholt in Vernichtungslagern zwecks Prüfung der Entseuchung. Kurz vor der Besprechung im Juni 1944 war er im Lager Berblenka  (Gouvernement) gewesen, und bei dem dreistündigen Zusammensein zu dritt (Gerstein, Verbindungsmann und ich) stand er noch sichtbar unter dem Eindruck dieser Erlebnisse. [...]. In verschlossener Halle, wurden sie so dicht gedrängt, dass keiner mehr umfallen konnte. Alsdann wurden Dieselmotorabgase hineingelassen. Die Tötungsprozess dauerte 1 1/2 Stunden, da der Zustrom der Gase unregelmässig war. [...]. Ein schwieriges Problem war die Beseitigung der Leichen: Massengräber, chem. Vernichtung oder Verbrennung. Alle drei Arten wurden ausprobiert. Der grossen Menge wegen wurde dort schliesslich hauptsächlich folgendes Verfahren angewendet: In grossen Gruben wurden die Leichen (viele sollten sich noch bewegt haben) schichweise zu hunderten aufgebeigt (siehe obige Bemerkung betreffend Lastwagen mit Kippvorrichtung in Dachau), mit Benzin oder dergl. begossen und soweit als möglich verbrannt, um Platz für die nächste Lieferung zu gewinnen. Mit der Prüfung eines radikalen Vernichtungsverfahren der Leichen war u.a. ein Professor von einer westdeutschen Universität beauftragt. Man fand aber kein genügend wirksames Verfahren»]. Le contraddizioni con le altre versioni del “rapporto Gerstein” sono palesi. Gerstein si era recato nei “campi di sterminio” «ripetutamente», e non una sola volta; egli aveva visitato il campo di “Berblenka”, cioè Treblinka, «poco prima del colloquio del giugno 1944», espressione che non si può riferire alla visita dell'agosto 1942. Il campo di Bełżec non viene mai nominato e tutta la descrizione del preteso sterminio riguarda Treblinka. L'incarico di Gerstein riguardava il «controllo della disinfestazione» e non il cambiamento del sistema di uccisione, cioè la sostituzione dei gas di scarico di  motori Diesel coll'acido cianidrico. L'uccisione avvenne  «in un salone chiuso», al singolare, e non in 4 locali e durò un'ora e mezza, invece di 32 minuti, dopo due ore e 49 minuti di tentativi di avvio del motore; anche gli esperimenti di eliminazione dei cadaveri tramite  «distruzione chimica o cremazione» sono in contrasto con le altre versioni, come pure la tecnica di cremazione  con combustibili liquidi nelle fosse stesse, il che è ulteriormente in contraddizione con la tesi olocaustica dell'esumazione e cremazione su griglie sulla superficie del suolo. Il «professore di una università della Germania occidentale» poteva essere soltanto il prof. Wilhelm Pfannenstiel, che era incaricato «della sperimentazione di un procedimento  di distruzione radicale dei cadaveri»; per il rapporto tedesco del 4 maggio 1945, invece, Pfannenstiel si aggregò a Gerstein «più casualmente»[202], soltanto «perché c'era ancora un posto libero nella vettura»[203], ossia egli non aveva alcun incarico per il  campo di Bełżec. Al processo contro Gerhard Peters, ex direttore della DEGESCH (Deutsche Gesellschaft für Schädlingsbekämpfung , Società tedesca per la lotta contro i parassiti),  che deteneva il brevetto e la licenza di produzione dello Zyklon B, vari testimoni parlarono dei loro incontri con Gerstein. La sentenza  del 28 marzo 1949 riferisce al riguardo: «Il motivo del suo [di Gerstein] invio a Belcec [sic], secondo la sua comunicazione al testimone [Hermann] Eh.[lers] era stato di prendervi provvedimenti contro la piaga dei ratti, che aumentava in modo preoccupante a causa delle inumazioni in massa»[204]. Armin Peters dichiarò che Gerstein gli mostrò «uno scritto di servizio segretissimo, che gli era stato consegnato poche ore prima da un corriere. Proveniva dall'allora Alto Comandante delle SS e della Polizia di Lublino, che richiedeva in questo modo a Gerstein 500 kg di acido cianidrico al mese “a fini di disinfestazione” (für “Schädlingsbekämpfungszwecke”) e lo incaricava personalmente di procurarlo. [...]. Per quanto mi ricordo, egli procurò la prima fornitura di acido cianidrico dalla “Degesch” e la trasportò personalmente a Lublino con un autocarro»[205]. Questo racconto è ulteriormente in contrasto con i “rapporti Gerstein” del 1945, sia per l'origine dell'ordine (che gli sarebbe stato impartito dal RSHA, tramite l'SS-Sturmbannführer Rolf Günther), non già dallo Höherer SS- und Polizeiführer di Lublino Odilo Globocnik, sia per il quantitativo di acido cianidrico, 100 kg[206] e in pari tempo 260 kg[207], che per di più sarebbe stata una fornitura unica, non mensile. Il vescovo Otto Dibelius, immancabilmente citato come garante dell'attendibilità di Gerstein, descrisse il suo incontro coll'ufficiale SS: «Raccontò quanto segue: Le SS lo avevano incaricato di elaborare un procedimento col quale si potesse eliminare un gran numero di cadaveri, senza appestare l'aria o lasciare altre tracce sgradevoli. Con quest'incarico fu mandato in uno dei grandi campi di concentramento. Lì fu testimone di un'azione di cremazione (Verbrennungsaktion): avvicinamento dei vagoni ferroviari, stipati di persone, soprattutto Ebrei, uomini, donne, bambini; svestimento; cammino verso l'impianto di gasazione sotto le fruste di cuoio delle SS; accalcamento delle persone nel forno di gasazione (in den Vergasungsofen) tra urla incessanti di disperazione; il motore si avvia; le urla cessano; i cadaveri vengono trascinati fuori attraverso larghi sportelli laterali ribaltabili; si esaminano le dentature e i denti d'oro vengono estratti; infine i cadaveri vengono gettati  in una fossa; sopra, terra; fatto! Così raccontò Gerstein con voce semistrozzata»[208]. Anche questo racconto presenta varie contraddizioni inspiegabili rispetto alle versioni del 1943 e del 1945: la natura dell'incarico affidato a Gerstein, l' «azione di cremazione» e il  «forno di gasazione». Questo breve approfondimento è istruttivo per vari aspetti. Esso mostra anzitutto che la genesi del “rapporto Gerstein” è molto più complessa di quanto gli storici olocaustici vogliano dare a vedere: essi infatti mantengono un comprensibile silenzio su tali questioni fondamentali e queste omissioni invalidano le loro conclusioni. Proprio per questo esso conferma inoltre che il semplice riferimento ai testi di questi storici per dimostrare qualcosa, in realtà non dimostra nulla. Infine esso è la riprova che i Plagiari, quando nella letteratura olocaustica non trovano niente da plagiare, non sono in grado di presentare nulla. Qui il loro «rifiuto» di analizzare nel suo contesto la genesi del rapporto Gerstein è tanto più grave in quanto essi citano questo personaggio più di 90 volte. [9] Coll'accusa di un mio presunto «rifiuto più generale di analizzare i tre campi insieme», Terry mostra soltanto la sua insipienza. La scelta di elaborare singole monografie è dipesa ovviamente dal materiale, dai mezzi e dal tempo a nostra disposizione. Questo astio per le monografie non mi è molto chiaro: bisogna forse rimproverare a Robin O’Neil di aver scritto solo su Bełżec, a Jules Schelvis solo su Sobibór e ad Alexander Donat solo su Treblinka? [10] Poi Terry fa sfoggio di una singolare mancanza di senso del ridicolo quando afferma che il rapporto dell'Armia Krajowa dell'aprile 1942 menziona il nome di un «“capitano di polizia” di nome Wirth che comandava Belzec» (p. 53) e sottolinea enfaticamente che la possibilità che si tratti di un'invenzione del movimento di resistenza polacco sarebbe una «coincidenza colossale», addirittura «astronomica». Con tale giudizio, egli fornisce un'altra prova della sua insipienza. Date le strettissime relazioni tra la cittadinanza ucraina del villaggio di Bełżec e la guarnigione del campo, non è così sorprendente che essi conoscessero il nome e il grado di Wirth (qualcuno, forse, l'aveva addirittura ospitato in casa propria[209])  e che il movimento di resistenza l'avesse appreso da essi. Ma questo dimostra forse che Bełżec era un campo di sterminio? Al contrario: ciò che è sorprendente in modo «colossale», addirittura «astronomico», è il fatto che, in queste circostanze, oltre a Wirth, i rapporti della resistenza polacca non avessero menzionato fin dall'inizio anche il presunto sterminio ebraico mediante  gas di scarico di un motore Diesel, che, per cittadinanza di  Bełżec, doveva essere un segreto di Pulcinella. [11] Terry ostenta poi il frutto del suo faticoso “copia e incolla”. In breve: L'annotazione del diario di Emanuel Ringelblum del 17 giugno 1942, tratta curiosamente dall'edizione tedesca dell'opera maggiore di Raul Hilberg, parla di «Gasen» (gas), al plurale[210]. Non è una novità. Anche il rapporto del 23 dicembre 1942  parla di uccisioni «con i gas» (gazami)[211], espressione, come ho rilevato sopra, del tutto generica, come quella di “camera a gas”, che non escludeva neppure il cloro: «Essi erano asfissiati con il cloro». Il pavimento si apriva automaticamente e i morti «cadevano nel carrello di una ferrovia che attraversava la camera a gas...»[212]. [12] Discutendo l'informazione riportata dallo «scrittore di diari di Varsavia Abraham Lewin» che i deportati a Sobibór venivano mandati a Pińsk, Terry afferma che «in realtà nessun Ebreo arrivò da qualunque parte nel ghetto di Pinsk in questo o in qualunque altro periodo»; la prova di ciò sarebbe un semplice libro, «E.S Rozenblat and I.E. Elenskaia, Pinskie evrei: 1939-1944 gg. Brest, 1997» (p. 54). Questo continuo ricorso alla letteratura olocaustica per “dimostrare” questo o quello è decisamente puerile, considerata la funzione ideologica di tale letteratura: si deve credere che, se i due autori summenzionati avessero trovato la prova documentaria che gli Ebrei deportati a Sobibór fossero stati poi trasferiti a Pińsk, l'avrebbero pubblicata? La prassi inversa è quella di riferirsi a fonti olocaustiche per “dimostrare” che determinati fatti sono realmente avvenuti, ad esempio, adducendo il Kalendarium di Danuta Czech o le opere di Jean-Claude Pressac per le presunte gasazioni ad Auschwitz. Nel caso specifico, tanto valeva  riferirsi al ben noto libro di Yitzhak Arad[213] per “dimostrare” che i campi dell' “Azione Reinhardt” erano “campi di sterminio”. Egli conclude l'argomento asserendo che «Se si vuole prendere alla lettera l'affermazione di una deportazione da Deblin-Irena a Pinsk, si deve inoltre presumere che ogni superstite del ghetto di Pinsk fu coinvolto in una gigantesca cospirazione del silenzio, e che tutti i documenti tedeschi del Generalkommissariat Wolhynien sono stati falsificati; inoltre, quand'anche tutti questi ostacoli fossero superati, come vedremo nel Capitolo 2, gli Ebrei di Pinsk furono uccisi nell'ottobre 1942 in una fucilazione in massa» (p. 55). Che Terry conosca le dichiarazioni di «ogni superstite del ghetto di Pinsk» mi sembra piuttosto improbabile; quanto a «tutti i documenti tedeschi del  Generalkommissariat Wolhynien», bisogna precisare che egli si riferisce non già a  «tutti i documenti tedeschi», ma a tutti i documenti tedeschi  sequestrati e preselezionati dalle Commissioni sovietiche e poi passati negli archivi, che costituiscono una esigua frazione di «tutti i documenti tedeschi». Dunque non è necessario presupporre «una gigantesca cospirazione del silenzio», ma una semplice oculata selezione dei documenti trovati. O anche in questo caso bisogna credere seriamente che i Sovietici, dopo le continue  accuse di sterminio ebraico rivolte ai Tedeschi durante la guerra, avrebbero reso noti eventuali documenti che li avessero scagionati? La conclusione di Terry evidenzia inoltre un curioso salto logico, perché l'uccisione degli Ebrei del ghetto di Pińsk nell'ottobre 1942, inclusi quelli eventualmente ivi deportati da Sobibór, non renderebbe meno falsa la storia della loro gasazione in questo campo. [13] La parte più importante del rapporto di un «uno Slovacco ebreo anonimo» che Terry cita alle pagine 55-56, per quanto riguarda Sobibór, è questa: «“Nelle vicinanze di Sobibor di notte si può sempre osservare fuoco e in una vasta area si può percepire la puzza di capelli bruciati. Vari indizi portano alla conclusione (comunque la popolazione lo asserisce) che i cadaveri [di coloro] che erano stati giustiziati mediante elettricità e gas - ed erano stati poi seppelliti - vengono ora esumati e bruciati, per non lasciare alcuna traccia”» (p. 56). Ecco il suo commento: «Le descrizioni di fuochi che bruciavano di notte e di puzza di capelli bruciati erano osservazioni dirette, la sua menzione di “elettricità e gas” non lo erano» (p. 56). Il testo originale dice: «In der Umgebung von Sobibor ist in der Nacht immer Feuer zu beobachten, und im weiten Umkreis ist ein Gestank nach verbranntem Haar wahrzunehmen. Verschiedene Anzeichen lassen darauf schliessen (die Bevoelkerung behauptet es jedenfalls), dass die Leichen, welche vordem durch Eletrizitaet und Gas hingerichtet wurden - und spaeter begraben wurden - jetzt exhumiert und verbrannt werden, um keine Spuren zurrueckzulassen»[214]. Anche in questo rapporto Terry pretende di stabilire  che cosa sia frutto di reali “osservazioni” e che cosa di “dicerie”. In una reale cremazione in massa la  «puzza di capelli bruciati»  non sarebbe comunque percepibile, sia perché i capelli costituiscono un peso irrisorio rispetto a quello di un cadavere, sia perché brucerebbero per primi e in pochi secondi, sia perché la relativa puzza sarebbe coperta da quella, ben più intensa e  duratura, della carne che brucia. La storia della «puzza di capelli bruciati» è una tipica “diceria” che si ritrova nelle testimonianze; ad esempio, Miklos Nyiszli parla dell'odore di «capelli che bruciano», ma ha almeno il buon senso di aggiungervi quello della «carne arrostita»[215]. La combustione dei capelli è per di più in contrasto con la pratica, ammessa dai Plagiari, della rasatura delle Ebree deportate prima della presunta gasazione. Se questa pratica era l'esecuzione dell'ordine di Glücks del 6 agosto 1942, i capelli dovevano essere tagliati anche agli uomini, purché fossero lunghi almeno 20 mm[216], sicché, in pratica, le presunte vittime venivano cremate senza capelli. Le presunte “osservazioni” su Sobibór riportate sopra si riferiscono all'aprile 1943[217], ma l'esumazione dei cadaveri era già terminata nel mese di marzo del 1943 (vedi  capitolo 12, punto 92), perciò all'epoca i cadaveri non venivano «esumati». D'altra parte noi non neghiamo affatto che un limitato numero di Ebrei morì o fu ucciso a Sobibór, sicché anche una reale “osservazione” di esumazioni e cremazioni non dimostrerebbe necessariamente la realtà di uno sterminio in massa. La fonte indicata da Terry è «Tatsachenbericht eines aus der Slowakei deportierten und zurückgekehrten Juden, 17.8.43, VHA Fond 140/59, pp.41-50 (Papers of J. Kopecky)» (nota 79 a p. 55), ma si tratta di un plagio evidente, come risulta già dal fatto che il documento in questione ha solo 5 pagine, sicché la menzione delle pagine 41-50 non ha senso. Al passo riportato sopra Terry attribuisce la pagina 50 («Tatsachenbericht eines aus der Slowakei deportierten und zurückgekehrten Juden, 17.8.43, VHA Fond 140/59, p. 50» : nota 82 a p. 56), sicché si dovrebbe trattare dell'ultima pagina del documento, mentre invece la citazione si trova a p. 4. Il documento viene ancora citato nella nota 414 a p. 229, ma senza indicazione precisa della pagina alla quale si riferisce il testo («Tatsachenbericht eines aus der Slowakei deportierten und zurückgekehrten Juden, 17.8.43, VHA Fond 140/59, pp.41-50») e infine nella nota 64 a p. 357, ma di nuovo con la menzione della pagina 50 («Tatsachenbericht eines aus der Slowakei deportierten und zurückgekehrten Juden, 17.8.43, VHA Fond 140/59, p. 50; Schelvis, Sobibor, p.258»). Il documento in possesso dei Moreshet Archives  proviene dal VHA (Vojenský Historický Archiwum, Archivio Storico Militare) di Praga. [14] Terry si sforza poi di mostrare che i  rapporti polacchi ed ebraici  su Treblinka  erano veridici almeno nel loro nucleo essenziale. Egli menziona anche quelli del 17 agosto e dell'8 settembre 1942, già citati da noi[218], e mi accusa di non aver fatto commenti su di essi, cosa che ho ritenuto superflua, dato che il loro contenuto parla da solo; ecco invece il suo commento: «entrambe le descrizioni sono del tutto plausibili, provenendo da un testimone che fuggì dal campo esterno il quale o non aveva una precisa linea visuale o tempo sufficiente per annotare adeguatamente le loro [sic] impressioni» (p. 59). Vale dunque la pena di riportare e commentare questi rapporti, cominciando dal primo: «“Il campo di sterminio di Treblinka, il luogo in cui gli Ebrei vengono assassinati, si trova presso il campo di lavoro. È situato a 5 km dalla stazione di Treblinka e a 2 km dalla stazione di Poniatowo. C'è un collegamento telefonico diretto con Malkinia. C'è un vecchio campo (per Polacchi) e un nuovo campo, la cui costruzione è ancora in corso (esclusivamente per Ebrei)... Lo sterminio degli Ebrei viene ora attuato in un modo che è completamente indipendente dal vecchio campo. Una locomotiva spinge i vagoni con gli Ebrei alla piattaforma. Gli Ucraini fanno uscire gli Ebrei dai gatti e li conducono alla “doccia nel bagno”. Questo edificio è recintato con filo spinato. Essi vi entrano a gruppi di 300-500 persone. Ogni gruppo vi viene subito rinchiuso ermeticamente dentro e gasato. Il gas non li colpisce immediatamente[219], perché gli Ebrei devono ancora procedere fino alle fosse, che distano alcune decine di metri e che sono profonde 30 metri. Poi cadono privi di sensi e un'escavatrice li ricopre di un sottile strato di terra. Gli altri gruppi arrivano... Presto trasmetteremo una testimonianza autentica di un Ebreo che è riuscito a fuggire da Treblinka”» (pp. 58-59). La fonte addotta da Terry è «Informacja Bieżąca [Informazione Corrente] Nr 33 (58), 5.9.1942, pubblicato in Marczewska/Waźniewski, ‘Treblinka w świetle Akt Delegatury’, pp.137-8» (nota 94 a p. 59). In realtà si tratta di un testo tratto dal libro di Arad[220], con alcuni errori (“link” invece di “line”, “wagons” invece di “cars”, “cats” invece di “cars”, “arrive” invece di “arrives”; anche la data del rapporto è errata: “5” invece di “8” settembre 1942). La traduzione di Arad presenta due omissioni indicate da puntini di sospensione, che il plagiario ripropone ovviamente tali e quali. La prima è questa: «Personale del campo: 25 SS e 180 Ucraini (di cui 12 Tedeschi e 50 Ucraini nel vecchio campo). Armamento: oltre a quello personale, fucili mitragliatori, carabine e granate. Il lavoro dei detenuti consiste principalmente nel caricare ghiaia»[221]. La seconda omissione  riguarda il testo che segue: «Si verificano casi in cui tra gli Ebrei ci sono anche Polacchi. Il 28. VIII. un Polacco si è scagliato su un Ucraino, gli ha sottratto la carabina e ha spaccato la testa a un Tedesco e a un Ucraino. È stato fucilato immediatamente (le suddette informazioni provengono da Ucraini di guardia, richiedono verifica)»[222]. Il rapporto si chiude con questa frase: «W najbliższym czasie podam autentyczną relację Żyda, któremu udało się  zbiec z Treblinki», «Prossimamente fornirò un rapporto autentico di un Ebreo che è riuscito a fuggire da Treblinka»[223]. Ma se non c'era ancora un «rapporto autentico» e se le informazioni delle guardie ucraine richiedevano verifica, su che cosa si basava la descrizione dell' Informacja bieżąca? Si trattava evidentemente di semplice propaganda, di sciocche menzogne. Chi potrebbe prendere sul serio le fosse comuni profonde 30 metri o, peggio ancora, un fantomatico gas che, dopo la gasazione, contentiva alle vittime di percorrere ancora qualche decina di metri per poter stramazzare prive di conoscenza nelle fosse? Secondo la sua metodologia aberrante, Terry presuppone che qualunque rapporto sia sempre frutto di una reale “osservazione” e, quando esso dice cose troppo assurde, si arrampica sugli specchi per trovare  le spiegazioni più fantasiose. [15] È molto sintomatico che egli, che mi accusa di non aver esaminato documenti  nel «loro proprio contesto», liquidi sbrigativamente fuori contesto l'importante articolo pubblicato dal Dziennik Polski l'11 luglio 1942: «Il massacro degli Ebrei La situazione degli Ebrei appare anche peggiore. La faccenda del ghetto di Varsavia è ben nota. Fame, morte e malattie minacciano continuamente e sistematicamente la popolazione. Nell'area di Lublino la notte del 23-24 marzo [1942] la popolazione ebraica è stata deportata. Malati e disabili sono stati uccisi sul posto. Tutti i bambini di 2-3 anni dell'orfanotrofio, in numero di 108, sono stati mandati via dalla città insieme alle loro bambinaie e uccisi. Complessivamente quella notte sono state uccise 2.500 persone, mentre le restanti 26.000 sono state mandate nei campi di Bełżec e di Tremblinka [wywieziono do obozów w Bełżcu i Tremblince]. Da Izbica Kujawska 8.000 persone sono state deportate in una direzione sconosciuta. A quanto viene riferito, a Bełżec e Tremblinka l'uccisione viene effettuata mediante di gas tossici [za pomoca gazów trujacych]...». Thomas Kues, da cui traggo il testo sopracitato, ne ha sottolinato l'importanza nel quadro della genesi della propaganda sui “campi di sterminio” come segue: «Si afferma unanimamente da parte di storici olocaustici che il campo di sterminio di Treblinka II cominciò la sua attività coll'arrivo del primo trasporto proveniente dal ghetto di Varsavia, che partì il 22 luglio 1942  e giunse al campo il giorno stesso o quello seguente. Ciò significa che Mikołajczyk  riferì su presunte azioni di sterminio a Treblinka due settimane tonde prima che esse pretesamente cominciassero. Ancora più notevole è il fatto che la macchina dello sterminio in massa fosse in attività a Treblinka tre mesi e mezzo prima, il 23-24 marzo»[224]. Terry relega, come ho accennato sopra, la questione in una nota (49 a p. 49), dove fornisce questa spiegazione: «Poiché il protocollo ufficiale dell'incontro di gabinetto dice a quanto pare “Trawniki”, il gambetto - cercare di suscitare sospetti su un riferimento troppo anticipato alle deportazioni a Treblinka - cade completamente. Da qualche parte nella catena di trasmissione dall'organizzazione locale di resistenza a Londra e da lì al giornalista del  Dziennik Polski, l'informazione fu confusa - cosa che fu chiara alla rilettura dell'articolo di Stola per questa critica». Egli trae da Dariusz Stola l'informazione che «Stanislaw Mikolajczyk, il primo ministro del Governo polacco in esilio, dichiarò all'incontro del 7 luglio 1942: “a quanto pare a Belzec e Trawniki, uccisione con gas tossico» (p. 49). Ciò è vero. Il 14 aprile 1942 il Biuyletyn Informacyjny (Bollettino d'informazione) pubblicò  un  articolo intitolato “L'uccisione di Ebrei nell'area di Lublino” nel quale era riportata la seguente notizia: «[Gli Ebrei]  rimasti in vita, in numero di circa 25.000, furono trasportati nei campi di Bełżec e Trawniki (w obozów Bełżcu i Trawnikach). In questi campi, secondo un rapporto molto attendibile (wedle najwiarygodnicjszych relacji) avviene l'uccisione in massa di Ebrei mediante gas tossici (przy pomocy gazów trujących»[225]. Lo stesso giornale il 30 aprile riferì di nuovo di vagoni piombati che arrivavano «al campo di Bełżec o di Trawniki»[226]. La notizia apparve perfino sul bollettino della  Jewish Telegraphic Agency del 10 luglio 1942: «Il soffocamento dei 26.000 Ebrei polacchi mediante gas tossico ebbe luogo in due campi di concentramento ebraici, che i nazisti hanno istituito a Belzec e Trawniki»[227]. Perciò “osservatori” molto attendibili (!) avevano “osservato” il “campo di sterminio” di Trawniki! Quanto al  Dziennik Polski, come si può credere seriamente che i redattori polacchi del giornale avessero potuto scambiare “Trawniki” con “Tremblinka”? Concludendo, la resistenza polacca o dichiarò “campo di sterminio” Treblinka prima ancora che vi giungesse il primo trasporto ebraico, oppure inventò un “campo di sterminio” a Trawniki, qualifica che fu poi ascritta a Treblinka. In entrambi i casi si trattava di volgare propaganda menzognera. [16] Terry ci fa la cortesia di citare, senza commenti, un lungo articolo apparso il 20 settembre 1942 nel Bund newspaper Oif der Vach che conferma la nostra tesi sull'origine della storia del “campo di sterminio”. Esso infatti comincia così: «Durante la prima settimana dell' “azione di deportazione”, Varsavia fu inondata di saluti dagli Ebrei deportati. I saluti arrivavano da Białystok, Brest-Litovsk, Kosov, Malkinia, Pinsk, Smolensk» (p. 60). Ma poiché, come ho accennato sopra, Treblinka doveva essere un “campo di sterminio”, i «saluti» dovevano per forza essere falsi. La cosa veniva spiegata così: «Le lettere e i saluti provenivano da persone che erano riuscite a fuggire dai treni o dal campo. È possibile che all'inizio, dai primi trasporti, alcuni degli Ebrei di Varsavia furono mandati a Brest-Litovsk o Pinsk, affinché i loro saluti fuorviassero, ingannassero e producessero false illusioni tra gli Ebrei di Varsavia» (p. 60). L'articolo ammetteva pertanto la possibilità che dei trasporti ebraici fossero stati realmente trasferiti da Treblinka a  Brest-Litovsk o a Pińsk, sia pure a scopo ingannatorio. Il metodo di sterminio che vi viene indicato è degno di nota: «Il pavimento di questa baracca si apriva e la gente cadeva dentro una macchina. Secondo l'opinione di coloro che sono scappati, la gente nella baracca veniva gasata. Secondo un'altra opinione, venivano uccisi mediante corrente elettrica» (p. 60). Riguardo alla capacità di sterminio di Treblinka, l'articolo dice: «Il bagno assorbe 200 persone ogni quindici minuti, sicché in ventiquattr'ore la capacità di uccisione è di 20.000 persone» (p. 61). Affermazione  insensata persino nella prospettiva olocaustica. Alla fine l'articolo elenca i “campi di sterminio” allora esistenti: «Ci sono tre campi di tal fatta: uno nelle vicinanze di Pinsk per l'area orientale, un altro nell'area di Lublino a Belzec e il terzo, il più grande, era Treblinka presso Malkinia» (p. 61). Qual era il “campo di sterminio” «nelle vicinanze di Pinsk»? Un'altra fantasia propagandistica, anch'essa sicuramente basata su “osservazioni”! [17] Terry continua poi a rafforzare suo malgrado la nostra tesi presentando ulteriore materiale propagandandistico: «L'attivista dell'Oneg Shabes Peretz Opoczynski riferì dicerie relative a una “gigantesca sedia elettrica” a Treblinka capace di uccidere migliaia di Ebrei e Polacchi ogni giorno. “ I Tedeschi - scrisse - amano vantarsi della loro abilità industriale e così voglionio anche gestire la loro industria dell'uccisione con efficienza americana”.  Emanuel Ringelblum riferì anch'egli, in una lunga annotazione del suo diario, senza dubbio retrodatata al 15 ottobre, una volta che l'azione era finita, delle “notizie  sugli scavafosse (Rabinowicz, Jacob), gli Ebrei di Stok che erano scappati dai vagoni... la descrizione unanime del “bagno”, gli scavafosse ebrei con pezze gialle sulle ginocchia. - Il metodo di uccisione: gas, vapore, elettricità”» (p. 61). Alla pagina successiva Terry pretende però che «il racconto di Jacob Rabinowicz aveva in effetti descritto camere a gas, precisando perfino l'impiego di un motore “Diesel”» (p. 61). In nota egli adduce questo riferimento: «Il rapporto di Rabinowicz è pubblicato in  Ruta Sakowska (a cura di), Archiwum Ringelbluma, getto warszawskie: lipiec 1942-styczen 1943. Warsaw, 1980». In realtà un «rapporto di Rabinowicz» non esiste affatto. Nell'archivio Ringelblum ci sono solo le poche righe citate sopra da Terry, che menzionano «gas, vapore, elettricità»: «Treblinka. Wiadomość od grabarzy (Jakub Rabinowicz), Żydów ze Stoczka, którzy zbiegli z wagonów, naładowanych rzeczami, złotem i walutą. Jednomyślny opis “łaźni”, grabarze z żółtymi łatami na kolanach. Sposób uśmiercania: gaz, para, elektryczność»[228]. («Treblinka. Informazione da scavafosse (Jakub Rabinowicz), Ebrei di Stoczek, che sono fuggiti dai vagoni carichi di oggetti, oro e denaro. Descrizione concorde del “bagno”, gli scavafosse con pezze gialle alle ginocchia»). Esther Farbstein conferma: «Durante le Aktionen [azioni] nell'estate del 1942 pervennero al ghetto rapporti dei primi fuggiaschi da Treblinka. Uno di questi fuggiaschi era Ya'akov (Jacob) Rabinowicz, il figlio del Rebbe di Parczew. Ringelblum, che annotò i primi rapporti sul campo nel suo diario col titolo “Treblinki”, scrisse all'inizio: “Le notizie sugli scavafosse (Rabinowicz, Jacob), gli Ebrei di Stok che scapparono dai vagoni»[229]. Dunque è quantomeno riduttivo e fuorviante asserire che questo rapporto avesse  «descritto camere a gas». [18] Terry ci fornisce poi gentilmente  un altro importante aiuto per capire la genesi  della storia propagandistica del “motore Diesel”: «Come vedremo nel Capitolo 5, la denominazione “Diesel” del motore di uccisione sembra che facesse parte del Lagerjargon [gergo del campo] dell'Azione Reinhard, una designazione impropria mutuata dal generatore Diesel che forniva elettricità al campo e che era collocato più o meno vicino al motore di gasazione funzionante a benzina. Così varie inesattezze possono essere ricondotte a una simile causa prima» (p. 62). È proprio vero: «non c'è fumo senza arrosto». Qui l' «arrosto» è appunto il motore del generatore di corrente. Il rapporto sulle “camere a vapore” del 15 novembre 1942 dice esplicitamente: «Un motore Diesel fornisce l'energia e il suo rumore è un suono caratteristico a Treblinka  B»[230]. Il motore Diesel che azionava il gruppo elettrogeno nei campi si trasformò dunque propagandisticamente in  strumento di sterminio in massa. [19] Continuando, Terry offre un altro significativo esempio della sua malafede: «Un altro racconto di un fuggiasco da Treblinka redatto in questo periodo è completamente ignorato da Mattogno nel suo tentativo di delineare “lo sviluppo dell'idea di Treblinka come campo di sterminio”, cioè la lunga descrizione fornita da Abraham Krzepicki e registrata dall'attivista dell'Oneg Shabes  Rachel Auerbach nell'ottobre 1942. Anche il rapporto di Krzepicki, al quale si rimanderà più volte in questa critica, identificò una camera a gas» (p. 62). Egli si guarda bene, ipocritamente, dal citare la descrizione di questa “camera a gas” fatta dal “testimone”; ne riporto le parti essenziali: «Ma l'edificio di mattoni che stava al centro del “Campo della Morte”, piuttosto lungo, non troppo largo, esercitava uno strano fascino su di me: era la camera a gas[231]. [...]. Soltanto quando ritornavamo dal nostro pasto di mezzogiorno e la nostra colonna si fermò un po', scivolai via da essi e andai verso la porta aperta della camera a gas[232]. [...]. Il muro dell'edificio era ricoperto di cemento. La camera a gas non era stata in funzione per una settimana. Potei guardarvi dentro attraverso una delle due robuste porte di ferro verniciate di bianco che erano aperte. Vidi davanti a me un locale non troppo ampio. Sembrava una normale sala doccia con tutto l'arredo di un bagno pubblico. Le pareti del locale erano rivestite di piccole piastrelle bianche. Era un lavoro molto bello e accurato. Il pavimento era ricoperto con mattonelle di terracotta arancione. Docce nichelate erano fissate al soffitto. Questo era tutto. Un confortevole, grazioso, piccolo bagno collocato in mezzo all'area boschiva»[233]. Dunque il testimone non vide una “camera a gas” ma un «un confortevole, grazioso, piccolo bagno», «una normale sala doccia con tutto l'arredo di un bagno pubblico»,  con le pareti «rivestite di piccole piastrelle bianche», il pavimento  «ricoperto con mattonelle di terracotta arancione» e non mancavano  «docce nichelate erano fissate al soffitto». Una tale descrizione si adatta evidentemente più all'impianto di disinfezione e disinfestazione di un Durchgangslager (campo di transito) che all'impianto di uccisione di un “campo di sterminio”. Nonostante ciò, con somma ipocrisia, Terry la spaccia per una conferma della tesi delle camere a gas. Si noterà il singolare metodo di citazione di questa testimonianza da parte dei Plagiari. A p. 62, nota 102, Terry menziona come fonte il numero 43-44 del 1962 del Biuletyn Żydowskiego Instytutu Historycznego (Bollettino dell'Istituto Storico Ebraico), una fonte praticamente inaccessibile e non verificabile per i non specialisti; a partire dalla nota 92 a p. 295 essa viene citata come «Krzepicki, ‘Eighteen Days in Treblinka,’», con riferimento al libro di Donat (vedi nota 36 a p. 15). È evidente che essi volevano evitare la facile verifica del testo e, come ho spiegato sopra, ciò facendo, avevano le loro ottime ragioni. È chiaro che Terry non ha mai visto la fonte polacca che cita. Krzepicki vi riferisce che le SS chiamavano la presunta camera a gas “Badeanstalt”, termine che, alla luce della sua descrizione, deve essere inteso alla lettera[234]. [20] Sulla base di un rapporto che non menziona camere a gas (Rabbinowicz) e di uno che le descrive come un vero «bagno», Terry va all'attacco del rapporto sulle “camere a vapore”, estremamente imbarazzante per i “Bloggers Polemisti”: «Poiché sia Rabinowicz sia  Krzepicki avevano fatto riferimento a camere a gas, è un po' difficile capire perché il lungo rapporto stilato dall'attivista dell'Onerg Shabes Hersz Wasser sulla liquidazione del ghetto di Varsavia e sul campo di sterminio di Treblinka, datato 15 novembre 1942, menzioni camere a vapore. Ma solo un po' difficile da capire, perché il vapore, in fin dei conti, è un gas e non è arduo vedere come la fonte anonima, nel descrivere il vapore a Wasser, avrebbe potuto dedurre che le vittime erano uccise col vapore  osservando l'apertura di una camera a gas e scambiando l'emanazione fumi di scappamento dalla camera per una sauna letale» (p. 62). Terry presenta un capolavoro di ipocrisia. Anzitutto la premessa del suo ragionamento, come ho dimostrato sopra, è falsa; in secondo luogo, la testimonianza sulle “camere a vapore”, molto dettagliata, smentisce categoricamente la sua conclusione: «L'interno dell'edificio, secondo il rapporto di un testimone oculare, si presenta come segue: al centro si trova un corridoio largo 3 metri e da ambo i lati ci sono 5 locali, camere; l'altezza di ogni camera è di circa 2 metri. La superficie di ogni camera è di circa 35 metri quadrati.  Le camere di esecuzione sono prive di finestre, ma hanno porte che si aprono sul corridoio e una specie di serranda[235] sulle pareti esterne. Accanto a questa serranda ci sono  rampe con la superficie leggermente concava, come grosse madie. Gli operai installarono tubi attraverso i quali doveva passare il vapore acqueo. Questa dev'essere la casa della morte n. 2. Una strada boschiva (9)[236] evita questa casa e corre lungo il muro occidentale tra gli alberi di un bosco e alla fine si interrompe vicino all'edificio seguente (12), vicino alla casa della morte n. 1 (14); questo edificio si trova in posizione perpendicolare risppetto alla casa della morte n. 2. È una costruzione in muratura molto più piccola della precedente. Consta soltanto di tre camere e di una sala caldaie. Lungo il muro settentrionale di questa casa c'è un corridoio dal quale attraverso porte si può entrare nelle camere. Il muro esterno delle camere possiede una serranda (ancora di recente una porta, che è stata cambiata per motivi di comodità con una serranda). Anche qui nel senso della lunghezza delle serrande corre una rampa a forma di madia (15). La sala caldaie (15a) è direttamente adiacente all'edificio. All'interno della sala caldaie vi è una grossa caldaia per la produzione del vapore acqueo e per mezzo di tubi, che corrono attraverso le camere della morte  e che sono provvisti di un  numero adeguato di fori, il vapore acqueo surriscaldato si sprigiona dall'esterno nelle camere. Durante il funzionamento di questa macchina della morte le porte e le serrande sono chiuse ermeticamente. Il pavimento nelle camere è rivestito di un impiantito di terracotta, che diventa molto scivoloso quando lo si bagna coll'acqua. Accanto alla sala caldaie c'è un pozzo - l'unico pozzo in tutto il territorio di Treblinka B»[237]. Il testo polacco parla di una «kotłownia» (sala caldaie) nella quale si trovava «duży kocioł dla wytworzenia pary wodnej» (una grossa caldaia per la produzione del vapore acqueo)[238]. Dunque la pretesa di Terry che il testimone avesse scambiato «fumi di scappamento» con «vapore» è un inganno intenzionale. Egli invece ha ragione a dire che «il vapore, in fin dei conti, è un gas», ma ciò corrobora quanto ho scritto sopra, ossia che la semplice menzione, nei rapporti della resistenza, di uccisione con “gas” o in “camere a gas” non significa nulla di concreto, potendo riferirsi anche al vapore. Nel Capitolo 8 dimostrerò in che modo la storia delle “camere a gas” si sia sviluppata da questo racconto relativo alle “camere a vapore” grazie all'apporto fondamentale di Jankiel Wiernik. Con la sua “critica”, Terry ha fornito indirettamente un valido contributo per far luce sulla genesi della propaganda su Treblinka: 1) il campo fu dichiarato “campo di sterminio” prima ancora che vi giungessero trasporti ebraici (anche se altre fonti menzionavano “Trawniki”, sta di fatto che il Dziennik Polski parlò di “Tremblinka”); 2 «un confortevole, grazioso, piccolo bagno», sicuramente annesso a una «sala caldaie», ossia un impianto doccia e disinfezione/disinfestazione a vapore fu travisato in impianto di sterminio; 3) “camere a vapore”, verosimilmente autoclavi di disinfezione/disinfestazione, divennero “camere a gas”. [21] La testimonianza di David Milgroim (p. 63), che «fu registrata alla fine di agosto del 1943, essendo trasmessa all'OSS a Istambul all'inizio del 1944» mostra i graduali progressi della propaganda. Essa menziona come strumento di uccisione un «gas tossico», senza alcuna precisazione sulla sua natura. Il contesto generale è ancora grossolano:  le vittime venivano uccise «all'interno di queste baracche», e «quando un gruppo era dentro, la porta veniva chiusa ed esso rimaneva così per quindici minuti». I cadaveri venivano gettati «nella fossa ardente situata dietro la recinzione nel campo della morte». Ma poiché il testimone «che fu deportato dalla Cecoslovacchia nel 1942 scappò dal campo dopo una settimana», non poté assistere alla cremazione dei cadaveri, che cominciò ufficialmente nel marzo 1943 e non fu effettuata in una  «fossa ardente», ma su griglie sulla superficie del suolo (vedi  capitolo 12, punto 12). Le altre “osservazioni” del testimone sono in totale contrasto con la versione attuale: «baracche» di gasazione invece di un «edificio» che «era solidamente costruito con mattoni su un basamento di cemento[239]; una sola porta, per 6 o 8 “camere a gas”[240], un processo di gasazione molto rapido: appena 15 minuti, contro i 30-40 della versione ufficiale[241]. Non è un caso che la durata di 15 minuti sia esattamente la stessa addotta nel rapporto del 15 novembre 1942 per le “camere a vapore”: «All'inizio dall'interno giungono grida smorzate, che gradualmente si affievoliscono, e dopo 15 minuti l'esecuzione è terminata»[242]. Terry rileva ingenuamente che i rapporti polacchi menzionano anche «il progresso delle deportazioni» nei campi dell' “Azione Reinhardt” (pp. 63-64), come se le deportazioni fossero la prova dello sterminio. [22] Egli scrive poi che «contrariamente a una pretesa piuttosto sconclusionata di Mattogno, il movimento di resistenza polacco riferì anche sulle cremazioni all'aperto nei campi della morte. Ci vuole un impegno speciale per chiedere “come si spiega che non c'è alcuna menzione di ciò in nessun rapporto del movimento di resistenza polacco?” e non rendersi conto che la propria fonte lo spiega chiaramente, mentre l'opera di riferimento sui campi Reinhard cita lo stesso punto» (pp. 64-65). Per capire il significato della mia affermazione, bisogna riportarla nel suo contesto: «Abbiamo già visto nell'Introduzione che il campo di Treblinka era circondato da vari paesi e villaggi:  nel raggio di 10 km dal campo c’erano Wólka Okrąglik, Poniatowo, Grady, Treblinka, Małkinia, Zawisty Dzikie, Rostki Wlk., Rytele, Świeckie, Olechny, Wszołki, Jakubiki, Tosie, Kosów Lacki, Dębe, Żochy, Rostki, Maliszewa, Guty, Bojewo, Brzózka, Kołodziaż, Orzełek, Złotki, Prostyń, Kiełczew. Da tutte queste località, ogni giorno, per 122 giorni, si sarebbe dovuto vedere il bagliore delle fiamme di Treblinka: ma perché allora questo fatto non è menzionato in nessun rapporto dei movimenti di resistenza clandestini polacchi?»[243]. Ciò significa che, per 122 giorni, ci sarebbero dovuti essere centinaia di “osservatori” che avrebbero fornito un profluvio di informazioni al movimento di resistenza polacco, il quale  avrebbe compilato decine e decine di rapporti. Terry invece ne menziona solo due, che però non cita; egli si limita ad indicarne le fonti in nota: «Marczewska/Waźniewski, ‘Treblinka w świetle Akt Delegatury’, p.154» (nota 119 a p. 65). «Arad, ‘Reinhard’, p. 358» (nota 120 a p. 65). Il primo riferimento è verificabile solo dagli specialisti. Si tratta dell'articolo già menzionato di Krystyna Marczewska e Władysław Ważniewski, “Treblinka w świetle Akt Delegatury Rządu RP na Kraji” da noi ampiamente utilizzato nel nostro studio su Treblinka e che ho citato più volte anche in questa risposta. La pagina indicata da Terry, la 154, contiene la fine del rapporto inviato a Londra il 31 marzo 1943 di cui abbiamo riportato la prima parte[244]. Questa pagina include inoltre un breve rapporto intitolato “Annesso n. 45 per il periodo 1-15.1.1943”, citato da Terry a p. 64 con riferimento in polacco (“Aneks nr 45 za czas od 1 do 15.I.1943 r.”) all'articolo di Marczewska e  Ważniewski, ma senza numero di pagina; la sua citazione  è  tratta dal libro di Arad  (nota 113 a p. 64). Egli riprende infatti alla lettera il testo di Arad[245] -  «“ultimamente ci sono trasporti di Ebrei da Galizia orientale e Romania”» (p. 64) -, che è una traduzione inaccurata del relativo testo polacco: «Ostatnio przychodzą głównie transporty Żydów z Galicij Wsch. i Rumunii» (Ultimamente arrivano soprattutto trasporti di Ebrei dalla Galizia orientale e dalla Romania). La pagina summenzionata contiene infine l'inizio del rapporto “Annesso n. 46 per il periodo 16-31.1.1943”, che si conclude a p. 155 con una gustosa storiella: «parti di cadaveri di Ebrei» venivano madati da Treblinka negli ospedali di guerra «a scopo di trapianto in interventi chirurgici». In tutta la pagina in questione non c'è alcun accenno alla cremazione di cadaveri. Soltanto nel rapporto inviato a Londra il 31 marzo 1943 si parla di «combustione di rifiuti e immondizie» e di Ebrei bruciati vivi nella fossa chiamata “lazzaretto”. Il rapporto menziona invece esplicitamente le «camere a vapore»[246], il che fa risaltare ancora di più l'ipocrisia di questo ciarlatano. Il secondo riferimento addotto da Terry è la p. 358 del libro di Arad Belzec, Sobibor, Treblinka. The Operation Reinhard Death Camps. Vi è riportato un estratto di 13 righe di un rapporto della Delegatura del 18 agosto 1943 sulla rivolta di Treblinka che contiene questa frase lapidaria: «Recentemente furono messi al lavoro all'apertura delle fosse comuni degli Ebrei assassinati a Treblinka e all'arsione dei corpi che c'erano dentro». Il povero Terry, in totale confusione a causa dei suoi plagi, attribuisce di nuovo questa citazione alla pagina 154 dell'articolo di  Marczewska e Ważniewski, mentre essa si trova a p. 156. Dunque la “dimostrazione” di Terry si riduce a una fonte inventata e ad un'altra di tre parole («(przy) spalaniu odkopanych zwłok» ([alcune centinaia di Ebrei sono stati impiegati] nell'arsione dei cadaveri esumati). Prima di procedere, è bene presentare un breve excursus sui plagi di Terry relativi all'articolo di  Marczewska e  Ważniewski summenzionato. a) Il primo appare nella nota 44 a p. 16 come riferimento bibliografico generale: «Krystyna Marczewska and Władysław Waźniewski, ‘Treblinka w świetle Akt Delegatury Rządu RP na Kraj’, in: Biuletyn Głównej Komisji Badania Zbrodni Hitlerowskich w Polsce, XIX, Warsaw 1968, pp.129-164». Esso è tratto dal nostro studio, incluso l'errore del segno diacritico (“ź” invece di “ż” nel cognome, la cui grafia corretta è appunto “Ważniewski”)[247]. L'altra fonte plagiata da Terry,  il libro di Arad, cita infatti l'articolo in questione senza segni diacritici in questo modo: «Papers of the Delegatura. Krystyna Marczewska, Wladyslaw Wazniewski, ‘Treblinka w swietle akt Delegatury Rzadu na Kraj’, Biuletyn glownej Komisji Badania Zbrodni Hitlerowskich w Polsce, XIX, Warsaw, 1968»[248]. b) A p. 58 Terry presenta la seguente citazione: «Dopo che la locomotiva lascia la stazione, essi costringono gli Ebrei a spogliarsi per andare, pretesamente, alle docce. In realtà essi  vengono consegnati alle camere a gas, ivi sterminati e poi seppelliti in fosse predisposte, talvolta quando sono ancora vivi. Le fosse vengono scavate con macchine. Le camere a gas sono mobili e sono situate sopra le fosse». La fonte da lui indicata è «Informacja Bieżąca Nr 30 (55), 17.8.1942, pubblicato in Marczewska/Waźniewski, ‘Treblinka w świetle Akt Delegatury’, pp.136-7» (nota 92 a p. 58). In realtà anche questa citazione è tratta parola per parola dal libro di Arad[249]. Terry commenta: «L'osservazione di camere a gas mobili, fu rilevato, non poté essere  confermata da alcun'altra fonte» (p. 58). In nota aggiunge: «Una camera a gas mobile fu annotata anche nel diario del capitano della Wehrmacht Wilm Hosenfeld il 6 settembre 1942. A nostro avviso, questo potrebbe risalire alla stessa fonte originale. Annotazione pubblicata in Wladyslaw Szpilman, Das wunderbare Überleben. Warschauer Erinnerungen 1939-1945. Düsseldorf, 1998, p.197sgg » (nota 93). Si tratta evidentemente di volgare propaganda, ma Terry non vuole ammetterlo; qualunque  menzogna  per lui è soltanto una notizia non confermata da un'altra fonte; come se una eventuale conferma rendesse vera una notizia palesemente falsa. Il diario al quale egli fa riferimento nella nota è sì una conferma, ma appunto del carattere propagandistico di questa storia: «6 settembre 1942: [...] sempre più [deportati] riescono a fuggire e tramite loro gli atti di follia vengono al mondo esterno. Il luogo si chiama Treblinka, nella parte orientale del Governatorato generale. Lì i vagoni vengono scaricati, molti sono già morti, l'intero territorio è sbarrato da muri, i vagoni entrano e vengono scaricati. [...]. Le donne e i bambini che si contano a migliaia si devono spogliare, vengono spinti in una baracca mobile e li vengono gasati» [«6. September 1942: [...] es gelingt immer mehreren, zu entfliehen, und durch die kommen die Wahnsinnstaten an die Öffentlichkeit. Der Ort heißt Treblinka, im Osten des Generalgouvernements. Dort werden die Wagen ausgeladen, viele sind schon tot, das ganze Gelände ist mit Mauern abgesperrt, die Wagen fahren hinein und werden entladen. [...] Die nach Tausend zählenden Frauen und Kinder müssen sich entkleiden, werden in eine fahrbare Baracke getrieben und werden da vergast»]. La vera fonte di Terry non è quella da lui indicata, ma un libro di Bogdan Musial dal quale anch'io ho tratto il testo citato sopra[250]. In nota l'autore adduce  il seguente riferimento: «Auszüge aus dem Tagebuch von Hauptmann Wilm Hosenfeld, in: Władysław Szpilman, Das wunderbare Überleben. Warschauer Erinnerungen 1939-1945, Düsseldorf, u.a. 1998, S. 193 sg, 197 sg.»[251]. Terry ha menzionato «p.197 sgg » perché Musial nella pagina precedente riporta altre annotazioni del diario in questione, l'ultima delle quali è quella del 6 settembre 1942, perciò, ha pensato,  l'indicazione «197 sg.» si riferisce ad essa. Per quanto riguarda l'annotazione in questione,  la  «baracca mobile» e il territorio del campo  «sbarrato da muri» che cosa sono se non propaganda grottescamente ridicola? c) Il riferimento successivo all'articolo di  Marczewska e Ważniewski appare a p. 59: si tratta del plagio che ho già esaminato nel punto 14. d) A p. 62 Terry, in relazione al «lungo rapporto stilato dall'attivista dell'Onerg Shabes  Hersz Wasser sulla liquidazione del ghetto di Varsavia e sul campo di sterminio di Treblinka  datato 15 novembre 1942» che  menziona le “camere a vapore”, indica la come fonte: «L'originale polacco è pubblicato in Marczewska/Waźniewski, ‘Treblinka w świetle Akt Delegatury’, pp.138-145; per la traduzione inglese vedi sotto» (nota 103). La nota seguente dice: «Apenszlak (a cura di), The Black Book of Polish Jewry, pp.141-7. Questo titolo può essere letto gratis alla  Hathi Trust Digital Library, perciò qui non sarà riportato» (nota 104). Qui il plagio è ai nostri danni; Terry ha infatti tratto questi dati dal nostro studio su Treblinka, dove abbiamo presentato una traduzione del rapporto del 15 novembre 1942[252], e ha copiato i relativi riferimenti bibliografici[253]. e) A p. 64 e 65 appare il plagio che ho messo in luce sopra. f) L'ultima menzione dell'articolo di  Marczewska e Ważniewski nel testo dei Plagiari  appare a p. 221, dove si dice che «rapporti del movimento di resistenza polacco registrarono due possibili trasporti supplementari a Brest e a Malaszewice, presso Brest, ma non è stata scoperta nessuna ulteriore traccia di essi», il che è giustificato così nella nota 375: «Marczewska/Waźniewski, ‘Treblinka w świetle Akt Delegatury’, p.137». Qui si tratta di un altro plagio del nostro libro[254]. Dopo questa serie di plagi gli Olo-Cialtroni hanno la sfrontatezza di inserire il titolo dell'articolo nella loro Bibliografia: «Marczewska, Krystyna, Władysław Waźniewski, "Treblinka w świetle Akt Delegatury Rządu RP na Kraj", in: Biuletyn Głównej Komisji Badania Zbrodni Hitlerowskich w Polsce, XIX, Warsaw 1968, pp. 129-164» (p. 536). Il titolo precedente è: «Marczewska, Krystyna e Władysław Waźniewski, ‘Obóz koncentracyjny na Majdanku w świetle akt Delegatury Rządu RP na Kraj,’ Zeszyty Majdanka, VII, 1973, pp. 164-241». A p. 534 è registrato anche l'articolo «Gajowniczek, Jolanta ‘Obóz koncentracyjny na Majdanku w świetle 'Dzennika Polskiego' i 'Dziennika Polskiego i Dziennika Żołnierza' z latach 1940-1944,’  Zeszyty Majdanka, VII, 1973, pp.242-261». Questi due titoli in tutto il  Manifesto copia e incolla, appaiono soltanto nella nota 121 a p. 66: «Mattogno altrove ha cercato di ripetere lo stesso pignolesco sistema di citazione-spam per Auschwitz e Majdanek, utilizzando pubblicazioni  polacche che citano rapporti su singoli campi, soprattutto le compilazioni “Oboz koncentracyjny Oswiecim w swietle akt Delegatury Rzadu RP na Kraj”, Zeszyty Oswiecimskie, 1968, numero speciale 1 per Auschwitz nonché Krystyna Marczewska e Władysław Waźniewski, “Obóz koncentracyjny na Majdanku w świetle akt Delegatury Rządu RP na Kraj” e Jolanta Gajowniczek, “Obóz koncentracyjny na Majdanku w świetle Dzennika Polskiego i Dziennika Polskiego i Dziennika Żołnierza z latach 1940-1944”, Zeszyty Majdanka, VII, 1973, pp. 164-241, 242-261» (nota 121 a p. 66). In pratica i Plagiari si sono appropriati di riferimenti bibliografici che non conoscono e che hanno semplicemente tratto dai nostri libri! [23] Terry prosegue: «La resistenza polacca riuscì ad identificare non uno o due, ma tutti e sei i campi come siti che usavano gasazione. Ciò comporta una serie di domande alle quali Mattogno, Graf o Kues  non rispondono neppure vagamente da nessuna parte, a cominciare da questa: perché? Se questa era realmente solo una sorta di “propaganda” del movimento di resistenza polacco, perché essi identificarono erroneamente tutti quanti, come campi della morte, sei campi che MGK dichiarano fossero “campi di transito”?» (p. 66). La ragion d'essere della propaganda antitedesca, esattamente come quella scatenata contro la Germania durante la prima guerra mondiale, era quella di demonizzare il nemico per creare una ostilità universale contro di lui. Essa era una un'arma psicologica che aveva il compito di diffondere le storie più atroci sul conto del nemico e, ciò facendo, il ricorso alla menzogna era normale, anzi, imperativo. Questo è il contesto generale. Alle domande specifiche di Terry sulla «identificazione errata» ho già risposto sopra. Aggiungo che, dal nostro punto di vista, la resistenza polacca non “identificò” un bel niente, ma “creò” propagandisticamente  i “campi della morte”, perciò chiederci “perché” essa trasformò  “campi di transito” in “campi di sterminio” non denota un grande acume intellettuale. [24] Le dichiarazioni di intenti nazionalsocialiste riguardo agli Ebrei, a detta di Terry «di “distruggere” o “estirpare” gli Ebrei d' Europa» (p. 67), vanno esaminate nel loro contesto e sono coerenti con il progetto di deportazione degli Ebrei occidentali nei territori orientali, considerati extra-europei. Nel discorso del 30 gennaio 1941 al Reichstag, Hitler dichiarò: «E non vorrei dimenticare il monito che ho già fatto una volta, il 1° settembre 1939 [recte: il 30  gennaio 1939], al Reichstag tedesco. Il monito, cioè, che, se il resto del mondo sarebbe stato precipitato dall’ebraismo in una guerra generale, l’intero ebraismo avrebbe cessato di svolgere il suo ruolo in Europa! (das gesamte Judentum seine Rolle in Europa ausgespielt  haben wird![255]. La popolazione tedesca attribuì a queste parole il loro esatto significato, ossia che «la lotta del Führer contro l'ebraismo sarà condotta [sino] alla fine con epilogo [Konsequenz]  inesorabile e già presto l'ultimo Ebreo sarà scacciato dal suolo europeo»[256]. Quanto alle notizie sulle fucilazioni degli Einsatzgruppen, esse crearono il fertile terreno sul quale germogliò la propaganda polacca ed ebraica sui “campi di sterminio”. Sulla questione ritornerò successivamente. [25] A p. 67Terry cita qualche riga della circolare del 9 ottobre  1942 intitolata “Misure preparatorie per una soluzione del problema ebraico in Europa. Voci a proposito della situazione degli Ebrei all’Est” (Vorbereitende Maßnahmen zur Endlösung der europäischen Judenfrage. Gerüchte über die Lage der Juden im Osten) destinata ai funzionari del Partito  (PS-3244), che dice: «Nel quadro dei lavori per la soluzione finale della questione ebraica, di recente tra la popolazione, in varie parti del territorio del Reich, sono sorte discussioni su “provvedimenti molto duri” contro gli Ebrei soprattutto nei territori orientali. Dagli accertamenti è risultato che tali dichiarazioni - per lo più in forma distorta e esagerata - sono state diffuse da soldati in licenza delle varie unità impiegate all'Est, che avevano avuto l'occasione di osservare tali provvedimenti. Si può pensare che non tutti i connazionali possano avere la sufficiente comprensione della necessità di tali provvedimenti, soprattutto non le parti della popolazione che non hanno alcuna opportunità di farsi un'idea delle atrocità bolsceviche per esperienza personale. Per essere in grado in questo contesto di opporsi a ogni creazione di dicerie, che spesso hanno un carattere intenzionalmente tendenzioso, vengono riportate a scopo informativo le seguenti spiegazioni: [...] Dall'inizio della guerra nel 1939 queste possibilità di emigrazione diminuirono sempre di più, d'altra parte lo spazio economico del popolo tedesco, parallelamente al suo spazio vitale, crebbe costantemente, sicché oggi in considerazione del gran numero degli Ebrei residenti in questi territori un completo respingimento [Zurückdrängung] non è più possibile. [...]. Perciò una totale rimozione [Verdrängung] o espulsione [Ausscheidung] dei milioni di Ebrei che risiedono nello spazio economico europeo è un'esigenza inevitabile nella lotta per la sicurezza dell'esistenza del popolo tedesco. A cominciare dal territorio del Reich e passando agli altri paesi europei inclusi nella soluzione finale, gli Ebrei vengono continuamente trasportati all'Est in grandi campi in parte esistenti, in parte ancora da costruire, da dove essi vengono impiegati nel lavoro, oppure portati ancora più a est. Gli Ebrei vecchi, al pari degli Ebrei con alte decorazioni di guerra (Croce di ferro di prima classe, Medaglia d'Oro al Valore ecc.) vengono correntemente trasferiti nella città di Theresienstadt situata nel Protettorato di Boemia e Moravia»[257] (corsivo mio). A questo documento Terry oppone che «di fatto, gli Ebrei deportati sparivano da un capo all'altro dell'Europa verso “destinazioni sconosciute” dove non potevano più essere raggiunti dalla posta o da qualunque altra forma di comunicazione e a loro riguardo veniva comunicato “località sconociuta”» (p. 67) e fa riferimento a una lettera  di Eichmann del 9 dicembre 1942 (vedi sotto). Si tratta della risposta al Comandante della Polizia di Sicurezza e del Servizio di Sicurezza  (Befehlshaber der Sicherheitspolizei und des SD: BdS) a Parigi, Heinz Röthke, ad una richiesta di informazioni sulla destinazione dei deportati che aveva ricevuto dall'Union Géneral des Israélites de France. Terry travisa il significato di questo documento, che dice: «Il rilascio di certificati da parte dell'ufficio locale o delle direzioni dei campi sull'evacuazione [Evakuierung] degli Ebrei e sul luogo in cui si trovano, per considerazioni di principio non viene permesso, perciò non deve avvenire in ogni caso. Per quanto in particolare si debba riconoscere la necessità (sottolineato) di fornire informazioni - disbrigo di questioni ereditarie ecc. - non ci sono riserve al fatto che le autorità di polizia francesi diano adeguate informazioni. Per evitare l'uso abusivo di tali informazioni per una campagna diffamatoria a base di atrocità [zur Vermeidung der missbraeulichen Benutzung derartiger Auskuenfte zur Greuelhetze], non devono essere rilasciati in nessun caso certificati di evacuazione o deportazione degli Ebrei. Piuttosto bisogna menzionare soltanto il fatto che l'Ebreo [in questione] al momento risulta trasferito e la sua attuale residenza è ignota»[258]. Terry adduce la seguente fonte: «FS RSHA IV B 4 A an BdS Frankreich, Betr.: Ausstellung von Bescheinigungen für Evakuierte, 9.12.1942, gez. Eichmann, T/37 (65)» (nota 129 a p. 67). Egli finge scioccamente di conoscere un documento che non ha mai visto, come si desume dagli errori che commette. L'intestazione del documento non è «FS RSHA IV B 4 A», ma «R.F.SS Sicherheits-Dienst»; l'ufficio «IV B 4 A» non vi è menzionato; il destinatario non è «an BdS Frankreich» ma «an BdS Paris»; infine il documento è «i.A. gez. Eichmann, SS.-Ostubaf.», cioè è firmato da Eichmann “in Auftrag” (per incarico)[259]. [26] Il plagiario afferma poi che «A Goebbels e al Ministero della popaganda era abbastanza chiaro che non potevano arginare la marea di rapporti di sterminio perché non potevano fornire un alibi plausibile, un resoconto sensazionale o una prova di esistenza in vita» dei deportati. A sostegno di quest'affermazione, egli presenta tre citazioni, la prima delle quali si riferisce a  «una conferenza del 12 dicembre 1942» nella quale Goebbels avrebbe ammesso «“che noi non abbiamo molto da presentare come controprova”» (p. 67). Ecco il testo tedesco del passo: «Da die gegnerischen Nachrichten über die angeblichen deutschen Greueltaten an Juden und Polen immer massiver werden, der Fall aber so liegt, dass wir nicht allzu viel an Gegenbeweisen anzuführen haben, empfiehlt der Minister, entsprechend dem Prinzip, daß der Angriff die beste Parade ist, ...»[260] (corsivo mio). «Poiché le informazioni nemiche sulle presunte atrocità tedesche nei confronti degli Ebrei e dei Polacchi diventano sempre più ampie, ma la cosa è tale che noi non abbiamo troppe controprove da presentare, il Ministro raccomanda [di agire] in base al principio che l'attacco è la migliore difesa». La fonte addotta da Terry è «Minister Conference of 12.12.1942, published in Willi Boelcke (ed), The Secret Conferences of Dr. Goebbels: The Nazi Propaganda War, 1939-1943, New York: Dutton, 1970» (nota 132 a p. 68).  Si tratta senza dubbio di una fonte spuria, sia perché egli non indica il numero di pagina dell'opera, sia perché il documento in questione proviene dall'archivio RGVA, che non era accessibile negli anni Settanta. Terry introduce poi la seconda citazione: «Lo stesso giorno, egli scrisse nel suo diario che La campagna di atrocità sulla Polonia e la questione ebraica va del resto assumendo dimensioni enormi. Temo che col tempo non possiamo controllare la questione col silenzio. Dobbiamo fornire una qualche risposta... È meglio passare all'offensiva e parlare delle atrocità inglesi in India o nel Medio Oriente. Forse ciò indurrà gli Inglesi a stare tranquilli. In ogni caso, facendo così, cambiamo argomento e solleviamo un'altra questione» (p. 68). La fonte da lui addotta è «TBJG II/6, pp. 438-9 (13.12.1942)» (nota 133 a p. 68). In realtà egli non ha mai visto tale fonte, cioè  Die Tagebücher Joseph Goebbels (I diari di JosephGoebbels). La sua citazione proviene infatti parola per parola  da un'opera di Jeffrey Herf[261]. Terry aggiunge che «due giorni dopo, Goebbels ammise “che non può essere questione di una confutazione completa o pratica delle accuse di atrocità antiebraiche”» (p. 68). Egli menziona come fonte «Conferenza del Ministro del  14.12.42, pubblicata in Boelcke (ed), Secret Conferences, pp.308-9» (nota 134 a p. 68), ma il testo è tratto parimenti da Herf: «Qui non può essere questione di una confutazione completa o pratica delle accuse di atrocità antiebraiche, ma soltanto di una campagna tedesca riguardante le atrocità di Britannici e Americani nel mondo»[262]. Riporto il testo tedesco del brano nel suo contesto: «Mit aller Eindringlichkeit bezeichnet es der Minister als unbedingt notwendig, jetzt einen Entlastungsfeldzug größten Stils in der Judenfrage zu starten. Es besteht kein Zweifel mehr darüber, dass in ganz großem Umfange jetzt die Judenfrage in der Welt aufgerollt werden muß. Wir können nun auf diese Dinge nicht antworten; wenn die Juden sagen, wir hätten 2,5 Millionen Juden in Polen füsiliert oder nach dem Osten abgeschoben, so können wir natürlich nicht darauf antworten, dass es etwa nur 2,3 Millionen gewesen wären. Wir sind also nicht in der Lage, uns auf eine Auseinandersetzung - wenigstens vor der Weltöffentlichkeit nicht - einzulassen. Im übrigen ist die Weltöffentlichkeit noch nicht so weit über die Judenfrage aufgeklärt, als dass wir es wagen könnten zu sagen: “Jawohl, das haben wir getan, und zwar aus folgenden Gründen”. Wir kämen ja auch gar nicht zu Worte...»[263] (corsivo mio). «Con grande insistenza il Ministro definisce assolutamente necessario  cominciare ora una campagna di alleggerimento in grande stile nella questione ebraica. Non c'è più alcun dubbio sul fatto che ora la questione ebraica dev'essere sollevata nel mondo in una portata molto ampia. Su queste cose ora non possiamo rispondere; se gli Ebrei dicono che abbiamo fucilato o espulso all'Est 2.500.000  Ebrei, non possiamo naturalmente replicare che erano solo 2.300.000. Non siamo dunque in grado di invischiarci in una discussione, meno che mai davanti all'opinione pubblica mondiale. Del resto, l'opinione pubblica mondiale sulla questione ebraica  non è ancora informata in modo  così ampio che noi possiamo osar dire: “Sì, lo abbiamo fatto, e precisamente per le seguenti ragioni”. Noi non riusciremmo certo neanche a parlare ....» Il riferimento a «informazioni nemiche sulle presunte atrocità tedesche nei confronti degli Ebrei e dei Polacchi»  contrasta con quella che sembra un'ammissione di colpa. Non ho accesso ai resoconti delle altre conferenze ministeriali di questo periodo, che  chiariscono senza dubbio la questione. In base a questi due documementi, comunque, l'accusa alla quale Goebbels non era in grado di rispondere riguardava fucilazioni e deportazioni all'Est, fatti innegabili, indipendentemente dalle cifre. Ciò non significa che i deportati fossero «espulsi» in “campi di sterminio” e non risulta che Goebbels li abbia mai menzionati. Qui si ripropone il singolare fenomeno che ho già sottolineato, ossia la presenza di rapporti e riferimenti espliciti alle fucilazioni, nulla riguardo ai “campi di sterminio”. La questione era cominciata il 30 agosto 1942, quando il Geneva Office of the Jewish Agency for Palestine diffuse un rapporto sulle “atrocità” nazionalsocialiste. Myron Taylor, il rappresentante personale del Presidente Roosevelt presso la Santa Sede, lo trasmise il 18 settembre  al Cardinale Segretario Stato Luigi Maglione, chiedendo se il Vaticano potesse confermare il suo contenuto. Il rapporto cominciava così (punto 1): «La liquidazione del ghetto di Varsavia è in corso. Tutti gli Ebrei, senza alcuna distinzione, senza riguardo a età o sesso, vengono rimossi dal ghetto a gruppi e fucilati. I loro cadaveri sono utilizzati per fare grassi e le loro ossa per  produrre fertilizzante. I cadaveri vengono perfino esumati a questo scopo». Subito dopo veniva menzionato Bełżec: «Queste esecuzioni in massa non hanno luogo a Varsavia, ma in campi appositamente predisposti, uno dei quali, a quanto si dice, si trova a Belzek [sic]». Nel mese di luglio 50.000 Ebrei erano stati uccisi a Lemberg «sul posto», mentre «secondo un altro rapporto, 100.000 sono stati massacrati a Varsavia. In tutto il distretto orientale della Polonia, inclusa la Russia, non è rimasto vivo un solo Ebreo. In tale contesto, viene riferito che l'intera popolazione non ebraica di Sebastopoli è stata uccisa». Inoltre «Ebrei deportati da Germania, Belgio, Olanda, Francia e Slovacchia sono mandati al macello», senza precisare dove, e «una gran parte della popolazione ebraica deportata in Lituania e a Lublino è già stata giustiziata». Il rapporto menzionava infine Theresienstadt e le deportazioni per le esecuzioni, «circa quaranta persone in ogni carro merci»[264]. Il Vaticano rispose che «rapporti su severe misurere prese contro non ariani sono giunti anche alla Santa Sede, ma fino ad ora non è stato possibile verificarne l'esattezza»[265]. In questo intricato groviglio di poca verità e di molta propaganda, era molto difficile anche per Goebbels fornire  «controprove». Una lettera di Himmler al capo della Gestapo Heinrich Müller in data 20 novembre 1942 mostra quali fossero le preoccupazioni del Reichsführer-SS in questa vicenda. Egli allegò alla lettera «una comunicazione molto interessante su un memoriale del dott. Wise di settembre». Rabbi Wise, a New York, era un destinatario privilegiato dei rapporti provenienti dall'Europa. Il 28 settembre egli aveva parlato al Madison Square Garden sulle atrocità naziste. Himmler scrisse: «Che simili dicerie possano mai diffondersi, non mi meraviglia, dato il grande movimento di migrazione degli Ebrei. Sappiamo entrambi che tra gli Ebrei che sono impiegati nel lavoro c'è un'alta mortalità». [«Daß derartige Gerüchte in der Welt einmal in Umlauf kommen, wundert mich bei der großen Auswanderungsbewegung der Juden nicht. Wir wissen beide, daß bei den Juden, die zur Arbeit eingesetzt werden, eine erhöhte Sterblichkeit vorhanden ist»]. L'unica richiesta di Himmler era la garanzia che i corpi di questi Ebrei morti  «vengano cremati o inumati (entweder verbrannt oder vergraben werden)» e che «ai cadaveri non possa accadere nulla di diverso (mit den Leichnamen nicht irgend etwas anderes geschehen kann[266]. In questa lettera interna, destinata a rimanere riservata, Himmler faceva dunque risalire le allarmanti «dicerie» al travisamento del  «grande movimento di migrazione degli Ebrei»; la sua unica incertezza e preoccupazione era che qualcuno, da qualche parte, potesse realmente aver profanato cadaveri di Ebrei, perciò ordinava che essi fossero cremati e seppelliti, proibendo che fossero utilizzati per qualunque scopo. Quanto poi alla pretesa di Szul Zygielbojm, raccolta da Terry, che, in piena guerra, una commissione neutrale se ne andasse a cercare verifiche nella Polonia occupata (p. 68), è a dir poco ingenua e sarebbe stata rifiutata da qualunque Stato occupante. [27] Terry riferisce poi  del  «giornalista slovacco che  nel dicembre 1942 fu mandato dall'ufficio di Eichmann in visita al complesso di campi di lavoro forzato dell'Organizzazione  Schmelt». Ora è vero che i campi di questa organizzazione si trovavano «ad ovest di Auschwitz» (p. 68), ma è bene ricordare che Fritz Fiala, caporedattore del “Grenzbote”, nel suo viaggio, in compagnia di Dieter Wysliceni, entrò anche ad Auschwitz e parlò con detenute slovacche ivi deportate[267]. Al riguardo Terry adduce la seguente fonte: «Sulla visita ai campi Schmelt e alla progettata visita a  Theresienstadt vedi RSHA Aussiedlung der Juden aus der Slowakei – Hirtenbriefe der slowakischen Bischöfe gegen die staatlichen antijüdischen Massnahmen, 3.6.1943, gez. Eichmann, T/1108» (nota 136 a p. 69). Si tratta di una lettera di Eichmann a Eberhard von Thadden, caposezione (Referatsleiter) nel dipartimento “Inland II” e relatore sulle questioni ebraiche al Ministero degli Esteri (Judenreferent all' Auswärtiges Amt),  datata 2 luglio 1943, che ha per oggetto, appunto, “Aussiedlung der Juden aus der Slowakei - Hirtbriefe der slowakischen Bischöfe gegen die staatlichen antijüdischen Massnahmen”. (Evacuazione degli Ebrei dalla Slovacchia - Lettere pastorali dei vescovi slovacchi contro i provvedimenti antiebraici statali). Eichmann informa sulla visita di Fiala e aggiunge: «Del resto, a difesa contro le favole di atrocità che circolano in Slovacchia sulla sorte degli Ebrei, si può fare riferimento al traffico postale di questi Ebrei con la Slovacchia, che viene diretto centralmente tramite il consigliere per le questioni ebraiche presso la legazione tedesca a Presburgo [Bratislava] e che, ad esempio, per il febbraio-marzo di quest'anno, ammonta a oltre 1.000 lettere e cartoline soltanto per la Slovacchia» [«Im übrigen kann zur Abwehr der über das Schicksal der evakuierten Juden in  der Slowakei umgehenden Greuelmärchen auf dem Postverkehr dieser Juden nach der Slowakei verwiesen werden, der zentral über den Berater für Judenfragen bei der Deutschen Gesandschaft in Pressburg geleitet wird und für Februar-März ds. Jrs. beispielweise über 1.000 Briefe und Karten allein für die Slowakei betrug»][268]. Ovviamente Terry non fa alcun accenno a queste lettere e cartoline. [28] Discutendo di «Investigationi e Processi» (p. 69), Terry, partendo dalla «teoria della cospirazione», afferma che «in più di sessant'anni di tentativi, i revisionisti non sono mai riusciti a spiegare come fu possibile che le potenze alleate e gli stati che sono seguiti in Germania e in Austria abbiano potuto orchestrare la massiccia cospirazione di distorsione della verità che l'espressione “processo farsa” implica». Jürgen Graf ha già spiegato nel suo contesto storico quale fu la vera natura di questa orchestrazione. Da parte mia, ho chiarito in particolare perché tutti i processi del dopoguerra furono “processi farsa”, senza bisogno di ricorrere a “torture” e a “cospirazioni”. Perciò non mi occuperò più della questione  generale, ma dei singoli argomenti. In questo paragrafo Terry adotta un singolare metodo argomentativo che si risolve in una completa auto-confutazione. Egli rileva che «la conoscenza sovietica di Belzec, Sobibor e Treblinka era in effetti estremamente esigua. Durante la guerra, in Unione Sovietica, sui campi erano apparsi pochi rapporti in russo o jiddisch, mentre la dirigenza sovietica ricevette sui campi rapporti quantomeno vaghi. Nessun superstite dei campi raggiunse le linee sovietiche fino all'estate  del 1944, precisamente nel momento in cui  Belzec, Sobibor e Treblinka erano [già] liberati. Qualunque insinuazione che “i Sovietici” adottarono nei confronti di questi campi una storia propagandistica prestabilita o preordinata è confutata dalla totale assenza di qualunque prova a sostegno di una tale indicazione» (p. 69). Dopo aver dedicato parecchie pagine a cercare di dimostrare che  «la resistenza polacca riuscì ad identificare non uno o due, ma tutti e sei i campi come siti che usavano gasazione» (p. 66), ora egli ci dice che in pratica i Sovietici non sapevano nulla dei tre campi in questione; ma poiché i Sovietici si basavano sul rapporto del Governo polacco (documento URSS-93), ne consegue che neppure questo ne sapeva nulla. Le sue dichiarazioni sull'impianto di folgorazione a Belzec (ma ciò vale anche  per le “camere a vapore” di Treblinka) si spiegano, secondo Terry, con una «scarsità e inaccuratezza di informazioni», ma ciò è soltanto un'aggravante, perché dimostra la totale mancanza di scrupoli degli inquirenti di Norimberga, che fondarono le accuse riguardo a questi  “campi di sterminio” sul nulla.  Sta di fatto che Tadeusz Cyprian, il firmatario dell'accusa sulle “camere a vapore” di Treblinka, «era stato il rappresentante del Governo polacco in esilio alla Commisione delle Nazioni Unite per i Crimini di Guerra» (nota 144 a p. 70), quindi conosceva tutti i rapporti giunti alla Delegatura, perciò, se scelse l'accusa del vapore, la ritenne evidentemente la più convincente. In tale contesto Terry afferma che «Gerstein o Oskar Berger, fornirono dettagliate descrizioni delle camere a gas di  Belzec e Treblinka» (p. 70). Quest'affermazione, in riferimento a Oskar Berger, è una ridicola menzogna. Il testimone viene citato successivamente da Myers nel capitolo 5, dove però non si parla affatto di gasazioni, ma di fucilazioni (p. 299). Nella pagina successiva Myers cita Jankiel Wiernik «oltre alla testimonianza di Oskar Berger sulle fucilazioni al suo arrivo a Treblinka» (p. 300). Sulla questiore ritornerò nel punto 66 del capitolo 8. [29] Terry scrive poi che «sia Mattogno sia Kues hanno asserito separatamente che il rapporto Gertein fu il modello per gli investigatori polacchi che aiutarono presuntamente  Rudolf Reder, praticamente l'unico superstire di Belzec, a “scrivere” la sua testimonianza. Ma questa pretesa è immediatamente confutata dal fatto che Reder rese una lunga testimonianza agli inquirenti sovietici della procura della regione (oblast)[269] di Lvov nel settembre 1944, ben prima di quando Gerstein scrisse il suo rapporto» (pp. 71-72). Per quanto mi riguarda, Terry travisa ciò che ho scritto su tale questione[270], ossia, in estrema sintesi: ancora l'11 aprile 1946 il procuratore di Zamość  scrisse nel suo “Rapporto sui risultati delle indagini sull'affare del campo di sterminio di Bełżec” che «fu impossibile stabilire quale fosse stato il metodo di uccisione delle persone nelle camere a gas»; la versione dei gas di scarico di un motore fu canonizzata solo nel 1947 dalla Commissione Centrale di Indagine sui Crimini Tedeschi in Polonia. Nel suo articolo su Bełżec, Eugeniusz Szrojt scrisse che l'uccisione vi veniva effettuata «per mezzo dei gas di scappamento di un motore», invocando falsamente il testimone Reder, che non aveva mai asserito una cosa simile. Szrojt aveva senza dubbio ripreso questo metodo dal “rapporto Gerstein”, che aveva acquisito una grande notorietà all'udienza del 30 gennaio 1946 del processo di Norimberga. Per quanto riguarda i rapporti tra le dichiarazioni di Reder e quelle di Gerstein, rimando al punto 97 del capitolo 8. L'argomento di fondo delle pagine che Terry dedica ai processi celebrati nella Germania Occidentale (p. 75 e sg.), alle quali Jürgen Graf risponde in modo specifico nel capitolo 4, resta sempre la sua infondata “teoria della cospirazione”. La sua affermazione, citata da Terry a p. 75, che «dopo che gli Alleati occidentali vittoriosi ebbero creato uno stato fantaccio chiamato “Repubblica Federale Tedesca”, i suoi capi ordinarono al potere giudiziario di fabbricare le prove per il miraggio dell'uccisione di milioni di persone in camere a gas, per il quale non è sopravvissuto un briciolo di prova, se è mai esistita», significa, nella nostra prospettiva,  che la magistratura tedesca, adeguatamente sottoposta, come tutto il popolo, a  “rieducazione” (Umerziehung) e “denazificazione”, divenne appunto «un fantoccio» dei vincitori della guerra,  «un fantoccio» che aveva molto da farsi perdonare. Ma questa non è neppure la questione fondamentale. Essa recepì, con un rivoltante sadomasochismo che crebbe nel corso dei decenni, le parole d'ordine imposte dai Tribunali Militari e, pur perseguendo a suo modo fini di giustizia, costituì di fatto la continuazione dei processi militari che a loro volta erano la continuazione in campo giudiziario degli sforzi bellici degli Alleati contro la Germania. Di fatto, essa costruì anche l'ossatura della storiografia olocaustica occidentale, come rilevò Martin Broszat nel suo giudizio riportato da Graf. Perciò la sua conclusione è ineccepibile: «Sebbene praticamente tutti i libri di testo di storia e di altro tipo menzionino la   soluzione finale della questione ebraica, questa era stata documentata a malapena in modo sistematico. Ciò fu fatto solo dopo, grazie alle lunghe e  meticolose indagini della magistratura! In altre parole: la pubblica accusa e i giudici dovettero correre in soccorso degli storici per dimostrare tardivamente ciò che fino ad allora non era stato dimostrato»[271]. In tale contesto, «il fatto che ci sono almeno 155 processi che si riferiscono direttamente o indirettamente all'Azione Reinhard» (p. 79) dimostra al riguardo qualcosa, come il fatto che l'Inquisizione celebrò centinaia di processi di stregoneria, dimostra l'esistenza delle streghe e del diavolo. In entrambi i casi esisteva una premessa assolutamente indiscutibile che non era possibile negare. Per i processi tedeschi, l'accettazione dell'accusa e l'eventuale confessione non era necessariamente frutto di «patteggiamento», come pensa puerilmente Terry, che esclude questa eventualità in quanto non contemplata dalla legge della Germania occidentale (p. 80), ma piuttosto  di tacite connivenze, come dimostra esemplarmente il caso di Pfannenstiel. Si trattava di una semplice strategia difensiva, così come nessuna accusata dall'Inquisizione si sarebbe mai sognata di difendersi dall'accusa di essere una strega negando l'esistenza della stregoneria o del diavolo. Il senso di ciò non è, come ritiene Terry, «maggiore testimonianza sulla gasazione = sentenza più lieve» (p. 80), ma «negazione della gasazione = massima pena». [30] Terry si dilunga poi sulle «investigazioni sovietiche degli uomini di Trawniki». Egli afferma che gli imputati non fecero «confessioni nel senso cliché della parola, perché gli uomini di Trawniki continuarono a negare il loro personale coinvolgiemnto in crimini di eccessi». Appunto una delle strategie principali che ho menzionato sopra. Alla fine conclude: «MGK hanno certamente il diritto di affermare che tutti gli interrogatori degli uomini di Trawniki furono il prodotto di un gigantesco esercizio di falsificazione, senza offrire alcuna prova della loro asserzione, ma a costo alienarsi la considerazione di ricercatori seri » (p. 84). Terry, come quasi tutti i suoi consimili, professa una sorta di idololatria della testimonianza giudiziaria, il che conferma quanto la storiografia olocaustica si fondi su “prove” di tal fatta. Ripeto che, dal punto di vista storiografico, testimonianze senza riscontro oggettivo non valgono nulla. Nel caso specifico, però, vale la pena di riferire il giudizio di uno specialista, Dieter Pohl: «Che cosa bisogna dedurre da questi atti sovietici? Anzitutto si deve considerare che non si trattò di procedimenti con garanzie giuridiche. Negli interrogatori, gli imputati furono spesso minacciati, occasionalmente, soprattutto nei processi di fine anni Quaranta-inizio anni Cinquanta, anche maltrattati. Perciò imputazioni e autoaccuse individuali sono da considerare con grande precauzione». Per giudicare la loro  «attendibilità», secondo Pohl, bisogna confrontarle con i risultati dei procedimenti giudiziari occidentali[272], ma questo è, di nuovo, un criterio  giudiziario, non storiografico. [31] Terry si appella poi ai processi contro uomini di Trawniki negli Stati Uniti e asserisce che il primo di essi fu «il procedimento di privazione del diritto di cittadinanza contro l'uomo di Trawniki di Treblinka II Fedor Fedorenko», che «si svolse senza il beneficio di qualunque prova di provenienza sovietica» (p. 85). La fonte principale da lui addotta è questa: «Vedi la trascrizione di US contro  Fedorenko, giugno 1978, copia del microfilm disponibile alla Wiener Library, Londra» (nota 213 a p. 85). Tuttavia, nonostante l'importanza olocaustica di Fedorenko, il quale «non negò neppure una volta che aveva prestato servizio a Treblinka e che vi aveva assistito allo sterminio di Ebrei in camere a gas» (p. 85), i Plagiari non citano mai uno stralcio della sua testimonianza. Le tre fonti addotte da Terry sono evidente frutto di “copia e incolla”. La prima, che ho riportato sopra (sua nota 213 a p. 85), è menzionata solo qui. La seconda è «Appeal brief, US vs Fedorenko, Wiener Library» (nota 214 a p. 86).  Anche questo riferimento, tratto chi sa da dove, appare solo in questa nota. Probabilmente si tratta della relazione  «United States v. Fedorenko. United States of America, plaintiff,v. Feodor Fedorenko, Defendant.No. 77-2668-Civ-NCR.United States District Court, S. D. Florida, Ft. Lauderdale Division.July 25, 1978»[273]. La terza fonte è questa: «Sugli aspetti legati al caso Fedorenko, vedi anche Abbe L. Dienstag, ‘Fedorenko v. United States: War Crimes, the Defense of Duress, and American Nationality Law’, Columbia Law Review, Vol. 82, No. 1 (Jan., 1982), pp. 120-183» (nota 215 a p. 86). Oltre che in questa nota, essa viene citata solo nella bibliografia (p. 544). Il caso Fedorenko negli Stati Uniti è esposto nella relazione «Feodor Fedorenko, Petitioner,v.  United States.  No. 79-5602.  Argued Oct. 15, 1980.  Decided Jan. 21, 1981»[274]. Non c'è dubbio che questo procedimento si svolse senza ricorso a «prove di provenienza sovietica», ma ciò non significa nulla. Il Governo degli Stati Uniti aveva fatto proprio il quadro storico olocaustico di Treblinka e aveva introdotto nel procedimento sei ex detenuti di Treblinka: «Il Governo presentò testimoni che attestarono che avevano visto il ricorrente commettere atti di violenza contro detenuti del campo, e un testimone esperto nell'applicazione del DPA [Displaced Persons Act], il quale dichiarò che il ricorrente sarebbe stato dichiarato inidoneo per un visto per questione di diritto se fosse stato accertato che era stato una guardia armata nel campo, indipendentemente dal fatto che si fosse presentato volontariamente o no per il servizio o avesse commesso atrocità contro detenuti. Nella sua testimonianza, il ricorrente ammise che diede deliberatamente false informazioni  in relazione all'applicazione nei suoi confronti del visto DPA, ma  asserì che era stato costretto a prestare servizio come guardia e negò qualunque coinvolgimento personale nelle atrocità commesse al campo». La relazione «Feodor Fedorenko, Petitioner, v.  United States» precisa inoltre che «l'infame campo di concentramento di Treblinka fu descritto dalla Corte distrettuale come un “mattatoio umano” nel quale furono uccisi diverse centinaia di migliaia di civili ebrei». A Fedorenko non restava dunque che ammettere il “fatto” negando qualunque suo coinvolgimento nelle presunte  “atrocità”: «Egli ammise il suo servizio di guardia armata a Treblinka e che sapeva che vi erano stati uccisi migliaia di detenuti ebrei. Id., ad 1442, 1451-1452, 1465. Il ricorrente asserì che era stato costretto a prestare servizio come guardia e negò qualunque coinvolgimento personale nelle atrocità commesse al campo, id., ad 1276, 1297-1298, 1539-1540; egli insistette sul fatto che era stato soltanto una guardia del perimetro [del campo]». Da questi atti non risulta invece che Fedorenko affermò «che era stato testimone  dello sterminio di Ebrei in camere a gas», come Terry afferma senza addurre un riferimento preciso; anzi disse il contrario:«Egli negò completamente di aver fatto parte del campo 2  o di essersi mai avvicinato alle camere a gas»[275]. Questo fu il primo procedimento. Per quanto riguarda i processi successivi celebrati negli Stati Uniti e in Canada, Pohl riferisce che «per la verità vi furono utilizzati di nuovo  in modo considerevole i materiali processuali sovietici», anche se ci fu qualche nuovo testimone e occasionalmente nuovo materiale[276]. Con pomposa retorica, Terry conclude che la nostra  «“opera” è stata pesata sulla bilancia e trovata carente» e fa riferimento a nostre presunte «sciocche teorie cospirative». L'intero capitolo da lui redatto è pervaso dall'ossessione della «teoria della cospirazione», che è alla base del suo impianto probatorio e lo infirma completamente. Lo lascio volenterieri alla sua “sciocca ossessione”.


[1] In: http://theflatearthsociety.org/cms/
[2] G. Morsch, B. Perz, A. Ley (a cura di), Neue Forschungen zu nationalsozialistischen Massentötungen durch Giftgas, Metropol Verlag, Berlino, 2011.
[3] Idem, p. XII.
[4] Idem, p. XXIX.
[5] Idem, pp. 260-276.
[6] C. Mattogno, «KL Sachsenhausen. Stärkemeldungen und “Vernichtungsaktionen” 1940 bis 1945», in: Vierteljahreshefte für freie Geschichtsforschung, n. 2, 2003, pp. 173-185.
[7] G. Morsch, B. Perz, A. Ley (a cura di), Neue Forschungen zu nationalsozialistischen Massentötungen durch Giftgas, op. cit.,   pp. 185-196.
[8] C. Mattogno, J. Graf, Treblinka: Vernichtungslager oder Durchgangslager?, Castle Hill Publishers, Hastings, 2002.  Versione in inglese: Treblinka: Extermination camp or transit camp? Theses & Dissertation Press, Chicago, 2004.
[9] C. Mattogno, Bełżec in Propaganda, Testimonies, Archeological Research and History, Theses & Dissertation Press, Chicago 2004. Versione italiana:  Bełżec nella propaganda, nelle testimonianze, nelle indagini archeologiche e nella storia. Effepi, Genova, 2006.
[10] G. Morsch, B. Perz, A. Ley (a cura di), Neue Forschungen zu nationalsozialistischen Massentötungen durch Giftgas, op. cit., op. cit., pp. 23-49.
[11] C. Mattogno, Schiffbruch. Vom Untergang der Holocaust-Orthodoxie. Castle Hill Publishers, Uckfield, 2011, pp. 28-45.
[12] C. Mattogno, Olocausto: Dilettanti allo sbaraglio. Edizioni di Ar, Padova, 1996, pp. 212-215.
[13] F. Leuchter, R. Faurisson, G. Rudolf, The Leuchter Reports. Critical Edition. 2a ed., Washington, 2011.
[14] In: http://holocaustcontroversies.blogspot.com/2006/10/thats-why-it-is-denial-not-revisionism.html. [Con un curioso effetto di trasfert, Romanov attribuisce a noi l'indecoroso trattamento che egli stesso e il suo degno compare “Roberto” hanno subìto ad opera mia, in due confutazioni che li prende di mira direttamente ed espongono il loro “nanismo” non soltanto intellettuale, ma anche e soprattutto morale. Vedi «Il comitato di soccorso Zimmerman o gli olo-bloggers in (denigr)azione nel web», in: http://ita.vho.org/58_Il_Comitato_di_Soccorso_Zimmerman.pdf, e «Bełżec e le controversie olocaustiche di Roberto Muhelenkamp», in: http://www.vho.org/aaargh/fran/livres9/CMMuehlen.pdf. In questi scritti ho fatto letteralmente «a pezzetti» le menzogne, i vaneggiamenti e le corbellerie di questi due “dilettanti”  [C.M.].
[15] In: http://www.deathcamps.org/dedication/.
[16] In: http://holocaustcontroversies.blogspot.com/2006/05/carlo-mattogno-on-belzec_27.html.
[17] Adalbert Rückerl, NS-Vernichtungslager im Spiegel deutscher Strafprozesse. Dtv, Francoforte, 1977, p. 203, 226.
[18] Y. Arad, Belzec, Sobibor, Treblinka. The Operation Reinhard Death Camps, Indiana University Press. Bloomington/Indianapolis, 1987, pp. 392-397.
[19]Le Monde, 21 febbraio 1979.
[20] Eugen Kogon, Hermann Langbein, Adalbert Rückerl (a cura di), Nationalsozialistische Massentötungen durch Giftgas, Fischer Taschenbuch Verlag. Francoforte, 1983, p. 171 sg.
[21] Raul Hilberg, The Destruction of the European Jews, 3 volumes, Homes and Meier, New York, 1985.
[22] J.-C. Pressac, Auschwitz. Technique and Operation of the Gas Chambers. The Beate Klarsfeld Foundation, New York, 1989; Id.,  Les crématoires d’Auschwitz, CNRS, Parigi, 1993.
[23] R. Faurisson, «Bricolages et gazouillages à Auschwitz et Birkenau selon J. C. Pressac“»,in: Revue d’Histoire Révisionniste, n. 3, novembre 1990; S. Verbeke (a cura di), Auschwitz. Nackte Fakten, Berchem, 1995; C. Mattogno, Auschwitz. The Case for Sanity. A historical and technical study of Jean-Claude Pressac’s Criminal Traces and Robert Jan van Pelt’s Convergence of Evidence. The Barnes Review, Washington, 2010. Versione it.: Le camere a gas di Auschwitz. Studio storico-tecnico sugli “indizi criminali” di Jean-Claude Pressac e sulla “convergenza di prove” di Robert Jan van Pelt. Effepi, Genova, 2009.
[24] Valérie Igounet, Histoire du négationnisme en France. Éditions du Seuil, Parigi, 2000, p. 641.
[25]Vierteljahreshefte für freie Geschichtsforschung, n.  3, 2003.
[26] Alla lettera “vaso dei vermi” (can of worms).
[27] J. Graf, Riese auf tönernen Füssen. Raul Hilberg und sein Standardwerk über den Holocaust. Castle Hill Publishers, Hastings, 1999. Versione ingl.: The Giant with Feet of Clay. Raul Hilberg and his Standard Work on the Holocaust”.  Theses & Dissertation Press, Chicago, 2001.
[28] In: http://holocaustcontroversies.blogspot.com/2006/05/jrgen-graf-is-liar.html.
[29] J. Graf, T. Kues, C. Mattogno, Sobibór. Holocaust Propaganda and Reality. The Barnes Review, Washington, 2010.
[30] U. Walendy, Historische Tatsachen, n. 44, “Der Fall Treblinka”. Verlag für Volkstum und Zeitgeschichtsforschung, Vlotho, 1990.
[31] Ma si veda al riguardo l'approfondimento che appare nel capitolo 3.
[32] In: http://rodohforum.yuku.com/sreply/130194/Revisionists-proven-Udo-Walendy-forged-document-reply-130196.
[33] In: http://www.inconvenienthistory.com/archive/2011/volume_3/a-premature_news_report.php.
[34] «A challenge to Dr. Christian Lindtner», in: http://globalfire.tv/nj/12en/history/lindtner.htm.
[35] Jonathan Harrison, Roberto Muehlenkamp, Jason Myers, Sergey Romanov, Nicholas Terry, Belzec, Sobibor, Treblinka. Holocaust Denial and Operation Reinhard. A Critique of the Falsehoods of Mattogno, Graf and Kues, A Holocaust Controversies White Paper, http://holocaustcontroversies.blogspot.com, dicembre 2011.
[36]Sobibór. Holocaust Propaganda and Reality, op. cit., p. 179.
[37] J. Graf, «David Irving and the Aktion Reinhardt Camps», in:  Inconvenient History, vol. 1, n. 2, 2009.
[38] C. Mattogno, Il rapporto Gerstein. Anatomia di un falso, Sentinella d’Italia, Monfalcone, 1985.
[39] André Chelain, La thèse de Nantes et l’affaire Roques, Polémiques, Parigi, 1989.
[40] La questione viene ripresa e approfondita nei punti 186-187 del capitolo 6.
[41] Jürgen Graf, Carlo Mattogno, Concentration Camp Majdanek. A Historical and Technical Study, Theses & Dissertation Press, Chicago 2003, capitolo 4.
[42] Tomasz Kranz, “Ewidencja zgonów i śmiertelność więżniów KL Lublin”, in Zeszyty Majdanka, XXIII (2005).
[43] J. Graf, «Révision du nombre des victimes de Majdanek»,  in: Sans Concession, n. 42-45 (settembre-dicembre 2008). Trad. ted: «Zur Revision der Opferzahl von Majdanek», in: http://juergen-graf.vho.org/articles/index/html.
[44] J. Graf, C. Mattogno, KL Majdanek. Eine historische und technische Studie, Castle Hill Publishers, Hastings, 1998, capitolo  4.
[45] J. Graf,  «Révision du nombre des victimes de Majdanek», op. cit.  
[46] T. Kranz, «Massentötungen durch Giftgas im Konzentrationslager Majdanek», in: G. Morsch, B. Perz, A. Ley (a cura di), Neue Forschungen zu nationalsozialistischen Massentötungen durch Giftgas, op. cit.,  p. 227.
[47] Archiwum Muzeum Stutthof, I-IB 8, p. 53. Traduzione e trascrizione del documento in: C. Mattogno, Auschwitz: Assistenza sanitaria e “selezioni” dei detenuti immatricolati, Effepi, Genova,  2010.
[48] Danuta Czech, Kalendarium der Ereignisse im Konzentrationslager Auschwitz-Birkenau 1939-1945, Rowohlt Verlag. Reinbeck, 1989, p. 511.
[49] Idem, p. 663.
[50] J. Graf, C. Mattogno, Concentration Camp Majdanek, op. cit., p. 65.
[51] Il nome appare scritto anche nella forma “Muhsfeldt” o “Mussfeld”.
[52] Anna Zmijewska-Wiśniewska, «Zeznania szefa krematorium Ericha Muhsfeldta na temat byłego obozu koncentracynego w Lublinie (Majdanek)» [Le testimonianze del capo del crematorio Erich Muhsfeldt sul tema dell'ex campo di concentramento di Lublino (Majdanek)], in: Zeszyty Majdanka, n. I, 1965.
[53] J. Graf, C. Mattogno, Concentration Camp Majdanek, op. cit., p. 219.
[54] S. Crowell, The Gas Chambers of Sherlock Holmes. Nine-banded books, Charlestown, 2011, p. xiv.
[55] La questione viene ripresa e approfondita nel capitolo 2.
[56] England e Wales High Court (Queen’s Bench Division), “Decision David Irving v. Penguin Books Limited, Deborah E. Lipstadt”, 13.71.
[57] Archiwum Państwowego Muzeum w Oścwięcimiu, BW 30/34, p. 100.
[58] Staatliches Museum Auschwitz-Birkenau (a cura di), Die Sterbebücher von Auschwitz, Monaco, 1995.
[59] C. Mattogno, Auschwitz: Assistenza sanitaria e “selezioni” dei detenuti immatricolati, op. cit., pp. 49-67.
[60] Staatliches Museum Auschwitz-Birkenau, Auschwitz: Studien zur Geschichte des Konzentrations- und Vernichtungslagers, Oświęcim,  1999, vol. IV, p. 330.
[61] Archiwum Państwowego Muzeum w Oścwięcimiu, D-AUI-4, Segregator 22, 22a.
[62]Sulla questione si veda: C. Mattogno, Le camere a gas di Auschwitz. Studio storico-tecnico sugli “indizi criminali” di Jean-Claude Pressac e sulla “convergenza di prove” di Robert-Jan van Pelt. Effepi, Genova, 2009, pp. 275-280.
[63] C. Mattogno, «Die Leichenkeller der Krematorien von Birkenau im Licht der Dokumente», in: Vierteljahreshefte für freie Geschichtsforschung , n. 3-4, 2003.
[64] R. J. van Pelt, The Case for Auschwitz, Indiana University Press, Bloomington and Indianapolis 2002, p. 68, 458, 469.
[65] In: http://en.wikipedia.org/wiki/United_States_military_casualties_of_war
[66] G. Rudolf, The Rudolf Report, Theses & Dissertation Press, Chicago, 2003.
[67] Brian Renk, «Convergence or Divergence? On Recent Evidence for Zyklon Introduction Holes at Auschwitz-Birkenau Crematory II», in: http://www.ihr.org/jhr/v20/v20n5p33_Renk.html.
[68] C. Mattogno, «Keine Löcher, keine Gaskammern», in: Vierteljahreshefte für freie Geschichtsforschung,  n.3, 2003.
[69] Ernst Gauss (a cura di), Grundlagen zur Zeitgeschichte, Grabert Verlag, Tubinga, 1994. Traduzione inglese ampliata : Germar Rudolf (a cura di), Dissecting the Holocaust, op. cit.
[70]In virtù della ricca documentazione che trovammo su questo campo [CM].
[71]Treblinka: Extermination camp or transit camp?, op. cit., p. 10.
[72] Arthur Ponsonby, Falsehood in Wartime. George Allen and Unwin, 1928. Rist.: Institute for Historical Review, Torrance, 1980, pp. 78-82, 91-93, 102-113.
[73] K. Marczewska, W. Ważniewski, «Treblinka w świetle Akt Delegatury Rządu na Kraj», Biuletyn Glównej Komisji Badania Zbrodni Hitlerowskich w Polsce, volume XIX, Varsavia, 1968, p. 136 sg. Cfr. Treblinka: Extermination camp or transit camp?, op. cit., pp. 52-57.
[74] A. A. Silberschein, Die Judenausrottung in Polen, Geneva 1944, Terza Serie. Cfr. Treblinka: Extermination camp or transit camp?, op. cit., pp. 58-62.
[75] Testo tedesco originale in: C. Mattogno, J. Graf, Treblinka. Vernichtungslager oder Duyrchgangslager? Castle Hill Publishers, Hastings (Gran Bretagna), 2002,  pp. 75-76.
[76] GARF, Gosudarstvenny Arkhiv Rossiskoy Federatsii [Государственный архив Российской Федерации], Mosca, 7021-115-9, p. 108. Cfr. Treblinka: Extermination camp or transit camp?, op. cit., pp. 78-81.
[77] Citato in: Sans Concession, n. 67-70, ottobre  2011, p. 15.
[78] A. Butz, The Hoax of the Twentieth Century, Historical Review Press, Brighton, 1976.
[79] In: mhttp://www.inconvenienthistory.com/archive/2010/volume_2/number_1/non_jewish_stake_in_holo-caust_mythology.php#notes.
[80] NO-1523. Cfr. C. Mattogno, Auschwitz: Assistenza sanitaria e “selezioni” dei detenuti immatricolati, op. cit., pp. 16 -17.
[81] I corpi di 434.000 Ebrei presuntamente uccisi a Bełżec, dove la cremazione, si dice, cominciò nel dicembre 1942, inoltre i corpi di alcune decine di migliaia di Ebrei pretesamente assassinati a Sobibór.
[82] Idem, p. 203.
[83]Sobibór. Holocaust Propaganda and Reality, op. cit.,pp.  260-262.
[84] Y. Arad, Belzec, Sobibor, Treblinka, op. cit., p. 354 sg.
[85] In: http://www.deathcamps.org/gas_chambers/trebmuenzberger.html.
[86] In: http://www.deathcamps.org/sergeyandnick.html.
[87]  In: http://www.deathcamps.org/contact/contact.html.
[88] A cura di Günter Morsch e Betrand Perz, con la collaborazione di Astrid Ley, Metropol, Berlino, 2011.
[89] Idem, pp. 185-195.
[90] Idem, p. 187.
[91] Ibidem.
[92] Ibidem.
[93] Pavel Polian e Alfred Kokh (eds), Otritsanie otritsaniia ili bitva pod Aushvitsem. Debaty o demografii i gepolitike Kholokhosta (Negazione della negazione o la battaglia per Auschwitz. Dibattito sulla demografia e la geopolitica dell'Olocausto), Mosca: Tri kvadrata, 2008, p. 288 e nota 196 a p. 317.
[94] In: http://www.codoh.com/found/fndcrema.html
[95]The crematoria ovens at Auschwitz couldn't have disposed of the remains of the 1.1 million Jews, in: http://www.hdot.org/en/learning/myth-fact/cremation1/keyword/mattogno
[96]I forni crematori di Auschwitz, op. cit., vol. I.
[97] E. Nolte, Controversie. Nazionalismo, bolscevismo, questione ebraica nella storia del Novecento. Corbaccio, Milano, 1999, p. 13.
[98] A cura di Norbert Frei, Thomas Grotum, Jan Parcer, Sybille Steinbacher e Bernd C. Wagner. Institut für Zeitgeschichte. K.G. Saur, Monaco, 2000, p. 570.
[99] T. Kranz, Zur Erfassung der Häftlingssterblichkeit im Konzentrationslager Lublin. Państwowe Muzeum na Majdanku, Lublino, 2007, p. 54.
[100] Sulla questione ritornerò nel capitolo 11.
[101] In: http://holocaustcontroversies.blogspot.com/2006/05/carlo-mattogno-on-belzec_28.html.
[102] In: http://codoh.com/forum/viewtopic.php?f=2&t=6769&sid=004810c920719f820b57a1f08ee5c567.
[103]Bełżec in Propaganda, Testimonies, Archeological Research, and History, op. cit. pp. 9-50.
[104]Treblinka. Extermination Camp or Transit Camp?, op. cit., pp. 47-76.
[105]Sobibór. Holocaust Propaganda end Reality, op. cit., pp. 63-76.
[106] In tale contesto essi affermano che «un documento presuntamente citato dall'Archivio Nazionale della Bielorussia  è evidentemente plagiato da fonti di seconda mano» (p. 28). Si tratta della lista del trasporto ebraico da Amburgo a Minsk del 18 novembre 1941 che ho sotto gli occhi; esso comincia con “Abramowicz Ruchla” e finisce con “Wollfsohn Clara”. Il plagio non è una nostra specialità.
[107] M. Thad Allen, «Not Just a “Dating Game”: Origins of Holocaust at Auschwitz in the Light of Witness Testimony», in: Germany History. The Journal of the German History Society, vol. 25, n. 2, 2007, nota 39 a p. 174.
[108] «Anatomie der sowjetischen Befragung der Topf-Ingenieure. Die Verhöre von Fritz Sander, Kurt Prüfer, Karl Schultze und Gustav Braun durch Offiziere der sowjetischen Antispionageorganisation Smersch (1946/1948)», in: Vierteljahreshefte für freie Geschichtsforschung, anno 6, n.4, dicembre 2002, pp. 398-421, disponibile anche in rete all'indirizzo http://www.vho.org/VffG/2002/4/Graf398-421.html.
[109] In: Auschwitz: nuove controversie e nuove fantasie storiche. I Quaderni di Auschwitz, 4. Effepi, Genova, 2004.
[110] «Il comitato di soccorso Zimmerman o gli olo-bloggers in (denigr)azione nel web», in: http://ita.vho.org/58_Il_Comitato_di_Soccorso_Zimmerman.pdf.
[111] G. Morsch, B. Perz (a cura di), Neue Studien zu nationalsozialistischen Massentötungen durch Giftgas. Introduzionepp. XVII-XVIII.
[112] D. Pohl, «Massentötungen durch Giftgas im Rahmen der “Aktion Reinhard», op. cit., p.  187.
[113] Idem, p. 190.
[114] Idem, p. 187.
[115] M. Beer, «Die Entwicklung der Gaswagen beim Mord an den Juden», in: Vierteljahreshefte für Zeitgeschichte, anno 35, 1987, n. 3, p. 404.
[116]Bełżec nella propaganda, nelle testimonianze, nelle indagini archeologiche e nella storia,op. cit., pp. 56-58.
[117] URSS-93; PS-3311.
[118] IMT, vol. XII, p. 364.
[119] Vedi al riguardo Bełżec nella propaganda, nelle testimonianze, nelle indagini archeologiche e nella storia,op. cit., pp.  31-34.
[120] Richard Law, sottosegretario di Stato al Ministero degli Esteri.
[121] Sydney Silverman, un membro del Parlamento britannico.
[122] Alexander Easterman, all'epoca segretario politico del Congresso Mondiale Ebraico, Sezione britannica.
[123] Foreign Office papers, Fo371/30923 XP004257, p. 62.
[124] Sottolineato nell'originale.
[125] Foreign Office papers, Fo371/30923 XP004257, pp. 64-65.
[126] Foreign Office papers, Fo371/30923 XP004257, pp. 66-67.
[127] IMT, vol XIX, p. 398.
[128] Idem, vol. I, p. 10.
[129] Idem, vol. I, p. 15.
[130] Ibidem.
[131] A.J.P. Taylor, Le origini della seconda guerra mondiale. Edizioni Laterza, Bari, 1975,  pp. 36-37.
[132] R.T. Paget, Manstein. Seine Feldzüge und sein Prozeß. Limes Verlag, Wiesbaden, 1952, pp. 128-129.
[133] PS-001(a). IMT, vol. XXV, pp. 2-3.
[134] Idem, p. 5.
[135]Trial of Josef Kramer and Forty-Four Others (The Belsen Trial).  Edited by Raymond Phillips. William Lodge and Company, Limited. Londra, Edimburgo,, Glasgow, 1949, p. 731.
[136] Idem, p. 150.
[137] Idem, p. 512. Entrambe le dichiarazioni furono fatte dal maggiore Winwood, difensore di Kramer e di altri tre imputati.
[138] Idem, p. 157.
[139] Idem, p. 76.
[140] Idem, p. 82.
[141] Idem, p. 89.
[142] Idem, p. 141.
[143] Idem, p. 518.
[144] Idem, p. 519.
[145] Idem, p. 524.
[146] Ibidem.
[147] Idem, op. cit., p. 535. Ma anche la visita di A. Bimko alle “camere a gas” è una «storia stupida e irreale». Vedi il mio studio Le camere a gas di Auschwitz, op. cit., pp. 544-546.
[148] Idem, p. 244.
[149] V. Pisanty, L'irritante questione delle camere a gas. Logica del negazionismo. Bompiani, Milano, 1998, p. 183.
[150]  C.F. Müller Juristischer Verlag, Heidelberg, 1982.
[151] Nella sua esposizione Rückerl inverte curiosamente il rapporto di causa-effetto descrivendo prima i “Crimini nazionalsocialisti” e poi i processi che li resero “verità” giuridica.
[152] G. Morsch, B. Perz (Hrsg.), Neue Studien zu nationalsozialistischen Massentötungen durch Giftgas. Introduzione, p. XVI.
[153] Bern Naumann, Auschwitz. Bericht über die Strafsache gegen Mulka u.a. vor dem Schwurgericht Frankfurt. Athäneum Verlag, Francoforte sul Meno-Bonn, 1965, pp. 523-524.
[154]Le camere a gas di Auschwitz, op. cit., pp. 24-25.
[155] VHA, Fond OT, 25/7, pp. 299-303. Si tratta di documenti o rapporti su installazioni  del tutto innocue, come ad esempio “materiale da costruzione”,  “programma Z della protezione antiaerea”, “attacco aereo [subìto] 13.10.44”, “messa in sicurezza di ponti”, “approvvigionamento di acqua potabile”.
[156] J. Graf, Riese auf tönernen Füssen. Raul Hilberg und sein Standardwerk über den „Holocaust“, op. cit.;  C. Mattogno, Raul Hilberg e i “centri di sterminio” nazionalsocialisti. Fonti e metodologia, in: http://vho.org/aaargh/fran/livres8/CMhilberg.pdf
[157]Trials of the Major Criminals before the International Military Tribunal. Nuremberg 14 November 1945-1 October 1946. Published at Nuremberg, Germany, 1947, (IMT) 42 volumi; Trials of War Criminals  before the Nuernberg Military Tribunals. Nuernberg October 1946-April 1949 (NMT), 15 volumi; Law Reports of War Criminals; Published for the United Nations War Crimes Commission by Fis Majesty's Stationery Office, London, 1947, 15 volumi.
[158] NMT, vol. V, p. 620. NO-4473.
[159] NMT, vol. V, p. 622. NO-4465.
[160] NMT, vol. V, p. 363. NO-4345.
[161] NMT, vol. V, p. 362, NO-4344.
[162] Vedi capitolo seguente.
[163] Anna Malcówna, Bibliografia KL Auschwitz za lata 1942-1980. Wydawnictwo Państwowego Muzeum w Oświęcimiu, 1991.
[164]J.-C. Pressac, Auschwitz: Technique and operation of the gas chambers. The Beate Klarsfeld Foundation, New York, 1989; Les crématoires d'Auschwitz. La machinerie du meurtre de masse. CNRS Éditions, Parigi, 1993.
[165] Yisrael Gutman and Michael Berenbaum (a cura di), Anatomy of the Auschwitz Death Camp. Indiana University Press, Bloomington and Indianapolis, 1994, p. vii.
[166] D. Dwork, R. J. van Pelt, Auschwitz 1270 to the present. W.W. Norton & Company. New York-Londra, 1996.
[167]Auschwitz 1940-1945. Studien zur Geschichte des Konzentrations- und Vernichtungslager Auschwitz. Herausgegeben von Wacław Długoborski und Franciszek Piper. Verlag des Staatlichen Museums Auschwitz-Birkenau. Oświęcim 1999.
[168]The Case for Auschwitz. Evidence from the Irving Trial. Indiana University Press, Bloomington and Indianapolis, 2002.
[169] Ciò, detto da plagiari spudorati, suona a dir poco comico.
[170] IMT, vol. XXXII, pp. 153-154.
[171]Bełżec. Propaganda, testimonianze, indagini archeologiche e storia, op. cit., p. 17. (Nella nota 1 si legga “p. 39” invece di “p. 42”).
[172] Qui Arad ha evidentemente preso il termine polacco “wydajnego”, efficiente, per “widocznego”, visibile.
[173] I. Caban,  Z. Mańkowski, Związek Walki Zbrojnej i Armia Krajowa w Okręgu Lubelskim, Lublino, 1971, Część druga, Dokumenty,  pp.34-35. La citazione riportata sopra è a p. 35.
[174] Ciò implica la presenza continua di vedette appostate giorno e notte in prossimità del campo che, giorno per giorno, avrebbero raccolto una mole di informazioni immensa, di cui però non esiste traccia documentaria.
[175] Gerald Reitlinger, La soluzione finale. Il tentativo di sterminio degli Ebrei d'Europa. Il Saggiatore, Milano, 1965, p. 651.
[176] Ibidem.
[177]Treblinka. Extermination Camp or Transit Camp?,  op. cit., p. 48.
[178] Bełżec. Propaganda, testimonianze, indagini archeologiche e storia, op. cit., p. 16.
[179] Ibidem.
[180] In: http://www.inconvenienthistory.com/archive/2011/volume_3/number_3/a_premature_news_report.php
[181] Józef Lewandowski, Early Swedish information about the nazis' mass murder of the Jews. Published in Polin 13, 2000, pp. 113-127. In: http://www.jozeflewandowski.se/pdf/Lewandowski_Early_Swedish_Infor- mation_about_Holocaust.pdf.
[182] Sentinella d'Italia, Monfacone, 1985.
[183] F. Brayard, «An Early Report by Kurt Gerstein»,  in: Bulletin du CRFJ, n. 6, primavera 2000, p. 159.
[184] Idem, p. 163.
[185] Idem, p. 169.
[186] Idem, p. 170 («La struttura della testimonianza è assolutamente identica») e 171 («Questa grande somiglianza, in entrambe le strutture e nella cura dei particolari...»)
[187] T/1313-a, Rapport du Dr. Gerstein de Tubingen du 6 Mai 1945, p. 4. Cfr. André Chelain, Faut-il fusillert Henri Roques? Polemiques, Paris, 1986, p. 327.
[188] PS-2170, p. 3.
[189] F. Brayard, An Early Report by Kurt Gerstein, op. cit., p. 161.
[190] PS-1553, p. 7 del rapporto.
[191] PS-1553, p. 2; PS-2170 (rapporto in tedesco del 6 maggio 1945), p. 3
[192] PS-1553, p. 4.
[193] PS-2170, p. 7.
[194] F. Brayard, An Early Report by Kurt Gerstein, op. cit., p. 171.
[195] Idem.
[196]Il rapporto Gerstein. Anatomia di un falso, op. cit., pp. 87-97.
[197] Nel 1983, quando me ne fu inviata una copia, il documento si trovava negli archivi del Ministero degli Esteri di Svezia, volume HP 1051 del sistema di archiviazione del 1920.
[198] Randolph Braumann, «Das Zeugnis des Barons von Otter für den SS-Offizier Gerstein», in: Rheinischer Merkur, n. 30, 24 luglio 1964, p. 12.
[199] Nello studio Il rapporto Gerstein. Anatomia di un falso (pp. 208-227)ho documentato in modo dettagliato le innumerevoli manipolazioni di Poliakov.
[200]Le Monde Juif, n. 1 (36), gennaio-marzo 1964, pp. 8-9.
[201] Il documento mi fu inviato su mia richiesta nel 1983 dall'Archivio Federaledi Berna senza indicazione del riferimento d'archivio.
[202] T-1310, p. 6 del rapporto.
[203] PS-2170, p. 3.
[204] C.F. Rüter, Justiz und NS-Verbrechen. Sammlung deutscher Strafurteile wegen nationalsozialistischer Tötungsverbrechen 1945-1966.  Amsterdam, 1968-1981, vol. XIII,  pp. 147-148.
[205] Idem, p. 148.
[206] PS-1553, p. 5.
[207] PS-2170, p. 2.
[208] O. Dibelius, Obrigkeit, 1963, p. 141.
[209] Tregenza afferma apertamente che gli abitanti ucraini di Bełżec «ospitarono nelle loro case molti membri della guarnigione SS e “uomini di Trawniki” [guardie ucraine]». Bełżec. Propaganda, testimonianze, indagini archeologiche e storia, op. cit., p. 57.
[210] R. Hilberg, Die Vernichtung der europäischen Juden. Fischer Taschenbuch Verlag, Francoforte sul Meno, 1999,  vol. 2, p. 525
[211]Sobibór. Holocaust Propaganda end Reality, op. cit., p. 65.
[212] Idem, p. 71.
[213] Belzec, Sobibor, Treblinka. The Operation Reinhard Death Camps. Indiana University Press, Bloomington and Indianapolis, 1987.
[214]Tatsachenbericht eines aus der Slowakei deportierten und zurueckgekehrten Juden, datato “Slovakei, 17. August 1943”. Moreshet Archives, Givat Haviva, Israele, M-2/236, p. 4. Cfr. J. Schelvis, Vernichtungslager Sobibór, op. cit., p. 269. Il testo tedesco è privo di vocali con Umlaut.
[215] M. Nyiszli, Medico ad Auschwitz. Longanesi, Milano, 1977, p. 73.
[216] URSS-511. Vedi il punto 88 del capitolo 8.
[217]Tatsachenbericht eines aus der Slowakei deportierten und zurueckgekehrten Juden, p. 4.
[218]Treblinka. Extermination Camp or Transit Camp?,  op. cit., p.  48.
[219] La traduzione letterale di questa frase è: «L'azione del gas a quanto pare non è tuttavia immediata» (działanie gazu nie jest jednak jakoby natychmiastowe).
[220] Y.  Arad  Belzec, Sobibor, Treblinka. The Operation Reinhard Death Camps, op. cit., pp. 353-354.
[221] Krystyna Marczewska e Władysław Ważniewski, «Treblinka w świetle Akt Delegatury Rządu RP naKraji» (Treblinka alla luce degli atti della Delegatura del Governo della Repubblica Polacca nel Paese) in: Biuletyn Głównej Komisji Badania Zbrodni Hitlerowskich w Polsce, Vol. XIX, Varsavia, 1968, p. 138.
[222] Ibidem.
[223] Ibidem.
[224] T. Kues, A Premature News Report on a “Death Camp” for Jews, in: http://www.inconvenienthistory.com/archive/2011/volume_3/number_3/a_premature_news_report.php#notes
[225]Biuyletyn Informacyjny. Część II. Przedruk roczników1942-1943. Rok III (LIV) Nr. Specjalny 2 (195), Varsavia, 2002, p. 902.
[226] Idem, p. 916.
[227] «Nazis Slaughter 30,000 German Jews; Exterminate 36,000 Polish Jews by Gas and Guns», in: Jewish Telegraphic Agency, 10 luglio 1942.
[228] Artur Eisenbach (a cura di), Emanuel Ringelblum Kronika getta warszawskiego wrzesień 1939-styczeń 1943. Czytelnik, Varsavia, 1983, p. 416.
[229] E. Farbstein, Hidden in Thunder. Perspectives on Faith, Halachah and Leadership during the Holocaust. Old City Press, Jerusalem, 2007, p. 49.
[230]Treblinka. Extermination Camp or Transit Camp?,  op. cit., p. 54.
[231] Nel testo polacco: “ komory gazowe”,  camere a gas.
[232] Nel testo polacco: “drzwi komory gazowej”, la porta o le porte della camera a gas. “Drzwi” ha solo la formaplurale.
[233] A. Krzepicki, «Eighteen Days in Treblinka», in: Alexander Donat (a cura di.), Death Camp Treblinka. A Documentary. Holocaust Library, New York, 1979, p. 105.
[234] A. Krzepicki, «Treblinka», in:  Biuletyn Żydowskiego Instytutu Historycznego, luglio-dicembre 1962, n. 43-44, p. 104. La descrizione  della presunta camera a  gas si trova a p. 107.
[235] Letteralmente “botola” (klapy).
[236] I numeri tra parentesi rimandano alla pianta del campo. Vedi capitolo 8, punto 76.
[237] K. Marczewska e W. Ważniewski, «Treblinka w świetle Akt Delegatury Rządu RP na Kraji», op. cit., pp. 142-143; cfr. Treblinka. Extermination Camp or Transit Camp?,  op. cit., pp. 53-54.
[238] «Likwidacja żydowskiej Warszawy. “Treblinka”», in: Biuletyn Żydowskiego Instytutu Historycznego, n. 1, 1951,  p. 95.
[239] Motivazione delle sentenza del 3 settembre 1965  del processo contro Kurt Franz, in: Adalbert Rückerl (a cura di), NS-Vernichtungslager im Spiegel deutscher Strafprozesse. Deutscher Taschenbuch Verlag, Monaco, 1979, p. 203
[240] Idem, p. 204.
[241] Idem, p. 224.
[242]K. Marczewska e W. Ważniewski, «Treblinka w świetle Akt Delegatury Rządu RP na Kraji», op. cit., p. 144; cfr. Treblinka. Extermination Camp or Transit Camp?, op. cit., p. 56.
[243] Idem, p. 152 (non 148, come scrive Terry).
[244] Idem, pp. 49-50.
[245] Y. Arad, Belzec, Sobibor, Treblinka. The Operation Reinhard Death Camps, op. cit., p. 356.
[246] Idem, p. 50.
[247]T reblinka. Extermination Camp or Transit Camp?, op. cit., nota 52 a p. 29 : «Krystyna Marczewska, Władysław Waźniewski, “Treblinka w świetle Akt Delegatury Rządu RP na Kraji” (Treblinka in the Light of the Files of the Delegation of the Government of the Polish Republic for the Nation) in: Biuletyn Głównej Komisji Badania Zbrodni Hitlerowskichw Polsce, Vol. XIX, Warsaw 1968, pp. 129-164».
[248] Y.  Arad  Belzec, Sobibor, Treblinka. The Operation Reinhard Death Camps, op. cit., p. 404.
[249] Idem, p. 353.
[250] Bogdan Musial, Deutsche Zivilverwaltung und Judenverfolgung im Generalgouvernement. Harrassowitz Verlag, Wiesbaden, 1999, p. 325.
[251] Idem, nota 484 a p. 325.
[252]Treblinka. Extermination Camp or Transit Camp?, op. cit., pp. 51-57.
[253] Idem, nota 129 a p. 51: «È stato pubblicato in polacco da  K.Marczewska, W. Waźniewski,op. cit.(nota 52), pp. 139-145» e nota 130 a p. 52: «Jacob Apenszlak (a cura di), The Black Book of Polish Jewry, American Federation for Polish Jews, New York 1943, pp. 141-147».
[254] Idem, nota 837 a p. 280: «K. Marczewska, W. Waźniewski , op. cit.(nota 52), p. 137».
[255] Max Domarus, Hitler Reden und Proklamationen 1932-1945. R. Löwit – Wiesbaden, 1973, vol. II – Zweiter Halbband, p. 1663.
[256] Heinz Boberach (a cura di), Meldungen aus dem Reich. Die geheimen Lageberichte des Sicherheitsdienstes der SS 1938-1945. Pawlak Verlag, Herrsching, 1984, vol. 9, p. 3235.
[257] PS-3244. Dokument politische Leiter-49, IMG, vol. XLII, pp. 328-330; cfr. Treblinka. Extermination Camp or Transit Camp?, op. cit., pp. 191-192.
[258] T/37 (65). Il testo tedesco è privo di vocali con Umlaut.
[259] T/37 (65).
[260] P. Longerich, “Davon haben wir nichts gewusst!”. Siedler, Monaco, 2006, p. 257.
[261] J. Herf, The Jewish Enemy. Nazi propaganda during World War II and the Holocaust. Harvard, 2006, p. 177. La fonte copiata da Terry si trova nella nota 103 a p. 334: «Annotazione di Goebbel del 13 dicembre 1942, TBJG, II,6, pp. 438-439».
[262] Idem, p. 178.
[263] P. Longerich, “Davon haben wir nichts gewusst!”, op. cit., p. 259.
[264]Foreign Relations of the United States, vol. III, pp. 775-776.
[265] Idem, p. 777.
[266] Peter Longerich (a cura di), Die Ermordung der europäischen Juden. Eine umfassende Dokumentation des Holocaust 1941-1945. Monaco-Zurigo, 1990, p. 149.
[267]Raul Hilberg e i “centri di sterminio” nazionalsocialisti. Fonti e metodologia, op. cit., pp. 88-89.
[268]T/37(70).
[269] Trascrizione del termine russo область, “regione”, che è usato impropriamente da Terry come se fosse l'equivalente aggettivo  областной, oblastnoi, “regionale”.
[270] Bełżec. Propaganda, testimonianze, indagini archeologiche e storia, op. cit.,  pp. 47-55.
[271]Sobibór. Holocaust Propaganda end Reality, op. cit., pp. 171-172.
[272] D. Pohl, Massentötungen durch Giftgas im Rahmen der “Aktion Reinhard”, art. cit., p. 188.
[273] In: http://174.123.24.242/leagle/xmlResult.aspx?page=11&xmldoc=19781348455FSupp893_11213.xml&docbase=CSLWAR1-1950-1985&SizeDisp=7
[274] In: http://174.123.24.242/leagle/xmlResult.aspx?page=11&xmldoc=…8455FSupp893_11213.xml& docbase=CSLWAR1-1950-1985&SizeDisp=7
[275]United States v. Fedorenko. United States of America, op. cit.
[276] D. Pohl, Massentötungen durch Giftgas im Rahmen der “Aktion Reinhard”, art. cit., p. 189. 

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Published: 2013-01-29
First posted on CODOH: April 19, 2017, 3:18 p.m.
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