Le valenze dell'olocau$to in Holocaustica religio,psicosi ebraica, progetto mondialista
Brano tratto da
HOLOCAUSTICA RELIGIO
Psicosi ebraica, progetto mondialista
di Gianantonio Valli
seconda edizione, ampliata, corretta e reimpostata, di
Holocaustica religio - Fondamenti di un paradigma
LE VALENZE DELL'OLOCAUSTO
(Pagg.77,78,79) Il giudaismo è messianismo. Il messianismo vede la storia come uno stadio in cui il piano di Dio si auto-rivela, dove la Sua promessa, dataci attraverso i Sui profeti, sarà compiuta [per il giudaismo la storia non è historia rerum gestarum «racconto delle azioni umane», ma toledot ha-yeshuah «storie della salvezza»]. Il Regno di Dio giungerà. Con questa speranza nel cuore l'uomo continua a lottare, resta distaccato da tutte le soluzioni e da tutti i successi celebrati nelle vittorie e nei giorni fausti della storia, fermo e co-raggioso nella catastrofe, nella frustrazione, nella sofferenza con cui la storia lo assedia. Egli prosegue il cammino. Il suo cuore gli dice: il Regno di Dio verrà. Come uomo messianico l'ebreo vive nella storia e oltrepassa la storia. Il giudaismo è messianismo. Ma il giudaismo non è solo messianismo. Sia il profeta che il sacerdote sono gli eterni archetipi dell'ebreo. Fianco a fianco col profeta, che insegna la speranza per il tempo promesso, sta il sacerdote. Il sacerdote non guarda avanti, al futuro. È di fronte a Dio qui e ora, nei giorni di questa sua vita e nel luogo ove vive la vita [...] Il grande pericolo per noi in quanto popolo messianico è di fermarci incondizionatamente in un'epoca, considerarla un "tempo compiuto" [...] Dobbiamo essere più che cittadini di un qualunque Stato, in Palestina come altrove. Dobbiamo restare ebrei. Gli ebrei sono ebrei solo se restano cittadini del Regno di Dio [We must be more than the citizens of the state everywhere, in Palestine no less than outside. We must remain Jews. Jews are Jews as long as they are citizens of the Kingdom of God].
Rabbi Ignaz Maybaum, The Jewish Mission, 1949
Le stesse statistiche del governo israeliano mostrano che [solo] il 15% degli israeliani sono religiosi. Questo non impedisce al 90% di affermare che questa terra è stata data loro da Dio... al quale non cre-dono.
Nathan Weinstock, Le sionisme contre Israel, 1969
Il contestare (sinonimi forgiati dal Sistema Mondialista: «minimizzare, banalizzare») l'unicità del «the most emotional event in modern history, più sconvolgente evento della storia moderna» (definizione di Michael Shermer) non palesa solo mancanza di gusto, non solo è bestemmia degna, se non dei roghi, oggi poco attuali, almeno del carcere, ma priva gli Arruo-lati del loro fondamento psico-esistenziale. Perfino conservatori laici come il boss conservatore e neocon Norman Podhoretz il quale, scrive David Twersky, «invariably took positions directly opposite to those of the Jewish mainstream, prendeva sempre posizioni contrarie a quelle della corrente dominante dell'ebraismo» (Rabbi Hertzberg pennella che «nella comunità ebraica americana egli resta un angry outsider: un outsider iroso e crucciato»), sostengono che l'Olocausto dimostra «l'inevitabilità dell'essere ebreo». Come anche, almeno a dar retta al-l'Heinrich Heine di "Pensieri e rovine", sua opera postuma, la più pratica necessità di un risar-cimento: «Infine il mondo riconoscerà il regno di Israele e come ammenda dei suoi sacrifici gli renderà grande gloria». 44 Esso è una «realtà storica cardinale» (Michael Fishbane, docente di Studi Ebraici a Chi-cago), «the great moral termite in modernity's woodpile, la grande termite etica nelle fonda-menta della modernità» (Barry Freundel, caporabbino ortodosso e docente di Giurisprudenza alla Georgetown University), «una sacra obbligazione dovuta alle vittime e un potente stimolo all'agire morale» (Michael Meyer, docente di Storia Ebraica all'Università di Cincinnati), e addirittura «il più terribile momento della storia umana» (il politologo Alfred Kazin), al punto che il «francese» Shmuel Trigano riesce a toccare la vetta, seriamente ammonendo: «L'invocazione ripetuta della Shoah, fonte di moralizzazione universale, ha contribuito alla nascita di una nuova sacralità che conferisce al segno ebraico un valore etico assoluto» (su le Monde, in Alain De Benoist, Hitler, una carriera..., 1997). Nel 1980 è però l'ebreo Howard F. Stein a rilevare la necessità profonda del concetto di persecuzione per l'anima ebraica, simboleggiata dal motto yiddish «Schwer tsoo zine a Yid», «è ben duro essere ebreo». Redigendo uno «scandaloso» articolo per il revisionistico «Journal of Historical Review», The Holocaust and the Myth of the Past as History «L'Olocausto e il Mito del Passato come Storia» (che si riallaccia al suo saggio di due anni prima in «The Journal of Psychohistory» Judaism and the Group-Fantasy of Martyrdom, "L'ebraismo e la fantasmatica collettiva del martirio"), Stein ribadisce la Shoah come struttura portante religioso-esistenziale del giudaismo: «Per gli ebrei, il termine Olocausto non definisce semplicemente un periodo catastrofico, unico ed isolato, della storia, ma è una macabra metafora [a grim metaphor] per intendere l'intera storia ebraica. Il termine Olocausto giace al contempo nel cuore della vicenda storica dell'ebraismo [of the Jewish experience]. Un ebreo o sta ansiosamente attendendo la persecuzione, la sta subendo, le sta sfuggendo, o sta vivendo in un periodo che non è altro se non una tregua, una sua sospensione temporanea». Anche il detto «tedesco» Michael Wolffsohn, nipote di un mercante di tessuti e figlio di un'oloscampato, docente di Storia alla Scuola della Bundeswehr di Neubiburg, supercoscienza del GROD e Premio Adenauer, analizza l'inestricabile intreccio tra storia, politica, sociologia, psicologia e teologia. O, con più chiare parole, la commistione tra l'esigenza profonda del martirio e il suo pratico uso quale polivalente arma di condizionamento e perenne ricatto, arma usata anche dai manutengoli goyish, demoliberali come socialcomunisti, con 1. fini storici per celare/relativizzare le infinite atrocità compiute contro i fascisti di ogni nazione, intra- e post-belliche, e impedire il diffondersi di interpretazioni storiche alternative di ampio respiro, 2. fini politici contro gli avversari più o meno «fascisti» e per celare/relativizzare le responsabilità del Sistema nello sfacelo del mondo, 3. fini economici (le diuturne olo-estorsioni finanziarie in ogni paese, delle quali non si vedrà, teoreticamente perché il Crimine fu Incommensurabile, mai la fine). 45 Come che sia, tale falsificazione della storia non è, oggi almeno, per la massima parte degli sterminazionisti, il frutto di un'astuzia o di una menzogna cosciente, quanto, per dirla con Max Scheler, di una «menzogna organica» (potremmo anche dire di un «mito», se la valenza di tale termine non fosse ben più alta, veritiera e qualificante). Ora, il proprio di una menzogna or-ganica è che essa non è trasparente a se stessa: è una menzogna «vitale», una menzogna di cui l'individuo – e, nel caso specifico, tutto un popolo – abbisogna per dare un senso alla vita e attribuire un valore universale alle proprie frustrazioni, ai propri rancori, alla propria irre-quietezza, alle proprie invettive. Il che la rende inattaccabile e inespugnabile dalla critica razio-nale. Per ciò quell'individuo, e quel popolo, che ne sia impregnato è cieco davanti a tutti i fatti che si pongono in contrasto con la sua svolta esistenziale. Un tale uomo, scrive Pellicani (I) trattando del rivoluzionario gnostico (o «di professione») con espressioni che possiamo pari pari applicare ad ogni più o meno eletto sterminazionista, «è in grado di vedere aspetti della realtà che ad altri abitualmente sfuggono, ma, nello stesso tempo, è incapace di prendere in considerazione qualsiasi obiezione al sistema di idee con il quale si è totalmente identificato [...] Grazie alla sublimazione del suo risentimento, è diven-tato un creatore di valori e un uomo di convinzioni, asceticamente impegnato a combattere le ingiustizie del mondo. Pure, tutto questo non esclude che egli possa essere un uomo in mala-fede, purché non si confonda la malafede con l'ipocrisia o la menzogna. La malafede non consiste nell'ingannare scientemente gli altri, bensì nell'ingannare, prima di tutto e soprattutto, se stessi. Essa è una forma di autoinganno nella quale – come ha mostrato magistralmente Sartre – il soggetto ingannatore e il soggetto ingannato coincidono. Chi è in malafede nasconde a se stesso certi aspetti della realtà che minacciano di mettere in discussione la validità della propria scelta esistenziale. La malafede è una tecnica di rimozione, grazie alla quale il soggetto "protegge", rendendolo impermeabile alla critica e alle evidenze fattuali, ciò di cui ha bisogno per continuare a stimare se stesso e per eliminare quella che [lo psicologo] Leon Festinger ha chiamato la "dissonanza cognitiva". Il soggetto in malafede "chiude" la sua mente onde evitare che in essa penetrino elementi della realtà esterna esiziali per il suo equilibrio psichico». Note: 44). Il giudaismo, aggiungono nel 1929 Jerome e Jean Tharaud, non è in verità una religione rivelata, ma una legislazione rivelata, come ha provato tra l'altro nell'Ottocento la disil-lusione dei maskilim, quegli illuministi/razionalisti guidati della migliore volontà di aprire sé e il proprio popolo al progresso occidentale, ma emarginati, stroncati ed espulsi dal grande cor-po del pur variegato ebraismo: «Erroneamente avevano pensato che il giudaismo fosse un sistema religioso come gli altri, e che una volta che l'ebreo aveva osservato i suoi riti in casa e alla sinagoga poteva conformarsi agli usi e al pensiero dei popoli tra i quali viveva. No, il giudaismo era qualcos'altro, senza dubbio una religione, ma in primo luogo una razza, un pensiero, un sentimento esistenziale, un particolare genio che uno portava con sé oltre la casa e la sinagoga, e che non poteva abbandonare pena l'auto-distruzione» (del tutto ovvio, quindi, l'accanimento ebraico nel difendere dalla blasfemia, con le unghie e coi denti, la legittimità di Jahweh, dato che in tal modo si sacralizza lo stesso popolo eletto: «Noi vediamo che il Santo-sia-benedetto passa sopra all'idolatria, ma non all'Hillul ha-Shem, alla dissacrazione del Nome Divino [alla dissacrazione, cioè, del giudaismo, o meglio ancora dell'ebraismo]», Levitico Rab-ba XXII 6, in Ephraim Urbach). 45). Concetto riespresso dal revisionista Pierre Guillaume (II): «Come tutte le religioni tri-bali primitive e contrariamente al cristianesimo, all'islam e alle grandi metafisiche, il giuda-ismo è una metafisica della terra (promessa) e del sangue (i discendenti di Abramo; religione monoetnica) [...] In realtà il vero Dio di Israele è lo stesso Israele: l'essere collettivo ipostatizzato della comunità reale e materiale, lo Jüdisches Gemeinwesen» (concetto folgorato, durante il linciaggio di Eichmann, anche da Golda Meir ad un'attonita Hannah Arendt, con l'affermazione di non credere in Dio, da buona socialista, ma nel popolo ebraico). Vai alla valenza I
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Author(s): | Olodogma |
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Published: | 2013-02-14 |
First posted on CODOH: | April 28, 2017, 1:59 p.m. |
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