L'ebreo assassino grynszpan herschel feibel, la Notte dei cristalli o Reichskristallnacht o Kristallnacht
Il testo riprodotto, pubblicato col consenso dell'Autore, costituisce la “Nota n°29 “, pagg.1134→1139, del monumentale studio del
Dott. Gianantonio Valli
“LA FINE DELL’EUROPA, Il ruolo dell’ebraismo”
seconda edizione, corretta e ampliata, Edizioni EFFEPI, effepi – judaica
© 2011 effepi, via Balbi Piovera, 7 – 16149 Genova
- Il volume "La fine dell'Europa", click per ingrandire
…”È, certissimamente, un libro straordinario. Un libro, fra i molti che Valli offre oggi alla parte più intelligente e libera del pubblico mondiale, che per laprima volta getta, sul panorama storico di questa interminabile Guerra Mondiale, una luce che da tempo sembrava abbandonata: quella della ricerca della verità. Una verità che Valli ha ben documentata, con migliaia di nomi, di eventi, di lettere, di comunicazioni ufficiali e di informazioni che, nella stragrande maggioranza, vengono fornite proprio da coloro che, attraverso il crescente controllo sulla gran mediocrazia occidentale, avevano contribuito a seppellire o a mistificare questa verità. Il risultato di questa ignobile operazione di accumulo della menzogna, propalata per quasi un secolo sotto la guida dei
comandi militari vittoriosi e della grande finanza mondiale attraverso i suoi media in Gran Bretagna e in Nordamerica con la Francia in subordine, fu la profonda ottenebrazione dei cervelli nelle vaste masse che vivono sul nostro globo”… (Sergio Gozzoli)
- L'ebreo assassino grynszpan herschel feibel
Nato ad Hannover il 28 marzo 1921 dai «polacchi» Sendel Grynszpan e Ryfka «Regina» Silberberg, migrati in Germania il 18 aprile 1911 (per inciso, sarti di professione e trafficanti di merce usata, dopo avere inoltrato richiesta di ausilio per disoccupazione i genitori ricevono sussidi dall'assistenza sociale tedesca dal 10 luglio 1933 al 5 ottobre 1934), il nostro Herschel Feibel, chiamato furbescamente Grünspan dai gazzettieri per suggerirne un'origine «più tedesca» che ne giustificherebbe in qualche modo gli atti, verrà arrestato dai francesi e detenuto in attesa di processo.
Catturato dai «nazi» nel giugno 1940 e internato a Sachsenhausen, indi a Berlino-Moabit, sopravvivrà al conflitto, si porterà a Parigi e poi in Israele (la New Standard Jewish Encyclopedia, evidentemente poco informata, ne avanza la morte «circa nel 1943» per mano tedesca). Stando alla versione ufficiale, la «protesta» che uccise vom Rath, lungi dall'essere una provocazione di circoli lecacho-jabotinskyani come avanza Ingrid Weckert o una «vendetta» per un affaire omosessuale tra Grynszpan e vom Rath come laidamente avanzato dagli avvocati difensori dell'assassino (simili motivazioni per un atto di vendetta politica, come detto, erano state usate dagli assassini sionisti per Jacob Israel De Haan), sarebbe una «vendetta» per l'espulsione di 18.000 ebrei polacchi – e in particolare dei genitori e delle sorelle di Grynszpan, trasferiti, coi 484 ebrei di Hannover, a Neu Bentschen, al di là del confine, il 29 ottobre – decisa dal Reich in risposta all'ordine del ministero degli Esteri polacco (l'ordinanza, basata su una legge approvata il 31 marzo, risaliva al 7 ottobre, ma fu attivata il 31) di non rinnovare i passaporti, e quindi privare della cittadinanza, rendendoli apolidi e impedendone il rientro in Polonia, ai «polacchi» che vivessero all'estero da oltre cinque anni.
Complessivamente, 56.500, Carla Tonini scrive 80.000, erano gli ebrei polacchi migrati in Germania e Austria; come scrive, peraltro senza sottolineare la complessità degli eventi, né la diretta responsabilità dei polacchi, né l'indiretta responsabilità degli Occidentali che sbarravano le proprie frontiere a torme di indesiderati forse proprio per radicalizzare la situazione, né il pieno diritto dei tedeschi a non trovarsi in casa decine di migliaia di individui che nessun paese avrebbe più accolto: «La reazione tedesca fu fulminea. Appena ricevuta notizia dell'intenzione polacca di privare gli ebrei della cittadinanza, [il capo della polizia tedesca Reichsführer] Himmler dette l'ordine di trasportarne alcune migliaia alla frontiera polacca e di forzarli ad attraversarla. Il 28 e 29 ottobre tra i 13.000 e i 20.000 ebrei furono deportati alla frontiera polacca. Quelli che non riuscirono a entrare in Polonia – circa 10.000 secondo stime approssimative – o a tornare indietro, trovarono rifugio nel villaggio polacco di Zbasyn, vicino al confine. Il governo polacco protestò contro le espulsioni [faccia tosta!], annunciando ritorsioni nei confronti della minoranza tedesca in Polonia [da cui si deduce ancora come non convenga lasciare i connazionali preda di altri paesi!] e finalmente il 20 gennaio, dopo lunghe trattative, i tedeschi acconsentirono al ritorno temporaneo degli ebrei accampati a Zbasyn. In cambio, i polacchi si impegnarono ad accettare gli ebrei che si erano già rifugiati in Polonia, e di accogliere anche le loro famiglie. Di fatto gli ebrei che si trovavano alla frontiera furono poco a poco fatti entrare in Polonia e, con il tempo, furono raggiunti dai familiari rimasti in Germania [...] Certo è che i polacchi usarono immediatamente "l'affare Zbasyn" come arma di pressione verso le potenze occidentali per spingerle ad affrontare il problema degli ebrei in Polonia. Mentre si svolgevano le trattative tra polacchi e tedeschi per risolvere la questione delle espulsioni, l'ambasciatore polacco a Londra discuteva con Halifax della situazione in Polonia. Ai toni misurati, usati negli anni precedenti, Raczynski sostituì velate minacce riguardanti
"il peggioramento della situazione degli ebrei in Polonia, qualora i governi occidentali non avessero intrapreso un'azione energica per l'evacuazione degli ebrei polacchi verso altri paesi"».
Quanto alla LICA (che nel novembre 1979, in auspicio della temperie invasionista anti-europea, si fa LICRA con la R di «racisme»), viene fondata da Henry Torrès (nipote del dreyfusardo Isaïe Levaillant cofondatore della Ligue pour la Défense des Droits de l'Homme et du Citoyen; nel dopoguerra senatore gollista), Joseph Kessel, Elie Soffer, Gérard Rosenthal, Bernard Lecache e Weil-Goudchaux, al fine immediato di difendere Samuel/Shalom Schwartzbart/Schwarzbard. «Bielorusso» nato a Smolensk nel 1886, combattente antitedesco in Francia, migrato in Russia nel 1917, capo di bande ebraiche e terrorista sovietico, naturalizzato infine francese nel 1925 e orologiaio a Ménilmontant, il 25 maggio 1926 costui massacra a Parigi con sette proiettili l'atamano Semën Vasilevic Petljura, nel 1905 fondatore del Partito Socialdemocratico, Gran Maestro massone e già presidente della Repubblica Ucraina Indipendente (dal gennaio 1918 al giugno 1920), in procinto di riprendere la collaborazione antibolscevica col Maresciallo Pilsudski (arrestando l'avanzata bolscevica nell'agosto 1920 e con la pace di Riga del 18 marzo 1921, ucraini e polacchi avevano salvato l'Europa da un bagno di sangue: il generale J.F. Fuller a ragione paragona, per importanza storica, la disfatta bolscevica alla sconfitta turca sotto Vienna nel 1683 ad opera di Giovanni Sobieski). A dimostrazione che l'assassinio rientra in un'azione organizzata, o fors'anche a conferma della «suggestione vendicativa», due giorni dopo il trio Yankoviak, Feldman e Blai assassina a pistolettate, mentre nella notte lavora alla scrivania, l'ataman Askilko, ex braccio destro di Petljura, a Uvarov nei pressi di Rovno nella Polonia ucraina.
Per quanto sia chiaro da subito che l'omicidio compiuto da Schwartzbart è uno dei tanti orditi dalla GPU per sopprimere i propri nemici (gravemente colpito alle spalle, Petljura era stato finito con due colpi alla nuca), fin dalle prime udienze il processo (18-26 ottobre 1927) assume il carattere non di una causa contro l'assassino ma di una requisitoria contro l'assassinato, l'atto venendo presto «scusato» come una «comprensibile ritorsione» contro una persona responsabile di non avere represso i moti antiebraici/anticomunisti (vedi il nostro Dietro la bandiera rossa). Mentre il massone Lecache si scatena con articoli e libelli contro i «petljuristes», definendo l'assassinato antico capo-pogromista, e mentre lo assecondano (dichiarando il falso) il direttore del comitato di assistenza agli emigrati ebrei Ruben Grimberg e l'ex avvocato di Pietroburgo Moise Goldstein (al contrario, l'ex giudice istruttore kerenskyano e sempre ebreo Elie Dobkovski nega il coinvolgimento nei pogrom sia di Petljura che dei governanti ucraini; anche l'ex trotzkista Ettore Cinnella vanta l'«assoluta estraneità sia della Rada [il parlamento ucraino] che del direttorio a qualsivoglia forma d'antisemitismo. Sin dalla sua nascita, la segreteria generale della Rada s'impegnò nella tutela degli ebrei e delle altre minoranze nazionali in Ucraina [...] Lo stesso Petljura, in innumerevoli ordinanze e appelli, invitò le sue truppe a tutelare i beni e la vita della popolazione ebraica»; infine, Salo Baron ci segnala che l'avvocato Arnold Margolin, viceministro degli Esteri, «potè asserire a ragione, nel maggio 1919, che il parlamento ucraino aveva garantito agli ebrei più diritti di quanto non avesse mai fatto un altro Stato»), il console sovietico Haussen elargisce forti somme non solo per la difesa, capeggiata da Torrès, ma anche per la corruzione dei giurati: quattro affiliati a partiti d'estrema sinistra e quattro piccoli esercenti in istato di fallimento.
Come quindi stupirsi se, dopo virulente manifestazioni di piazza, invettive e minacce da parte di ebrei e comunisti e pressioni psicologiche di ogni tipo, i giurati rispondono negativamente al quesito se il Nostro è davvero colpevole di avere ucciso Petljura, e ciò, malgrado il vanto da lui stesso menato (astuto sofisma, si badi: il quesito non è se ha ucciso, con una constatazione quindi del mero fatto, ma se è colpevole di avere ucciso, con un giudizio quindi sentimentale/morale)? A nulla sono valsi gli interventi della pubblica accusa che, richiamandosi ad un altro caso spettacolare, quello del giovane Boris Koverda (uccisore a Varsavia, il 7 giugno 1927, dell'inviato ed ex assassino bolscevico Pëtr L. Vojkov, condannato a dieci anni scontati fino all'ultimo giorno; inoltre, a rappresaglia Mosca arresta centinaia di ex monarchici e fucila venti delle «più note» Guardie Bianche), aveva tuonato contro Schwartzbart che Petljura non era stato assassinato in Polonia, pur avendovi a lungo vissuto: «Voi non lo avete ucciso là, perché sapevate che sareste stato trascinato davanti ad un tribunale militare [che vi avrebbe forse condannato anche a morte]!».
Assolto l'assassino in un tripudio di folla, le piazze si riempiono di manifestanti inneggianti e lo stesso giorno centomila ebrei sfilano a Varsavia. «Questo verdetto incredibile [à la Zasulic] riempie di gioia tutti i nemici dell'Ucraina. Per di più, la sentenza fu seguita da scene particolarmente scandalose. In piena aula giudiziaria, il criminale che i giudici stavano assolvendo fu acclamato freneticamente dai correligionari che, numerosi, avevano assistito ai dibattiti. Questi fanatici che, apparentemente, avevano perso ogni nozione di pudore, si rendevano conto fino a qual punto la loro manifestazione era indecente e odiosa?», commenta Alain Desroches. Evidentemente no, è la risposta: fatto presidente dell'associazione degli ex combattenti ebrei dell'esercito francese, Schwartzbart gira infatti in lungo e in largo per l'Esagono, illustrandosi con decine di conferenze. Nel gennaio 1937 invia un messaggio di solidarietà all'incarcerato confratello Frankkfurter. Recatosi quindi in Sudafrica, si spegne a Johannesburg o a Città del Capo il 3 marzo 1938, cinquantaduenne.
Singolare il destino dei tre criminali: Schwartzbart, Frankfurter e Grynszpan riescono, tutti, a non pagare il fio dei loro crimini. Chiudiamo l'inciso col caso del tedesco Georg Semmelmann, ex agente sovietico, assassinato nel suo appartamento viennese il 25 luglio 1931 dal serbo Andreas Piklovic alias Egon Spielmann, agente OGPU; non solo in favore dell'assas-sino, difeso dall'avvocato ebreo Nathan Korkes (che sostiene l'eticità della causa di Piklovic, in quanto Semmelmann si sarebbe apprestato a vendere alla Siguranza romena «mille» giovani comunisti clandestini, votandoli alla tortura e alla morte), intervengono dalla Francia Lecache e lo scrittore comunista goyish Henri Barbusse, ma il 4 marzo 1932 (il processo si apre e chiude in un solo giorno, compresa la sentenza!) la giuria assolve il reo confesso al pari di Schwartzbart: «Alla domanda, infine, se egli è colpevole di aver "sparato nella testa di Semmelmann due colpi d'arma da fuoco provocandone la morte", sette giurati risponderanno "sì" e cinque "no". In virtù di ciò, l'accusato è prosciolto dal capo di accusa, essendo richiesta l'unanimità dei giurati perché l'accusato sia riconosciuto colpevole.
Condannato per gli altri capi di imputazione [uso di falsa identità, contravvenzione all'interdizione di soggiorno, porto di pistole senza autorizzazione né necessità] a un mese di prigione, a pagare le spese processuali e alla confisca delle due pistole, in teoria Piklovic è libero, ma sotto tiro di un'ordinanza di espulsione dal territorio austriaco [in realtà, evitando l'espulsione in Jugoslavia dove incontrerebbe guai seri, Piklovic trova discretamente la via di Mosca, ove qualche mese dopo muore per polmonite]. All'indomani la stampa comunista giubila e celebra l'eroe che nella Hockegasse (la via del crimine) ha "mantenuto la sua postazione sulla barricata". La stampa socialdemocratica, invece, evitando di riportare un giudizio generale (su tutta la vicenda è aleggiato il fantasma del celebre assassinio [nell'ottobre 1916] del [primo ministro austriaco] conte Stürgkh per mano di Friedrich Adler [l'ebreo figlio di Viktor Adler fondatore del Partito Socialdemocratico; sarà segretario dell'Internazionale Socialista dal 1921 al 1946]), si dilunga sulle turpitudini di Semmelmann!» (Alain Brossat).
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DIETRO LA BANDIERA ROSSA
Il comunismo, creatura ebraica
seconda edizione, ampliata e corretta,pagg.413-4,© 2010 effepi edizioni
- Dietro la bandiera rossa, il comunismo creatura ebraica
7. oltre a decine di feriti più o meno gravi, un numero imprecisato di vittime ebraiche che va da 36 a 91 nella Kristallnacht (De Fontette ci segnala «non più di 35 morti», Nolte scrive di «almeno trenta-quaranta ebrei [...] assassinati», Romedio Galeazzo Graf Thun-Hohenstein adduce, in Poeppel et al., «90 omicidi», Eitz/Stötzel ne danno 91, mentre l'anticonformista omeopatico Courtois, che già aveva farneticato di 20.000 «militanti di sinistra» eliminati dal 1933 al 1939 «nei campi di concentramento e nelle prigioni», istiga con «parecchie centinaia di morti»; Nachman Ben-Yehuda riporta che «un centinaio di ebrei morirono durante i fatti, altri cinquecento furono uccisi all'arrivo nei campi e un altro centinaio ancora che non furono internati si suicidarono»; il fantasioso Riccardo Calimani (II) fantastica che «i morti furono 236 di cui 43 donne e 13 bambini, oltre 600 subirono invalidità permanenti. Altre centinaia di vittime morirono nei mesi successivi nei campi di concentramento [...] morirono 2500 uomini, donne e bambini, la maggior parte di loro morì nel lungo periodo successivo al rilascio; la «Notte dei Cristalli» registra anche il danneggiamento di 101 o 177 o 191 o 267 sinagoghe sulle 1420 esistenti, l'attacco a 171 abitazioni e ad un numero di negozi che va dagli 815/844 ai 7500 sui centomila di proprietà ebraica, e l'internamento di 20.000, o secondo altre fonti 30.000, ebrei a scopo di ritorsione (si tenga peraltro presente che le cifre sono contenute, rileva Ingrid Weckert, unicamente in «documenti» manipolati presentati al TMI di Norimberga); il rapporto di Reinhard Heydrich, riconosciuto come autentico da Göring e altri, riporta 36 ebrei uccisi e 36 feriti (David Irving ricorda che «il gelido capo della Gestapo» aveva parlato di 35 morti); infine, accusati di crimini compiuti nei disordini di quei giorni, 174 tedeschi vengono arrestati e condannati a pene varie dalla magistratura del Reich.
Sulla "Notte dei cristalli" o "Reichskristallnacht" o "Kristallnacht" un articolo di Ingrid Weckert presente su questo sito: http://olodogma.com/wordpress/2013/04/25/0225-9-10-novembre-1938-notte-dei-cristalli-il-grande-spettacolo-anti-tedesco/
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Author(s): | Olodogma |
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Published: | 2013-11-09 |
First posted on CODOH: | Dec. 23, 2017, 4:40 p.m. |
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