L'ebreo assassino grynszpan herschel feibel, la Notte dei cristalli o Reichskristallnacht o Kristallnacht

Published: 2013-11-09

Il testo riprodotto, pubblicato col consenso dell'Autore, costituisce  la “Nota n°29 “, pagg.1134→1139, del monumentale  studio del

Dott. Gianantonio Valli

“LA FINE DELL’EUROPA, Il ruolo dell’ebraismo”

seconda edizione, corretta e ampliata, Edizioni EFFEPI, effepi – judaica
© 2011 effepi, via Balbi Piovera, 7 – 16149 Genova

Il volume "La fine dell'Europa", click per ingrandire

 
Il volume "La fine dell'Europa", click per ingrandire

…”È, certissimamente, un libro straordinario. Un libro, fra i molti che Valli offre oggi alla parte più intelligente e libera del pubblico mondiale, che per laprima volta getta, sul panorama storico di questa interminabile Guerra Mondiale, una luce che da tempo sembrava abbandonata: quella della ricerca della verità. Una verità che Valli ha ben documentata, con migliaia di nomi, di eventi, di lettere, di comunicazioni ufficiali e di informazioni che, nella stragrande maggioranza, vengono fornite proprio da coloro che, attraverso il crescente controllo sulla gran mediocrazia occidentale, avevano contribuito a seppellire o a mistificare questa verità. Il risultato di questa ignobile operazione di accumulo della menzogna, propalata per quasi un secolo sotto la guida dei

comandi militari vittoriosi e della grande finanza mondiale attraverso i suoi media in Gran Bretagna e in Nordamerica con la Francia in subordine, fu la profonda ottenebrazione dei cervelli nelle vaste masse che vivono sul nostro globo”… (Sergio Gozzoli)

L'ebreo assassino grynszpan herschel feibel

 

 
L'ebreo assassino grynszpan herschel feibel

 

Nato ad Hannover il 28 marzo 1921 dai «polacchi» Sendel Grynszpan e Ryf­ka «Regina» Silberberg, migrati in Germania il 18 aprile 1911 (per inciso, sarti di professione e trafficanti di merce usata, dopo avere inoltrato richiesta di ausilio per disoccupazione i genitori ricevono sussidi dall'assi­stenza sociale tedesca dal 10 luglio 1933 al 5 ottobre 1934), il nostro Her­schel Feibel, chiamato furbesca­mente Grünspan dai gaz­zet­tieri per suggerir­ne un'origine «più te­desca» che ne giustifi­che­rebbe in qualche modo gli atti, verrà arrestato dai fran­ce­si e detenu­to in attesa di processo.

Cattura­to dai «nazi» nel giugno 1940 e internato a Sach­senhau­sen, indi a Berlino-Moa­bit, sopravvivrà al con­flit­to, si porterà a Parigi e poi in Israele (la New Stan­dard Jewish Encyclope­dia, evidentemen­te poco infor­ma­ta, ne avanza la morte «circa nel 1943» per mano tede­sca). Stando alla versione ufficiale, la «prote­sta» che uccise vom Rath, lungi dall'essere una provocazione di cir­coli lecacho-jabotin­skyani come avanza Ingrid Weckert o una «vendetta» per un affaire omosessuale tra Grynszpan e vom Rath come lai­da­mente avanzato dagli avvocati difensori dell'assassino (simili motiva­zioni per un atto di vendetta politica, come detto, erano state usate dagli assassini sionisti per Jacob Israel De Haan), sarebbe una «vendetta» per l'espulsione di 18.000 ebrei polac­chi – e in particolare dei genitori e delle sorelle di Grynsz­pan, trasferiti, coi 484 ebrei di Hannover, a Neu Bent­schen, al di là del confine, il 29 ottobre – decisa dal Reich in risposta all'or­di­ne del ministero degli Esteri polacco (l'ordinanza, basata su una legge approvata il 31 marzo, risaliva al 7 ottobre, ma fu attivata il 31) di non rinnovare i passaporti, e quindi pri­va­re della citta­di­nanza, rendendoli apolidi e impedendo­ne il rientro in Polonia, ai «polacchi» che vivesse­ro all'estero da oltre cinque anni.

      Complessi­vamente, 56.500, Carla Tonini scrive 80.000, erano gli ebrei polacchi mi­grati in Germania e Austria; come scrive, peraltro senza sottoli­neare la complessità degli even­ti, né la diretta responsabilità dei polacchi, né l'indiretta responsabilità degli Occidenta­li che sbarravano le proprie frontiere a torme di indesi­derati forse proprio per radicalizzare la situazio­ne, né il pieno diritto dei tedeschi a non trovarsi in casa decine di migliaia di individui che nessun paese avreb­be più accolto: «La reazione tedesca fu fulmi­ne­a. Appena ricevuta noti­zia dell'inten­zione polacca di privare gli ebrei della cittadinan­za, [il capo della polizia tedesca Reichsfüh­rer] Himm­ler dette l'ordine di traspor­tar­ne alcune mi­gliaia alla frontiera polacca e di forzarli ad attraver­sarla. Il 28 e 29 ottobre tra i 13.000 e i 20.000 ebrei furono deportati alla frontiera polacca. Quelli che non riuscirono a entrare in Polo­nia – circa 10.000 secon­do stime approssi­mative – o a tornare indie­tro, trovarono rifugio nel villaggio polacco di Zbasyn, vicino al confine. Il governo polacco protestò contro le espulsioni [faccia tosta!], annun­cian­do ritorsioni nei confronti della minoranza tedesca in Polonia [da cui si deduce ancora come non con­venga lasciare i connazio­nali preda di altri paesi!] e finalmente il 20 gennaio, dopo lunghe trattative, i tedeschi acconsenti­ro­no al ritorno tempo­ra­neo degli ebrei accampati a Zbasyn. In cambio, i polacchi si impe­gnarono ad accetta­re gli ebrei che si erano già rifugiati in Polonia, e di accogliere anche le loro famiglie. Di fatto gli ebrei che si trovavano alla frontiera furono poco a poco fatti entrare in Polonia e, con il tempo, furono raggiunti dai familiari rimasti in Germania [...] Certo è che i polac­chi usaro­no immediatamente "l'affare Zbasyn" come arma di pressione verso le potenze occidentali per spingerle ad affrontare il problema degli ebrei in Polonia. Mentre si svolge­vano le trattative tra polacchi e tedeschi per risol­vere la questione delle espulsioni, l'ambasciato­re polacco a Londra discute­va con Halifax della si­tua­zione in Polonia. Ai toni misurati, usati negli anni precedenti, Raczynski sostituì velate minacce riguardanti

"il peggioramento della situa­zione degli ebrei in Polonia, qua­lora i governi occidentali non avessero intra­preso un'a­zione energica per l'evacuazione degli ebrei polac­chi verso altri pae­si"».

      Quanto alla LICA (che nel novembre 1979, in auspicio della temperie inva­sionista anti-europea, si fa LICRA con la R di «racisme»), viene fon­da­ta da Henry Tor­rès (nipote del dreyfusardo Isaïe Levaillant cofondatore della Ligue pour la Défense des Droits de l'Homme et du Citoyen; nel dopoguerra senatore gollista), Jo­seph Kes­sel, Elie Sof­fer, Gérard Rosen­thal, Bernard Le­cache e Weil-Goudchaux, al fine immedia­to di difendere Samuel/Sha­lom Schwart­z­bart/Schw­arz­bard. «Bielo­russo» nato a Smo­lensk nel 1886, combat­tente antitedesco in Francia, migrato in Russia nel 1917, capo di ban­de ebrai­che e terrorista sovietico, naturaliz­za­to infine francese nel 1925 e orologiaio a Ménilmontant, il 25 maggio 1926 co­stui massacra a Parigi con sette proiettili l'atamano Semën Vasilevic Petlju­ra, nel 1905 fondatore del Partito Socialdemo­cratico, Gran Mae­stro mas­sone e già presidente della Re­pub­bli­ca Ucraina Indi­pen­den­te (dal gen­naio 1918 al giugno 1920), in procinto di riprendere la collabo­razione antibol­scevica col Mare­sciallo Pilsudski (arrestando l'a­vanzata bol­sce­vica nell'agosto 1920 e con la pace di Riga del 18 marzo 1921, ucraini e polac­chi aveva­no salvato l'Euro­pa da un bagno di sangue: il generale J.F. Fuller a ragione paragona, per importanza storica, la disfatta bolscevica alla sconfitta turca sotto Vienna nel 1683 ad opera di Giovanni Sobieski). A dimostra­zione che l'assassinio rientra in un'azio­ne organizza­ta, o fors'anche a conferma della «sugge­stione vendicati­va», due giorni dopo il trio Yanko­viak, Feldman e Blai assassina a pisto­let­tate, mentre nella notte lavora alla scriva­nia, l'ataman Askilko, ex braccio destro di Petljura, a Uvarov nei pressi di Rovno nella Polonia ucraina.

      Per quanto sia chiaro da subito che l'omicidio compiuto da Schwartzbart è uno dei tanti orditi dalla GPU per sopprimere i propri nemici (gra­ve­men­te colpito alle spalle, Pe­tljura era stato finito con due colpi alla nuca), fin dalle prime udienze il processo (18-26 ottobre 1927) assume il carat­te­re non di una causa contro l'assassi­no ma di una requisito­ria contro l'as­sassi­nato, l'atto venendo presto «scusato» come una «compren­sibile ritor­sio­ne» contro una persona re­spon­sa­bile di non avere represso i moti anti­ebraici/antico­munisti (vedi il nostro Dietro la bandiera rossa). Mentre il mas­so­ne Lecache si scatena con articoli e libelli contro i «petljuristes», de­finen­do l'assassinato antico capo-pogromista, e mentre lo assecondano (dichia­rando il falso) il direttore del comitato di assistenza agli emigrati ebrei Ruben Grimberg e l'ex avvo­ca­to di Pietro­burgo Moise Gold­stein (al contra­rio, l'ex giudice istruttore keren­skyano e sempre ebreo Elie Dob­kovski nega il coin­volgimen­to nei po­grom sia di Petljura che dei governanti ucraini; anche l'ex trotzkista Ettore Cinnella vanta l'«assoluta estraneità sia della Rada [il parlamento ucraino] che del direttorio a qualsivoglia forma d'antisemitismo. Sin dalla sua nasci­ta, la segreteria generale della Rada s'impegnò nella tutela degli ebrei e delle altre minoranze nazionali in Ucraina [...] Lo stesso Petljura, in innumere­voli ordinanze e appelli, invitò le sue truppe a tutelare i beni e la vita della popolazione ebraica»; infine, Salo Baron ci segnala che l'avvocato Arnold Margolin, viceministro degli Esteri, «potè asserire a ragione, nel maggio 1919, che il parlamento ucraino aveva garantito agli ebrei più diritti di quanto non avesse mai fatto un altro Stato»), il conso­le sovietico Haus­sen elargisce forti somme non solo per la difesa, capeggia­ta da Torrès, ma anche per la corru­zione dei giurati: quat­tro affiliati a partiti d'estre­ma sini­stra e quattro piccoli esercenti in istato di fallimento.

      Come quindi stupirsi se, dopo virulente ma­ni­fe­sta­zioni di piaz­za, invettive e minacce da parte di ebrei e co­mu­ni­sti e pressioni psicologiche di ogni tipo, i giurati rispondono negativamente al quesito se il Nostro è davvero colpe­vo­le di avere ucciso Petljura, e ciò, mal­grado il vanto da lui stesso me­nato (astuto sofisma, si badi: il quesito non è se ha ucciso, con una consta­ta­zione quindi del mero fatto, ma se è colpe­vo­le di avere ucciso, con un giu­dizio quindi sentimenta­le/morale­)? A nulla sono valsi gli inter­venti della pubblica accusa che, richiamandosi ad un altro caso spettacolare, quello del giovane Boris Kover­da (uccisore a Varsavia, il 7 giugno 1927, dell'inviato ed ex assassino bolscevico Pëtr L. Vojkov, condannato a dieci anni scontati fino all'ultimo giorno; inoltre, a rappresaglia Mosca arresta centinaia di ex monarchici e fucila venti delle «più note» Guardie Bianche), aveva tuonato contro Schwart­zbart che Petljura non era stato assassinato in Polonia, pur avendovi a lungo vissuto: «Voi non lo avete ucciso là, perché sapevate che sareste stato trascinato davanti ad un tribunale militare [che vi avrebbe forse condannato anche a morte]!».

      As­solto l'assas­si­no in un tripu­dio di folla, le piazze si riempiono di manife­stan­ti inneggian­ti e lo stesso giorno cento­mi­la ebrei sfila­no a Varsavia. «Questo verdetto incre­di­bi­le [à la Zasulic] riempie di gioia tutti i nemici dell'U­crai­na. Per di più, la sentenza fu seguita da scene particolar­mente scandalose. In piena aula giudiziaria, il criminale che i giudici stava­no assol­vendo fu acclamato freneticamente dai correligionari che, numerosi, avevano assistito ai dibatti­ti. Questi fanatici che, apparente­mente, avevano perso ogni nozione di pu­dore, si rendevano conto fino a qual punto la loro manifestazione era inde­cente e odiosa?», commenta Alain Desroches. Evi­dentemente no, è la rispo­sta: fatto presiden­te dell'as­sociazione degli ex combattenti ebrei del­l'e­sercito francese, Schwartzbart gira infatti in lungo e in largo per l'Esago­no, illu­strandosi con decine di conferen­ze. Nel gennaio 1937 invia un mes­saggio di solidarietà all'in­carcerato confratello Frank­kfur­ter. Recato­si quindi in Sudafrica, si spegne a Johannesburg o a Città del Capo il 3 marzo 1938, cin­quan­taduenne.

      Singolare il de­sti­no dei tre cri­mi­nali: Schwartz­bart, Frank­fur­ter e Grynsz­pan rie­sco­no, tutti, a non pagare il fio dei loro crimini. Chiudiamo l'inciso col caso del tedesco Georg Sem­mel­mann, ex agente sovieti­co, assassinato nel suo appar­tamento vienne­se il 25 luglio 1931 dal serbo Andreas Piklovic alias Egon Spiel­mann, agen­te OGPU; non solo in favore del­l'assas-sino, dife­so dall'av­vo­cato ebreo Nathan Korkes (che sostiene l'eti­cità della causa di Piklovic,  in quanto Semmel­mann si sarebbe appresta­to a vendere alla Siguranza romena «mille» giovani comunisti clan­de­stini, votandoli alla tortura e alla morte), interven­gono dalla Francia Lecache e lo scrittore comunista goyish Henri Barbusse, ma il 4 marzo 1932 (il processo si apre e chiude in un solo giorno, compre­sa la sentenza!) la giuria assolve il reo confesso al pari di Schwartz­bart: «Alla doman­da, infine, se egli è colpevo­le di aver "sparato nella testa di Semmel­mann due colpi d'arma da fuoco provocando­ne la mor­te", sette giu­rati ri­sponde­ranno "sì" e cinque "no". In virtù di ciò, l'accusa­to è prosciolto dal capo di accusa, essendo richiesta l'unanimità dei giurati perché l'accusato sia riconosciuto colpevole.

      Condan­nato per gli altri capi di imputazione [uso di falsa identi­tà, contravvenzione all'interdizione di soggiorno, porto di pistole senza autorizza­zio­ne né necessità] a un mese di prigione, a pagare le spese pro­ces­suali e alla confi­sca delle due pistole, in teoria Piklovic è libero, ma sotto tiro di un'ordi­nanza di espulsione dal territorio austriaco [in realtà, evitando l'espulsione in Jugoslavia dove incontre­rebbe guai seri, Piklo­vic trova discretamente la via di Mosca, ove qualche mese dopo muore per pol­moni­te]. All'indoma­ni la stampa comu­ni­sta giubila e cele­bra l'eroe che nella Hockegasse (la via del crimine) ha "mantenuto la sua postazione sulla barri­cata". La stampa socialdemocra­tica, invece, evitando di riportare un giudi­zio generale (su tutta la vicenda è aleggiato il fantasma del celebre assassi­nio [nell'ottobre 1916] del [primo ministro austriaco] conte Stürgkh per mano di Friedrich Adler [l'ebreo figlio di Viktor Adler fondato­re del Partito So­cialde­mo­cratico; sarà segretario dell'Internaziona­le Socialista dal 1921 al 1946]), si dilunga sulle turpitudini di Semmel­mann!» (Alain Brossat).

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DIETRO LA BANDIERA ROSSA
Il comunismo, creatura ebraica

seconda edizione, ampliata e corretta,pagg.413-4,© 2010 effepi edizioni

Dietro la bandiera rossa, il comunismo creatura ebraica

 
Dietro la bandiera rossa, il comunismo creatura ebraica

 

7.  oltre a decine di feriti più o meno gravi, un nume­ro impre­ci­sato di vittime ebrai­che che va da 36 a 91 nella Kristallnacht (De Fon­tette ci segnala «non più di 35 morti», Nolte scrive di «almeno trenta-quaranta ebrei [...] assassinati», Romedio Galeazzo Graf Thun-Hohenstein adduce, in Poeppel et al., «90 omicidi», Eitz/Stötzel ne danno 91, mentre l'anticonfor­mista omeopatico Courtois, che già aveva farneticato di 20.000 «militanti di sinistra» eliminati dal 1933 al 1939 «nei campi di concentra­mento e nelle prigioni», istiga con «parec­chie centi­naia di morti»; Nachman Ben-Yehuda riporta che «un centinaio di ebrei mori­rono duran­te i fatti, altri cinque­cen­to furono uccisi all'arrivo nei campi e un altro centinaio ancora che non furono inter­na­ti si suicidaro­no»; il fantasioso Riccardo Calimani (II) fan­tasti­ca che «i morti furono 236 di cui 43 donne e 13 bambini, oltre 600 subirono invalidità perma­nen­ti. Altre centinaia di vittime morirono nei mesi successivi nei campi di concentra­mento [...] morirono 2500 uomini, donne e bambi­ni, la mag­gior parte di loro morì nel lungo periodo successivo al rila­scio; la «Notte dei Cristalli» registra anche il danneg­giamen­to di 101 o 177 o 191 o 267 sina­go­ghe sulle 1420 esi­stenti, l'attac­co a 171 abitazioni e ad un nume­ro di negozi che va dagli 815/844 ai 7500 sui cen­to­mi­la di pro­prie­tà ebrai­ca, e l'inter­na­mento di 20.000, o secondo altre fonti 30.000, ebrei a scopo di ritor­sio­ne (si tenga peraltro presente che le cifre sono contenute, rileva Ingrid Weckert, unicamente in «docu­menti» manipo­la­ti presentati al TMI di Norimber­ga); il rapporto di Reinhard Heydrich, riconosciuto come autenti­co da Göring e altri, riporta 36 ebrei uccisi e 36 feriti (David Irving ricorda che «il gelido capo della Gestapo» aveva parlato di 35 morti); infine, accu­sati di crimini com­piuti nei disordini di quei giorni, 174 tedeschi vengo­no arrestati e condanna­ti a pene varie dalla magi­stratura del Reich.

Sulla "Notte dei cristalli" o "Reichskristallnacht" o "Kristallnacht" un articolo di Ingrid Weckert presente su questo sito: http://olodogma.com/wordpress/2013/04/25/0225-9-10-novembre-1938-notte-dei-cristalli-il-grande-spettacolo-anti-tedesco/

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First posted on CODOH: Dec. 23, 2017, 4:40 p.m.
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